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Autore: Carlos Olivera    31/08/2008    3 recensioni
Un lavoro finito in tragedia, una famiglia distrutta, e un dolore che solo la morte potrà sanare.
Un ragazzo disperato cerca la sua vendetta, la vendetta è la sua unica amica, la sua ragione di vita.
In un mondo governato dalla violenza, egli stesso la userà per infliggere il giusto castigo agli artefici del suo dolore, imprigionandoli in un incubo surreale che dovrà spingerli ad uccidersi tra di loro.
Un solo nemico.
La Lagoon Company.
Una fiction che avevo in mente già da tempo, e che per adesso è ancora in fase di sviluppo. Verso la fine dovrebbe essere anche un po' Rock/Revy. Buona lettura!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Roanapur, due giorni dopo

 

Un’altra giornata volgeva al termine, il sole ormai morente gettava i suoi ultimi raggi su Roanapur e sul suo bellissimo mare, che ben poco aveva da spartire in una città dove regnavano solamente sangue, violenza e corruzione.

  La Lagoon stava quasi per rientrare al porto dopo l’ennesimo incarico, uno dei pochi che si fosse concluso senza alcun bisogno di sparare un colpo, con grande dispiacere per qualcuno ma con altrettanta soddisfazione per qualcun altro.

  Per la compagnia le cose non erano mai andate così bene: il lavoro non mancava, i soldi arrivavano a fiumi, e di tempo per sbronzarsi ce n’era che si sprecava.

  Benny Boy si tolse le cuffie della radio e le gettò sulla scrivania, dandosi poi una sonora stiracchiata; tutto quel tempo seduto non gli faceva certamente bene.

  «Accidenti, sono a pezzi.» mugugnò tra sé «Meno male che anche oggi è finita

  «Dacci un taglio con le lamentele.» disse Revy lanciandogli una birra che lui prese al volo «Chi deve lamentarsi sono io. A conti fatti, avrei fatto meglio a restarmene a casa.»

  «Perché, non ti sei divertita?» domandò Dutch dalla cabina di pilotaggio

  «E me lo chiedi? Quegli stronzi si sono arresi alla prima minaccia! Avrebbero anche potuto accennare una fuga o roba del genere. Almeno avrei potuto sventolare qualche raffica.»

  «Revy, sei sempre la solita.» commentò il gigante nero accendendosi la decima sigaretta delle ultime tre ore «Ascolta, meno problemi ci creiamo coi nostri lavori più facile è che ce ne vengano affidati degli altri. Se non siamo costretti ad usare la forza tanto meglio, più soldi per noi e la vita per loro.»

  «Fingo di non averti sentito».

  Del tutto esente da questi discorsi, Rock se ne rimaneva seduto a prua con la birra in mano, contemplando quei piccoli spettacoli naturali che solo lui in tutto il gruppo sembrava in grado di apprezzare appieno.

  Il porto di Roanapur si faceva sempre più vicino, e molto probabilmente la giornata si sarebbe conclusa con l’ennesima bevuta di gruppo allo Yellow Flag.

  Che ne era stato della sua vita?

  Più di una volta quel panorama lo aveva spinto a riflettere su ciò che lo aveva portato laggiù, in quel piccolo angolo di sud-est asiatico dimenticato da Dio e dalla legge, e malgrado, fin dal suo ingresso nella Lagoon Company, avesse sempre cercato di farsi valere, sfruttando al meglio quelle capacità di diplomatico e negoziatore che solo lui possedeva, ogni tanto si domandava cosa ci facesse in un posto simile.

  Alla fine aveva capito che quello che Revy gli ripeteva continuamente era vero; avrebbe fatto meglio a tornarsene in Giappone, a rifarsi una vita, gettandosi alle spalle i panni del mercenario e del pirata che proprio non gli si confacevano, per quanto cercasse di dimostrare il contrario.

  Aveva preso una decisione, e quella sera ne avrebbe fatto partecipe il resto della squadra.

  Era affezionato ai suoi compagni, non poteva negarlo, ma sentiva la mancanza della sua vecchia vita, che a dispetto di quello che Revy o Dutch potevano dire gli era piaciuta fino a quando ci era stato dentro: una casa decente, un lavoro tutto sommato rispettabile, e una relativa tranquillità.

  «Ehi, Rock? Hai intenzione di stare lì impalato per tutta la sera?».

  Riavutosi dai suoi pensieri, Rock si accorse che la Lagoon era già entrata in porto e aveva gettato le ancore; Revy e gli altri lo osservavano dalla banchina.

  «Muovi quel culo da giapponese e vieni qui!»

  «Faresti meglio a darle retta.» disse Benny «Stasera Revy è decisamente di cattivo umore.»

  «Sì… arrivo…».

  Uscirono dal molo e salirono in macchina, ma girare per le strade di Roanapur non faceva altro che contribuire ad aumentare la frustrazione del colletto bianco, sempre più taciturno.

  «Ehi Rock, che ti succede?» domandò Benny «Sei così silenzioso. C’è qualcosa che non va’

  «Do’ quest’impressione?»

  «Tieni.» disse Dutch passandogli una sigaretta «Una fumata e passa tutto».

  Rock raccolse il consiglio e aspirò abbondantemente, disperdendo nella macchina una nuvola di fumo che molti avrebbero trovato sgradevole, ma che quel quartetto di persone respirava più dell’aria comune.

 

Una breve sosta in ufficio, poi la squadra si concesse la solita puntatina allo Yellow Flag, infestato come al solito da gentaglia della peggior specie: colombiani, cinesi, russi, giapponesi, italiani.

  Roanapur era praticamente la Mecca delle peggiori mafie del mondo, un covo di tagliagole che uccidevano per puro diletto o al minimo sgarro.

  Paradossalmente, tutti lì si sentivano al sicuro, soprattutto la gente comune: bastava farsi i fatti propri, fare buon viso a cattivo gioco pagando qualche pizzo, fare il gioco delle tre scimmiette per tutto quello che succedeva e si poteva stare tranquilli, se i mafiosi poi volevano massacrarsi a vicenda affari loro.

  E la Lagoon Company in tutto questo ci nuotava in modo a dir poco vergognoso: un lavoro valeva l’altro, e se si trattava di violare la legge, come accadeva quasi sempre, tanto meglio, più divertimento e più soldi.

  E la compagnia aveva le mani in pasta praticamente dovunque: mercato nero, contrabbando, spaccio, rapimenti, furti su commissione e, qualcuno andava dicendo, anche omicidi.

  La media era di due lavori a settimana, e più della metà erano tutt’altro che legali.

  Del resto se si era in rapporti con Hotel Moskow non si poteva certo dire di frequentare buone compagnie; Balalaika, il capo dell’organizzazione, era ricercata dai servizi segreti di mezzo mondo, oltre che dall’Interpol, e anche qualche membro della Lagoon figurava sul libro nero dei ricercati.

  Proprio per questo avevano cercato scampo lì, in quello sputo di terra al confine con l’Inferno, l’ultimo posto al mondo dove si credeva che il maglio della giustizia potesse andare a colpire.

  Revy tracannò in un sol colpo un bicchiere di rum, riempiendolo subito dopo come se fosse stato acqua.

  «Ah, devo affogare i miei dispiaceri. Ormai sono giorni che non abbiamo l’occasione di menare le mani».

  Rock però, che pure solitamente sembrava divertirsi in quella specie di festini, continuava a rimanere sulle sue, e da che erano arrivati non aveva bevuto neppure un sorso.

  «Senti Rock, se continui di questo passo dovrò pensare che tu sia morto».

  Ormai non poteva più rimandare; se lo stava tenendo dentro da troppo tempo, e sentiva che sarebbe impazzito se non lo avesse esternato.

  «Sentite.» disse di colpo, nell’unico momento in cui nessuno dei suoi compagni si stava preoccupando di lui «C’è una cosa che dovrei dirvi».

  Dutch e Benny, sentendo il suo tono di voce, capirono subito che si trattava di qualcosa di serio, ma non Revy, che al contrario sfoderò la sua pungente ironia.

  «Che sei un finocchio? Tranquillo, questo si sapeva.»

  «È una cosa seria!» tuonò Rock con foga e rabbia tale che persino Two Hands, alla fine, si decise a comportarsi seriamente.

  Rock si decise finalmente a bere un sorso di rum, poi prese a girare il suo indice destro tutto attorno al bordo del bicchiere, mentre gli sguardi di Revy e degli altri si concentravano su di lui.

  «È già da un po’ di tempo che rifletto su questa cosa. Avrei voluto parlarvene prima, ma non trovavo la forza per farlo».

  Per qualche secondo il colletto bianco esitò, poi strinse i denti e cercò di cacciare fuori quelle poche ma importanti parole.

  «La verità è che io voglio…».

  Sfortunatamente, fu il destino a stabilire che quella conversazione non vedesse mai arrivare il momento fatidico, perché venne troncata all’improvviso da un rumore sordo e molto forte alle spalle della comitiva, facilmente riconoscibile come quello delle porte del locale che venivano violentemente spalancate.

  Non solo la Lagoon Company, ma tutti gli avventori del locale si girarono verso l’ingresso, incrociando lo sguardo vuoto e il volto marmoreo di un ragazzo venticinquenne con folti capelli neri che portava un giubbotto col collo di pelo ed un paio di jeans.

  Mentre tutti lo guardavano lui restò un momento immobile, poi mosse alcuni passi avanti mentre le porte, come animate di vita propria, si chiudevano alle sue spalle, malgrado Tao, il proprietario, non ricordasse di averle mai dotate di molla o di chiusura automatica.

  «E quello chi diavolo è?» domandò Revy

  «Non ne ho idea.» rispose Dutch «Non l’ho mai visto».

  Si respirava una strana atmosfera; era solo un ragazzo, ma per qualche strano motivo aveva un che di minaccioso, di oscuro, e per chi poteva sentirlo emanava odore di morte più dei peggiori sicari.

  Abbassò la testa e mosse le labbra.

  «Feccia.» sussurrò.

  Quella sola parola fu più che sufficiente per trasformare gli sguardi incuriositi in sguardi minacciosi, e l’aria di colpo cominciò a farsi pesante.

  Tao si affrettò a nascondersi sotto al bancone, Dutch e Revy misero una mano sul calcio delle loro pistole, non perché volessero sparare al forestiero, quanto piuttosto per proteggersi da quello che immaginavano stesse per accadere.

  «Non siete altro che feccia.»

  «Che cos’hai detto?» gridò un colombiano alzandosi dalla sua sedia, imitato presto da molti altri

  «Ecco fatto.» disse Revy «È morto».

  Un altro avventore, stavolta un drogato del posto, afferrò il revolver che portava alla cintura, ma prima che potesse puntarlo si ritrovò un coltello di tre o quattro centimetri conficcato nel mezzo della fronte.

  Stessa sorte per un cinese, e nello spazio di due secondi le mani dello straniero, scomparse dietro la sua schiena, riapparvero con una coppia di Spectre M4 Beretta da cinquanta colpi ognuna.

  Fiumi di proiettili presero a piovere sugli ospiti del bar, molti dei quali caddero nei primi cinque secondi d’inferno; qualcuno, agendo d’anticipo, fece in tempo a ribaltare un tavolo da usare come scudo, l’intera Lagoon Company invece corse a nascondersi dietro al bancone antiproiettile al quale erano seduti fino ad un istante prima e trovarono Tao già con in mano il suo shot-gun.

  «Ma perché cose simili succedono sempre nel mio locale!»

  «Dacci un taglio!» rispose Revy «Mi pare che qui siamo tutti sulla stessa barca!»

  «Ma chi diavolo è quello?» chiese Benny mettendosi le mani in testa

  «Chiunque sia una cosa è certa, non uscirà vivo da qui dopo questa bravata!».

  Continuò a sparare per interminabili secondi, compiendo una vera e propria strage; i proiettili delle sue armi dovevano avere la testa di titanio, perché bucavano anche i tavoli più spessi, uccidendo quelli nascosti dall’altra parte prima che potessero rendersene conto.

  Poi, finalmente, i caricatori si esaurirono, e l’inferno cessò. Le sue Beretta fumavano come tizzoni ardenti, e l’aria era satura dell’odore del sangue misto a quello della polvere da sparo.

  Il silenzio, di colpo, si era fatto totale, e sembrava che non una sola persona in quel bar fosse sopravvissuta.

  Rock, che ancora si rammaricava per non essere riuscito a dire ciò che voleva, diede una sbirciata all’esterno, e tutto quello che vide fu una immensa distesa di cadaveri.

  Lo straniero era sempre lì, in piedi davanti alla porta, con in mano le sue armi ormai scariche che fumavano abbondantemente per le numerose raffiche sparate in rapida successione.

  Sfruttando il riflesso delle poche bottiglie rimaste intatte sul ripiano di legno Dutch riuscì a gettare uno sguardo sicuro al di là del bancone, e altrettanto fece Revy, che non aspettava altro che di poter rendere il favore a quel pazzoide.

  «Lagoon Company!» gridò lo straniero liberandosi delle armi «Non vi farete certo ammazzare per così poco! Mettete fuori quei vostre facce da stronzi, che ve le sfondo!»

  «Dannazione, allora quello ce l’ha proprio con noi!» disse Benny.

  Incredibilmente anche qualcun altro era sopravvissuto, un cinese che si era nascosto dietro ad una colonna, e non appena si avvide che lo straniero era disarmato uscì dal suo nascondiglio puntandogli contro la sua beretta.

  «Muori!» urlò, e subito dopo partì un colpo.

  Il tempo sembrò fermarsi all’interno dello Yellow Flag; Revy e Rock, che avevano assistito alla scena, rimasero con la bocca spalancata, e anche il cinese, che per lo sgomento e la tremarella vide l’arma cadergli di mano.

  Come era possibile?

  Fu quello che si domandarono tutti.

  Lo straniero era lì, e anche la pallottola era lì, ferma davanti al suo viso marmoreo, come se qualcosa avesse bloccato la sua corsa.

  «Ma che diavolo…» balbettò Dutch dopo aver visto a sua volta quella scena ai limiti del razionale.

  Il cinese tremò ancor più di prima, mosse un passo indietro come a voler fuggire, e allora lo straniero aggrottò le sopracciglia; a quel gesto, la pallottola ancora sospesa in aria partì nella direzione opposta con la stessa velocità di prima, colpendo il cinese dritto al collo e lasciandolo morto a terra dopo averlo scaraventato lontano per il contraccolpo.

  «Questa…» disse Rock sgomento «È stregoneria…».

  A quel punto il giovane si concentrò nuovamente sui membri della Lagoon.

  «Adesso tocca a voi».

  Revy a quel punto perse l’indirizzo di casa, e messo mano alle sue due bambine si mise con un piede sopra il bancone.

  «Schiva queste se ci riesci!» gridò svuotandogli contro i caricatori.

  Il risultato, però, fu esattamente lo stesso. Le pallottole che non si fermavano cambiavano improvvisamente la loro traiettoria, andando a conficcarsi nel muro o sul soffitto, questo oltretutto senza che il nemico muovesse un muscolo.

  Servirono solo pochi secondi perché Revy e Dutch, accorso in suo aiuto, esaurissero le munizioni, e allora tutti quei colpi che ancora rimanevano fermi davanti al forestiero caddero inerti ai suoi piedi.

  «Ma dove siamo qui, su Matrix?» domandò Benny

  «Immagino lo abbiate capito.» disse vedendo le loro facce sgomente «Con me queste cose sono inutili. Permettetevi di darvi un altro assaggio di quello che posso fare».

  Il ragazzo strinse i pugni sollevando violentemente le braccia, e sembrò che nel locale si fosse abbattuto un tifone; tavoli e sedie volarono, muri e soffitto si riempirono di crepe, piovvero calcinacci e il parquet andò letteralmente in pezzi, come sventrato da un’esplosione.

  Il vento era così forte che Revy e Dutch furono scaraventati contro la parete alle loro spalle, e perfino il bancone cominciò ad emettere preoccupanti scricchiolii che fecero scappar via Tao a gambe levate.

  «Dobbiamo andarcene di qui alla svelta!» disse Benny

  «Sono d’accordo.» rispose Dutch mettendo mano ad una granata fumogena.

  Il gigante nero aspettò che la tempesta si acquietasse un po’ prima di lanciarla, e subito lo Yellow Flag fu avvolto da una spessa cortina di fumo.

  «Presto, approfittiamone!».

  I quattro compagni colsero al volo l’occasione e, seguendo il loro istinto, corsero verso il punto in cui sapevano esserci l’uscita, pregando iddio di non ritrovarsi faccia a faccia con quella specie di mostro.

  Ed infatti, dopo pochi secondi, Dutch vide le porte comparirgli davanti, e senza indugio le sfondò, ritrovandosi all’esterno del locale.

  «Presto, raggiungiamo la Lagoon e andiamocene, prima di trovarcelo nuovamente addosso!».

  Tutti insieme corsero verso la macchina, che si trovava dall’altra parte della strada, ma un istante prima che potessero raggiungerla una scarica di mitra investì l’autoveicolo, disintegrando un paio di finestrini e facendo una bella serie di buchi sulla fiancata.

  Rock e Dutch, che stavano dalla parte da cui erano venuti i colpi, fecero appena in tempo a buttarsi dietro la macchina prima di finire crivellati.

  In mezzo alla strada, come un gangster degli anni ‘30, era comparso il biondo in camicia nera, con un AK47 per ogni mano.

  «Voi non andrete da nessuna parte, bastardi della Lagoon!»

  «Ma stasera ce l’hanno proprio tutti con noi!» disse Dutch mettendo nuovamente mano alla sua magnum «Bennyboy, tieniti pronto a partire!»

  «D’accordo.»

  «Pronta Revy

  «Tu che dici?» rispose lei sfoderando il suo sguardo sadico.

  Con un sincronismo quasi perfetto i due scattarono in opposte direzioni, e presero a sputare proiettili sul nuovo avversario, che a differenza del primo non sembrava in grado di fermarle, tanto che si mise a correre e a saltare per poterle evitare.

  La sua agilità, però, aveva del prodigioso, compiva salti di parecchi metri che neanche un campione olimpico sarebbe stato in grado di fare, correndo oltretutto ad una velocità fuori dal comune.

  Dutch, ovviamente, esaurì per primo il suo caricatore, e dovette nascondersi dietro ad una macchina per poterlo ricaricare; Revy gli offriva copertura sparando all’impazzata, ma tutti i suoi colpi andavano miseramente a vuoto, facendola infuriare oltre ogni limite.

  «Bastardo, ti decidi a stare fermo?» urlò la ragazza ricaricando le sue armi

  «Che c’è, Two-Hands?» disse il biondino da dietro una palma «È tutta qui la tua mira infallibile?»

  «Tra poco la smetterai di fare lo spiritoso, stronzo».

  In quella Billy accecò l’assalitore coi fari della macchina, e per poco non riuscì anche a metterlo sotto, ma questi spiccò uno dei suoi salti mettendosi in salvo, dando però a Revy e Dutch il tempo sufficiente per battere in ritirata.

  Provò a sparargli contro mentre scappavano, ma riuscì solo a distruggere un fanalino posteriore, e nello spazio di un secondo i membri della Lagoon erano spariti.

  «Dannazione.» mugugnò stringendo i denti.

  Passarono alcuni secondi, e dal fumo che ancora saturava il locale uscì il giovane dai capelli neri, che si avvicinò al suo compagno guardandolo seriamente.

  «Mi dispiace Kyuzo. Sono riusciti a sfuggirmi.» si giustificò il biondo

  «Non importa. Non andranno comunque lontano. Troviamoli e massacriamoli».

 

Dutch e gli altri convennero sul fatto che l’unico modo per sfuggire a quelle due furie scatenate era lasciare Roanapur il più velocemente possibile.

  L’idea di scappare con la coda fra le gambe era insopportabile, soprattutto per Revy, ma del resto non si poteva fare granché per contrastare uno in grado di fermare le pallottole e scatenare esplosioni semplicemente stringendo i pugni.

  Era una di quelle situazioni in cui non ci si vorrebbe mai venire a trovare, e tutti in quella macchina erano consapevoli che quel tipo, chiunque fosse, non si sarebbe dato pace fino a che non li avesse stanati e uccisi, quindi, per il momento, la sola cosa da fare era nascondersi.

  Contrariamente a quanto avrebbero immaginato raggiunsero il porto senza problemi, e lasciata la macchina si imbarcarono in tutta fretta sulla Lagoon, puntando immediatamente verso al largo.

  Appena furono ad un paio di miglia dalla costa, Rock tirò un sospiro di sollievo.

  «Sembra che siamo riusciti a sfuggirgli.»

  «Non cantare vittoria troppo presto.» replicò Revy frugando nel contenitore delle armi pesanti «Potrebbe essere solo l’inizio».

  Two-Hands cavò fuori un fucile d’assalto e un RPG carico.

  «E ora Dutch, dove pensi di andare?»

  «A Bangkok. È il solo posto dove mi sentirò un po’ più al sicuro. Accidenti, non riesco ancora a capacitarmi di quello che ho visto.»

  «Quel tipo…» balbettò Rock con la testa mezza nascosta fra le ginocchia «Non era umano…»

  «Adesso non fatevi prendere dalla tremarella.» disse Revy con falsa sicurezza «Avrà usato qualche trucchetto da showman per impressionarci.»

  «Trucchetto lo chiami!? Ma hai visto quello che faceva?»

  «Allora sentiamo, che spiegazione hai tu?»

  «Piantatela voi due!» tuonò Dutch «Sono d’accordo con Rock, non si trattava di una messinscena. Ci sarà sicuramente una spiegazione, ma sinceramente non ho alcuna intenzione di tornare indietro a chiedergliela.»

  «In ogni caso…» riprese Rock col suo solito tuono pacato e riflessivo «Quello non aveva l’aria di un comune killer.»

  «Sì, hai ragione. I suoi occhi avevano la tipica luce degli assassini a sangue freddo, ma non dava l’aria di essere uno a cui piace fare cose simili.»

  «Di certo non deve preoccuparsi delle conseguenze delle sue azioni.» disse Benny dalla sala computer «Con tutta la brava gente che c’era allo Yellow Flag le mafie di mezzo mondo andranno su di giri entro le prossime sei ore, ma uno a cui le pallottole fanno un baffo non deve neanche porsi il problema».

  Prima ancora che l’americano potesse ridere alla sua stessa battuta, la sua attenzione fu attratta da un segnale radio proveniente dal computer.

  «Imbarcazione in avvicinamento rapido!»

  «Che direzione?» domandò Dutch

  «Sud sud-ovest. Credo venga da Roanapur».

  Revy corse su per la scaletta metallica e si affacciò dal boccaporto sul tetto della Lagoon, scorgendo in lontananza la scia di una barca lanciata a tutta velocità. Mise quindi mise mano al binocolo a vista notturna per capire meglio chi fosse a pilotarlo, pregando il cielo che non fosse chi tutti lì dentro temevano, ma purtroppo, aumentando la potenza delle lenti, fu proprio il volto del giovane dai capelli neri a pararsi dinnanzi a lei.

  «Merda! È lui!».

  Kyuzo era in piedi sulla prua di un grosso motoscafo bimotore guidato dal suo compagno biondo.

  «Eccoli, sono loro! Steven, raggiungiamoli!»

  «Con piacere!» rispose l’amico mandando l’imbarcazione a tutta manetta

  «Merda!» disse Dutch «È testardo quel moccioso. In confronto a lui, il tirannosauro di Jurassic Park era un animaletto da giardino!»

  «Rock! Il lanciarazzi, presto!»

  «Eccolo!» rispose il giapponese passando l’arma alla sua compagna.

  Revy rimosse la sicura all’RPG e prese bene la mira puntando al motoscafo.

  «Bene, prova a evitare questo se ci riesci!».

  Il razzo partì, e sembrò proprio che il nemico non fosse in grado di respingerlo, tant’è che rimase immobile, senza perdere però il suo sguardo di ghiaccio.

  «Steven. È tuo.»

  «D’accordo».

  Il biondo, impostata la guida automatica, prese dalla valigetta di emergenza una pistola di segnalazione e vi caricò un razzo che appena sparato si trasformò in una palla luminosa di colore rosso acceso.

  L’RPG, attirato dalla luce e dal calore, modificò la propria traiettoria, esplodendo in aria molto distante dal motoscafo, che continuò imperterrito la sua corsa.

  «Maledizione!» imprecò Revy «Sono furbi quei bastardi! Rock, il lanciagranate!»

  «Subito!».

  L’arma che Rock diede alla sua compagna era provvista di caricatore a tamburo da dodici colpi armato con granate al napalm altamente infiammabile, in grado di bruciare persino nell’acqua.

  Ne sparò tre una dietro l’altra, rischiando fra le altre cose il surriscaldamento del fucile, che aveva bisogno di qualche secondo prima di essere in grado di sparare nuovamente, ma riuscire ad averla vinta su quella specie di superman era un traguardo che per nulla al mondo avrebbe voluto mancare.

  Essendo granate di un certo peso Revy le lanciò verso l’alto, studiando con precisione a dir poco estrema la parabola che avrebbero dovuto percorrere per infrangersi sul motoscafo degli inseguitori e ridurlo ad una torcia nella notte chiara del Golfo di Thailandia.

  Steven, con le sue abilità di pilota, fu in grado di evitarne due, che presero fuoco appena toccata l’acqua del mare, ma la terza minacciò di colpirli.

  «Kyuzo, il tuo aiuto ci farebbe comodo.»

  «Ok».

  Il ragazzo alzò il violentemente braccio destro, e immediatamente una colonna d’acqua si sollevò dalla superficie, inglobando la granata e sparandola verso l’alto, dove esplose senza provocare nulla più che una pioggerella rinfrescante e un fantastico spettacolo pirotecnico.

  «Merda!» gridò Revy «Ma chi cazzo è quello?»

  «Ehi, Kyuzo!» disse in quella Steven «Dicono che la Lagoon sia una barca inaffondabile!»

  «Davvero? Vediamo se è la verità!».

  Nuovamente Kyuzo agitò le braccia, ma stavolta, invece di una colonna, si sprigionò un enorme, gigantesco muro d’acqua, alto almeno sei metri e con un fronte che superava i dieci, mentre tutto attorno il mare continuava incredibilmente a rimanere liscio come una tavola.

  Era davvero troppo, anche per tutto quello che avevano visto fino a quel momento, e Revy rimase così impressionata che la sigaretta le scivolò via dalla bocca.

  «Tsunami!» gridò a pieni polmoni

  «Revy, presto rientra!» le disse Dutch, e lei praticamente si buttò sopra Rock, ancora fermo ai piedi della scaletta «Chiudete quel boccaporto, o finiremo affogati!».

  Rock si affrettò ad obbedire serrando in tutta fretta la paratia, e contemporaneamente Dutck mise la nave a piena potenza nel tentativo di sfuggire a quell’onda anomala che appena generata aveva preso ad viaggiare verso di loro a incredibile velocità.

  Man mano che si avvicinava alla Lagoon, l’onda cominciò a modificare la sua forma, descrivendo un’ampia curva tutto intorno alla barca, come a volerle impedire un qualsiasi tentativo di fuga.

  Prima che Revy e gli altri potessero rendersene conto, la loro barca venne travolta dalla potenza dello tsunami e dopo essere stata sollevata precipitò nuovamente verso il basso, perforando l’acqua con la prua e affondando per parecchi metri.

  Tutti e quattro i compagni si ritrovarono catapultati in avanti, Benny addirittura perse i sensi battendo la testa contro la radio.

  «Dannazione!» disse Revy sorreggendosi ai pioli della scaletta «Se la barca si capovolge siamo morti!»

  «Tranquilla, non succederà!» rispose Dutch pigiando due bottoni.

  Ringraziando il cielo, Bennyboy aveva da poco installato, in memoria anche di altre brutte esperienze avute dalla compagnia, un sistema di propulsori installati sulla chiglia dell’imbarcazione; erano in tutto quattro, due a prua e due a poppa, e ognuno di essi era collegato ad una bombola di aria compressa.

  Il sistema era stato pensato per attutire eventuali salti fuori programma, ma poteva tornare utile anche in quella situazione.

  Ogni valvola di sicurezza era legata ad un bottone del pannello di controllo, e dopo che Dutch ebbe premuto quei due dalle bocchette di prua uscirono potenti getti d’aria che rimisero la Lagoon in orizzontale, permettendole di riaffiorare nella giusta posizione.

  «Accidenti.» disse scherzosamente Steven vedendo la barca riaffiorare nuovamente «Hanno sette vite come i gatti.»

  «I membri della Lagoon non sono certo prede da poco. Sapevamo che avrebbero venduto cara la pelle».

  Due secondi dopo Revy, ormai completamente fuori di sé, sbucò dal boccaporto con in mano un grosso fucile semiautomatico.

  «Va’ all’inferno, maledetto mostro!»

  «Revy, sta attenta!» disse inutilmente Rock, ma ormai era tutto inutile.

  Il copione fu esattamente lo stesso delle volte precedenti. I proiettili rimbalzavano davanti a Kyuzo come se lui avesse avuto davanti una barriera invisibile.

  Questo però non faceva demordere minimamente Two-Hands, che però ormai sparava guidata solo dall’istinto, non più dalla ragione.

  Poi, d’un tratto, il suo fucile ebbe un violento contraccolpo in avanti, come se qualcuno stesse cercando di strapparglielo di mano.

  «Ma che…».

  La scena si ripeté più volte, Revy cercò di opporre resistenza, ma poi l’arma volò letteralmente via dalla sua mano, raggiungendo quella di Kyuzo, ancora in piedi a una ventina di metri da lei dopo che Steven aveva fermato il motoscafo.

  Malgrado quel fucile pesasse più di due chili il giovane lo sollevò con una sola mano senza alcuna fatica, e piegando leggermente la testa sembrò prendere la mira.

  Subito dopo l’aria fu sventrata dal rumore di uno sparo, e Revy di colpo sgranò i suoi grandi occhi scuri socchiudendo leggermente la bocca in un rantolo soffocato, poi il suo volto si fece di pietra.

  Prima ancora che gli cadesse nuovamente sopra, Rock avvertì distintamente caldi schizzi di sangue sulle mani e sulla fronte, e quando si ritrovò seduto per terra con lei fra le braccia anche la sua bella camicetta bianca si tinse del sangue che usciva copioso dal fianco destro della sua compagna.

  «Revy! Revy!» urlò con gli occhi pieni di lacrime.

 

 

Nota dell’Autore. Salve a tutti. Chiedo scusa per questa lunga assenza, ma subito dopo aver pubblicato il primo capitolo sono partito per le vacanze, e appena tornato mi sono dedicato prevalentemente all’altra fic che sto portando avanti. Da ora in poi cercherò di aggiornare con più frequenza, e anticipo fin da ora che questa storia non dovrebbe durare oltre i dieci capitoli.

Ringrazio Beat, Lady Inuyashina e Atlantislux per le loro recensioni, e Andrea83 per aver inserito la fiction fra le preferite.

A presto

Carlos Olivera

 

  
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