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Autore: Love_in_London_night    12/07/2014    2 recensioni
L'amore ha più forme, l'amicizia è la più pura tra queste.
A inizio maggio, dopo aver rimandato le tappe in Sud America, Shannon si chiude in una clinica per curare il proprio malessere.
Droga? Alcool? No, disturbi alimentari dovuti a un crollo psicologico, ecco spiegata la magrezza di inizio anno.
Qui ci sarà Reed, ragazza introversa e non incline alla chiacchiere come lui. Riuscirà ad aiutarlo o lascerà Shannon ai suoi demoni?
Che tipo di rapporto si instaurerà tra loro?
SHOT DIVISA IN DUE PARTI PERCHE' MOLTO LUNGA, ho preferito evitarvi una specie di divina commedia.
Dal testo: "«Per te è così?»
«Una cosa per volta, Shannon. Hai tutto il tempo per scoprirlo, non bruciarti subito la tua unica distrazione qui dentro, ora che ne hai una». La bocca sottile dritta, lo sguardo assente e rigido. Sembrava non volesse parlarne, anche se aveva cercato di camuffare la cosa con un velo di mistero e l’alone di rendere la loro permanenza in quel posto un minimo eccitante.
"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parte 2 - The bright side
 

«Shannon…» Reed era stesa sul divanetto nella sala ricreativa, i piedi poggiati sul davanzale della finestra dietro lo schienale, intenta a godere il caldo di quella giornata di giugno. Non era una posa molto elegante, ma se ne fregava finché a prevalere era la comodità.
«Sì?» alzò la testa dal proprio lavoro, stava cercando di assemblare una cornice in legno, con scarsi risultati. Era arrivato da due settimane in quello spazio comune, si sentiva osservato e sotto giudizio, quindi oziare liberamente come Reed l’avrebbe messo solo a disagio.
«Ti manca mai il sesso?»
Shannon si voltò di scatto per fissarla e assicurarsi che fosse seria. Tra sé ringraziò mentalmente il fatto che avesse sussurrato, che fossero lontani dagli altri e che, comunque, fossero troppo indaffarati per prestare loro attenzione. Si aspettava di tutto, ma non una domanda simile.
Reed smise di guardare il paesaggio per incrociare lo sguardo profondo di lui, era una delle caratteristiche che apprezzava di più dell’uomo, nonostante gli occhi fossero chiari qualcosa lo rendeva cupo.
Quando Shannon notò l’assoluta serietà e sincerità sul volto di lei – in attesa di una risposta – rilassò le spalle e si girò sulla sedia, per esserle di fronte.
«Sì, meno del previsto ma sì, è un bisogno che il mio corpo sente. Però penso che per voi donne non sia un concetto facile da capire».
Gli era sempre piaciuto fare sesso, ma nell’ultimo periodo aveva perso la sua connotazione animale e primitiva, era diventato un mero veicolo per tentare di esternare il proprio disagio, un bisogno meccanico e triste più che un atto che coinvolgeva più sensi dando all’esperienza la giusta eccitazione.
«Credimi, non è così difficile dopo l’astinenza forzata di questi mesi. È un bisogno impellente e naturale, no?»
Era strano parlare di sesso con una donna e non farlo, eppure Reed sembrava davvero interessata e coinvolta dal discorso. Disquisiva dell’argomento con una certa naturalezza, come se avesse affrontato più volte quella conversazione, almeno nella sua testa.
«Esatto, però penso che per un uomo sia ancora più amplificato che nella donna». Non aveva molto da aggiungere a riguardo, per lui il sesso si faceva e basta. Non era teoria, ma pratica.
Ci aveva pensato spesso, ma non con quella famelica voglia che lo aveva reso famoso tra i fan, fra dicerie e fantasticherie più che per vere testimonianze, quanto più la mancanza verso la vitalità che lo spingeva a cercarlo.
«Non lo metto in dubbio». Non aggiunse altro, quasi fosse stata convinta anche lei di chiudere lì il discorso.
A Shannon qualcosa non tornava però, ecco perché alla fine esplicò la propria incertezza: «Perché questa domanda?»
Reed sorrise colpevole, Shannon non sapeva dove volesse andare a parare, ma di sicuro aveva capito che c’era sotto qualcosa a quelle domande. Beccata, nonostante le intenzioni non fossero chiare.
«Stavo pensando… Non è che potremmo farlo? Può sembrarti una richiesta stupida, ma ne ho bisogno. Davvero».
Non smise di guardarlo, non era imbarazzata dalla sua richiesta, voleva solo che il batterista esprimesse una qualche emozione più cristallina di quella che gli si poteva leggere in volto.
«Non so».
La proposta lo allettava, ma aveva paura che dietro una simile preghiera ci fosse qualcosa di più. Non era affatto brutta Reed – anche se non rientrava nei suoi canoni – ma non l’aveva mai considerata dal lato fisico. Non provava un’attrazione spasmodica nei suoi confronti, solo dell’affetto. Aveva paura che dietro quella domanda ci fosse molto di più da parte sua.
«Niente coinvolgimenti, solo uno sfogo. Sono seria». Reed non era stupida, sapeva cosa poteva spaventare Shannon. Doveva essere abituato a donne di ben altro livello, sia come aspetto fisico che mentalmente, inoltre non dovevano pregarlo affinché lui si concedesse loro, né dovevano mettersi in ginocchio per chiedere una relazione.
Eppure lei era grande abbastanza da mettere le cose in chiaro. Era un uomo piacente, anche lei aveva due occhi, ma non c’era quella spinta che la portava a desiderarlo sotto un aspetto romantico. C’era alchimia, ma quello che Shannon le stava dando da quando si erano conosciuti sulla panchina era abbastanza. Aveva soltanto bisogno di sfogarsi e lui era l’unica persona amica lì dentro, il solo a cui avrebbe chiesto una cosa simile, perché con gli altri non aveva la stessa confidenza.
«Possiamo provarci». Convenne infine lui. Dopotutto era un uomo, non poteva tirarsi indietro in una simile situazione e non approfittarne.
«Grazie»
«Grazie a te. Ti sei appena offerta come vittima». Le sorrise con un angolo della bocca, divertito per la prima volta dopo mesi. Riusciva a ricordarsi perché lo chiamassero Shanimal.
Si era sentito un po’ più se stesso.
Non ne parlarono più, e nei giorni successivi non approfondirono la questione, tanto che Shannon pensò di essersi sognato tutto, oppure che Reed avesse cambiato idea.
Finché una notte non la scoprì ad aprire la porta della stanza 490, la sua.
«Come hai fatto?» le domandò sorpreso da quella visita notturna, ringraziando Dio per essere ancora sveglio, se no si sarebbe messo a urlare per quell’invasione inaspettata.
«È stata una faticaccia. Ho dovuto eludere la guardia degli infermieri notturni e prendere le scale per arrivare quassù, per fortuna ho la camera vicino alla porta che dà verso le scalinate» rispose sottovoce mentre cercava di fare meno rumore possibile.
«Ma vuoi davvero sapere come sono arrivata fino a qui e perdere del tempo in questo modo o passiamo ai fatti?» sorrise furba e, per la prima volta, lui vide una punta di malizia in quel gesto e nelle sue movenze.
Avere una donna nella propria camera e vicina a un letto iniziava a eccitarlo.
«Chiudi la porta tigre» rise contagiato dal gesto di lei. «E vieni qui, c’è posto anche per te».
Era finalmente felice di avere un letto a una piazza e mezza, la gentile concessione della sua tariffa extralusso.
Reed non se lo fece ripetere due volte e si sdraiò sul letto. Dapprima impacciati, si baciarono con estrema delicatezza, ma a ogni secondo la rabbia che fluiva in loro e li aveva intossicati per troppo tempo veniva rilasciata, contagiando i gesti di entrambi e renderli sempre più febbrili.
Shannon allungò la mano per racimolare uno dei preservativi che Reed era riuscita a rimediare e non persero altro tempo.
Con una foga inaspettata si scoprirono senza inibizioni, assaporando ogni lembo di pelle e godendo la sensazione di un corpo caldo sul proprio, sfogando l’odio, la rabbia e le frustrazioni come mai era successo. Era stato sì un bisogno, ma anche un gesto liberatorio e appagante.
«Porca miseria, ha ragione tuo fratello» esalò lei mettendosi a stendere di fianco a Shannon.
«Perché, cosa ha detto?»
«Ha detto che non se non si è stati con te non si sa cosa è il sesso. Beh, confermo!» lo guardò con tanto d’occhi, divertita e ancora estasiata dall’esperienza appena vissuta.
«Dici che potremmo ripetere l’esperienza?» domandò lei impaziente.
«Piccola maniaca, dammi un po’ di tempo, ho comunque quarantaquattro anni, non ho più i tempi di ripresa di una volta. Poi vedi cosa ti combino» rise a cuor leggero. Era da tempo che non si sentiva così.
«Cosa? Quarantaquattro? O mio Dio». Reed era sorpresa. E sconvolta.
«Perché? Che problema c’è?» non sapeva di dover fornire la carta d’identità prima di fare sesso.
«Io devo compiere i diciassette a ottobre!» disse con voce strozzata.
«COSA?» alzò il tono, ormai preoccupato di essersi cacciato in casini più grandi di lui.
La sentì ridere di gusto prima di vederle le lacrime abbandonare gli occhi, si stava tenendo la pancia e faceva uno sforzo immane per non riempire la stanza con le sue risa.
«Scherzavo, ne ho venticinque, ma avresti dovuto vedere la tua faccia!»
«Vediamo se riderai ancora quando mi sarò ripreso. Ti pentirai di non poter urlare».
E aveva mantenuto fede alla sua minaccia. Era stato meno irruento, del sesso fatto per trarne godimento e riceverlo, uno scambio equo, non l’atto egoista in cui entrambi si erano nascosti per anni.
Carezze sicure ma gentili, piccole attenzioni che amplificavano il piacere di entrambi.
«Ora vado a dormire. Grazie, davvero». Gli baciò una tempia dopo aver indossato i vestiti. Gli era davvero grata, non solo era riuscita a sfogarsi e a godersi l’esperienza, ma non si era sentita rifiutata, cosa che da quando era ingrassata era successa spesso, tanto da spingerla a rinunciare ad avere momenti intimi per non sentirsi peggio di come già stava in realtà.
Aveva fatto tanto per lei, molto di più di quanto Shannon sospettasse.
«’Notte piccola maniaca, grazie a te» disse mettendosi comodo nel proprio letto.
«’Notte grande depravato»
«A domani».
La promessa che il giorno dopo nulla tra loro sarebbe cambiato, ma solo migliorato.
 
«Però, che sorriso». La salutò Shannon, più propenso all’ironia del solito. «Se l’avessi saputo prima l’avrei proposto io ancora tempo fa»
«Senti, non prenderti tutti i meriti solo perché sai fare magie con la tua bacchetta» replicò sarcastica lei. «Anche perché l’idea è stata mia»
«Ecco la solita acida, mi stavo preoccupando»
«Ho parlato di magie difatti, non di miracoli». Gli diede una spallata con fare amichevole mentre entravano nella sala ricreativa, una stanza comune dove si riunivano spesso per occupare il tempo con attività ludiche.
Si sedettero al solito tavolo e, per la prima volta, Reed lo vide battere entrambi gli indici sul tavolo con fare frenetico mentre era assorto nei propri pensieri, cosa che la fece sorridere tra sé. Non conosceva Shannon, ma era sulla buona strada per tornare se stesso.
«Sai perché stai male?» una domanda piombata tra loro come un fulmine a ciel sereno.
Shannon rispose dopo un po’, ritrovando il disagio di sempre. «No, non ho capito il reale motivo del mio problema, è questo il vero ostacolo»
«Proviamo così» esordì lei nell’alzarsi per recuperare il materiale adatto al suo scopo. «Ormai siamo in confidenza, ti rivelo il mio segreto».
Reed scosse il polso e mostrò i vari braccialetti che portava.
Erano arrivati ad avere un’amicizia, ecco perché si sentiva in grado di svelargli i propri trucchi, ma non l’avrebbe ammesso ad alta voce, aveva paura di perdere ciò che avevano creato, di veder distrutte le proprie aspettative a contatto con la realtà dei fatti, dove lei non contava nulla per lui, se non come passatempo in quel posto dimenticato dal mondo.
«Braccialetti in cotone?»
«Braccialetti dell’amicizia, ma non solo… anche scooby doo, però vorrei partire dai braccialetti. Sembrerà stupido, ma mi hanno aiutato tanto. Non è solo la soddisfazione di vedere il lavoro finito, è una questione di nervosismo. Ogni intreccio mi dà la soddisfazione di poter chiudere qualcosa, di avere il controllo su tutto. Per me è stato terapeutico».
Shannon non era convinto di quel metodo, eppure era curioso: le fan gliene avevano regalati tanti, e lui si era sempre chiesto come si realizzassero.
Nei giorni seguenti Reed si era rivelata un’insegnante esigente, severa ma paziente, e aveva mostrato a Shannon come si intrecciavano i braccialetti con il disegno a forma di V e vari tipi di scooby doo. La ragazza aveva rivelato che in periodi particolarmente stressanti si era fatta venire i calli alle mani a furia di annodare e tirare nastri, e lui ne rimase colpito, sapeva cosa voleva dire portare sui palmi i segni della propria passione.
Dato che la confessione aveva attirato l’attenzione di Shannon, Reed ne aveva approfittato.
Gli aveva così imposto di seguire le sue indicazioni: «Facciamo così: ogni nodo una confessione. Non pensarci molto, di’ la prima cosa che ti passa per la mente».
Lui la guardò male. Già si sentiva a disagio con dei fili in mano, lo trovava un hobby prettamente femminile e frivolo, ma collegare a tutto ciò un qualcosa di terapeutico e catartico gli sembrava pura follia. Eppure Reed aveva uno sguardo deciso, troppo perché potesse convincerla a desistere.
«Avrai delle teorie riguardo il tuo malessere…»
«Non ho più stimoli».
Nodo.
Una strana sensazione allo stomaco. Una morsa stretta e un peso che si levava da esso. Era come se emozione e consapevolezza si scontrassero nella battaglia finale per lasciare posto infine alla pace.
«La musica non mi dà più stimoli».
Si corresse per poi intrecciare ancora i fili.
Era come se si fosse rotto l’argine dietro cui aveva imprigionato la propria coscienza, seppellito se stesso.
«Sono perso».
Un nodo e la sensazione di tornare a respirare dopo una lunga apnea. Qualcosa dentro di lui stava uscendo dal torpore in cui era rinchiuso, ma  Shannon era sempre più sconvolto, troppo per capire cosa stesse succedendo.
«Sono arrabbiato».
Nodo.
I giorni passavano e Shannon sentiva sempre di più il bisogno di continuare il lavoro su quei braccialetti – era giunto al terzo – che ormai erano diventati il suo sfogo necessario. Nodi così tirati e precisi che gli causarono piccoli calli alle mani come aveva preannunciato Reed, ma a lui fece piacere, perché gli ricordavano Christine.
«È come se fossi arrivato alla meta che mi ero prefissato anni fa e ora non sapessi più cosa inseguire»
Confessione. Nodo.
«Perché la musica non è più fondamentale?»
Reed era diventata colei che, nei momenti di difficoltà, gli poneva domande incalzanti affinché qualcosa in lui si smuovesse quando sembrava confuso e impaurito dalle sue stesse parole, travolto dalla forza delle verità che esse trasudavano e da cui era sempre fuggito.
«Non è più uno sfogo, quanto più un’imposizione».
E vedeva il semplice disegno iniziare formarsi nella trama, quasi riuscisse a dare un ordine pure al caos dentro di sé.
«Perché?»
«Perché è la musica di Jared, con i suoi instancabili ritmi».
Nodo. Questa volta anche alla gola.
«Ma il gruppo non è di entrambi?» Reed era conscia di essere in procinto di  toccare un punto dolente, ma Shannon si stava svegliando, lo vedeva cambiare di giorno in giorno. Da quando gli aveva svelato il trucco dei braccialetti era febbrile, attento, senza la solita apatia. Più ricettivo e partecipe. Lo era in minima parte certo, la strada era ancora lunga, ma lei aveva imparato a conoscerlo in modo diverso, e riusciva a percepire il leggero ma costante cambiamento.
«Sì, ma non voglio deluderlo».
Nodo.
«E non pensi che lo deluderebbe di più sapere di essere la causa del malessere del fratello?»
Silenzio, i fili abbandonati sul piano di lavoro. Uno sviluppo di quella questione che non aveva considerato. Come era finito a mettersi a tacere, in disparte, per diventare l’ombra di se stesso e farsi del male in modo deliberato? Perché non aveva parlato con Jared, dato che lo ascoltava sempre?
Pensava che ostentare il proprio silenzio ferito fosse sufficiente, ma il fratello minore non aveva capito il motivo di quell’offesa, e aveva cercato di risollevargli l’umore con la musica, aggravando solo la situazione.
Un’analisi graduale la loro, ma accurata e micidiale. Più la partenza di lei si avvicinava, più le considerazioni del batterista assumevano significato.
«Cosa vuoi Shannon?» la solita Reed, diretta e dolorosa come solo lei sapeva essere.
«Vorrei ritrovare gioia nel suonare, musica come quella dei primi album ma tempi meno frenetici. Vorrei meno pressioni esterne e meno compromessi per sentirmi più libero di essere me stesso. Smettere di avere sempre i riflettori puntati addosso e di fare cose che non mi vanno»
Sette nodi di fila, uno per ogni considerazione, un disegno che si stava delineando.
Il perdere se stesso con gradualità, sapere che tutto il suo lavoro era andato perso ma le speranze erano rimaste, il dover ripartire da esse. Era come scoprire che la guerra interiore non era finita, tutt’altro, ma essere conscio che c’erano delle armi con cui combatterla ed esserne entrato in possesso.
«È tuo fratello e il tuo migliore amico, dovresti dirglielo. Capirà e sarà felice di riavere con sé la stessa persona di sempre, quella più vera che lui conosce e ama».
Amare non era annullarsi per l’altra persona, anche se era suo fratello, la sua famiglia. Amare era condividere con Jared e comunicare, ecco perché si era dedicato alla musica, perché era il suo veicolo, solo che poi aveva dimenticato come si faceva.
Sentiva gli occhi pizzicare, ma non poteva concedersi di piangere, non se lo sarebbe permesso. Non davanti ad altra gente. Eppure era emozionato, era riuscito a sfiorare quella parte di sé che pensava di aver perso, dimenticato.
«Perché questa cosa?» e indicò i braccialetti, sia quello in fase di costruzione che quelli al polso, cercando di ignorare il bruciore alla gola e il pizzicore agli occhi.
«Perché ogni intreccio assumerà un valore, ti ricorderà una parte negativa di te di cui ti sei almeno in parte liberato e che hai relegato in quel braccialetto, lo stesso braccialetto che ti mostrerà il percorso fatto, composto da ogni nodo, e ti rammenterà che tu sei più forte di tutto questo. Forse che sei in grado di metterlo da parte e andare oltre, costruire un altro percorso».
Aveva capito perché Reed si era impegnata tanto affinché lui apprendesse tutti i metodi che lei aveva imparato ai campi estivi, comprendeva anche il perché avesse un viso più disteso e luminoso, il peso perso nelle ultime settimane e la calma di chi era cosciente di aver vinto la propria battaglia. Reed era pronta per tornare nel mondo, aveva la consapevolezza che prima o poi ce l’avrebbe fatta anche fuori di lì. Aveva trovato un modo di veicolare la rabbia e il disagio e si era premurata di condividerlo con lui, fornendogli l’arma più affilata per quella guerra contro demoni invisibili.
Era come essere lasciati andare di colpo dopo essere stati costretti contro la propria volontà e iniziare a correre al posto di camminare, con la necessità di urlare quanto il silenzio potesse uccidere. Non sarebbe stato zitto, non più.
Una battaglia che avrebbe dovuto affrontare da solo, ma che avrebbe potuto vincere, per quanto la cosa lo spaventasse. Ma Reed era lì proprio per ricordargli quanto tutto quello fosse possibile, specialmente in quel momento, con la tenacia che era rispuntata con la sua tenue fiamma pronta per diventare un incendio.
«Grazie» le disse commosso, tornando a lavorare sui nodi.
Reed, al posto di rispondergli, decise di baciargli una tempia.
Capì che avrebbe sempre avuto un’amica al suo fianco.
 
L’ultima lezione insieme di educazione alimentare.
Entrambi più distesi e pronti a collaborare per creare un piatto ricco di sapori senza eccedere con le calorie.
Reed era rientrata nel peso prestabilito per lei dai medici, mentre Shannon, a poche settimane dalla fine della sua clausura, stava riprendendo massa e un colorito più sano.
«Riso integrale al curry?» propose Shannon indicando le verdure fresche.
«Accompagnato da del pollo al latte di cocco e dell’ananas, cosa ne dici?» rilanciò Reed con disinvoltura.
«Perfetto».
Si divisero i compiti per poi mettersi all’opera.
Shannon mise l’acqua a bollire e, per velocizzare l’operazione, coprì la pentola con un coperchio e iniziò a batterci sopra con delicatezza usando un cucchiaio di legno e una frustra.
«Lo sai che non è necessario vero? Abbiamo tempo» lo fissò lei con un sopracciglio alzato. «Inoltre fa rumore».
Glielo fece notare con tutta la grazia che aveva in corpo, non voleva urtarlo.
Shannon sorrise furbo, aumentando i colpi sui vari oggetti che gli capitavano a tiro. «Lo so».
Reed scosse la testa mentre tornò a tagliare il pollo, un sorriso soddisfatto sul volto quasi ad augurargli un silente bentornato.
Cucinarono con un sottofondo armonioso creato dai movimenti di Shannon, più fluidi e ritmici rispetto alle altre volte. Era come vederlo dietro la batteria e ascoltare il ritmo che dava alle canzoni.
Pranzarono con le rispettive pietanze.
«Buono, ma io non ce la faccio più» annunciò Reed sazia con nel piatto parte del pranzo.
«Posso prenderlo io?» domandò Shannon dopo aver lucidato il proprio piatto per la prima volta dopo mesi, senza essersene nemmeno reso conto.
«Prego» e lei glielo allungò con un sorriso compiaciuto.
Reed era soddisfatta, curando se stessa in qualche modo aveva guarito anche Shannon, almeno un po’. Le piaceva credere che si fossero aiutati a vicenda, perché lui le aveva insegnato molte più cose di quanto lei desse a vedere.
 
«Abbracciami piccola maniaca». La accolse tra le braccia muscolose e la strinse a sé.
Reed era pronta con la propria valigia ad abbandonare la clinica, e si lasciò cullare dal torpore di lui.
«Mi mancherai depravato». Era contenta di essersi avvicinata a Shannon e averlo scoperto pian piano. Nonostante fosse un bellissimo uomo, ancora più bello da quando aveva iniziato a recuperare la sua forma fisica e mentale, per lei era diventato un carissimo amico. La persona a cui si era mostrata per quello che era, debolezze e difetti su tutto, senza che la allontanasse mai.
«Anche tu» le sussurrò. «Come farò qui dentro senza di te? Mi annoierò a morte».
Reed rise. «Braccialetti e Scooby doo, almeno avrai regali per tutti quando tornerai a casa. Stringi i denti, non manca molto neppure a te».
Shannon annuì nel tentativo di ricacciare la tristezza del momento in un angolo.
«Quando esci ci sentiamo, così vediamo se anche fuori di qui riusciamo a essere amici o se invece era solo tutta la depressione che aleggiava in questo posto a renderci così affini per questo periodo». Gli accarezzò una guancia cercando di infondergli un po’ di tenerezza.
Sapevano di essere anime affini e che il loro trovarsi ed esternarsi dal gruppo più grande degli altri pazienti era stata la loro personale selezione naturale, però erano convinti che sarebbe stato diverso e divertente scoprirsi all’infuori della clinica, liberi di poter agire come meglio credevano, nella speranza di non essere condizionati dal loro passato, non più.
«Ok, va bene. Voglio proprio vedere se sei acida anche al di fuori di queste mura o se era la cattività a renderti così perfida». La prese in giro liberandola dall’abbraccio.
«Non contarci troppo, non vorrei rimanessi deluso». Stette al gioco con il sorriso, nonostante una lacrima sfuggì dal suo occhio.
Si sentì chiamare in lontananza, oltre le porte della reception.
«È ora che vada» annunciò mesta.
«Non ti tratterei per nulla al mondo ancora qui dentro». Piccola bugia, perché l’avrebbe voluta con sé ancora per le settimane che gli rimanevano da passare lì.
«Ciao»
«Ciao». Le diede un bacio sulla tempia, come era solita fare lei.
Gli lasciò un’ultima carezza e si allontanò con il proprio trolley.
Fu solo a metà tragitto che si girò per guardarlo un’ultima volta. «Stammi bene Shannon, abbi cura di te. So che ce la farai perché sei forte. Non ti abbandono anche se me ne vado»
Lui piegò la testa con fare riconoscente, un sorriso grato sulla bocca.
Le parole erano inutili, anche perché il nodo alla gola gli avrebbe impedito di emettere qualsiasi suono.
 
 
Tornò in camera a fine giornata dopo aver letto e sistemato un po’ di lavori lasciati in sospeso. Era triste per aver perso l’unica amica che avesse trovato negli ultimi anni. Una persona disinteressata ai ruoli che lui ricopriva, ma che aveva voluto bene a lui in quanto Shannon, un uomo in piena difficoltà.
Non l’avrebbe mai dimenticata, perché per lui aveva fatto tanto.
Si chiuse la porta alle spalle e sorrise nel vedere il letto, una mossa degna di Reed.
Una piccola busta rigonfia.
Aprì il foglio e lesse il messaggio.
 
Lo so, non te lo saresti aspettato vero? Il problema è che non ho avuto il coraggio di dirti certe cose, e ci tengo che tu le sappia.
Non so perché quel giorno mi sono avvicinata a te, anche se ho lottato contro il mio orgoglio per farlo, e non me ne sono mai pentita. Forse ho conosciuto una persona più simile a me di quanto sembrasse, ma posso ritenermi fortunata per aver avuto l’opportunità di comprendere ogni tuo lato e vederlo cambiare in meglio di giorno in giorno, nonostante le difficoltà e quella morsa di cui eravamo vittime.
E non mi riferisco al personaggio famoso, nemmeno al batterista dei Thirty Seconds To Mars, né al fratello di Jared Leto. Io parlo di Shannon, un uomo come tanti. Un amico speciale.
Puoi pensare che sia stupido tutto questo, ma per me sei diventata una persona importante a cui voglio bene. Una figura che mi ha aiutato e risollevato nel mio periodo più difficile.
Ma penso sia questo il ruolo dell’amicizia, aiutarsi senza pretendere niente in cambio, eppure con te non è stato così, perché mi hai fatto sentire capita, amata nonostante i miei difetti, e te ne sarò sempre grata.
Ti voglio bene Shannon, potrà sembrarti un’idiozia ma per me sei stato importante e lo sarai sempre, per come sei e per come sarai.
Una persona può pensare che io possa vivere con tristezza e magari paura i ricordi nella clinica, ma per me non sarà mai così, perché il tuo ricordo sarà indelebile, il modo in cui sei riuscito a risollevare le mie giornate non potrà essere mai negativo per me, tutt’altro.
L’amicizia è questo, ed è per lo stesso motivo che mi sento di poterti chiamare amico.
Ho pensato di smetterla di parlare a caso e di lasciarti un piccolo segno di ciò che sei per me, un nodo per ogni volta in cui avrei voluto dirti grazie, o un bel ricordo che conserverò di te per sempre.
Ti voglio bene amico mio,
Reed
 
Quella piccola stronza era riuscita a farlo cedere alle lacrime, e pure dopo la sua partenza. Anche lui le voleva bene, non si sarebbe aspettato di trovare un’amica come lei in un posto simile, nel dolore in cui era annegato.
Si tolse gli altri braccialetti e si mise quello dell’amicizia fatto da Reed con i colori preferiti di lui.
Si stese sul letto e fissò il soffitto con un accenno di sorriso dipinto sulle labbra.
Stava vincendo la guerra, e aveva capito di non essere solo in quella come nella vita.
Non lo sarebbe stato più, con sé aveva una nuova amica pronta a sostenerlo sempre, lei che era diventata parte della sua forza.
Si fissò il polso e chiuse gli occhi.
Riscoprire di nuovo l’amore nella sua forma più pura – l’amicizia – l’aveva fatto sentire più vicino a se stesso.
Forse solo non lo era stato mai, se non per sua scelta.
Sarebbe tornato come prima, ora ne aveva la prova e l’avrebbe portata per sempre con sé.


 

 

Eccomi! Alla fine sono riuscita a postare stasera.
Spero che questa seconda parte possa piacervi più della prima, o almeno darle un senso.
Ho voluto inserire questa storia dei braccialetti come veicolo per farlo sfogare, cosa che non riusciva a fare con la musica.
Cosa sarà di loro una volta fuori dalla clinica non lo so, ma se voi avete teorie a riguardo sarei molto curiosa di sentirle!
La fine non mi convince molto, avevo in mente altri punti da toccare nella lettera, ma me li sono scordati e con i giorni non li ho ritrovati, quindi è rimasta così. Alla fine era questo il concetto che volevo esprimere, quindi non sono andata affatto lontana dalla mia idea, anzi.
Inutile dire che il piatto che cucinano è inventato di sana pianta e non mi sembra poi così leggero, vero?
Mi auguro che vi sia piaciuta davvero, almeno un po'!
La canzone che secondo me più rappresenta Shannon in questa storia e che mi ha dato un sacco di stimoli è: Shattered dei Trading Yesterday.
So che il banner non è il massimo ma... GIU' LE ZAMPE CHE L'HO FATTO INTERAMENTE IO. Se lo trovo in giro nel web per non so quale motivo vi spezzo falangi, falangine e falangette, siete avvisate.
Vi saluto e vi ringrazio per leggere sempre le mie storie nonostante non siano proprio facili da digerire, siete carinissime *__*
Ci si vede qui in giro, sbaciucchiamenti Marsosi, Cris.
   
 
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