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Autore: Irina_89    01/09/2008    12 recensioni
“Tom, questo è tuo figlio. È nato quattro anni fa. Non riesco a mantenerlo con il lavoro che faccio. Ti prego, prenditene cura.”
Seguirono attimi di pesante silenzio, in cui nessuno dei due osava parlare.
“Oddio…” fece Bill in un sussurro, poco dopo. “Proprio come avevo detto…” ed alzò lo sguardo su suo fratello. “Ehi, Tom, lo giuro, io non sapevo niente…”
“Bill, stai zitto.” Sibilò lui. “Non richiedo le tue battute ora. La questione è seria.”
“Guarda che lo so. Cercavo solo di sdrammatizzare…” si difese Bill, leggermente offeso dalle parole di Tom. Non era così ottuso da non capire che questa situazione era più grave dell’avere solamente un ospite inaspettato in casa.
“Non hai capito: non si può sdrammatizzare una situazione del genere.”
Bill si zittì, sentendosi ferito in pieno dal fratello, ma capendo come potesse sentirsi lui in quel momento.
“Non c’è nemmeno un nome…” disse, quindi, rigirandosi il foglio tra le mani.
“Già. Nessun nome.” Ripeté Tom.
Merda…
[Sequel di 'Sopravvivere']
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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I

Just a kid

 

When You Less Expect It

“Tom! Muoviti!” era la terza volta che chiamava. “È tardi! Esci subito da quella camera!”

Un paio di occhi si aprirono a fatica nell’oscurità della grande stanza.

Che palle…

“Tom! Mi hai sentito?” ecco la quarta, accompagnata da un frenetico bussare alla porta da parte del tanto amato fratello. Avrebbe tanto voluto aprirla e sbattergliela in faccia nel giro di due nanosecondi, ma ancora ai muscoli del suo corpo non arrivavano segnali dal cervello, anch’esso tutt’ora lontano dal connettersi.

“Tom! C’è anche Inge? Alzatevi subito!” la quinta. Ma il bussare, questa volta, si presentò come un minacciare la porta di un’imminente distruzione, dovuta al vigore dei colpi del moro.

Il ragazzo – ancora steso sul letto – grugnì e cercò di alzarsi, ma qualcosa lo fermò. Cercò di mettere a fuoco, ma prima di riuscirci, si ricordò.

La ragazza era sdraiata accanto a lui, con la testa sul suo braccio. I capelli rossicci cadevano dolcemente sul suo viso e le coperte lasciavano intravedere le fattezze del suo candido corpo, illuminato dalla fioca luce della luna che splendeva nel buio di quella sera di settembre.

Si ricordava bene, ora, quello che era successo.

Posò una mano sulla spalla di lei, che ancora dormiva.

“Svegliati…” le sussurrò all’orecchio. “Dai, prima che Bill rompa la porta…”

La ragazza si rannicchiò, per poi abbracciarlo. Ma dal suo movimento, Tom avvertì un fastidio insopportabile e doloroso al braccio.

“Cazzo!” si agitò, allontanando la ragazza con la forza, che rotolò sul letto, fino a cadere per terra, dalla parte opposta alla sua.

“Ehi!” Bill da dietro la porta continuava a sbraitare.

“Ma che diavolo…?” farfugliò lei, alzandosi a stento e premendosi una mano sulla fronte che aveva appena battuto.

“Accidenti a te!” berciò lui, stringendosi il braccio contro il petto e ripiegandosi su se stesso.

“Ma sei scemo?” lo accusò lei, una volta in piedi, tirando le lenzuola del letto per coprirsi, per poi accendere la luce della stanza – che in un primo momento abbagliò entrambi.

“TOM! INGE!”

“No! Sei tu la scema!” ribatté lui, guardandola minaccioso.

“E perché mai?” fece lei, superiore, incrociando le braccia per sorreggere le coperte e guardandolo con aria di sfida.

“Hai dormito tutta la sera sul mio braccio!” ringhiò lui.

Lei alzò un sopracciglio interrogativa, per poi capire all’improvviso. Subito uno sguardo malizioso le comparve sul viso. Montò di nuovo sul letto e si avvicinò a lui a quattro zampe, lasciando che il lenzuolo le cadesse di dosso.

Il ragazzo cercò di tranquillizzarsi – braccio permettendo – e la guardò malizioso a sua volta.

“Guarda che Bill non accetterà scuse, se gli facciamo fare un altro ritardo…”

“Lo so…” sussurrò lei. “Ma mi piace il pericolo…” e lo provocò con i suoi occhi verdi.

Lui le sorrise, accettando la sfida, ma non fece in tempo ad accorgersi della pericolosa intensità di quello sguardo, perché Inge gli afferrò il braccio addormentato, facendolo urlare.

“Tom! Che cazzo succede?” sbraitò Bill da dietro la porta, senza smettere di colpire il legno.

“Ma sei impazzita?” gridò lui, lasciando che il braccio dolorante cascasse inerme al suo fianco.

“Per vendicarmi della botta…” sbuffò lei, coprendosi di nuovo con il lenzuolo.

“La pagherai…” soffiò Tom, tentando inutilmente di afferrare il braccio senza sentire quell’acutissimo formicolio che gli devastava la sensibilità dalla spalla alla mano.

Lei lo guardò superiore.

“Certo…” si alzò, quindi, dal letto e prese le sue mutandine dal pavimento. Si mise poi a cercare il reggiseno e tutto il resto degli indumenti – consistenti in una delle magliette di Tom.

Lui li trovò vicino a sé e glieli lanciò addosso.

“Tieni” disse lui con un velo di irritazione nel tono.

“Grazie” sorrise lei beffarda, buttandogli addosso il lenzuolo. Si vestì e poi uscì dalla stanza, lasciando Tom sofferente sul letto.

Bill si affacciò e lo guardò curioso.

“Cosa è successo?” chiese innocente, avvicinandosi al fratello, che solo ora stava tornando in possesso del suo braccio.

“Niente…” tagliò corto lui.

Il moro lo guardò per niente convinto, per poi accorgersi di un particolare. Un particolare decisamente rilevante.

“Porca miseria, Tom! Sei ancora nudo! Vestiti immediatamente!” urlò a pieni polmoni.

“Guarda che ho capito!” ribatté il rasta.

“E allora muoviti!” lo spronò il fratello, iniziando a battere le mani.

“Se tu uscissi da questa stanza, forse…” ed indicò la porta con un gesto della testa.

Bill sbuffò furente e fece come gli era stato detto, per poi sbuffare ancora fuori dalla camera ed avviarsi lungo le scale, sbuffando per la terza volta, con volume abbastanza alto perché Tom potesse sentirlo.

Il ragazzo si tolse le coperte di dosso e si alzò, infilandosi i boxer che trovò per terra solo per arrivare fino al bagno.  Aveva bisogno di una rinfrescata. Una volta dentro sentì lo scorrere dell’acqua della doccia e vide attraverso il vetro appannato la figura di un corpo a lui ben noto.

Si avvicinò, quindi, alla cabina, togliendosi i boxer e lanciandoli nella cesta dei panni sporchi, ed aprì.

“Tanto lo sapevo che eri tu…” fece la ragazza, osservandolo da sotto gli schizzi della doccia.

Lui ridusse gli occhi a due fessure e la guardò torvo.

“E dai, non dirmi che sei ancora arrabbiato per prima!”

Ma lui non rispose.

“Stavo solo scherzando!” si difese lei, sorridendogli.

Il ragazzo girò il soffione della doccia nella sua direzione e non la considerò.

Lei sorrise dolcemente. Per quanto potesse essere insopportabile quando la ignorava, Inge sapeva che questa volta non era niente di serio. Quindi, si avvicinò a lui e lo abbracciò, iniziando a baciarlo sulla schiena, per poi sfiorarlo con la punta del naso.

“Sei più tranquillo, ora?” gli chiese sussurrando.

Lui si girò, prendendo le braccia della ragazza tra le sue mani e la guardò negli occhi inespressivo.

Lei schioccò la lingua.

“Ok, cosa vuoi che faccia?” chiese scocciata, roteando gli occhi.

Tom sorrise sghembo e superiore. Ora era lui a comandare.

La portò con la schiena contro il muro e le sollevò le braccia – ancora tra le sue mani –, appoggiandosi con i gomiti alla parete della cabina.

La baciò appassionatamente, per poi lasciarla libera, permettendo alle sue mani esperte di muoversi su di lei.

Ma qualcuno bussò alla porta violentemente.

“Non starete di nuovo facendo oscenità in bagno, vero?” urlò schifata la voce di Bill.

Inge rise.

“Mi sa che questa volta dobbiamo lasciare perdere…”

“Mi state ascoltando?” batté rumorosamente alla porta. “Ehi! Voi! Razza di animali in calore ventiquattr’ore su ventiquattro!”

“Che palle…” biascicò Tom.

“Per colpa vostra, arriverò in ritardo!” gridò ancora il moro, colpendo la porta sempre più pericolosamente. Prima o poi l’avrebbe buttata giù.

“Ma se stiamo solo andando in un locale a bere qualcosa con Gustav e Georg!” rispose a tono Tom, chiudendo il getto d’acqua ed uscendo dalla doccia, seguito da Inge.

“Sì, ma arriveremo tardi lo stesso!” berciò Bill indignato.

La ragazza rise sotto i baffi e Tom sospirò esasperato. Quindi si coprirono con degli asciugamani ed uscirono dal bagno.

“Finalmente vi siete decisi!” gli fece notare Bill, battendo freneticamente il piede per terra, le braccia incrociate al petto. “Credevo che voleste battere il record di orgasmi al minuto…”

“Di certo, tu non ti stai nemmeno impegnando per battere il record di rompicoglioni…” lo guardò strafottente Tom. Questa era la solita scena di routine.

“Vaffanculo, allora!” e voltò loro le spalle. “Ma muovetevi, porca miseria!”

Inge si allontanò dal rasta per andare in camera sua a prendere dei nuovi vestiti, ma venne trattenuta da lui, che la prese per un braccio.

Lei lo guardò inarcando un sopracciglio.

“Dobbiamo finire…” disse lui con voce calda e bassa, tirando la ragazza a sé.

“Già. Non si lasciano le cose a metà…” ribadì lei, alzandosi in punta dei piedi e baciandolo. Lui l’afferrò per la vita e la sollevò da terra, mentre Inge intrecciava le mani intorno al collo del ragazzo per non cadere.

Tom prese a baciarla sul collo e sul petto, che l’asciugamano copriva sempre meno, visto che stava scivolando verso terra.

“MUOVETEVI!” ruggì Bill dal piano di sotto.

Inge e Tom risero ognuno sotto le labbra dell’altro, per poi dividersi e andarsi a vestire.

Intanto Bill continuava a girare per l’ingresso senza una meta, aspettando che quei teneri piccioncini in calore avessero finito di fare i loro comodi e si degnassero di scendere.

“A che punto siete?” gridò ancora.

“Al punto che ora vengo giù e ti chiudo quella dannata bocca!” rispose Tom dal piano superiore.

Bill sbuffò per l’ennesima volta quella sera. Perché nessuno in quella casa lo capiva? Chiedeva tanto, se voleva essere puntuale? L’ultima volta che era successo una cosa del genere erano arrivati mezz’ora dopo. Peccato, che l’appuntamento fosse stato posticipato di un’ora… Quella volta suo fratello si vendicò piombando in camera sua alle tre di notte e saltando sul suo letto.

Per Bill fu un vero trauma.

Ma questa volta, gliel’avrebbe fatto passare lui un trauma, se non si fosse presentato davanti ai suoi occhi entro cinque minuti.

Che palle…

 

***

 

Tom si portò alla bocca il terzo boccale di birra e ne finì il contenuto, proprio mentre una cameriera ne portava un’altra grande scorta al loro tavolo circolare.

“Dai, Bill!” rise sguaiatamente Georg. “Non sarai ancora arrabbiato per questa sera!”

Il cantante incrociò le braccia al petto e sbuffò.

“Calmati!” fece Gustav, sorseggiando la sua birra.

Bill roteò gli occhi. Era un’ora che non facevano altro che sfotterlo. E gli giravano come non mai.

“Possibile che tu sia così permaloso?” infierì suo fratello, biascicando.

“Non è colpa mia se voi siete tutti dei cretini!” proferì lui, incazzato, ma con aria superiore.

“No, ma è colpa tua se te la prendi tanto!” rincarò Tom.

“Dai, era solo uno scherzo!” rise Inge, anche lei svuotando il suo boccale di birra.

“Stronzi…” mormorò Bill.

Gli altri risero allegri e divertiti. Programmare l’uscita al pub un’ora dopo l’ora stabilita con Bill, era decisamente la cosa più idiota potessero fargli per farlo incazzare. Bill amava essere in orario, e odiava chiunque potesse fargli fare solo un minuto di ritardo – ovviamente solo quando il motivo del ritardo non fosse lui stesso.

Quella sera i ragazzi si erano messi tutti d’accordo per giocare questo scherzo al moro, facendogli credere di essere in ritardo, proprio come l’altra volta. Tom ed Inge vennero ringraziati per il loro sostanziale contributo.

Bill afferrò la sua birra e la bevve tutta d’un sorso, battendo, poi, il boccale rumorosamente sul tavolo, ribadendo il concetto che fosse incazzato come pochi l’avevano mai visto.

Per calmarlo servì tutta la pazienza di Tom – sempre più difficile da trovare, in questi casi – e una bella dose di schiaffi al proprio orgoglio, assecondando il fratello di essere uno stronzo che si divertiva a rovinare la vita altrui con scherzi di poco gusto.

“Bill, tranquillo” intervenne ad un certo punto Inge. “Si sa, tanto, che Tom è un idiota…” rise biascicando qualche parola.

“Ehi! Passi al nemico?” ribatté il chitarrista stizzito.

Lei annuì, prendendo uno dei boccali davanti a lei e rovesciandone un po’ il contenuto nel suo – e sul tavolo.

“Ehi! È mio!” protestò Georg, notando quanto drasticamente si era svuotato.

“Che ti ha fatto, Inge?” chiese Bill, afflitto, sfoderando dei teneri occhioni dolci alla ragazza, dicendole implicitamente quanto fosse dispiaciuto che un tale cretino se la potesse prendere con una come lei.

Lei iniziò, quindi, a fare la parte della vittima, appoggiando le accuse di Bill, per poi ridere delle espressioni sdegnate di Tom.

“Pensa che mi ha persino buttato giù dal letto!”

“Ti ha buttato giù dal letto?” ripeté Bill sbalordito.

 Lei annuì, mentre Tom le sbuffava in faccia per la sesta volta, guardandola minaccioso.

Georg e Gustav, intanto, ridevano per quella scenetta che veniva loro proposta – come al solito – dalla esordiente compagnia teatrale Kaulitz-Träne.

“Ma lei aveva dormito tutta la sera sul mio braccio!” replicò il rasta.

“Non è un motivo sufficiente per scaraventarla a terra!” la difese il moro, ingerendo altro liquido dorato.

“Ma mi faceva male, cazzo!” si lamentò l’altro, afferrando a sua volta un altro boccale e portandoselo alla bocca.

I due Kaulitz si squadrarono tenendo saldamente le loro birre in mano, quasi come se volessero fronteggiarsi a chi ne beveva di più.

“Vabbè, comunque ti capisco, Tom…” fece Georg, rendendosi, così, partecipe dell’opera.

“Oh! Finalmente!” declamò arcigno contro il fratello, allargando le braccia.

“Ma Georg non fa testo!” rispose a tono Bill.

“E perché, scusa?” alzò un sopracciglio infastidito il bassista.

“Perché tu dormi sempre con la testa sul braccio! È ovvio che ti si addormenti ogni volta!”

“Proprio per questo capisco come ci si sente!”

“No, tu non capisci mai niente!” lo diffamò Bill, puntando il dito indice della mano, che reggeva ancora il boccale, contro di lui.

Georg lo guardò torvo.

“Ma sì! Vuoi che ti ricordi cosa hai fatto l’ultima volta sul tuorbus?” fece Bill, lanciandogli uno sguardo superiore.

Georg sospirò.

“Che palle…”

“Cosa è successo?” chiese Inge, tornando alla rimonta nella classifica delle comparse di quella scena.

“Praticamente, una notte – mentre tutti dormivamo beatamente,” sottolineò il cantante. “questo deficiente inizia ad urlare come un forsennato e -”

“Ehi, ma se la racconti così, faccio solo la parte del cretino!” gli fece notare il ragazzo.

“Era proprio quello il mio intento, sai?” ridacchiò Bill.

Dopo aver sbuffato un’altra volta, Georg prese parola, raccontando uno dei tanti aneddoti accaduti sul quel mega bus.

“Praticamente… stavo dormendo, poi ad un certo punto – evidentemente – mi girai nel letto e portai il mio braccio sopra la testa. Siccome non mi sentivo più il braccio, ma avevo la sensazione di una mano inerme sul mio viso mi svegliai di soprassalto, prendendo la mano insensibile con l’altra e scaraventandola contro la parete del bus con tutta la forza che avevo.”

“Non dimenticarti che urlavi come se ti avessero appena aggredito…” lo interruppe Bill, sorseggiando altra birra. Tom lo imitò.

“Ma ne avevo tutto il diritto!” berciò lui. “Comunque, quando il mio braccio iniziò a svegliarsi, iniziai a sentire un dolore allucinante alle nocche…”

“Se sei cretino…” commentò Tom.

“Ehi! Guarda che ti stavo difendendo!” lo riprese l’amico.

“Sì, ma questo non cambia che tu sia cretino…”

“Fottiti…” sibilò l’altro, afferrando il suo boccale praticamente vuoto e bevendole la birra restante.

La risata di Inge si fece pian piano sempre più rumorosa, sovrastando le parole degli altri tre ragazzi – Gustav se ne stava buono a sorseggiare la sua birra.

“Ok, tu hai bevuto decisamente troppo…” commentò Tom, togliendole il boccale di mano e posandolo sul tavolo.

“No! Dammelo! È mio!” piagnucolò lei, ridendo.

“Non se ne parla nemmeno…” convenne Bill, puntandole un indice contro ed assumendo un’espressione di rimprovero – non del tutto soddisfacente.

“Ma quella è la mia birra!” si lamentò lei.

“No, era la mia…” puntualizzò Georg.

“Non è vero!” ribatté lei, incrociando le braccia al petto e mettendo il muso come i bambini piccoli.

“Sì, invece!” replicò lui.

“Georg, non ti ci mettere pure tu…” sospirò Tom, per poi alzarsi e prendere Inge per un braccio, facendola alzare a sua volta.

“Dove andiamo?” chiese lei, seguendolo barcollando.

“A casa…” rispose lui, salutando gli altri con un cenno della testa. Ora bastava solo chiamare Saki e convincere Inge.

“No, io voglio restare con loro!” si impuntò, infatti, lei.

“No, tu ora vieni a casa.”

“No!”

“Sì!”

La ragazza si intestardì nel cercare di rimanere nel locale, ma Tom era ancora abbastanza sveglio da non cedere. La prese per la vita e se la caricò in spalla.

“Mettimi giù!” gridò lei, iniziando a scalciare.

“Nemmeno morto…” rise lui divertito, cercando di fermarle le gambe con la mano libera.

“Uffa!”

I tre ragazzi si misero a ridere, per poi decidere di andare anche loro a casa. Dopotutto erano le tre…

Gustav chiamò Saki, che in poco tempo arrivò davanti all’Irish e li caricò in macchina, visto che non era pensabile che solo uno di loro potesse guidare in quelle condizioni. Gustav compreso.

I ragazzi salirono in macchina e solo a quel punto, Tom mise giù Inge, che nel frattempo si era addormentata. L’omone passò prima da casa di Gustav, poi scaricò Georg, per giungere, infine, a quella dei gemelli.

Bill scese, aspettando che il fratello prendesse Inge – questa volta in maniera più civile e comoda – e la portasse dentro, le braccia della ragazza penzolanti inermi verso il basso.

Una volta dentro, Tom la portò sul suo letto, la spogliò e le mise la sua maglietta, per poi coprirla con le coperte, mentre lei si rannicchiava contro il cuscino e farfugliava parole incomprensibili. Quindi, anche lui si spogliò, rimanendo in boxer, e si mise vicino a lei, allungando un braccio intorno alla vita della ragazza.

L’unica sua preoccupazione, ora, era che lei non vomitasse nel bel mezzo della notte…

 

***

 

Dischiuse un occhio. Poi l’altro.

Si girò a guardare la sveglia digitale sul comodino, oltre la spalla di Tom, sdraiato prono accanto a lei.

Cazzo! Le otto e un quarto!

Subito si alzò di scatto, ma una dolorosa fitta alla testa la fece ricadere sul letto, gli occhi serrati e le mani premute sulla fronte. Sembrava che mille chiodi cercassero di perforarle la testa.

Ma quanto aveva bevuto ieri sera?

Poi, si ricordò di un dettaglio. Quel giorno entrava a lavorare più tardi. Sospirò di sollievo. Aveva almeno due ore a disposizione per farsi passare quel terribile mal di testa. Non era possibile presentarsi in quello stato.

Allungò una mano verso il comodino e cercò le aspirine all’interno del cassetto. Ne prese una e la buttò giù insieme ad un sorso d’acqua dalla bottiglia che teneva vicino al letto.

Poi si stese di nuovo e chiuse gli occhi, mentre Tom si rigirava, mormorando qualcosa che lei non capì.

Dopo poco, si costrinse ad aprire gli occhi. Si sarebbe addormentata di nuovo, altrimenti.

Un braccio, di colpo, le cadde sulla pancia e lei per poco non reagì tirando un pugno in faccia all’innegabile colpevole di fianco a lei, ancora preso a rigirarsi nel letto.

Lei lo osservò con la testa girata verso di lui, finché non si mise di nuovo comodo, pancia sotto, e stravaccato come era solito dormire ogni volta.

Sorrise.

Era davvero bello.

La ragazza, poi, si girò sul fianco e gli tolse i rasta che gli coprivano scompostamente il viso. Non ne aveva mai abbastanza di guardarlo dormire. Più volte lui, al suo risveglio, l’aveva trovata a fissarlo, e più volte le aveva detto che odiava essere fissato da lei in quel modo; ma Inge sapeva che non era vero. Tom Kaulitz amava essere fissato, solo che lo metteva in imbarazzo quando lo faceva lei. E questo le piaceva, perché soltanto lei poteva vedere il vero Tom, un Tom sconosciuto a tutti gli altri. Per questo continuava.

Quando, però, le sembrò che i mille chiodi che tentavano di attraversarle il cranio da parte a parte, avessero rinunciato all’impresa, si alzò e si vestì, lasciando che i suoi occhi si soffermassero ancora sul quel Tom addormentato, prima di uscire e chiudere la porta dietro di sé.

 

***

 

Era sera.

Tom stava suonando la chitarra in camera sua, provando a buttare giù una melodia per una prossima canzone. Quelle note gli giravano in testa da tutta una giornata – forse era dovuto alla sbronza presa il giorno prima – per questo ora aveva preso la chitarra e stava cercando di renderle nel migliore modo possibile, visto che si adattavano perfettamente al significato del nuovo testo scritto da suo fratello.

Gli spartiti erano sul letto, pieni di scarabocchi e cancellature, ma alla fine di due ore di lavoro, contenevano anche una melodia che sarebbe stata molto apprezzata da Bill e gli altri due. E poi l’avrebbe fatta sentire pure ad Inge. Non l’avrebbe mai detto, ma la ragazza aveva un buon orecchio in fatto di musica e certe volte – benché non sapesse niente in materia – riusciva anche a dargli una mano.

Improvvisamente il campanello suonò, facendogli perdere la concentrazione e quelle note che gli erano appena balenate in mente.

“Bill! Vai tu ad aprire!” urlò dalla camera. Poi si ricordò. “Ah, già… lui è ancora al servizio fotografico…” mormorò tra sé e sé.

Si alzò, quindi, e posò la chitarra sul suo sostegno, accompagnando ogni gesto con un’imprecazione a chiunque avesse suonato. Chi cazzo poteva essere a quell’ora?

A proposito…

Tom si girò verso la sveglia digitale sul comodino ed adocchiò l’ora.

Le otto. Chi cazzo è a quest’ora?

Scese le scale velocemente e premette il pulsante per azionare lo schermo del citofono, ma non vide nessuno. Quindi, ancora più irritato, chiuse la visualizzazione e tornò in camera sua.

Riprese in mano la chitarra e si rimise seduto sul letto con gli spariti davanti.

Dove cazzo ero arrivato?

Si rigirò quei fogli un po’ tra le mani per poi concludere – ancora più furioso – che avrebbe dovuto riprendere tutta la melodia da capo. Sistemò gli spariti sul letto in modo da poter vedere tutte le note scritte e cominciò a far vibrare le corde della sua nuova Gibson, mentre con la sinistra premeva le corde con movimenti veloci ed esperti, creando una melodia allo stesso tempo dolce, ma anche energetica.

Arrivato di nuovo al punto in cui aveva lasciato, provò a suonare qualche altra nota per continuare la sua composizione. Dopo aver scartato la ripetizione di qualche accordo già preso in considerazione e dopo aver decretato che l’arpeggio rendeva il tutto troppo diabetico, decise di attaccare la chitarra all’amplificatore, aumentando gli effetti con il pedale e provando a fare qualche power – tecnica diametralmente opposta all’arpeggio, ma che si intrecciava alla perfezione con le note già trovate.

Si fermò, poi, un attimo per prendere la tracolla della chitarra che teneva in una borsa lì vicino e l’agganciò allo strumento, per poi chiudere gli occhi e iniziare a suonare come se fosse sopra un palco. Si scatenò per qualche minuto, improvvisando brani già scritti da lui o altri chitarristi, ma poi fu costretto a fermarsi per un ronzio che sentiva provenire dal piano inferiore.

Spense l’amplificatore e cercò di capire cosa potesse essere.

Subito il campanello suonò di nuovo.

Con un nuovo sospiro ed una nuova ed elaborata imprecazione, Tom si affrettò a posare ancora una volta la chitarra sul suo sostegno ed a scendere nell’ingresso. Riattivò lo schermo del citofono, maledicendo chiunque avesse voglia di fargli uno scherzo come quello di poco tempo fa. Ma fortunatamente, questa volta c’era davvero qualcuno fuori, anche se l’espressione sul viso del fratello non significava niente di buono.

Tom gli aprì il cancello e si affacciò alla porta di casa.

“Vieni qui, Tom…” fece Bill – carico di borse contenenti i suoi vestiti per il servizio – con tono titubante.

Suo fratello corse verso di lui senza capire cosa volesse, ma tutto gli fu chiaro non appena vide un piccolo, ma enorme piumino che copriva un bambino sdraiato vicino al cancello, addormentato. Aveva una sciarpa nera intorno al collo e un borsone al suo fianco.

Forse era stato lui a suonare prima, rifletté Tom, notando che anche se fosse stato in piedi non l’avrebbe potuto vedere dallo schermo, posizionato troppo in alto.

“Chi è?” fece lui, indicando il piccolo esserino avvolto in quel giacchetto troppo grande.

“Cosa vuoi che ne sappia!” rispose Bill, guardando torvo il fratello. “Sono arrivato ora!”

“Forse è meglio portarlo in casa…” constatò Tom, avvicinandosi al bambino e toccandolo con la mano sulla fronte.

“Già, fa anche freddo, visto che siamo in autunno…” convenne Bill.

Cosa voleva dire tutto questo? Perché un bambino stava dormendo ai piedi del loro cancello? Era una trovata di David – per quanto assurda fosse – o roba del genere?

Non sapeva darsi una risposta, come d’altronde anche suo fratello.

Tom, quindi, prese la sua borsa e se la portò su una spalla, per poi chinarsi nuovamente e prendere il bambino tra le braccia, mentre Bill lo anticipò per aprirgli le porte che il chitarrista si era chiuso dietro nell’uscire, per poi aspettare che lui fosse passato prima di richiuderle.

Il moro posò le borse nell’ingresso e seguì Tom che stava salendo le scale per mettere il bambino in un letto. La prima camera che si presentò loro fu quella di Inge, ma visto che lei si era praticamente trasferita in quella di Tom, non sarebbe stato un problema lasciare quell’inatteso ospite là finché non si fosse ripreso.

Bill corse, invece, in camera sua e prese il termometro e lo portò a Tom, che tolse il giacchetto al bambino, per verificare se avesse la febbre o meno.

“Non ti pare una scena già vista?” rise Bill.

“Già…” rispose Tom, non molto conquistato dall’allegria del fratello.

“Ehi! Non è che è suo parente?” ipotizzò il moro.

Tom lo guardò alzando un sopracciglio.

“Sennò l’altra possibilità che mi era venuta in mente,” disse Bill, portandosi un dito sotto il mento ed assumendo un’aria pensierosa. “era che questo bambino sia tuo figlio…” e mostrò un sorrisino sornione.

“Cosa?” fece Tom, altamente stizzito. “Ma vuoi scherzare?”

“Bè, conoscendoti, potrebbe essere il frutto di una delle tue tante notti…” continuò con il solito atteggiamento.

“Stai cercando guai…” lo minacciò Tom con un dito.

“No” negò deciso lui. “Sono solo realista.”

“Bill…” la pazienza stava pian piano esaurendo.

“Ma dai! Come nei film! Te lo immagini? Ora troveremo un pezzo di carta con su scritto che la madre non può tenerlo e…” Bill si bloccò.

Poi i gemelli si guardarono, per spostare, quindi, lo sguardo sulla borsa del bambino, ma i significati che si potevano leggere sui loro volti, erano decisamente differenti.

Bill era curioso. Tom era intimorito. C’erano sul serio delle possibilità che quello fosse suo figlio. Ed anche relativamente alte.

Entrambi si avvicinarono alla borsa e l’aprirono. Dentro vi trovarono vestiti – non proprio ben tenuti – dei giochi…

Ed un biglietto.

Deglutirono tutti e due. Sembrava che tutto ciò che stava dicendo Bill, si stesse avverando.

“Secondo me, dovresti leggerlo tu…”

“Bill, non scherzare…” rispose Tom, leggermente preoccupato. “E poi anche tu non sei da meno, certe volte! Potrebbe essere anche tuo!”

Bill non rispose, limitandosi ad adocchiare il piccolo pezzo di carta. Suo fratello, quindi, deglutì un’altra volta e l’aprì.

Non appena finì di leggere le poche righe, sentì la testa girargli per qualche secondo.

“Che dice?” chiese curioso il cantante, allungando gli occhi sul biglietto.

Il rasta glielo passò senza fiatare ed il moro lesse ad alta voce:

“Tom, questo è tuo figlio. È nato quattro anni fa. Non riesco a mantenerlo con il lavoro che faccio. Ti prego, prenditene cura.”

Seguirono attimi di pesante silenzio, in cui nessuno dei due osava parlare.

“Oddio…” fece Bill in un sussurro, poco dopo. “Proprio come avevo detto…” ed alzò lo sguardo su suo fratello. “Ehi, Tom, lo giuro, io non sapevo niente…”

“Bill, stai zitto.” Sibilò lui. “Non richiedo le tue battute ora. La questione è seria.”

“Guarda che lo so. Cercavo solo di sdrammatizzare…” si difese Bill, leggermente offeso dalle parole di Tom. Non era così ottuso da non capire che questa situazione era più grave dell’avere solamente un ospite inaspettato in casa.

“Non hai capito: non si può sdrammatizzare una situazione del genere.”

Bill si zittì, sentendosi ferito in pieno dal fratello, ma capendo come potesse sentirsi lui in quel momento.

“Non c’è nemmeno un nome…” disse, quindi, rigirandosi il foglio tra le mani.

“Già. Nessun nome.” Ripeté Tom.

Merda…

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Continua...

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ATTENZIONE: I Tokio Hotel non mi appartengono e con questo mio scritto non voglio dare rappresentazione veritiera della loro personalità. No scopo di lucro.

***

Ed eccomi di nuovo qui.

Prima di salutarvi, devo assolutamente chiarire una cosa: questa fan fiction non riprende quasi per niente la storia che l'ha preceduta, ho solo usato i medesimi personaggi perché mi sembrava troppo triste abbandonarli (e qui potete pure ridere). Mi ero talmente affezionata ad Inge ed al suo rapporto con Tom, che non ho potuto fare a meno di inserirla di nuovo.

Proprio per questo non è necessario che voi tutti, oh carissimi e santissimi lettori che mi seguite, abbiate letto 'Sopravvivere'. Non ci saranno - credo - riferimenti sostanziosi alla vita di Inge. Solo una buona dose di guai. ^^

Ah! Non aspettatevi frequenti aggiornamenti - vi avverto subito - perché non è ancora conclusa. Al momento ho scritto solo questo capitolo ed il prossimo. Certamente, vedrò di essere il più veloce possibile, ma non garantisco. Chiedo venia in anticipo per tutti i ritardi che farò.

Bè, ora non mi resta che ringraziare chiunque avesse avuto la voglia di leggere questo capitolo (oltre che a tutte le 15 persone che hanno commentato l'ultimo capitolo di 'Sopravvivere').

Mi aspetto qualche recensione! Mi raccomando! XD

Un'ultima cosa: visto che oggi è il primo Settembre, fare gli auguri a quei due ragazzi mi sembra d'obbligo.

Auguri, Kaulitz!

_irina_

  
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