NIALL
Niall
oltrepassò l'ingresso del Kensington
& Chelsea College
con la sensazione di avere gli occhi
sprezzanti di una dozzina di ragazze puntati su di lui. Nonostante
fosse ormai
trascorsa più di una settimana da quello spiacevole evento,
Niall poteva ancora
chiaramente ricordare il modo rude con il quale Liam lo aveva afferrato
per il
colletto della camicia e sbattuto al muro, sbandierando davanti a tutti
ciò che
c'era stato tra il biondo e Millie. Probabilmente le sue erano solo
paranoie,
visto che i pettegolezzi ora si concentravano già altrove,
ma Niall percepiva
ugualmente degli onnipresenti ed insistenti sguardi di rimprovero.
Più volte si
era voltato alla ricerca di colui o colei che ancora si divertiva a
incutere
disagio in lui, ma puntualmente non aveva trovato nessuno. Era la sue
coscienza
a tormentarlo, la consapevolezza di aver commesso un errore di
proporzioni
esorbitanti. Avanzò ancora, cercando di concentrarsi
esclusivamente sul suo
percorso. Non c'era nessuno a fissarlo, nessuno che avesse notato la
sua
presenza lungo il corridoio, ciononostante Niall percepiva i giudizi
critici
che altri avevano emanato sul suo conto.
"Niall", lo richiamò Harry a modi
saluto, piombano alle spalle del biondo.
"Ehi", ricambiò non appena l'ebbe
riconosciuto.
L'espressione assonnata del riccio era un
misto tra diverse emozioni, tra cui Niall riuscì chiaramente
a distinguere la
rabbia e la soddisfazione, oltre che un leggero strato di malinconia.
Harry aveva le occhiaie particolarmente
marcate e scure, i suoi occhi erano visibilmente stanchi e continuava a
sbagliare con una frequenza sempre maggiore.
"Non hai dormito?", domandò Niall
puntando il suo sguardo diverto sul volto assopito dell'amico.
"Non molto", si lamentò con voce
ancora impastata e roca. "Tutta colpa dei pensieri",
borbottò poco
dopo per motivare la sua risposta.
Niall annuì, conosceva bene la sensazione a
cui il riccio aveva appena accennato. Era la stessa che lui provava
quotidianamente per sua madre, la stessa che si era poi aggiunta quando
il rimorso
aveva preso a tormentarlo, quella che ora lo affliggeva per sapere cosa
Charlie
pensasse di lui. Avevano parlato e Niall le aveva persino palesato la
sua intenzione
di uscire con lei, ma Charlie non aveva detto nulla in risposta. Si era
limitata ad annuire, lasciando il biondo frastornato ed ancora
più confuso di
prima.
Harry quella notte l'aveva trascorsa quasi
interamente in bianco. Aveva continuato a girarsi e rigirarsi nel suo
letto per
interminabili ore, con l'intento di trovare una posizione comoda e
confacente
al sonno. Ma più continuava a muoversi, più si
accorgeva di non poter dormire.
La sua mente era affollata da decine di dubbi irrisolti. Si era
interrogato sul
suo rapporto con Liam, aveva cercato di fare chiarezza su
ciò che era successo
negli ultimi giorni, sperando di trovare la chiave che gli avrebbe
permesso di
comprendere quella serie di eventi apparentemente del tutto
sconclusionati ed
irrazionali. Liam era il suo migliore amico da tempi immemori, era
colui che
aveva sempre provato ad aiutarlo, a proteggerlo, a rassicurarlo. Ma in
quei
giorni aveva visto in lui solo il ragazzo che lo provocava senza
ragione
alcuna, quello che voleva far valere su di lui il proprio ascendente
indipendentemente dal parere di Harry. Per questo motivo gli aveva
risposto in
quel modo tanto deciso e forte, ma Liam sembrava non essersi sorpreso
neppure
di quella reazione. Con il suo sorrisetto beffardo disegnato sulla
labbra
l'aveva fissato sornione per tutto il tempo e per la prima volta era
riuscito a
fargli perdere la pazienza, a far destare qualcosa in lui, prima in
classe, poi
in camera del ragazzo.
"Prevedo una giornata disastrosa,
oggi", bofonchiò Niall con una smorfia rassegnata sul viso,
mentre si fermava
davanti all'aula di informatica dove si sarebbe tenuta la prima lezione
della
mattinata.
"A chi lo dici", concordò Harry in
un sospiro. "Ho un test di matematica tra meno di dieci minuti e non so
praticamente nulla", biascicò affranto, grattandosi la nuca
con la mano
destra.
Niall gli lanciò una breve occhiata
comprensiva e rattristata, quasi volesse mostrargli il suo appoggio con
quel
semplice gesto. Harry scosse lievemente il capo, consapevole che quella
verifica sarebbe stata un'ulteriore insufficienza da aggiungere a tutte
quelle
che continuava a prendere in quasi tutti i corsi che seguiva
quell’anno.
"Devo andare", sentenziò infine,
accennando ad un mezzo sorriso.
"Buona fortuna.", gli augurò Niall,
seppur sapesse quanto inutili fossero quelle parole.
Non era questione di fortuna, ma di bravura,
studio, costanza ed impegno. Inoltre, se anche fosse stato possibile
che la dea
bendata decidesse di aiutare qualcuno, premiandolo con l'innata
capacità di
saper rispondere a tutte le domande di un test, di certo quel qualcuno
non
sarebbe stato Harry, Niall o qualsiasi altro di loro. Non erano
propriamente
quelli che chiunque avrebbe definito dei bravi ragazzi. Ognuno di loro
era
sommerso da una miriade di problematiche che gli impediva persino di
vedere una
via d'uscita da quel tunnel buio e caotico in cui vivevano. Niall
sapeva quanto
la vita potesse essere ingrata ed ingiusta, era per quel motivo che
ormai aveva
smesso di aspettarsi qualsiasi cosa, persino le più semplici
e le più banali.
Le gemelle Wood camminavano l’una accanto
all’altra lungo il corridoio del primo piano. Con passo
affrettato si
dirigevano l’una verso la classe del corso di lingua di
francese avanzato,
l’altra verso quella di letteratura. Audrey non aveva fatto
neppure uno degli
esercizi di traduzione che le erano stati assegnati per quel giorno. Ci
aveva
provato, si era obbligata a tenere la testa china sul libro fino a
tarda
serata, ma non era riuscita a concludere nulla da quel tentativo di
studio
disperato. Così, quando una pimpante Bree l’aveva
raggiunta, si era finalmente
decisa a porre fine a quell’inutile strazio che proseguiva da
ore. Era
preoccupata, l’immagine di sua sorella distesa sul pavimento,
quasi
incosciente, la perseguitava da giorni ormai. Non ne aveva parlato con
nessuno,
neppure con Bree, nonostante si fidasse ciecamente di lei. Audrey aveva
notato
quanto la sua amica fosse particolarmente fragile in
quell’ultimo periodo,
dunque preferiva non aggravare le sue condizioni riferendole le sue
problematiche. Avrebbe pensato da sola ad un metodo per risolvere
quella
questione. Se Duncan fosse stato lì, sicuramente avrebbe
parlato con Millie e
l’avrebbe convinta a darci un taglio netto con un solo,
semplice discorso ed un
caloroso abbraccio. Ma lei non era Duncan e non aveva neppure quel
rapporto
tanto speciale che legava suo fratello a Millie. Era quasi
un’estranea ormai,
ma sapeva di essere l’unica a poter ancora fare qualcosa. Sua
madre di certo
avrebbe notato il repentino cambiamento di Millie e ne avrebbe ben
presto
comprese le ragioni, ma suo padre sembrava essere diventato cieco.
Quasi
neppure si vedeva più all’interno
dell’enorme casa Wood. Millie era sua
sorella, la sue gemella, quella bambina nata nello stesso istante e,
per quanto
si detestassero, Audrey non poteva permettere che rovinasse la sua vita
solo
per un po’ di droga. Già una volta Audrey si era
pentita di non essere riuscita
a dimostrare in tempo l’affetto che provava nei confronti di
una persona a lei
tanto cara e vicina, non voleva commettere lo stesso errore anche con
Millie.
Non voleva svegliarsi una mattina e scoprire che non avrebbe
più avuto
occasione per rinfacciare a sua sorella quanto fosse superficiale ed
egoista,
quanto eccessivamente lenta fosse nel truccarsi o quanto le sue
frecciatine
potessero ferire le persone a cui erano rivolte. Audrey avrebbe voluto
poter
battibeccare con lei ogni giorno, a tutte le ore.
“Io sono arrivata”, esordì Millie,
fermandosi
di scatto sulla soglia dell’aula di letteratura inglese.
Audrey annuì appena, indugiando con lo sguardo
sulla figura della sorella.
“Ci vediamo all’uscita”, la
salutò con un
cenno della mano, prima di riprendere a camminare.
Millie la vide allontanarsi, con le labbra
piegate in un leggero sorriso. Non avrebbe mai confessato ad Audrey
quanto in
realtà apprezzasse la sua pazienza, i suoi silenzi ed il
modo in cui si stava
prendendo cura di lei, seppur da lontano. Le aveva urlato contro
talmente tante
volte e talmente tante cattiverie da rendere impensabile che proprio
Audrey
potesse avvicinarsi a lei in una situazione del genere. Le era
riconoscente per
ciò che aveva fatto e sperava che Audrey riuscisse a leggere
dietro quella
maschera di impassibilità e freddezza che Millie
quotidianamente indossava.
Entrò in classe nell’esatto momento in cui
anche la professoressa lo fece. Si guardò intorno alla
ricerca di un posto
libero e quasi smise di respirare quando si accorse che
l’unico a disposizione
fosse proprio quello accanto a Charlotte, in seconda fila. Si
mordicchiò il
labbro, per la prima volta davvero a disagio. Non si curava mai degli
sguardi
indiscreti degli altri, soprattutto non di quelli invidiosi o
canzonatori, ma l’intensità
con la quale Charlie continuava a fissarla era impossibile da ignorare.
A passo
lento si avvicinò al banco, fino a prendere silenziosamente
posto alla destra
della ragazza bionda. Charlotte aveva sempre un giudizio preciso su
ogni cosa
e, a giudicare dal modo in cui ancora continuava a scrutare
l’espressione del
viso di Millie, di certo quello per la mora non era positivo. Millie si
passò
una mano tra i capelli, per ravvivarli. I suoi gesti erano
involontariamente
troppo fluidi e sensuali, troppo perfetti, tanto che irritavano
Charlotte. Se
avesse potuto, probabilmente le avrebbe tagliato all’istante
quella chioma
ordinata e lucente che terminava in definiti e splendidi boccoli.
Charlie non
sopportava la sua pelle chiara ed etera, i suoi occhi maliziosi e
sicuri, la
sua camminata fiera e provocante, la sua voce vellutata, dolce e
all’occasione
seducente. Millie riusciva ad ottenere sempre ciò che voleva
ed in questo il
suo fisico e le sue movenze le erano di grande aiuto. Charlotte
detestava il modo
subdolo attraverso cui riuscisse ad abbindolare chiunque volesse,
detestava
come poi ricoprisse di stupide battutine quelle stesse persone con le
quali il
giorno prima era stata falsamente amichevole. Ma più di ogni
altra cosa,
Charlie detestava il fatto che Millie fosse andata a letto con Niall.
Sapeva
che non avrebbe mai potuto competere in quel senso con Millie e tutto
ciò le
infondeva un’immensa insicurezza. Lei, la ragazza forte e
determinata che non
si curava dei luoghi comune, ora si faceva abbattere proprio dalla
regina della
superficialità, dei pettegolezzi e della moda. Era
snervante, tanto che Charlie
strinse forte la mano sinistra in un pugno, conficcando le unghia nel
palmo
della mano. Non avrebbe combattuto una lotta impari con Millie, non era
pronta
ad uno scontro aperto di quella portata e, soprattutto, era contro i
suoi
principi. Non avrebbe indossato gonne, messo più ombretto e
lucidalabbra del
solito o acconciato i capelli solo per apparire più carina.
“Se continui così, la matita si
sgretolerà del
tutto”, le fece notare Millie in un sussurro, lanciando un
veloce sguardo alla
mano destra della ragazza.
Solo allora Charlie notò la presa ferrea
attorno a quell’oggetto, la cui punta spingeva contro la
superficie liscia e
bianca della pagina del quaderno. Charlie lo liberò
all’istante, quasi come se
percorsa da un’improvvisa scossa.
“Mhm”, mugugnò in risposta, tornando a
fissare
il leggero solco che si era scavato sul foglio.
Millie ghignò appena, fissandola con aria
indecifrabile.
“Suppongo T. S. Elliot non ti piaccia
particolarmente”, ironizzò facendo riferimento
all’autore dell’opera che la
professoressa stava spiegando dalla cattedra.
“Oppure…”, riprese con il viso
piegato in un’espressione beffarda. “Oppure il
problema potrei essere io”, concluse
sarcastica, con un ghigno soddisfatto e allo stesso tempo provocatorio.
Charlie strinse forte i denti, decisa a mostrarsi
superiore. Non avrebbe concesso a Millie la soddisfazione di vederla
perdere il
controllo a causa sua.
“A dir il vero mi chiedevo cosa si provasse ad
essere traditi dalla propria ragazza”, replicò
Charlie, in un mormorio pacato
contornato da un leggero sorriso di sfida.
Millie ghignò, quasi sembrava essere divertita
da quella risposta. Doveva mostrarsi fredda e sicura, non doveva
lasciar
trapelare alcuna emozione, Millie lo sapeva bene, se lo ripeteva da
talmente
tanto ormai che le era completamente entrato in testa. Se Charlie
voleva
giocare con lei, Millie le avrebbe dato ciò che meritava,
senza risparmiarsi.
Era popolare, parlava con quasi tutte le ragazze pettegole del college
e le
voci circolavano piuttosto velocemente in ambienti tanto piccoli come
quello.
“La stessa che si prova a sentir gemere
Niall”, concluse con tono vittorioso e compiaciuto.
Charlie non avrebbe replicato, ne era sicura. La
bionda, infatti, deglutì soltanto, colpita da quelle parole
a cui non seppe controbattere.
“Ehi dolcezza”, salutò Louis,
circondando la
vita di Bree con un braccio quando la vide nell’atrio durante
l’intervallo.
“Ciao Louis”, ricambiò lei con enfasi,
sorridendogli raggiante.
“Sei di buon umore oggi”, constatò
allegro il
ragazzo, trascinando Bree nei pressi della grande scalinata che
congiungeva il
primo ed il secondo piano.
“Sì”, confermò con tono
vivace lei, sedendosi
sul terzo gradino, subito affiancata da Louis.
“E come mai?”, le chiese quest’ultimo
lanciandole un’occhiata curiosa.
“Non lo so.”, ammise Bree con
un’espressione
spensierata e vaga.
Louis la guardava e non poteva non sorridere.
Quei lineamenti delicati, i capelli rossi legati in una treccia che
pendeva
sulla spalla sinistra, il viso dolce ed ingenuo, l’aria
fragile e tenera, gli
occhi di un verde splendente persi chissà nel contemplare
cosa e quel sorriso
leggero e sincero disegnato sulle labbra carnose e soffici. Tutto di
Bree
sembrava conferirle un tocco di calma e tranquillità,
persino quello sguardo
assente.
Louis soffocò una risata, i suoi occhi azzurri
e luminosi erano concentrati sul volto rilassato di Bree.
“Sei carino”, esordì la ragazza,
sorridendo
candidamente all’indirizzo di Louis.
Non c’era alcuna traccia di malizia nella sua
voce, quelle parole erano uscite dalla sua bocca con talmente tanta
naturalezza
che Bree neppure se n’era resa conto. Aveva appena fatto un
complimento facilmente
fraintendibile e all’improvviso sentì una strana
sensazione di calore
impadronirsi delle sue gote.
“Anche tu lo sei”, ricambiò Louis,
accarezzandole dolcemente una guancia.
Il suo tono di voce era pervaso dalla stessa
semplicità che aveva caratterizzato quello di Bree.
“Grazie”, sussurrò la ragazza, piegando
le
labbra in un sorriso, felice.
Mai nessuno le aveva riservato delle parole
tanto gentili e sincere come quelle che Louis le aveva appena rivolto.
La gente
preferiva schernirla, deriderla, sottolineare le sue stranezze,
piuttosto che
elogiare i suoi pregi. In un unico e veloce gesto, Bree
poggiò le sue labbra su
quelle di Louis, baciandolo, quasi come con quel gesto volesse
ringraziarlo,
come se volesse comunicargli quanto gli fosse grata per come Louis si
comportasse, per tutto ciò che le dicesse. Il ragazzo quasi
si pietrificò a
quell’inaspettato contatto che durò appena qualche
istante. Bree si allontanò
poco dopo, teneva gli occhi puntati in quelli azzurri di Louis e
mordicchiava
il labbro inferiore.
“Mi hai baciato”, affermò con
ovvietà il
ragazzo, ancora leggermente scosso per ciò che era appena
accaduto.
“Sì”, confermò Bree annuendo.
“Volevo
ringraziarti”, spiegò scrollando le spalle con la
sua solita aria
sovrappensiero.
Louis sorrise, comprendendo solo ora le
intenzioni della rossa.
“E tu baci tutte le persone a cui vuoi dire
grazie?”, scherzò.
Bree aveva dei modi davvero particolari ed
eccentrici per dimostrare il suo affetto a qualcuno, dei modi
inappropriati ed
inusuali che tuttavia non spaventavano Louis. Lui aveva compreso le
difficoltà
che la ragazza provasse nell’esprimere i propri sentimenti,
aveva compreso
quanto poco fosse abituata ad avere degli amici e quanto poco fosse
incline
agli atteggiamenti usuali.
“Solo quelli più simpatici”,
trillò allegra
Bree, tirando un leggero colpo sulla spalla di Louis, facendo sorridere
il suo
amico.
Margaret li aveva visti da qualche metro di
distanza. Stava camminando lungo il corridoio, diretta ai bagni, quando
aveva
sentito il suono della ristata cristallina di Louis e si era voltata
alla
ricerca del viso del ragazzo, trovandolo ad una spanna da quello di
Bree. Li
aveva osservati per qualche secondo, il tempo necessario per vedere
Bree
annullare le distanze tra le loro labbra in un bacio. Margaret aveva
percepito
qualcosa trafiggerle il petto, attraversare il suo già
dolorante cuore, che poi
si era come smembrato in tanti piccoli pezzi. Aveva stretto forte gli
occhi,
cercando di eliminare quella immagine dalla sua mentre, e come un
fulmine era
corsa via. Oltrepassò prima l’ingresso, poi il
cancello senza voltarsi indietro
neppure per un istante, decisa a voler scappare. Aveva bisogno di
tranquillità,
di un posto in cui poter riflettere e ricostruire i mille brandelli in
cui la
sua vita si era frantumata. Pensava di poter contare su Louis, di aver
visto
qualcosa in lui che andasse ben oltre la semplice amicizia e solo in
quel
momento ne prendeva pienamente coscienza. Quando lui l’aveva
abbracciata in
quel parco, su quella panchina, lei si era sentita sicura, protetta,
invulnerabile. Un'altra lancinante fitta colpì il suo cuore,
costringendola ad
aumentare il ritmo della sua già rapida e lunga falcata. La
sua famiglia stava
cadendo in pezzi e lei si sentiva terribilmente sola e debole e non ci
sarebbe
stato alcun Louis a stringerla per rassicurarla. Non sapeva se quella
che
stesse provando fosse gelosia, preferiva definirla un’enorme
sensazione di
fastidio che le invadeva la testa ed il petto. Si arrestò
solo quando notò un
piccolo bar, accanto all’ingresso di uno dei principali
parchi della zona.
Ancora una volta aveva il fiato corto e le gambe doloranti. Era
intenzionata a
prendere della semplice acqua, con la quale rinfrescare la gola ormai
secca, ma
quando entrò nel piccolo locale Margaret, senza sapere
né come, né perché, si
ritrovò ad ordinare una birra. La bevve con
avidità, prima di ordinarne
un’altra ed un’altra ancora.
Zayn era seduto esattamente dietro Liam
durante la lezione di sociologia, l’unica oltre filosofia che
condivideva con
il castano. Non si erano neppure salutati quando Zayn, un attimo prima
dell’arrivo del professore, aveva fatto il suo ingresso in
classe. Con
espressione distratta e disinteressata Zayn fingeva di sentire il
discorso che
il docente stava tenendo in quel momento, lo stesso che Liam continuava
ad
ascoltare attentamente, annotando degli appunti sul quaderno a righe
che teneva
aperto sul banco. Tutta quella finzione lo irritava. Liam appariva come
il
ragazzo esemplare, lo studente modello, colui che mai una volta si
mostrava in
errore, praticamente impeccabile. Ma lui sapeva cosa si nascondesse
dietro
quella spessa maschera di finta perfezione che Liam si divertiva ad
indossare.
“Ottima scelta, quella di sputtanare la tua ex”,
sbottò ironico, con l’unico intento di provocare
il ragazzo davanti a lui.
Liam drizzò la schiena, quasi scosso dal
sussurro del moro. Girò di poco la testa, il necessario per
intravedere di
sottecchi l’espressione criptica di Zayn.
“Avrei potuto fare di meglio, in
realtà”, sminuì
con un sorriso beffardo, mentre giocava lentamente con la penna che
stringeva
tra le dita della mano destra.
Zayn ghignò sarcastico, scuotendo il capo in
un’espressione di dissenso e disapprovazione. Lui e Liam non
sarebbero mai
potuti andare d’accordo, per nessuna ragione al mondo. Zayn
era un ragazzo
fondamentalmente buono, che si ostinava ad apparire tanto riservato e
freddo
solo per potersi difendere dal mondo che lo circondava e che non gli
avrebbe
concesso neppure un lieve margine di errore. Liam, al contrario,
necessitava di
attenzioni, voleva dettare le regole del gioco, voleva imporsi sugli
altri.
“Magari
con qualche tua pasticca ne sarebbe uscita una vera tragedia
greca”, lo sfidò
Liam con un mormorio.
Aveva la testa reclinata di lato ed il viso
piegato in una smorfia tanto arrogante quanto provocatoria.
Zayn sobbalzò sulla sedia, irritato da
quell’affermazione del tutto indelicata, ma cercando di
mascherare come meglio
possibile la sua reazione. Era quella la differenza che sussisteva tra
Liam e
Zayn: il primo non sapeva controllarsi, il secondo sapeva farlo sin
troppo
bene. Non avrebbe perso tempo a spiegare a Liam, né
tantomeno a controbattere a
quell’evidente offesa.
“Sì, la prossima volta chiamami”, lo
assecondò
con voce atona, con la chiara intenzione di non dar peso
all’istigazione di
Liam.
Il castano boccheggiò un paio di volte, prima
di tornare a seguire la lezione insoddisfatto per quel battibecco
mancato.
Angolo Autrice
Buon pomeriggio a tutti! :D E, sorprendentemente, rieccomi qui con un nuovo capitolo!
Insomma, dopo gli ultimi aggiornamenti, sembra un miracolo che questa volta siano passati solo pochi giorni!!*.*
E così eccoci a parlare di Niall! In realtà il capitolo tocca tutti i personaggi,
ma dedicarlo a lui era un po' come cercare di focalizzare sul biondino l'attenzione.
Del resto la prima parte si sofferma proprio sui pensieri e sulle preoccupazioni di Niall,
permettendoci di scoprire qualcosa in più sulla sua personalità.
Bene bene, per il resto vediamo la solita simpaticissima (?) Millie e gli adorabilissimi (??) Zayn e Liam, ormai sempre più amiconi.XD
Per quanto riguarda Louis e Bree... beh, diciamo che Bree è un po' stravagante, forse troppo delle volte,
ma non preoccupatevi perché per Louis ci sono altre cose in arrivo!ù.ù
By the way, Audrey si fa sempre più vicina alla sorellina, sarà che le circostanze lo impongono, però almeno è qualcosa!
Ringrazio immensamente chi legge, segue, ricorda e preferisce!! <3 Grazie mille davvero!!
Vi invito a lasciare un commentuccio o magari dei consigli... insomma, se siete arrivate fin qui, ormai è quasi fatta!xD
Alla prossima,
Astrea_