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Autore: Ruta    10/07/2014    3 recensioni
“Molly.”
Qualcosa, nel modo in cui lui aveva pronunciato il suo nome, suonò carico di significato.
Gli occhi azzurri di Sherlock, appuntandosi sul suo viso, espressero per un attimo un sentimento di sollievo talmente radicato che lei si chiese come fosse possibile che una manciata di secondi dopo si fosse già dileguato senza lasciare traccia del suo passaggio.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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“Dove sei stato?”

La rabbia di Sherlock era palpabile, una specie di miasma che rendeva l’aria attorno a lui irrespirabile. 

Il temperamento atrabile – un rigurgito di bile nera – non era semplice inclinazione di carattere, ma uno chador realizzato su misura per lui, una disposizione d’animo che metteva in soggezione qualunque persona avesse la malaugurata sorte di osservare lo sfacelo che tendeva a creargli attorno, come terra bruciata.  
John era uno dei pochi fortunati ad essere sopravvissuto all’esperienza senza avere i nervi a pezzi e meglio ancora ad aver imparato ad arginarne i danni. 
Cadeva una pioggia torrenziale, un temporale estivo e insieme qualcosa di più violento e aggressivo. Entrando, lui parve portare con sé la bufera che batteva contro le finestre il suo vento infernale, facendone tremare i vetri.

John poteva vederla imperversare nei suoi occhi, da cui schizzavano balenii d’astio. “Sherlock,” sospirò. Aprì le braccia per mostrargli il suo aspetto dimesso, forte della convinzione che lui avrebbe dedotto la situazione senza che dovesse spiegargliela.

“Sta meglio?” Come da copione. Ancora incupito, Sherlock si fece largo nell’ingresso e nel salotto, provvedendo a sfilarsi cappotto e sciarpa zuppi, a disporli di traverso sullo schienale del divano e poi a occupare il suo posto preferito.

“Mary è di sopra con lei. Sono queste coliche.” Si massaggiò il collo indolenzito. “Non ci danno pace, specialmente la notte.”

“Immagino la vostra cura: massaggi e sciocche canzoncine. Nessuna sorpresa che vi tenga svegli. Chiunque possieda un minimo di criterio reagirebbe al malessere aggiuntivo della medicina sfogandosi con crisi di pianto.”

John aveva una catena di notti insonni a pesargli sulle spalle, inclusa quella in corso, e similmente a Sherlock anche il suo umore non era tutto ‘rose e fiori’. Si strofinò gli occhi, contenendo uno sbadiglio e un’imprecazione. “Dimmi cosa vuoi, Sherlock.”

Sherlock deglutì e John fu subito in allerta, improvvisamente cosciente del qualcosa nel suo sguardo inquieto, che era di un colore perfino più instabile e umorale del solito, nel modo in cui teneva le braccia irrigidite sulle gambe e si tastava il viso con mani smaniose; del qualcosa, nel suo atteggiamento, che era tutto fuorché composto o controllato, nulla di regolato da quella sua dura disciplina di ordine e fredda, a tratti spietata, logica mentale.

Capitava di rado di intravedere quel lato di Sherlock ed ogni volta era tremendo: era come spiare dal buco della serratura qualcuno, violare la natura intima di un segreto.

Sherlock era nervoso e allucinato e questo non rendeva John teso o agitato. Lo terrorizzava fottutamente.

“John.” Sherlock rialzò la faccia, una faccia cadaverica quasi quanto l’aveva avuta sul marciapiede del Barts quel giorno maledetto di tre anni prima, quando John lo aveva trovato sporco del sangue che, ora lo sapeva, non era gli era mai appartenuto. “Non sono stato del tutto sincero.”

“Serve che chiami Mary?”

“Non occorre.” Mary entrò nella stanza, chiudendosi meglio la vestaglia in vita.

Mentre pensava alla straordinaria capacità di lei di materializzarsi al momento opportuno, Mary gli indicò la radiolina-interfono che John si era praticamente dimenticato di aver infilato in tasca. Era accesa; ergo, doveva aver ascoltato tutto.

“Katie?”

“Dorme come un ghiro o piuttosto come qualcuno che non lo ha fatto per due giorni di fila.” Il sorriso fu una nuvola passeggera sul volto stanco di Mary, prima che lei si voltasse verso Sherlock.

Lui ricambiò il suo sguardo con uno altrettanto intenso. L’aria era densa, consistente al punto che la si sarebbe potuta tagliare, quando lui annunciò tetro: “Dobbiamo parlare.”

 -

-

*

-

 -

John aveva preparato il tè. Lo passò a Sherlock, che lo prese con una smorfia critica.

Lui fu rapido a decifrarla. “Niente caffè. Ordini del medico.”

Sherlock arricciò le labbra e assentì brevemente.

“Riguarda l’attentatore di Molly, vero?” Tipico di Mary andare dritta al punto. Mary dalla mira perfetta.

Sherlock tacque.

“Sai chi è,” proseguì lei imperterrita. “Ho sempre pensato che fosse strana la tua inattività e poi quell’assurdo voler tenere Molly sotto chiave a Baker Street. A che scopo?”

“Era per proteggerla, no?” domandò John in tono d’ovvietà.

Mary e Sherlock gli dedicarono un’occhiata di uguale scetticismo. Dio, quanto li odiava quando facevano così. 

“Mary ha ragione, naturalmente.” Sherlock sospirò, un sospiro profondo come la gola di una montagna. “Non è più una caccia al tesoro. Il prossimo non sarà un tentativo.”

“Ma è Moriarty,” fece presente John. “Non la ucciderebbe mai. Non lo troverebbe abbastanza estremo.”

“Ecco perché vuole che io la guardi morire.”

“La stessa performance due volte? Non è da lui.”

Sherlock fece una smorfia. “Non è lui.”

“Cosa –” John lo fissò di stucco. Sperò di aver sentito male, doveva.  “Non è Moriarty?” 

“Un suo sottoposto, Sebastian Moran.”

E invece no, dannazione a lui, aveva sentito benissimo. “Perché il nome mi ricorda qualcosa?” Aggrottò la fronte e poi la spianò, in preda alla sorpresa. “Moran come Lord Moran? Quello dell’attacco terroristico al Parlamento?”

“Lui era soltanto un pesce pulitore, uno specchietto per le allodole. No, si tratta di suo figlio.”

John non riusciva a capacitarsi. “Mi avevi fatto credere, avevi fatto credere a tutti che fosse opera di Moriarty,” lo accusò, non badando a nascondere la rabbia e il biasimo nella propria voce. Voleva che lui sentisse, che capisse definitivamente a cosa portasse la sua tenacia nel volere tenere tutti all’oscuro di tutto, nell’idea distorta che aveva di proteggerli.

“Perché è Moriarty.” Sherlock schizzò in piedi come una dannata carica a molla in tantalio; si avvicinò con passi rabbiosi alla finestra e scostò la tenda per controllare la strada. Pioveva ancora e lui aveva l’aspetto di un lupo costretto in gabbia. “Tutto si ricollega a lui. È la matrice di ogni male e questa è sempre stata una caccia alle ombre, sin dall’inizio. L’ombra di un fantasma.”

John scosse la testa. Continuava a non capire. “Cosa è cambiato? Be’, deve essere successo di sicuro qualcosa per spingerti a venire qui e vuotare il sacco. Riguarda l’ultimo caso? Quello del falsario? Greg… Lestrade,” si corresse con un sospiro veemente, perché al nominarlo Sherlock aveva preso un’aria smarrita. “Mi ha mandato un messaggio. Mi ha detto di chiedere a te e che non poteva scriverlo tramite sms. Ha parlato di linee compromesse. Cosa diavolo sta succedendo?”

“Siamo osservati. Costantemente. Possono introdursi nei modem, nelle reti telefoniche, nei video di sorveglianza.”

“La pioggia,” si intromise Mary, come se avesse avuto un lampo di intuizione.

Sherlock annuì, ricompensandola con un veloce sorriso di gratifica. “La pioggia interferisce con i segnali, sì.”

“È a questo che ti serve quella ragazza, Victoria. Lei è la tua torre di sorveglianza,” osservò Mary.

John si trattenne a stento dallo sfregarsi le tempie. Uno avrebbe dovuto farci l’abitudine. Dopo anni di misteri e complotti e cospirazioni e intrighi machiavellici, avrebbe dovuto fare il callo a conversazioni che non avevano il minimo senso, non ne acquisivano se non a cose fatte, elaborate. “Cosa sa Molly di tutto questo?”

Sherlock esitò. L’argomento lo metteva in difficoltà, era evidente. Bene, pensò lui, il risveglio della coscienza. “Quanto basta. Sa che conosco l’identità dell’attentatore e che non si tratta di Moriarty. Se già aveva dei dubbi, Reading li ha fomentati e da quando siamo tornati, tiene gli occhi ben aperti.”

“Brava ragazza,” approvò Mary con una nota di orgoglio. “Cosa è successo lì?”

Sherlock glielo raccontò in breve. John ne fu costernato.

“Chi si è spacciato per falsario era Moran,” concluse Sherlock monocorde. “Nella rete di Moriarty il suo nome in codice era colonnello. Era una delle ambiguità di Moriarty. Io avevo il mio blogger, lui aveva il suo colonnello a tenere in riga l’esercito.”

“Fantastico,” esclamò John sarcastico.

Sherlock unì le mani e le poggiò contro il mento. “Era intenzione di Moran che l’ingegnere che aveva ingaggiato arrivasse a me in qualità di cliente, per questo non lo ha ucciso. Voleva che mi portasse dritto da lui. Io ho fatto il suo gioco.” Scosse la testa, rannuvolandosi. “No, ho fatto di peggio. Ho lasciato che Molly mi accompagnasse.”

“Non potevi saperlo,” lo consolò Mary.

John provò a tirare le somme, ma, per quanto provasse, il risultato non era mai lo stesso. In quel macello, soltanto una cosa gli era lucidamente chiara. “Devi dirlo a Molly.”

Sherlock lo guardò come se fosse pazzo. “È fuori discussione.”

“Se ho voce in capitolo –”

“Non l’hai,” lo interruppe Sherlock freddo.

“Ma se posso dire la mia opinione –”

“Non puoi.”

“Al diavolo, Sherlock! Cosa pensi di fare? Tenerla a Baker Street per altri sei, dieci, venti mesi? Fino a quando non avrai risolto questa storia?”

“Se necessario, sì.”

John sapeva che ne sarebbe stato capace. Razza di –

Mary gli posò una mano sul braccio per frenarlo. Aveva le sopracciglia aggrottate e gli occhi limpidi scandagliavano Sherlock con una prudenza calcolatrice. “È il motivo per cui sei qui. Cosa vuoi di preciso?”

“Ci saranno altri casi. Wiggins non basta più. Non posso fidarmi degli uomini di Mycroft. Mi servi tu, Mary.”

Dunque era così. Voleva proteggere Molly, ma non al punto da rinunciare a lei. Il sentimento che subentrava negli schemi perfetti del suo hard disk, simile a un virus, che li trasformava in arbitrari. Il sentimento che rendeva la soluzione perfetta infattibile. Se non era quello amore, un amore egoistico forse, ma pur sempre amore, John non sapeva che altro nome dargli.

Proprio perché anche il suo amore era egoistico, John non poteva permettere che Mary si mettesse in pericolo. Non riusciva quasi a credere che Sherlock glielo avesse chiesto. No, posso crederci invece. Io avrei fatto lo stesso, l’ho fatto.

Si voltò verso Mary per scoprire sconvolto che lei aveva già deciso. “Non intenderai accettare,” protestò.

Mary gli sorrise, di un sorriso che racchiudeva l’ossimoro che sua moglie rappresentava ai suoi occhi: terribile e meraviglioso concentrati in un unico spazio. “Gli devo un favore e poi Molly ha ragione; siamo una famiglia, John. Se un membro della mia famiglia viene a chiedere il mio aiuto, non posso voltargli le spalle.”

 -

* 

-

C’erano momenti di feroce, protettiva tensione tra loro, che si spegnevano, così com’erano iniziati, nell’abisso di altri pensieri e sentimenti.

 -

Quando rientrò nell’appartamento, trovò che Molly si era addormentata.
Lasciò che la scena gli riempisse gli occhi, per conservarla dietro una delle tante porte bloccate del suo palazzo mentale.
Sherlock avrebbe desiderato coprirla nella sua interezza, curvarsi a nascondere la morbidezza del corpo minuto di lei con la spigolosità allungata del proprio. Nasconderla al mondo e convincersi, avere la sicurezza che così facendo lei fosse al sicuro.
Molly dormiva profondamente, raggomitolata sulla sbiadita poltrona rosso pompeiano di John.
Lui, intanto, gocciolava sul pavimento la pioggia e l’umidità che la nebbia di Londra gli aveva buttato addosso.
Sherlock la prese in braccio e la testa di Molly trovò d’istinto la curvatura inospitale tra spalla, clavicola e collo che lei dava mostra di apprezzare particolarmente.
“Sherlock,” mormorò nel sonno e le sue dita affusolate afferrarono il risvolto bagnato del Belstaff.
Lui provò qualcosa, un’oscillazione rapida, ma moderatamente frenata, all’altezza della trachea, tra bronchi e polmoni, che vibrava di un accento di disperazione.
“Sono qui.” Le sfiorò la tempia con le labbra, in un bacio che non era un bacio, ma solo la sua carezza. “Andiamo a letto, Molly.”
Non avrebbe dormito. Veder dormire lei era l’unico riposo di cui abbisognasse, il riposo più soddisfacente che riuscisse a immaginare.


 
* 


“Cara, non trovi anche tu che ultimamente la casa sia piuttosto movimentata? Più del solito, intendo.”
Era una mattina qualunque e Molly stava facendo colazione con uova e bacon. Posò forchetta e coltello e, riflettendoci sopra, dovette convenire con quanto Mrs. Hudson aveva detto. La casa non era solo movimentata, era affollata.
Wiggins e Victoria si erano praticamente trasferiti in pianta stabile al 221C – dal basamento arrivava ormai forte e chiara musica rock ad ogni ora del giorno e della notte, con buona pace dei pomeriggi del gruppo di studio, che dovevano accontentarsi di occupare abusivamente la cucina sempre disponibile di Mrs. Hudson o, in casi fortuiti e più unici che rari, il salotto del 221B.
E poi c’era Mary, che da una settimana e mezza a quella parte aveva cominciato a trascorrere le sue mattinate con lei. Era ancora in congedo di maternità, lo sarebbe stata fino a metà settembre. (Non era insolito che Mary si fermasse anche a dormire a Baker Street in caso di lontananza di John, quando un caso con Sherlock lo teneva impegnato, trattenendolo nottetempo.
Molly le cedeva volentieri la camera in cima alle scale, approfittando dell’assenza facoltativa di Sherlock per appropriarsi di quella di lui che aveva il letto più comodo.)
Non che a Molly quei cambiamenti abitativi risultassero sgraditi, tutt’altro.
Cessate le estemporanee passeggiate notturne con Wiggins con la giustificazione di ‘certi affari in sospeso con Mr. Holmes’ (a cui Molly avrebbe anche potuto fingere di credere se Wiggins si fosse dato pena di nascondere l’ozio che tali attività fantasma operavano sulle sue giornate e se, per amor di decenza, avesse smesso di girare in mutande supereroistiche con l’aria spensierata di chi non ha urgenti occupazioni o impegni a profilarsi all’orizzonte), sarebbe caduta presto preda della noia più lugubre se non fosse stato per la costante presenza di Mary e Katie e di Mrs. Hudson, di Victoria e dello stesso Wiggins, a portata di voce. 
Ciò nonostante doveva ammettere che questo nuovo quadro casalingo, per quanto indubbiamente amabile, non soltanto si presentasse sospetto, ma che lo fosse incredibilmente. Aveva avuto una guardia del corpo e una balia, ora si rendeva conto di avere un’intera guardia d’onore preposta alla sua sicurezza.   
Avrebbe potuto chiedere spiegazioni; chiedere cosa, di preciso, fosse cambiato per spingere tutti ad una risoluzione radicalizzata come quella. (Per quello, Molly era loro grata davvero. Si erano chiusi attorno a lei in un cerchio, in modo compatto, come una formazione di difesa da testuggine romana.)
Avrebbe potuto pretendere di essere messa a parte, ma non lo avrebbe fatto. Non intendeva arrendersi all’ignoranza e la sua non voleva essere una meschina prova di forza.
Avrebbe aspettato e taciuto perché in quel frangente, come in altri, sperava che Sherlock scegliesse di confidarsi con lei sinceramente, quando fosse stato pronto.
Riprese coltello e forchetta e prese un boccone particolarmente abbondante. “Davvero? Non me n’ero accorta,” rispose distratta.

 
*

 
“E se Molly dovesse fare domande?”
“Non ne farà.” Sherlock appariva sicuro di quel che diceva, ma John non si era arreso.
“Io ne farei.”
“Molly non è te.”
C’era, nel modo in cui lo aveva detto, un complimento rivolto unicamente a lei.
“Perché non dovrebbe? Ne avrebbe ogni sacrosanto diritto.”
“Non ne farà perché si fida di me.”

Anch’io mi fido di te, era stato sul punto di replicare John, sentendosi in qualche modo indignato e insultato. Poi aveva capito cosa Sherlock intendesse.
“Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare,*” disse, citando un’espressione che lo stesso Sherlock aveva usato, anni addietro. La smisurata lealtà e devozione di una singola persona, tanto per dirne una.
Sherlock aveva sollevato il bavero, osservando con occhi stranamente luminosi la strada deserta e le radiazioni arancioni del lampione. “Questa è la mia fortuna.”

 

 



N/A:

Questo è stato un capitolo di necessario passaggio. Adesso potete fare supposizioni precise, non definitive, riguardo l’identità dell’attentatore, incluse le sue ragioni o il perché abbia mandato in maxischermo l’immagine di Moriarty in diretta nazionale. Semplice depistaggio o c’è altro in ballo?
E Molly… Oh, cosa posso farci se la adoro? No, di più, credo di idolatrarla. Questa donna è una forza della natura. Non batte ciglio di fronte a niente, tiene testa a Sherlock e non fa domande. Potresti andare da lei a chiederle di aiutarti a seppellire un corpo e lei non strillerebbe ‘Sacripante, cosa hai fatto!’, ma probabilmente si limiterebbe a chiedere se hai controllato che il corpo in questione fosse effettivamente morto e il punto in cui intendi seppellirlo. Perché questa donna ama Sherlock Holmes e lo capisce e sa riconoscere le priorità.
Ammetto, se posso permettermi di dirlo senza sembrare una sciocca vanesia e in tal caso linciatemi pure, che questo sia uno dei miei capitoli preferiti finora. Non ci sono veri e propri momenti tra Sherlock e Molly, ma i sentimenti traspaiono, soprattutto da parte di Sherlock e scriverlo non è solo stato emotivamente delizioso, ma ‘scuotente’, passatemi il termine che non me ne sovviene un altro.
*Da “Il mastino di Baskerville” di Arthur Conan Doyle. (Di nuovo io che cito Sherlock tramite John :D)
Bacioni a tutte, alla prossima!

P.s.: se posso permettervi un consiglio (o di darvi dei compiti per riempire l’attesa) vi direi di andare a rileggere, o nel caso leggere, L'avventura del nobile scapolo, solo per farvi un’idea dell’atmosfera e del mistero a cui è dedicato il prossimo capitolo.    

  
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