Disclaimer: A parte uno, i personaggi citati non
mi appartengono (ci ho semplicemente
fantasticato sopra) e non ho scritto a scopo di lucro.
Ogni riferimento a persone o a luoghi
reali è stato puramente casuale. Ho consultato internet per la maggior parte delle
informazioni riportate e per le due-tre
vie di Roma indicate.
Ogni riferimento all'anime è stato
messo apposta per essere colto xD le parentele sono state un po’ cambiate, è
vero, ma in sostanza mi è stato detto che i legami sono IC, quindi sto
tranquilla ^^
Ed ecco l'epilogo che chiude “La
patria del cuore” e che oggi dedico sempre a SunliteGirl per il suo compleanno **
ancora tanti auguri, darling! **
Grazie mille e alla prossima! ^__^
*corre a vedere la partita in tv*
Per
fortuna, Giulio Cesare Vargas aveva avuto la decenza di portarsi un cambio
d’abito. Lo stesso Romano si era offerto non proprio gentilmente di scortarlo
dentro un negozio di abbigliamento – uno a caso, non quello dove lavorava lui –
provvisto di camerini, di aiutarlo a cambiarsi, a spogliarsi di quelle vesti
ormai trapassate e al massimo utilizzate come costumi di scena in un film
d’epoca romana.
Davvero,
le sue idee stravaganti non le condivideva e Flavia sbagliava ogni volta ad
assecondarle, a essere così accondiscendente con lui.
Rincasarono
verso le otto di sera e la madre, aprendo la porta d’ingresso, subito aveva
accolto Diego con un bacio sulla guancia e con un sorriso genuino, invitandoli a
entrare tutti in cucina, anche Caroline era la benvenuta in casa
loro.
Sebbene
avesse lavorato ininterrottamente per quasi tutto il giorno, non recava segni
apparenti di stanchezza.
Romano
pensò bene di svicolare convenevoli inutili e discorsi privi di attrattiva
attorno al tavolo sgombro, di lasciare gli ospiti alle cure e alle attenzioni
della volenterosa Assunta trascinando letteralmente la sorellina, con la scusa
di aiutarla a finire i compiti per il giorno successivo, al piano
superiore.
“Io
veramente ho studiato ieri…” chiarì con perplessità Flavia, una volta che furono
da soli in corridoio.
“Non
ci arrivi? Non è per i compiti, stupida!” l’ammonì il fratello alzando gli occhi
al soffitto. “Dobbiamo scoprire chi
ha osato scriverti oppure no?!” insisté aprendo in quel momento la porta della
sua camera, brillante di ordine e pulito. Non c’era una sola cosa fuori posto,
sua madre aveva superato se stessa, pensò in un attimo. Fu appunto un solo
istante, dato che scosse la testa e tornò a concentrarsi sulla questione più
importante.
“Avanti.
Tirale fuori”, le ordinò senza tanti complimenti, slacciandosi i primi bottoni
della camicia bianca giusto per mettersi a suo agio in camera
propria.
“Veh,
hai ragione! Non sei l’unico curioso, non preoccuparti, le lettere sono qui…”
disse lei, riprendendo in mano le due buste di diverso colore, lanciando sul
letto la borsa che l’aveva accompagnata per tutto il giorno e raggiungendola
poco dopo, non prima di aver consegnato quella azzurra a Romano, che si era
lasciato cadere sulla sedia di vimini.
Non
avrebbe perso tempo a scollarla normalmente con le unghie, perciò prese un paio
di forbici dal cassetto della scrivania, ne tagliò il bordo e la agitò sul palmo
della mano finché non ne uscì un foglio bianco ripiegato con
cura.
“Sia
chiaro che non lo faccio per gelosia. È il mio dovere di fratello maggiore che
mi spinge a indagare…” esordì serio, prima di aprire il foglio e riferirle ciò
che vedeva, inquadrando dapprima il nome del mittente.
“Si
tratta di un certo Ludwig, ti dice niente?” si interessò, più per la reazione
della sorella che per reale interesse: si aspettava che non ne avesse alcuna,
che quel nome la lasciasse confusa o indifferente, invece Flavia
sussultò.
“Certo…
L’ho conosciuto tanto tempo fa, proprio come ha detto lo zio, però non è stato
qui!” rivelò assumendo un’aria assorta. “Ricordi quando mi portò a Venezia la
prima volta? Avevo sette o forse otto anni; è tutto molto vago in realtà, ma mi
è rimasto impresso questo timidissimo e rispettoso bambino con cui ho cercato di
stringere amicizia”.
A
questo punto lei rise, rise anche se si sentiva una sciocca per non aver capito
prima l’allusione del suo caro zio.
“Sei
sempre la solita…” sbuffò lui. “Avresti preferito essere lì per arrivarci, vero?
Ora capisco perché ci ha fatti fermare proprio a Piazza Venezia…” aggiunse
pensieroso.
“E
già. Io non sono intuitiva come te, fratellone. Effettivamente avevo pensato
alla città, ma non a Ludwig. Anzi, è strano sai? È strano perché sono certa che
lui e lo zio si conoscevano anche allora…” svelò un altro particolare che lo
lasciò sconcertato.
“Che
cosa?!”.
“Sì.
È il figlio minore del migliore amico di zio Giulio, hai presente? Mi riferisco
a quel professore di storia e filosofia che vive in Germania da sempre. Ora mi
sfugge il cognome, ma mi ha parlato spesso di loro nelle sue lettere passate…
Aspetta, fratellone, non interrompermi!” lo bloccò, poiché l’aveva intravisto
aprire bocca per ribattere. “Una volta mi ha confidato che Ludwig non aveva il
coraggio di scrivermi di suo pugno. Sono davvero contenta che finalmente si sia
deciso. Puoi leggermi la lettera, per favore?” lo pregò.
“Me
lo sentivo che c’era qualcosa sotto… Comunque non posso, dannazione!” borbottò
puntando uno sguardo fisso e contrariato al testo. “Non ho mai studiato la
lingua dei crucchi. Non ci capisco un accidente!” protestò ancora. “Quel folle
di tuo zio ci ha imbrogliato, appena scendiamo di sotto mi sente. Eccome se mi
sente!”.
Flavia
si accorse che per la foga stava accartocciando la suddetta lettera e pensò bene
di salvarla.
Batté
più volte il palmo sopra il materasso comodo, facendo cenno al fratello di
sedersi accanto a lei con un sorriso conciliante e per nulla dispiaciuto o
turbato.
“Non
c’è problema, fratellone. La tradurrò io per entrambi!”
decise.
“Dunque…
È datata quattro settembre, di quest’anno ovviamente. All’inizio si presenta,
poi dice che sta facendo la leva militare obbligatoria, che ha ricevuto qualche
giorno di congedo per tornare a casa e che è stato allora che ha rivisto nostro
zio…” gli riferì con molta pazienza mentre leggeva, dando una sua traduzione
personale anche se non era mai stata esperta in tedesco. Le parole difficili
infatti le aveva saltate con blando rammarico.
“Aggiunge
di aver appreso così del buon proposito di farmi una sorpresa, che soltanto lui
poteva rendere possibile. Poi…” si interruppe un momento per concentrarsi,
portando un dito sul mento.
“Ah,
è molto carino in questo punto: scrive che si sentiva in imbarazzo, perché c’era
lo zio che non lo perdeva di vista mentre pensava a cosa riportare nella
lettera. Io ammiro e rispetto la sua persona, credimi, ma qualche volta
è… Forse vuole dire che è intollerabile, però non ne sono sicura. E infine
mi invita, se vorrò e quando sarà possibile, a visitare… Oooh!”
trasecolò.
Sua
sorella si era meravigliata a tal punto da stringergli forte il braccio e lui
giustamente si insospettì.
“Sei
invitata dove?” incalzò.
“A-all’Accademia
delle belle arti di Monaco di Baviera! Se vorrò, nel mese di dicembre lui avrà
un altro congedo e potrà accompagnarmi personalmente a vederla. Penso che sia
un’idea fantastica, lo ringrazierò al più presto! Alla fine mi ha lasciato due
indirizzi, quello di casa sua e questo suppongo che sia del luogo in cui presta
servizio militare. Vedi?” gioì indicandoglieli entrambi.
“Ma
sei ammattita di colpo?! Tu non ci andrai, non mi fido. Anche in Italia abbiamo
università prestigiose che puoi frequentare dopo il diploma, perché dovresti
spostarti proprio lì? No, non se ne parla, è troppo distante!” si oppose
fermamente.
“Fratellone,
si tratta di una breve visita. Non mi sta obbligando nessuno. Un giorno deciderò
e non è detto che-”.
“Non
m’interessa, tu così lontana non ci vai!” continuò categorico alzando la voce.
“E adesso vediamo cosa scrive quell’altro, prima che mamma ci senta discutere e
salga a controllare”.
“Stai
discutendo tu, fratellone…” mormorò mettendo su un broncio
adorabile.
“Taci
e apri l’altra busta, diamine!”.
Si
era infastidito non poco.
Gli
aveva dato veramente fastidio che uno sconosciuto avesse portato la felicità in
quegli occhi familiari che raramente le aveva veduto così spalancati e così
accesi di emozione.
Certo,
Flavia era spesso contenta persino per delle sciocchezze che per lui non avevano
senso, ma in questo modo particolare no. La sua voce dolce e ingenua, però,
spostò i suoi pensieri in un’altra direzione.
“La
lettera del tuo amico è datata otto settembre. Questa è breve e si capisce,
fratellone, vuoi leggerla?” domandò. Effettivamente era scritta su un foglio di
quaderno e non era molto lunga.
“Non
è mio amico. Si vede come lo zio non tiene a me, altrimenti non pensi che
avrebbe chiesto a una bella ragazza di scrivermi?” replicò scocciato,
facendosela passare per poi stendersi con la testa appoggiata sulle gambe della
sorella. Tanto lui non aveva nulla da nasconderle, ormai gli incontri passati
erano venuti a galla.
“Suvvia,
fratellone. Cosa dice?” lo esortò tranquilla, le dita tra i suoi corti capelli
scuri.
“Mi
saluta e mi chiama Romanito. Poteva risparmiarselo. Chiede se mi ricordo
di lui e immagina che adesso sarò cresciuto; lui ha venticinque anni e sembra un
imbecille, sarà perché si sta sforzando di scrivere in italiano? Poi dice… Che
cosa?!” sbottò incredulo, mettendosi a sedere di scatto. Il suo atteggiamento
era mutato e in pochi secondi era passato da svogliato ad
agitato.
“Non
può essere, dannazione! Non ne ho alcuna voglia!” esclamò dopo essersi alzato in
piedi. Flavia si sporse abbastanza per riprendere in mano la lettera di Antonio
e lesse chiaramente la frase per lui scioccante e il resto: “Fra un mese
accompagnerò la mia bisnonna a Roma. Ha espresso il desiderio di trascorrere gli
ultimi anni della sua vida in Italia. Ella la adora mucho. Ci incontreremo nella
Piazza oppure verrò a farti visita. Tuo zio è stato così gentile a offrirsi di
aiutarci a trovare un appartamento conveniente, non lo ringrazieremo mai
abbastanza! Spero di conoscere la tua sorellina, lui è davvero orgoglioso.
Fratellone, sarò lieta di incontrarlo, mi sembra un tipo simpatico!” affermò
con candore. Era il ritratto vivente del buonumore, al contrario dell’altro che
dopo una breve agitazione si era incupito. Nemmeno fissare la parete laterale
con i poster delle squadre di calcio preferite, la Roma e il Napoli, riuscì a
tirarlo su.
Che
razza di giornata era stata, piena di sorprese sgradite e colpi di scena
imprevisti.
“Invece
né tu né io ci faremo trovare tra una settimana. E non accetto obiezioni!”
stabilì cocciuto come un mulo. Poi le mostrò un ghigno poco rassicurante, segno
che aveva già in mente un piano.
“Fratellone,
che intendi?” si preoccupò.
“Intendo
che proprio quel giorno saremo impegnati”.
“In
che senso impegnati?” si informò Diego, la cui testa aveva fatto capolino dalla
porta socchiusa, interrompendoli.
“Non
lo so cugino, non lo capisco. La mamma ha preparato da mangiare per caso?”
cambiò discorso lei, di nuovo sollevata. Lui aprì la porta e lo videro con una
valigia in mano.
“Sì,
c’è anche una teglia di pizza in forno ed è quasi pronta. Forza, scendiamo: mio
padre e Caroline ci mostreranno velocemente un gioco con le vostre carte”, li
invitò riponendola accanto all’armadio. Romano assottigliò lo
sguardo.
“Perché
la stai lasciando nella mia stanza?” chiese allora.
“Perché
la zia Assunta ha detto che dormirò qui. Si tratta di una sistemazione
momentanea: se ci sono lamentele in merito lei è sotto, vi attende per
parlarne”, chiarì senza scomporsi.
“Ah,
bene, ora mi sentono!” sbottò Romano uscendo di corsa, come era
prevedibile.
“Mi
dà l’impressione di essere più intrattabile di prima…” osservò stupito Diego.
“Per caso la sua ragazza lo ha scaricato?”.
“No,
no. Temo che abbia intenzione di scaricare il suo amico…” rispose Flavia facendo
spallucce, per poi aggiungere che più tardi gli avrebbe raccontato tutta la
storia delle lettere e che potevano scendere dagli altri.
La
loro riunione di famiglia doveva continuare e certamente il suo fratellone non
l’avrebbe rovinata per qualche rimostranza in più.
Non
se c’era la pizza, che fatta in casa era la più buona del
mondo.