Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: LucyaCuoreDinchiostro    11/07/2014    3 recensioni
Non sono mai stata una che crede agli zombie, ai fantasmi o qualsiasi altra creatura sovrannaturale che vi venga in mente. Eppure, oggi, nascosta nel sottoscala fetido e tappezzato di scarafaggi morti della mia cantina, mi sono ricreduta.
Genere: Drammatico, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

UN RITORNO...DA BRIVIDO



Sono passati due giorni. Due giorni dal fattaccio. Ben quarantotto ore che ricevevo telefonate a casa, sul cellulare, a scuola. Mio padre è  scomparso. Non è andato a lavoro e nemmeno risponde alle telefonate. Non si trova più, semplicemente.

Mi rigiro un piccolo coltellino da burro tra le dita, sottile, affilato. Tirato a lucido da poco. Medito a lungo se trascinare o meno la lama impietosa lungo la linea dritta del mio avanbraccio dalla pelle abbronzata.
Vivo da sola con mio padre, o meglio, vivevo. Ho diciotto anni e non possono tirarmi via da qui contro la mia volontà. Questa è casa mia.
Mia madre è morta due anni fa. Cancro. Ma non ho pianto.
Da quando mamma è morta mio padre abusa di me. Carnalmente. Poi si pente, piange e io lo consolo. Mi fa sentire sporca, inutile, una poco di buono. Non avevo mai fatto sesso prima, la prima volta è stata con mio padre.
Mi pungo la punta del dito con il piccolo coltellino e una piccola goccia rosso cremisi sbuca fuori immediatamente. Scende in un rivolo umido e caldo lungo il dito e poi cade sulla mia maglietta verde smeraldo. Sembra nera, quella goccia, adesso.
Driiin. Driiin.
Di nuovo il telefono. Sono stranamente calma e niente può turbarmi. La gente lo trova strano. "E' sparito tuo padre! Ma non sei preoccupata?" mi chiedono. "No" rispondo io. Alcune persone se ne vanno e non tornano. Semplice. E io sto meglio da sola.
Driiin. Driiin.
-Pronto?
-Singorina Delacroix, la chiamo dall'ufficio di suo padre- mio padre fa l'assicuratore. Ha un'agenzia tutta sua -volevo metterla al corrente del fatto che alcune cose sono state trafugate, nella notte. Proprio dall'ufficio di suo padre. Cose di poco conto. Foto, più che altro. E' proprio sicura che non sia tornato a casa?- vuole informarsi la segretaria, Jeanine.
-No, gliel'ho detto. Non è tornato. Non si fa vivo da due giorni- ripeto, per quella che mi sembra la centesima volta, solo oggi.
Riattacco. Salgo al piano di sopra e sbarro le finestre.
Hanno trafugato della roba. Foto. Per quel che ricordo, mio padre ha esposte solo foto mie e di mia madre in ufficio. Che razza di foto possono aver rubato? Per fare cosa, poi?
Mi sento apatica e decido di fare un sonnellino. Mi potrò tranquillizzare solo quando le acque si saranno calmate e nessuno cercherà più quel pervertito grassone di mio padre.
Mi addormento subito, sogno confusamente. Immagini indecifrabili e volti irriconoscibili. Ma riconosco il tocco viscido delle mani di mio padre sulle mie cosce. Le sue dita che si insinuano sotto le mutande e che aprono con bramosia le pieghe asciutte del mio sesso. Mi depilo sempre integralmente perchè mi piace guardarmi allo specchio completamente pulita, senza difetti. Mi piace guardare le mie dita entrare e uscire dall'antro umido che gronda piacere senza nessun impedimento. Un'immagine chiara, limpida. Ma quando le mani sono le sue, io tremo. Ho voglia di vomitare.
Un rumore forte, dal piano di sotto, mi sveglia. Sembra sia stata rotta una finestra.
Mi spavento e mi alzo di scatto, immediatamente vigile. Gli occhi gonfi e impastati di sonno.
Accosto l'orecchio più vicino alla porta.
-Tesoooro! Sono a casa! Papi è tornato!- una voce cantilenante quasi gioisce nel pronunciare queste parole. La voce è roca, non assomiglia a quella del grassone che io chiamo papà. Che mi stiano giocando quanche pessimo scherzo?
Scendo gli scalini, uno ad uno, con calma e con una mazza da baseball recuperata nello stanzino. La prudenza non è mai troppa. Inspiro, espiro. Inspiro, espiro.
Mi tirò giù dall'utlimo scalino con una fifa blu e i piedi pesanti come zavorre di cemento armato.
Non fiato, non faccio rumore. Sento solo il mio respiro irregolare e spaventato. Il cuore che minaccia di spuntare fuori dalla gola a momenti, quasi stesse risalendo l'esofago con piccole manine spuntategli per lo spavento.
Mi avvicino alla cucina e lì, immobile e con un sorriso d'oltretomba, c'è mio padre. Il suo sorriso è una smorfia disumana, tirato all'ingiù dalla parte sinistra come una cicatrice malefica. Un taglio lungo tutta la mascella, incrostato di sangue rappreso. Le mosche svolazzano intorno come una tetra rappresentazione di un odore mortifero.
Non è possibile. Non può essere umano. Perchè io l'ho ucciso.
Con il coltello per il burro. Un taglio netto sulla giugulare, che era esplosa davanti ai miei occhi imbrattandomi di sangue denso e scuro, caldo e rugginoso.
Questo mio padre ha gli occhi quasi fuori dalle orbite, rivoli di sangue rappreso ovunque e i pantaloni strappati in mezzo alle gambe, proprio in corrispondenza del suo uccello malefico, che gli avevo accoltellato senza sosta dopo averlo visto morire tra le mie braccia. Una massa di carne ancora sanguinolenta e smembrata giace in mezzo alle sue cosce grasse. Rivoli di sangue rappreso lo imbrattano dalla testa ai piedi. Zolle di terra gli cascano dalle tasche e le mani dalle unghie nere e piene zeppe di terriccio stringono delle foto sgualcite.
L'avevo seppellito. Io stessa, con le mie mani, in giardino, all'ombra del salice. Sarei scappata prima che potesse scoprirlo qualcuno, ma quel qualcuno era mio padre. Mio padre morto. Mio padre sepolto. Mio padre di cui avevo raccolto sangue per una giornata intera, dal pavimento della cucina. Poi avevo minuziosamente calcolato tutti gli orari dei vicini e ripulito il mio coltellino.
Stavamo facendo colazione, quand'era successo.
-Tesoro! Amore di papà!- si lecca le labbra e mi fissa con i suoi occhi da non-morto. Avanza di un passo e io arretro.
-Sta lontano! Non avvicinarti o ti spacco la testa! Tu...tu sei morto!- grido, alzando sulla testa la mazza da baseball in legno massiccio. Gliela spacco la testa, eccome se gliela spacco. L'ho già ucciso una volta. Posso farlo di nuovo.
Tremo di paura. Le lacrime cominciano a scorrermi copiose sulle guance e il sapore acido del terrore mi riempie la bocca.
-Papà ti vuole bene, piccola, non è mica morto. Vuole solo assaggiarti, un poco- mi canzona lo zombie.
 Un piccolo strillo acuto prorompe dalle mie labbra, nell'udire queste parole. Arretro più velocemente, senza togliere gli occhi di dosso a quel coso. Inizia a camminare verso di me e io arretro.
Maledizione. Maledizione!
Corro alla porta principale, non curandomi dei passi pesanti che stanno per raggiungermi. E' chiusa. Non si apre. Tiro con tutta la mia forza, scuoto la maniglia, sbatto un pugno sulla porta.
-Aiuto!- urlo a pieni polmoni.
Una mano bianca e sporca di terra e sangue si posa sulla mia spalla e senza pensarci due volte mi volto di scatto e la mazza da baseball cala pesantemente sulla testa del mio padre-non morto. Due denti saltano e lo zombie sputacchia, tossisce sangue. Poi torna a sorridere. Dalla botta sulla testa si intravede una ferita che inizia a sanguinare. Un sangue nero e viscido. Sembra che la sua testa sia diventata friabile.
Lo colpisco di nuovo e altro liquido scuro scorre dalla sua bocca. Il suo ghigno diventa malefico e demoniaco. Lo stordisco giusto il tempo necessario per scappare.
Corro nella direzione opposta e provo dalla porta di servizio, in cucina. Chiusa. Ma il vetro è rotto. Infilo un braccio nell'apertura puntuta e schizzata di sangue nero e provo ad aprire dall'esterno. Non posso, non ho il tempo. Mi sta raggiungendo. Provo la finestra accanto al lavello. Bloccata. Ho il timore che siano bloccate anche tutte le altre.
Fuggo di nuovo, mentre il mostro ormai ricoperto di nero liquame avanza imperterrito, ma decisamente rallentato. Un grosso pezzo di vetro mi si conficca nelle carni lisce e delicate della pianta del piede destro.
-Aaaaah!- non ho il tempo di tirarla via. Piango di dolore e paura. Arranco fino alla porta dello scantinato e la aprò. La richiudo alle mie spalle con un tonfo. Due mandate di chiave. Scendo, sanguinante e con i capelli appiccicati al viso dalle lacrime e dal sudore freddo.
Apro la seconda porta in fondo alla scalinata e chiudo a chiave anche questa. Due mandate. Prendo la chiave e me la metto in tasca. Devo escogitare qualcosa.
Mi rifugio nel sottoscala puzzolente di polvere stantia e piena di scarafaggi morti. Li sento sotto i piedi.
Quasi scivolo sulla scia del mio sangue bollente e mi metto seduta, la mazza da baseball ancora stretta tra le dita. Le nocche bianche ed esangui per lo sforzo. Non è niente. Non è niente. E' un incubo.
Adesso ti sveglierai.
Prendo la scheggia di vetro facilmente con la mano e la tiro via in un colpo solo. Il sangue sgorga a fiotti e mi sento debole. Debole per tutto l'accaduto e adesso anche per il sangue che sto perdendo.
Al piano di sopra sento bussare forte alla porta. La notte è scesa da un pezzo. Gli zombie si muovono di giorno? Quelli sono i vampiri, no? Che cadono in un sonno profondo ed esanime, durante le ore diurne.
Attenderò nascosta qui che arrivi mattina, mi porterò dietro il rastrello che c'è accanto alla lavatrice rotta e lo tramortirò con un altro colpo. Poi cercherò di rompere il vetro di una finestra e scapperò via. Si, farò così.
Comincio a contare e batto i piedi a ritmo sul pavimento lurido.
Canticchio una canzone di cui non ricordo nemmeno il titolo.
...with an angel face and a taste for suicidals.
Non so quanto tempo sia passato ma una piccola luce rischiara l'ambiente, entrando dalla finestrella in alto sul muro di fronte.
Mi azzardo a tirare fuori la testa dal sotto scala, smettendo di dondolarmi avanti e indietro. Tendo le orecchie, in attesa di rumori. Regna il silenzio.
Con cautela e con un dolore lancinante che si irradia dalla pianta del piede, mi tiro su.
Apro la prima porta e resto ancora in attesa. Ancora silenzio.
Salgo le scale senza azzardarmi ad accendere la luce, al buio. Il respiro ansante e il dolore non lo sento quasi più. Il piede è gonfio e pulsante.
Rimango con la chiave a mezz'aria. Appoggio l'orecchio sulla superficie fredda della porta e tento di captare qualsiasi suono o rumore. Sempre silenzio.
Sto per aprire la porta e quasi svengo. Ho dimenticato il rastrello.
Scendo di nuovo, appoggiando il peso sulla punta e non sul tallone. Lo agguanto e ritorno di sopra. Con un sospiro e le mani tremanti apro la porta e la spalanco con il piede che non fa male.
Resto qui, sulla soglia. Aspetto. Se dovesse saltarmi addosso sarei pronta.
Non si sente volare una mosca. Il sole irradia i suoi raggi, stiracchiandosi appena desto.
Mi guardo intorno. La casa sembra in ordine. Nessun mobile spostato o buttato giù. Nessun residuo di quel sangue nero e appiccicaticcio. Mi dirigo con cautela in cucina. Il vetro della porta è di nuovo intatto.
Ho immaginato tutto? Provo ad aprire la finestra e si tira su facilmente. Nemmeno la scia di sangue che avevo lasciato dopo essermi ferita è al suo posto, informe e rossa. E' tutto lindo e pulito. Tutto, troppo, al suo posto.
Ma il mio piede sanguina ancora, fa male, brucia. Prova che non è stato tutto un sogno. Ritorno in salotto per ricontrollare meglio.
Niente.
Mi lascio cadere sul divano, scossa dai singhiozzi. Le lacrime sembrano bruciare sul viso e lasciano solchi bollenti sulla pelle. Mollo la mazza da baseball e il rastrello. Mi porto le ginocchia al petto e piango, piango finchè non esaurisco le lacrime.
Mi asciugo con una manica il naso e gli occhi, ormai rossi. Una mano mi scosta i capelli che ricadono disordinatamente sulle spalle. Il respiro roco e fetido nell'incavo del collo. Non ho bisogno di voltarmi, per capire che è la fine. Mi ritrovo faccia a faccia con il mio incubo. Caccio un urlo agghiacciante, prima che il primo morso della mia carne succulenta finisca tra le fauci del mio padre-non morto.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: LucyaCuoreDinchiostro