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Autore: Rinalamisteriosa    13/07/2014    1 recensioni
[La famiglia italiana]
- Minilong AU | Presenza di Fem!Nord Italia | Accennini SeboMona -
“Davvero? Possiamo sapere come mai?” domandò perplessa Flavia, guardandola confusa.
Romano invece sgranò gli occhi, certo di aver capito male. Niente lavoro per lui… Possibile?
Assunta annuì. “Avrete tutta la mattina per prepararvi: alle undici in punto dovrete essere all'aeroporto di Roma Ciampino. Mentre dormivate, ha telefonato Giulio e ha chiesto espressamente che andiate ad accogliere vostro cugino Diego. È tutto chiaro?” s’interruppe, per accertarsi che la notizia fosse stata recepita a dovere dai figli.
Assistette a due reazioni completamente opposte.

(...)
“Non potrei desiderare di meglio. In famiglia siamo delle brave persone e ci vogliamo tanto bene!”.
“Tu la metti sempre su un piano troppo sdolcinato per i miei gusti”

**Dedicata a SunliteGirl**
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Antica Roma, Nord Italia/Feliciano Vargas, Principato di Seborga, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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Disclaimer: A parte uno, i personaggi citati non mi appartengono (ci ho semplicemente fantasticato sopra) e non ho scritto a scopo di lucro.

 

Ogni riferimento a persone o a luoghi reali è stato puramente casuale. Ho consultato internet per la maggior parte delle informazioni riportate e per le due-tre vie di Roma indicate.

Ogni riferimento all'anime è stato messo apposta per essere colto xD le parentele sono state un po’ cambiate, è vero, ma in sostanza mi è stato detto che i legami sono IC, quindi sto tranquilla ^^

 

Ed ecco l'epilogo che chiude “La patria del cuore” e che oggi dedico sempre a SunliteGirl per il suo compleanno ** ancora tanti auguri, darling! **

Grazie mille e alla prossima! ^__^ *corre a vedere la partita in tv*

 

 

 

 

 

 

 

 

Per fortuna, Giulio Cesare Vargas aveva avuto la decenza di portarsi un cambio d’abito. Lo stesso Romano si era offerto non proprio gentilmente di scortarlo dentro un negozio di abbigliamento – uno a caso, non quello dove lavorava lui – provvisto di camerini, di aiutarlo a cambiarsi, a spogliarsi di quelle vesti ormai trapassate e al massimo utilizzate come costumi di scena in un film d’epoca romana.

Davvero, le sue idee stravaganti non le condivideva e Flavia sbagliava ogni volta ad assecondarle, a essere così accondiscendente con lui.

 

 

 

Rincasarono verso le otto di sera e la madre, aprendo la porta d’ingresso, subito aveva accolto Diego con un bacio sulla guancia e con un sorriso genuino, invitandoli a entrare tutti in cucina, anche Caroline era la benvenuta in casa loro.

Sebbene avesse lavorato ininterrottamente per quasi tutto il giorno, non recava segni apparenti di stanchezza.

Romano pensò bene di svicolare convenevoli inutili e discorsi privi di attrattiva attorno al tavolo sgombro, di lasciare gli ospiti alle cure e alle attenzioni della volenterosa Assunta trascinando letteralmente la sorellina, con la scusa di aiutarla a finire i compiti per il giorno successivo, al piano superiore.

“Io veramente ho studiato ieri…” chiarì con perplessità Flavia, una volta che furono da soli in corridoio.

“Non ci arrivi? Non è per i compiti, stupida!” l’ammonì il fratello alzando gli occhi al soffitto.  “Dobbiamo scoprire chi ha osato scriverti oppure no?!” insisté aprendo in quel momento la porta della sua camera, brillante di ordine e pulito. Non c’era una sola cosa fuori posto, sua madre aveva superato se stessa, pensò in un attimo. Fu appunto un solo istante, dato che scosse la testa e tornò a concentrarsi sulla questione più importante.

“Avanti. Tirale fuori”, le ordinò senza tanti complimenti, slacciandosi i primi bottoni della camicia bianca giusto per mettersi a suo agio in camera propria.

“Veh, hai ragione! Non sei l’unico curioso, non preoccuparti, le lettere sono qui…” disse lei, riprendendo in mano le due buste di diverso colore, lanciando sul letto la borsa che l’aveva accompagnata per tutto il giorno e raggiungendola poco dopo, non prima di aver consegnato quella azzurra a Romano, che si era lasciato cadere sulla sedia di vimini.

Non avrebbe perso tempo a scollarla normalmente con le unghie, perciò prese un paio di forbici dal cassetto della scrivania, ne tagliò il bordo e la agitò sul palmo della mano finché non ne uscì un foglio bianco ripiegato con cura.

“Sia chiaro che non lo faccio per gelosia. È il mio dovere di fratello maggiore che mi spinge a indagare…” esordì serio, prima di aprire il foglio e riferirle ciò che vedeva, inquadrando dapprima il nome del mittente.

“Si tratta di un certo Ludwig, ti dice niente?” si interessò, più per la reazione della sorella che per reale interesse: si aspettava che non ne avesse alcuna, che quel nome la lasciasse confusa o indifferente, invece Flavia sussultò.

“Certo… L’ho conosciuto tanto tempo fa, proprio come ha detto lo zio, però non è stato qui!” rivelò assumendo un’aria assorta. “Ricordi quando mi portò a Venezia la prima volta? Avevo sette o forse otto anni; è tutto molto vago in realtà, ma mi è rimasto impresso questo timidissimo e rispettoso bambino con cui ho cercato di stringere amicizia”.

A questo punto lei rise, rise anche se si sentiva una sciocca per non aver capito prima l’allusione del suo caro zio.

“Sei sempre la solita…” sbuffò lui. “Avresti preferito essere lì per arrivarci, vero? Ora capisco perché ci ha fatti fermare proprio a Piazza Venezia…” aggiunse pensieroso.

“E già. Io non sono intuitiva come te, fratellone. Effettivamente avevo pensato alla città, ma non a Ludwig. Anzi, è strano sai? È strano perché sono certa che lui e lo zio si conoscevano anche allora…” svelò un altro particolare che lo lasciò sconcertato.

“Che cosa?!”.

“Sì. È il figlio minore del migliore amico di zio Giulio, hai presente? Mi riferisco a quel professore di storia e filosofia che vive in Germania da sempre. Ora mi sfugge il cognome, ma mi ha parlato spesso di loro nelle sue lettere passate… Aspetta, fratellone, non interrompermi!” lo bloccò, poiché l’aveva intravisto aprire bocca per ribattere. “Una volta mi ha confidato che Ludwig non aveva il coraggio di scrivermi di suo pugno. Sono davvero contenta che finalmente si sia deciso. Puoi leggermi la lettera, per favore?” lo pregò.

“Me lo sentivo che c’era qualcosa sotto… Comunque non posso, dannazione!” borbottò puntando uno sguardo fisso e contrariato al testo. “Non ho mai studiato la lingua dei crucchi. Non ci capisco un accidente!” protestò ancora. “Quel folle di tuo zio ci ha imbrogliato, appena scendiamo di sotto mi sente. Eccome se mi sente!”.

Flavia si accorse che per la foga stava accartocciando la suddetta lettera e pensò bene di salvarla.

Batté più volte il palmo sopra il materasso comodo, facendo cenno al fratello di sedersi accanto a lei con un sorriso conciliante e per nulla dispiaciuto o turbato.

“Non c’è problema, fratellone. La tradurrò io per entrambi!” decise.

 

 

 

“Dunque… È datata quattro settembre, di quest’anno ovviamente. All’inizio si presenta, poi dice che sta facendo la leva militare obbligatoria, che ha ricevuto qualche giorno di congedo per tornare a casa e che è stato allora che ha rivisto nostro zio…” gli riferì con molta pazienza mentre leggeva, dando una sua traduzione personale anche se non era mai stata esperta in tedesco. Le parole difficili infatti le aveva saltate con blando rammarico.

“Aggiunge di aver appreso così del buon proposito di farmi una sorpresa, che soltanto lui poteva rendere possibile. Poi…” si interruppe un momento per concentrarsi, portando un dito sul mento.

“Ah, è molto carino in questo punto: scrive che si sentiva in imbarazzo, perché c’era lo zio che non lo perdeva di vista mentre pensava a cosa riportare nella lettera. Io ammiro e rispetto la sua persona, credimi, ma qualche volta è… Forse vuole dire che è intollerabile, però non ne sono sicura. E infine mi invita, se vorrò e quando sarà possibile, a visitare… Oooh!” trasecolò.

Sua sorella si era meravigliata a tal punto da stringergli forte il braccio e lui giustamente si insospettì.

“Sei invitata dove?” incalzò.

“A-all’Accademia delle belle arti di Monaco di Baviera! Se vorrò, nel mese di dicembre lui avrà un altro congedo e potrà accompagnarmi personalmente a vederla. Penso che sia un’idea fantastica, lo ringrazierò al più presto! Alla fine mi ha lasciato due indirizzi, quello di casa sua e questo suppongo che sia del luogo in cui presta servizio militare. Vedi?” gioì indicandoglieli entrambi.

“Ma sei ammattita di colpo?! Tu non ci andrai, non mi fido. Anche in Italia abbiamo università prestigiose che puoi frequentare dopo il diploma, perché dovresti spostarti proprio lì? No, non se ne parla, è troppo distante!” si oppose fermamente.

“Fratellone, si tratta di una breve visita. Non mi sta obbligando nessuno. Un giorno deciderò e non è detto che-”.

“Non m’interessa, tu così lontana non ci vai!” continuò categorico alzando la voce. “E adesso vediamo cosa scrive quell’altro, prima che mamma ci senta discutere e salga a controllare”.

“Stai discutendo tu, fratellone…” mormorò mettendo su un broncio adorabile.

“Taci e apri l’altra busta, diamine!”.

 

 

 

Si era infastidito non poco.

Gli aveva dato veramente fastidio che uno sconosciuto avesse portato la felicità in quegli occhi familiari che raramente le aveva veduto così spalancati e così accesi di emozione.

Certo, Flavia era spesso contenta persino per delle sciocchezze che per lui non avevano senso, ma in questo modo particolare no. La sua voce dolce e ingenua, però, spostò i suoi pensieri in un’altra direzione.

“La lettera del tuo amico è datata otto settembre. Questa è breve e si capisce, fratellone, vuoi leggerla?” domandò. Effettivamente era scritta su un foglio di quaderno e non era molto lunga.

“Non è mio amico. Si vede come lo zio non tiene a me, altrimenti non pensi che avrebbe chiesto a una bella ragazza di scrivermi?” replicò scocciato, facendosela passare per poi stendersi con la testa appoggiata sulle gambe della sorella. Tanto lui non aveva nulla da nasconderle, ormai gli incontri passati erano venuti a galla.

“Suvvia, fratellone. Cosa dice?” lo esortò tranquilla, le dita tra i suoi corti capelli scuri.

“Mi saluta e mi chiama Romanito. Poteva risparmiarselo. Chiede se mi ricordo di lui e immagina che adesso sarò cresciuto; lui ha venticinque anni e sembra un imbecille, sarà perché si sta sforzando di scrivere in italiano? Poi dice… Che cosa?!” sbottò incredulo, mettendosi a sedere di scatto. Il suo atteggiamento era mutato e in pochi secondi era passato da svogliato ad agitato.

“Non può essere, dannazione! Non ne ho alcuna voglia!” esclamò dopo essersi alzato in piedi. Flavia si sporse abbastanza per riprendere in mano la lettera di Antonio e lesse chiaramente la frase per lui scioccante e il resto: “Fra un mese accompagnerò la mia bisnonna a Roma. Ha espresso il desiderio di trascorrere gli ultimi anni della sua vida in Italia. Ella la adora mucho. Ci incontreremo nella Piazza oppure verrò a farti visita. Tuo zio è stato così gentile a offrirsi di aiutarci a trovare un appartamento conveniente, non lo ringrazieremo mai abbastanza! Spero di conoscere la tua sorellina, lui è davvero orgoglioso. Fratellone, sarò lieta di incontrarlo, mi sembra un tipo simpatico!” affermò con candore. Era il ritratto vivente del buonumore, al contrario dell’altro che dopo una breve agitazione si era incupito. Nemmeno fissare la parete laterale con i poster delle squadre di calcio preferite, la Roma e il Napoli, riuscì a tirarlo su.

Che razza di giornata era stata, piena di sorprese sgradite e colpi di scena imprevisti.

“Invece né tu né io ci faremo trovare tra una settimana. E non accetto obiezioni!” stabilì cocciuto come un mulo. Poi le mostrò un ghigno poco rassicurante, segno che aveva già in mente un piano.

“Fratellone, che intendi?” si preoccupò.

“Intendo che proprio quel giorno saremo impegnati”.

“In che senso impegnati?” si informò Diego, la cui testa aveva fatto capolino dalla porta socchiusa, interrompendoli.

“Non lo so cugino, non lo capisco. La mamma ha preparato da mangiare per caso?” cambiò discorso lei, di nuovo sollevata. Lui aprì la porta e lo videro con una valigia in mano.

“Sì, c’è anche una teglia di pizza in forno ed è quasi pronta. Forza, scendiamo: mio padre e Caroline ci mostreranno velocemente un gioco con le vostre carte”, li invitò riponendola accanto all’armadio. Romano assottigliò lo sguardo.

“Perché la stai lasciando nella mia stanza?” chiese allora.

“Perché la zia Assunta ha detto che dormirò qui. Si tratta di una sistemazione momentanea: se ci sono lamentele in merito lei è sotto, vi attende per parlarne”, chiarì senza scomporsi.

“Ah, bene, ora mi sentono!” sbottò Romano uscendo di corsa, come era prevedibile.

“Mi dà l’impressione di essere più intrattabile di prima…” osservò stupito Diego. “Per caso la sua ragazza lo ha scaricato?”.

“No, no. Temo che abbia intenzione di scaricare il suo amico…” rispose Flavia facendo spallucce, per poi aggiungere che più tardi gli avrebbe raccontato tutta la storia delle lettere e che potevano scendere dagli altri.

La loro riunione di famiglia doveva continuare e certamente il suo fratellone non l’avrebbe rovinata per qualche rimostranza in più.

Non se c’era la pizza, che fatta in casa era la più buona del mondo.

 

 

 

  
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