“Signorina Paxton vuole
condividere con il resto della classe i suoi pensieri?” Justine alzò lo sguardo
e si accorse che la professoressa Calhoun la stava fissando dall’alto dei suoi
occhiali quadrati, battendo freneticamente il piede a terra.
Si era incantata a guardare fuori
dalla finestra una foglia ingiallita che si era staccata dal ramo di un albero.
Cose ordinarie come quella la
affascinavano sempre, soprattutto perché sembrava che alla gente non
importassero affatto.
“Mi scusi professoressa…” si limitò
a dire.
La Calhoun continuò a squadrarla
con occhio torvo.
“Allora ha voglia di parlarci di
William Blake o la prossima volta devo assicurarmi che non la distolga
dall’osservazione della finestra?”
Le Perfide D. sghignazzarono ma
Justine le ignorò.
“William Blake
nasce il 28 novembre 1757 a Londra, nel quartiere di Soho…”
Si divertì a guardare
il volto della Calhoun che da adirato e arrogante diventava dapprima stupito e
poi ammirato mentre iniziava a parlare del suo poeta preferito.
Justine adorava William
Blake. Adorava tutta la letteratura inglese, ma Blake in particolare le toccava
le corde del cuore.
Quando finì di parlare,
la Calhoun si era rimessa a sedere alla cattedra e si era tolta gli occhiali.
Doveva essere un buon
segno, lo interpretò lei.
“Molto bene…sa citarmi
una sua frase che l’ha colpita particolarmente?” mai in tutta la sua carriera
d’insegnamento le era capitato di sentir parlare un’allieva con così tanta
enfasi ed ammirazione come quella Justine Paxton.
“Coloro che reprimono il desiderio,
lo fanno perché il loro desiderio è abbastanza debole da essere represso…”
disse tranquillamente lei.
La Calhoun sorrise nella sua
direzione e Justine pensò che poteva ritenersi salva per quel giorno.
“Le piace molto Blake, non è
così?”
“E’ il mio poeta preferito,
professoressa.”
“Vedo…” la professoressa annuì
nella sua direzione prima di aprire il registro e di scrivere qualcosa.
“A +, Paxton…se l’è meritata!”
Justine sorrise e si preparò a
ricevere i soliti sguardi sprezzanti da parte dei suoi compagni.
C’era abituata e comunque non le
importava un granchè.
“Ma brava secchiona” la apostrofò
Drew passando accanto al suo banco, qualche minuto più tardi.
“Oggi il tuo amico sfigato ha
deciso di fare un favore alla comunità e di sparire dalla circolazione?”
aggiunse Dianne.
Justine non gli prestò minimamente
attenzione e presi i libri di letteratura inglese si avviò in corridoio.
Ancora quella sensazione…ancora
quella terribile morsa che le stringeva lo stomaco e il fatto che Martin non ci
fosse, cominciò a pensare, poteva essere un brutto segno in fondo.
Passò il resto delle ore
scolastiche a fantasticare su come avrebbe disposto le costellazioni luminose
sul soffitto della sua camera.
Gliele aveva regalate Martin per
il suo compleanno e le aveva promesso che le avrebbero attaccate insieme.
“Così potremo restare a fissare le
stelle anche stesi sul tuo letto” le aveva detto quando Justin aveva strappato
la carta rossa del pacchetto.
Così adesso non vedeva l’ora di
correre da lui, soprattutto per accertarsi che fosse tutto ok.
Finalmente la campanella
dell’ultima ora.
Infilò velocemente i libri che non
le servivano nell’armadietto e si avviò verso lo scuolabus.
Ovviamente non poteva sedersi in
fondo, quelli erano posti riservati alle Perfide D. e ai loro fidanzati, così
si accontentò del primo posto accanto a Terry Sayer, a cui Justine non aveva
mai sentito spiccicare parola.
Tanto meglio. Adorava stare in
silenzio.
Ben presto i campi coltivati e i
boschi presero il posto delle strade e delle case e Justine si sentì meglio.
L’aria di città la opprimeva. Sua
madre l’aveva cresciuta girovagando fra i boschi, facendola addormentare sotto
gli abeti fin da piccolissima e cullandola al suono dei ruscelli, così suoni
che non fossero cinguettii, fruscii e via dicendo le apparivano del tutto
stonati.
Con uno stridio lo scuolabus si
fermò alla sua fermata e con un rapido balzo Justine scese a terra.
“Ci vediamo domani, signorina!” la
salutò Tom l’autista.
Le era sempre stato simpatico “A
domani Tom!” gli sorrise e senza perdere neanche un secondo si fiondò da
Martin.
Fece di corsa i gradini del
portico e bussò con foga alla portafinestra, la bruttissima sensazione che si
faceva sempre più acuta.
Eppure non c’era niente che
apparisse diverso nell’ambiente circostante.
L’altalena sulla veranda si
muoveva leggermente con la brezza e i panni stesi dalla signora Fisher
brillavano come diamanti splendenti.
“Salve signora Fisher…” cominciò
lei quando la mamma di Martin comparve sulla soglia, asciugandosi le mani sul
grembiule a fragole…segno che stava cucinando.
“Hey Justine” le sorrise lei.
Ma il sorriso le si spense quasi
subito quandò notò qualcosa
“…ma dov’è Martin?”
A Justine crollò il mondo addosso.