1
Roanapur, due giorni dopo
Un’altra giornata volgeva al termine, il sole ormai
morente gettava i suoi ultimi raggi su Roanapur e sul
suo bellissimo mare, che ben poco aveva da spartire in una città dove regnavano
solamente sangue, violenza e corruzione.
Per la compagnia
le cose non erano mai andate così bene: il lavoro non mancava, i soldi
arrivavano a fiumi, e di tempo per sbronzarsi ce n’era che si sprecava.
Benny Boy si tolse
le cuffie della radio e le gettò sulla scrivania, dandosi poi una sonora
stiracchiata; tutto quel tempo seduto non gli faceva certamente bene.
«Accidenti, sono a
pezzi.» mugugnò tra sé «Meno male che anche oggi è finita.»
«Dacci un taglio
con le lamentele.» disse Revy lanciandogli una birra
che lui prese al volo «Chi deve lamentarsi sono io. A
conti fatti, avrei fatto meglio a restarmene a casa.»
«Perché, non ti
sei divertita?» domandò Dutch dalla cabina di pilotaggio
«E
me lo chiedi? Quegli stronzi si sono arresi alla prima minaccia! Avrebbero
anche potuto accennare una fuga o roba del genere. Almeno avrei potuto
sventolare qualche raffica.»
«Revy, sei sempre la solita.» commentò il gigante nero
accendendosi la decima sigaretta delle ultime tre ore «Ascolta, meno problemi
ci creiamo coi nostri lavori più facile è che ce ne
vengano affidati degli altri. Se non siamo costretti ad
usare la forza tanto meglio, più soldi per noi e la vita per loro.»
«Fingo di non
averti sentito».
Del tutto esente
da questi discorsi, Rock se ne rimaneva seduto a prua con la birra in mano,
contemplando quei piccoli spettacoli naturali che solo lui in tutto il gruppo
sembrava in grado di apprezzare appieno.
Il porto di Roanapur si faceva sempre più vicino, e molto probabilmente
la giornata si sarebbe conclusa con l’ennesima bevuta
di gruppo allo Yellow Flag.
Che ne era stato
della sua vita?
Più di una volta
quel panorama lo aveva spinto a riflettere su ciò che lo aveva portato laggiù,
in quel piccolo angolo di sud-est asiatico dimenticato da Dio e dalla legge, e
malgrado, fin dal suo ingresso nella Lagoon Company,
avesse sempre cercato di farsi valere, sfruttando al meglio quelle capacità di
diplomatico e negoziatore che solo lui possedeva, ogni tanto si domandava cosa
ci facesse in un posto simile.
Alla fine aveva
capito che quello che Revy gli ripeteva continuamente
era vero; avrebbe fatto meglio a tornarsene in Giappone, a rifarsi una vita,
gettandosi alle spalle i panni del mercenario e del pirata che proprio non gli
si confacevano, per quanto cercasse di dimostrare il contrario.
Aveva preso una
decisione, e quella sera ne avrebbe fatto partecipe il resto della squadra.
Era affezionato ai
suoi compagni, non poteva negarlo, ma sentiva la mancanza della sua vecchia
vita, che a dispetto di quello che Revy o Dutch potevano dire gli era piaciuta
fino a quando ci era stato dentro: una casa decente, un lavoro tutto sommato
rispettabile, e una relativa tranquillità.
«Ehi,
Rock? Hai intenzione di stare lì impalato per tutta la sera?».
Riavutosi dai suoi
pensieri, Rock si accorse che
«Muovi quel culo da giapponese e vieni qui!»
«Faresti meglio a
darle retta.» disse Benny «Stasera Revy è decisamente di cattivo umore.»
«Sì… arrivo…».
Uscirono dal molo
e salirono in macchina, ma girare per le strade di Roanapur
non faceva altro che contribuire ad aumentare la frustrazione del colletto
bianco, sempre più taciturno.
«Ehi Rock, che ti
succede?» domandò Benny «Sei così silenzioso. C’è
qualcosa che non va’?»
«Do’
quest’impressione?»
«Tieni.» disse Dutch passandogli una sigaretta «Una fumata e passa tutto».
Rock raccolse il
consiglio e aspirò abbondantemente, disperdendo nella macchina una nuvola di
fumo che molti avrebbero trovato sgradevole, ma che quel quartetto di persone
respirava più dell’aria comune.
Una breve sosta in ufficio, poi la squadra si concesse la
solita puntatina allo Yellow Flag,
infestato come al solito da gentaglia della peggior specie: colombiani, cinesi,
russi, giapponesi, italiani.
Roanapur era praticamente
Paradossalmente,
tutti lì si sentivano al sicuro, soprattutto la gente comune: bastava farsi i
fatti propri, fare buon viso a cattivo gioco pagando
qualche pizzo, fare il gioco delle tre scimmiette per tutto quello che
succedeva e si poteva stare tranquilli, se i mafiosi poi volevano massacrarsi a
vicenda affari loro.
E
E la compagnia
aveva le mani in pasta praticamente dovunque: mercato
nero, contrabbando, spaccio, rapimenti, furti su commissione e, qualcuno andava
dicendo, anche omicidi.
La media era di
due lavori a settimana, e più della metà erano tutt’altro che legali.
Del resto se si
era in rapporti con Hotel Moskow
non si poteva certo dire di frequentare buone compagnie; Balalaika, il capo
dell’organizzazione, era ricercata dai servizi segreti di mezzo mondo, oltre
che dall’Interpol, e anche qualche membro della Lagoon figurava sul libro nero dei ricercati.
Proprio per questo
avevano cercato scampo lì, in quello sputo di terra al confine con l’Inferno,
l’ultimo posto al mondo dove si credeva che il maglio
della giustizia potesse andare a colpire.
Revy tracannò in un sol colpo un bicchiere di rum,
riempiendolo subito dopo come se fosse stato acqua.
«Ah,
devo affogare i miei dispiaceri. Ormai sono giorni che non abbiamo l’occasione
di menare le mani».
Rock però, che
pure solitamente sembrava divertirsi in quella specie di festini, continuava a
rimanere sulle sue, e da che erano arrivati non aveva bevuto neppure un sorso.
«Senti Rock, se
continui di questo passo dovrò pensare che tu sia
morto».
Ormai non poteva
più rimandare; se lo stava tenendo dentro da troppo tempo, e sentiva che
sarebbe impazzito se non lo avesse esternato.
«Sentite.» disse
di colpo, nell’unico momento in cui nessuno dei suoi compagni si stava
preoccupando di lui «C’è una cosa che dovrei dirvi».
Dutch e Benny, sentendo il suo tono di voce, capirono
subito che si trattava di qualcosa di serio, ma non Revy,
che al contrario sfoderò la sua pungente ironia.
«Che
sei un finocchio? Tranquillo, questo si sapeva.»
«È una cosa
seria!» tuonò Rock con foga e rabbia tale che persino Two
Hands, alla fine, si decise a comportarsi seriamente.
Rock si decise
finalmente a bere un sorso di rum, poi prese a girare il suo indice destro
tutto attorno al bordo del bicchiere, mentre gli sguardi di Revy
e degli altri si concentravano su di lui.
«È
già da un po’ di tempo che rifletto su questa cosa. Avrei voluto parlarvene
prima, ma non trovavo la forza per farlo».
Per qualche
secondo il colletto bianco esitò, poi strinse i denti e cercò di cacciare fuori
quelle poche ma importanti parole.
«La verità è che io
voglio…».
Sfortunatamente,
fu il destino a stabilire che quella conversazione non vedesse mai arrivare il
momento fatidico, perché venne troncata all’improvviso
da un rumore sordo e molto forte alle spalle della comitiva, facilmente
riconoscibile come quello delle porte del locale che venivano violentemente
spalancate.
Non solo
Mentre tutti lo guardavano lui restò un momento immobile, poi mosse alcuni
passi avanti mentre le porte, come animate di vita propria, si chiudevano alle
sue spalle, malgrado Tao, il proprietario, non ricordasse di averle mai dotate
di molla o di chiusura automatica.
«E quello chi diavolo è?» domandò Revy
«Non ne ho idea.»
rispose Dutch «Non l’ho mai visto».
Si respirava una
strana atmosfera; era solo un ragazzo, ma per qualche strano motivo aveva un
che di minaccioso, di oscuro, e per chi poteva sentirlo
emanava odore di morte più dei peggiori sicari.
Abbassò la testa e
mosse le labbra.
«Feccia.»
sussurrò.
Quella sola parola
fu più che sufficiente per trasformare gli sguardi incuriositi in sguardi minacciosi, e l’aria di colpo cominciò a farsi
pesante.
Tao si affrettò a
nascondersi sotto al bancone, Dutch
e Revy misero una mano sul calcio delle loro pistole,
non perché volessero sparare al forestiero, quanto piuttosto per proteggersi da
quello che immaginavano stesse per accadere.
«Non siete altro che feccia.»
«Che cos’hai
detto?» gridò un colombiano alzandosi dalla sua sedia, imitato presto da molti altri
«Ecco fatto.»
disse Revy «È morto».
Un altro
avventore, stavolta un drogato del posto, afferrò il revolver che portava alla
cintura, ma prima che potesse puntarlo si ritrovò un
coltello di tre o quattro centimetri conficcato nel mezzo della fronte.
Stessa sorte per
un cinese, e nello spazio di due secondi le mani dello straniero, scomparse
dietro la sua schiena, riapparvero con una coppia di Spectre
M4 Beretta da cinquanta colpi ognuna.
Fiumi di
proiettili presero a piovere sugli ospiti del bar, molti dei quali caddero nei
primi cinque secondi d’inferno; qualcuno, agendo d’anticipo, fece in tempo a
ribaltare un tavolo da usare come scudo, l’intera Lagoon
Company invece corse a nascondersi dietro al bancone antiproiettile al quale
erano seduti fino ad un istante prima e trovarono Tao
già con in mano il suo shot-gun.
«Ma perché cose
simili succedono sempre nel mio locale!»
«Dacci un taglio!»
rispose Revy «Mi pare che qui siamo tutti sulla
stessa barca!»
«Ma chi diavolo è quello?» chiese Benny mettendosi le mani in
testa
«Chiunque sia una
cosa è certa, non uscirà vivo da qui dopo questa bravata!».
Continuò a sparare
per interminabili secondi, compiendo una vera e propria strage; i proiettili
delle sue armi dovevano avere la testa di titanio, perché bucavano anche i
tavoli più spessi, uccidendo quelli nascosti dall’altra parte prima che
potessero rendersene conto.
Poi, finalmente, i
caricatori si esaurirono, e l’inferno cessò. Le sue Beretta fumavano come
tizzoni ardenti, e l’aria era satura dell’odore del sangue misto a quello della polvere da sparo.
Il silenzio, di
colpo, si era fatto totale, e sembrava che non una sola persona in quel bar
fosse sopravvissuta.
Rock, che ancora
si rammaricava per non essere riuscito a dire ciò che voleva, diede una
sbirciata all’esterno, e tutto quello che vide fu una immensa
distesa di cadaveri.
Lo straniero era
sempre lì, in piedi davanti alla porta, con in mano le
sue armi ormai scariche che fumavano abbondantemente per le numerose raffiche
sparate in rapida successione.
Sfruttando il
riflesso delle poche bottiglie rimaste intatte sul ripiano di legno Dutch riuscì a gettare uno sguardo sicuro al di là del bancone, e altrettanto fece Revy,
che non aspettava altro che di poter rendere il favore a quel pazzoide.
«Lagoon Company!» gridò lo straniero liberandosi delle armi «Non vi farete certo ammazzare per così poco! Mettete fuori quei vostre facce da stronzi, che ve le sfondo!»
«Dannazione,
allora quello ce l’ha proprio con noi!» disse Benny.
Incredibilmente
anche qualcun altro era sopravvissuto, un cinese che si era nascosto dietro ad
una colonna, e non appena si avvide che lo straniero era disarmato uscì dal suo
nascondiglio puntandogli contro la sua beretta.
«Muori!» urlò, e
subito dopo partì un colpo.
Il tempo sembrò
fermarsi all’interno dello Yellow Flag;
Revy e Rock, che avevano assistito alla scena,
rimasero con la bocca spalancata, e anche il cinese, che per lo sgomento e la
tremarella vide l’arma cadergli di mano.
Come
era possibile?
Fu quello che si
domandarono tutti.
Lo straniero era
lì, e anche la pallottola era lì, ferma davanti al suo viso marmoreo, come se
qualcosa avesse bloccato la sua corsa.
«Ma che diavolo…»
balbettò Dutch dopo aver visto
a sua volta quella scena ai limiti del razionale.
Il cinese tremò
ancor più di prima, mosse un passo indietro come a voler fuggire, e allora lo
straniero aggrottò le sopracciglia; a quel gesto, la pallottola ancora sospesa
in aria partì nella direzione opposta con la stessa velocità di prima, colpendo
il cinese dritto al collo e lasciandolo morto a terra dopo averlo scaraventato
lontano per il contraccolpo.
«Questa…» disse
Rock sgomento «È stregoneria…».
A quel punto il
giovane si concentrò nuovamente sui membri della Lagoon.
«Adesso tocca a
voi».
Revy a quel punto perse l’indirizzo di casa, e messo mano
alle sue due bambine si mise con un piede sopra il bancone.
«Schiva queste se
ci riesci!» gridò svuotandogli contro i caricatori.
Il risultato,
però, fu esattamente lo stesso. Le pallottole che non
si fermavano cambiavano improvvisamente la loro traiettoria, andando a
conficcarsi nel muro o sul soffitto, questo oltretutto senza che il nemico
muovesse un muscolo.
Servirono solo
pochi secondi perché Revy e Dutch,
accorso in suo aiuto, esaurissero le munizioni, e allora tutti quei colpi che ancora
rimanevano fermi davanti al forestiero caddero inerti ai suoi piedi.
«Ma dove siamo
qui, su Matrix?» domandò Benny
«Immagino lo
abbiate capito.» disse vedendo le loro facce sgomente «Con
me queste cose sono inutili. Permettetevi di darvi un altro assaggio di quello
che posso fare».
Il ragazzo strinse
i pugni sollevando violentemente le braccia, e sembrò che nel locale si fosse
abbattuto un tifone; tavoli e sedie volarono, muri e soffitto si riempirono di
crepe, piovvero calcinacci e il parquet andò letteralmente in pezzi, come
sventrato da un’esplosione.
Il vento era così
forte che Revy e Dutch
furono scaraventati contro la parete alle loro spalle, e perfino il bancone
cominciò ad emettere preoccupanti scricchiolii che
fecero scappar via Tao a gambe levate.
«Dobbiamo
andarcene di qui alla svelta!» disse Benny
«Sono d’accordo.»
rispose Dutch mettendo mano ad
una granata fumogena.
Il gigante nero
aspettò che la tempesta si acquietasse un po’ prima di lanciarla, e subito lo Yellow Flag fu avvolto da una
spessa cortina di fumo.
«Presto,
approfittiamone!».
I quattro compagni
colsero al volo l’occasione e, seguendo il loro istinto, corsero verso il punto
in cui sapevano esserci l’uscita, pregando iddio di non ritrovarsi faccia a faccia con quella specie di mostro.
Ed
infatti, dopo pochi secondi, Dutch vide le porte
comparirgli davanti, e senza indugio le sfondò, ritrovandosi all’esterno del
locale.
«Presto,
raggiungiamo
Tutti insieme
corsero verso la macchina, che si trovava dall’altra parte della strada, ma un
istante prima che potessero raggiungerla una scarica di mitra investì
l’autoveicolo, disintegrando un paio di finestrini e facendo una bella serie di
buchi sulla fiancata.
Rock e Dutch, che stavano dalla parte da cui erano venuti i colpi,
fecero appena in tempo a buttarsi dietro la macchina prima di finire
crivellati.
In mezzo alla
strada, come un gangster degli anni ‘30, era comparso il biondo in camicia
nera, con un AK47 per ogni mano.
«Voi non andrete
da nessuna parte, bastardi della Lagoon!»
«Ma stasera ce l’hanno proprio tutti con noi!» disse Dutch
mettendo nuovamente mano alla sua magnum «Bennyboy,
tieniti pronto a partire!»
«D’accordo.»
«Pronta Revy?»
«Tu che dici?»
rispose lei sfoderando il suo sguardo sadico.
Con un sincronismo
quasi perfetto i due scattarono in opposte direzioni, e presero a sputare
proiettili sul nuovo avversario, che a differenza del primo non sembrava in
grado di fermarle, tanto che si mise a correre e a saltare per poterle evitare.
La sua agilità,
però, aveva del prodigioso, compiva salti di parecchi metri che neanche un
campione olimpico sarebbe stato in grado di fare, correndo oltretutto ad una velocità fuori dal comune.
Dutch, ovviamente, esaurì per primo il suo caricatore, e
dovette nascondersi dietro ad una macchina per poterlo ricaricare; Revy gli offriva copertura sparando all’impazzata, ma tutti
i suoi colpi andavano miseramente a vuoto, facendola infuriare oltre ogni
limite.
«Bastardo, ti
decidi a stare fermo?» urlò la ragazza ricaricando le sue armi
«Che c’è, Two-Hands?» disse il biondino da dietro una palma «È tutta
qui la tua mira infallibile?»
«Tra poco la
smetterai di fare lo spiritoso, stronzo».
In quella Billy accecò l’assalitore coi fari della macchina, e
per poco non riuscì anche a metterlo sotto, ma questi spiccò uno dei suoi salti
mettendosi in salvo, dando però a Revy e Dutch il tempo sufficiente per battere in ritirata.
Provò a sparargli
contro mentre scappavano, ma riuscì solo a distruggere un fanalino posteriore,
e nello spazio di un secondo i membri della Lagoon erano spariti.
«Dannazione.»
mugugnò stringendo i denti.
Passarono alcuni
secondi, e dal fumo che ancora saturava il locale uscì il giovane dai capelli
neri, che si avvicinò al suo compagno guardandolo seriamente.
«Mi
dispiace Kyuzo. Sono riusciti a sfuggirmi.» si
giustificò il biondo
«Non
importa. Non andranno comunque lontano. Troviamoli e massacriamoli».
Dutch e gli altri convennero sul fatto
che l’unico modo per sfuggire a quelle due furie scatenate era lasciare Roanapur il più velocemente possibile.
L’idea di scappare
con la coda fra le gambe era insopportabile, soprattutto per Revy, ma del resto non si poteva fare granché per
contrastare uno in grado di fermare le pallottole e scatenare esplosioni
semplicemente stringendo i pugni.
Era una di quelle
situazioni in cui non ci si vorrebbe mai venire a trovare, e tutti in quella
macchina erano consapevoli che quel tipo, chiunque fosse, non si sarebbe dato
pace fino a che non li avesse stanati e uccisi, quindi, per il momento, la sola
cosa da fare era nascondersi.
Contrariamente a
quanto avrebbero immaginato raggiunsero il porto senza problemi, e lasciata la macchina si imbarcarono in tutta fretta sulla Lagoon, puntando immediatamente verso al largo.
Appena furono ad un paio di miglia dalla costa, Rock tirò un sospiro di
sollievo.
«Sembra che siamo
riusciti a sfuggirgli.»
«Non cantare
vittoria troppo presto.» replicò Revy frugando nel
contenitore delle armi pesanti «Potrebbe essere solo l’inizio».
Two-Hands cavò fuori un fucile d’assalto e un RPG carico.
«E ora Dutch, dove pensi di andare?»
«A
Bangkok. È il solo posto dove mi sentirò un po’ più al sicuro. Accidenti, non
riesco ancora a capacitarmi di quello che ho visto.»
«Quel tipo…»
balbettò Rock con la testa mezza nascosta fra le ginocchia «Non era umano…»
«Adesso non fatevi
prendere dalla tremarella.» disse Revy con falsa
sicurezza «Avrà usato qualche trucchetto da showman
per impressionarci.»
«Trucchetto lo chiami!? Ma hai visto quello che faceva?»
«Allora sentiamo,
che spiegazione hai tu?»
«Piantatela voi due!» tuonò Dutch
«Sono d’accordo con Rock, non si trattava di una messinscena. Ci sarà sicuramente
una spiegazione, ma sinceramente non ho alcuna intenzione di tornare indietro a
chiedergliela.»
«In ogni caso…»
riprese Rock col suo solito tuono pacato e riflessivo
«Quello non aveva l’aria di un comune killer.»
«Sì,
hai ragione. I suoi occhi avevano la tipica luce degli assassini a sangue
freddo, ma non dava l’aria di essere uno a cui piace
fare cose simili.»
«Di certo non deve
preoccuparsi delle conseguenze delle sue azioni.» disse Benny dalla sala
computer «Con tutta la brava gente che c’era allo Yellow
Flag le mafie di mezzo mondo andranno su di giri
entro le prossime sei ore, ma uno a cui le pallottole fanno un baffo non deve
neanche porsi il problema».
Prima ancora che
l’americano potesse ridere alla sua stessa battuta, la sua attenzione fu
attratta da un segnale radio proveniente dal computer.
«Imbarcazione in
avvicinamento rapido!»
«Che direzione?»
domandò Dutch
«Sud
sud-ovest. Credo venga da Roanapur».
Revy corse su per la scaletta metallica e si affacciò dal
boccaporto sul tetto della Lagoon, scorgendo in
lontananza la scia di una barca lanciata a tutta velocità. Mise quindi mise
mano al binocolo a vista notturna per capire meglio chi fosse a pilotarlo,
pregando il cielo che non fosse chi tutti lì dentro temevano, ma purtroppo,
aumentando la potenza delle lenti, fu proprio il volto del giovane dai capelli
neri a pararsi dinnanzi a lei.
«Merda!
È lui!».
Kyuzo era in piedi sulla prua di un grosso motoscafo
bimotore guidato dal suo compagno biondo.
«Eccoli,
sono loro! Steven, raggiungiamoli!»
«Con piacere!»
rispose l’amico mandando l’imbarcazione a tutta manetta
«Merda!» disse Dutch «È testardo quel moccioso.
In confronto a lui, il tirannosauro di Jurassic Park
era un animaletto da giardino!»
«Rock!
Il lanciarazzi, presto!»
«Eccolo!» rispose
il giapponese passando l’arma alla sua compagna.
Revy rimosse la sicura all’RPG e
prese bene la mira puntando al motoscafo.
«Bene, prova a
evitare questo se ci riesci!».
Il razzo partì, e
sembrò proprio che il nemico non fosse in grado di respingerlo, tant’è che
rimase immobile, senza perdere però il suo sguardo di ghiaccio.
«Steven.
È tuo.»
«D’accordo».
Il biondo,
impostata la guida automatica, prese dalla valigetta di emergenza una pistola
di segnalazione e vi caricò un razzo che appena sparato si trasformò in una
palla luminosa di colore rosso acceso.
L’RPG,
attirato dalla luce e dal calore, modificò la propria traiettoria, esplodendo
in aria molto distante dal motoscafo, che continuò imperterrito la sua corsa.
«Maledizione!»
imprecò Revy «Sono furbi
quei bastardi! Rock, il lanciagranate!»
«Subito!».
L’arma che Rock
diede alla sua compagna era provvista di caricatore a tamburo da dodici colpi
armato con granate al napalm altamente infiammabile, in grado di bruciare
persino nell’acqua.
Ne sparò tre una
dietro l’altra, rischiando fra le altre cose il surriscaldamento del fucile,
che aveva bisogno di qualche secondo prima di essere in grado di sparare
nuovamente, ma riuscire ad averla vinta su quella specie di superman era un
traguardo che per nulla al mondo avrebbe voluto mancare.
Essendo granate di
un certo peso Revy le lanciò verso l’alto, studiando
con precisione a dir poco estrema la parabola che
avrebbero dovuto percorrere per infrangersi sul motoscafo degli inseguitori e
ridurlo ad una torcia nella notte chiara del Golfo di Thailandia.
Steven, con le sue
abilità di pilota, fu in grado di evitarne due, che presero fuoco appena
toccata l’acqua del mare, ma la terza minacciò di colpirli.
«Kyuzo, il tuo aiuto ci farebbe comodo.»
«Ok».
Il ragazzo alzò il
violentemente braccio destro, e immediatamente una colonna d’acqua si sollevò
dalla superficie, inglobando la granata e sparandola verso l’alto, dove esplose
senza provocare nulla più che una pioggerella rinfrescante e un fantastico
spettacolo pirotecnico.
«Merda!» gridò Revy «Ma chi cazzo è quello?»
«Ehi, Kyuzo!» disse in quella Steven
«Dicono che
«Davvero?
Vediamo se è la verità!».
Nuovamente Kyuzo agitò le braccia, ma stavolta, invece di una colonna,
si sprigionò un enorme, gigantesco muro d’acqua, alto almeno sei metri e con un
fronte che superava i dieci, mentre tutto attorno il
mare continuava incredibilmente a rimanere liscio come una tavola.
Era davvero
troppo, anche per tutto quello che avevano visto fino a quel momento, e Revy rimase così impressionata che la sigaretta le scivolò
via dalla bocca.
«Tsunami!» gridò a
pieni polmoni
«Revy, presto rientra!» le disse Dutch,
e lei praticamente si buttò sopra Rock, ancora fermo
ai piedi della scaletta «Chiudete quel boccaporto, o finiremo affogati!».
Rock si affrettò ad obbedire serrando in tutta fretta la paratia, e
contemporaneamente Dutck mise la nave a piena potenza
nel tentativo di sfuggire a quell’onda anomala che appena generata aveva preso
ad viaggiare verso di loro a incredibile velocità.
Man mano che si
avvicinava alla Lagoon, l’onda cominciò a modificare
la sua forma, descrivendo un’ampia curva tutto intorno alla barca, come a
volerle impedire un qualsiasi tentativo di fuga.
Prima che Revy e gli altri potessero rendersene conto, la loro barca venne travolta dalla potenza dello tsunami e dopo essere
stata sollevata precipitò nuovamente verso il basso, perforando l’acqua con la
prua e affondando per parecchi metri.
Tutti e quattro i
compagni si ritrovarono catapultati in avanti, Benny addirittura perse i sensi
battendo la testa contro la radio.
«Dannazione!»
disse Revy sorreggendosi ai pioli della scaletta «Se
la barca si capovolge siamo morti!»
«Tranquilla, non
succederà!» rispose Dutch pigiando due bottoni.
Ringraziando il
cielo, Bennyboy aveva da poco installato, in memoria
anche di altre brutte esperienze avute dalla compagnia, un sistema di
propulsori installati sulla chiglia dell’imbarcazione; erano in tutto quattro,
due a prua e due a poppa, e ognuno di essi era collegato ad
una bombola di aria compressa.
Il sistema era
stato pensato per attutire eventuali salti fuori programma, ma poteva tornare
utile anche in quella situazione.
Ogni valvola di
sicurezza era legata ad un bottone del pannello di
controllo, e dopo che Dutch ebbe premuto quei due
dalle bocchette di prua uscirono potenti getti d’aria che rimisero
«Accidenti.» disse
scherzosamente Steven vedendo la barca riaffiorare nuovamente «Hanno sette vite
come i gatti.»
«I
membri della Lagoon non sono certo prede da poco.
Sapevamo che avrebbero venduto cara la pelle».
Due secondi dopo Revy, ormai completamente fuori di sé, sbucò dal boccaporto
con in mano un grosso fucile semiautomatico.
«Va’ all’inferno, maledetto mostro!»
«Revy, sta attenta!» disse inutilmente Rock, ma ormai era
tutto inutile.
Il copione fu esattamente lo stesso delle volte precedenti. I proiettili
rimbalzavano davanti a Kyuzo come se lui avesse avuto
davanti una barriera invisibile.
Questo però non
faceva demordere minimamente Two-Hands, che però
ormai sparava guidata solo dall’istinto, non più dalla ragione.
Poi, d’un tratto, il suo fucile ebbe un violento contraccolpo in
avanti, come se qualcuno stesse cercando di strapparglielo di mano.
«Ma che…».
La scena si ripeté
più volte, Revy cercò di opporre resistenza, ma poi
l’arma volò letteralmente via dalla sua mano, raggiungendo quella di Kyuzo, ancora in piedi a una ventina di metri da lei dopo
che Steven aveva fermato il motoscafo.
Malgrado quel
fucile pesasse più di due chili il giovane lo sollevò
con una sola mano senza alcuna fatica, e piegando leggermente la testa sembrò
prendere la mira.
Subito dopo l’aria
fu sventrata dal rumore di uno sparo, e Revy di colpo
sgranò i suoi grandi occhi scuri socchiudendo leggermente la bocca in un
rantolo soffocato, poi il suo volto si fece di pietra.
Prima ancora che
gli cadesse nuovamente sopra, Rock avvertì distintamente caldi schizzi di
sangue sulle mani e sulla fronte, e quando si ritrovò seduto per terra con lei
fra le braccia anche la sua bella camicetta bianca si
tinse del sangue che usciva copioso dal fianco destro della sua compagna.
«Revy! Revy!»
urlò con gli occhi pieni di lacrime.
Nota dell’Autore. Salve a tutti. Chiedo
scusa per questa lunga assenza, ma subito dopo aver pubblicato il primo capitolo sono partito per le vacanze, e appena tornato mi
sono dedicato prevalentemente all’altra fic che sto
portando avanti. Da ora in poi cercherò di aggiornare
con più frequenza, e anticipo fin da ora che questa storia non dovrebbe durare
oltre i dieci capitoli.
Ringrazio Beat, Lady Inuyashina e Atlantislux per le loro recensioni, e Andrea83
per aver inserito la fiction fra le preferite.
A presto
Carlos Olivera