Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Ruta    15/07/2014    2 recensioni
“Molly.”
Qualcosa, nel modo in cui lui aveva pronunciato il suo nome, suonò carico di significato.
Gli occhi azzurri di Sherlock, appuntandosi sul suo viso, espressero per un attimo un sentimento di sollievo talmente radicato che lei si chiese come fosse possibile che una manciata di secondi dopo si fosse già dileguato senza lasciare traccia del suo passaggio.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
15

Erano trascorse due settimane dacché Mary aveva preso pieno possesso della vecchia stanza di John. Due settimane di silenzio da una parte del muro e di attente, private considerazioni dalla parte opposta.

Sherlock aveva l’aspetto di un soldato che si appresti alla battaglia, che sia sul piede di guerra, ma senza avere idea di quando dovrà partire per raggiungere il fronte e affrontare il fuoco nemico. Si comportava come se avesse il diavolo alle calcagna.  

Due settimane scarse erano bastate a smagrirlo, dargli un’aria consumata che addosso a chiunque altro sarebbe stata estenuata, ma che su di lui faceva risaltare il barlume febbrile e burrascoso del suo intelletto acuminato.

Era puro istinto, ferale, famelico di notizie e indagini, sempre attivo e in movimento, che rincasava e usciva a rotta di collo e dormiva tre ore ogni paio di giorni. Con disperazione di tutti e buona pace della perseveranza di John, aveva ripreso a fumare come un turco, rendendo il salotto un limbo di miasmi e di esalazioni irrespirabili.  

“Oh, quel ragazzo testardo! Sembra che abbia l’argento vivo addosso!”

Molly non sarebbe potuta essere più d’accordo né avrebbe saputo trovare parole migliori di quelle usate da Mrs. Hudson. Si rese conto che, aspettando Godot, nulla sarebbe mai cambiato. Doveva agire. Doveva essere lei ad abbattere il muro.   

 

*

 

L’opportunità gliela offrì Mycroft, insperabilmente, qualche giorno più tardi.

 

Era una notte tranquilla. Molly era nel salotto del 221B, impegnata ad ammazzare il tempo, nonché ogni briciolo di amor proprio, con Mary, Wiggins e Victoria.

Stavano giocando a Diplomacy (Mary era in netto, clamoroso vantaggio su tutti loro e la partita non sarebbe potuta andare peggio) e Mrs. Hudson era seduta sulla poltrona di John e cullava Katie.

“A chi tocca?” domandò Wiggins.

Nell’ordine del gioco era il suo turno leggere quanto aveva scritto. Molly stava per indicare la mossa sulla plancia di gioco, quando, senza preavviso e arbitrariamente, nel modo appropriato, elegante e al tempo stesso sprezzante che gli apparteneva, sulla soglia dell’appartamento comparve Mycroft.

Non sarebbe sembrato più fuoriposto in quel contesto neanche se loro fossero stati nudi e lui vestito di tutto punto per una festa in maschera.

“Mi duole interrompere quella che si prospetta una totale disfatta per Miss Hooper, ma devo vedere Sherlock. Anche se deduco dalle vostre espressioni rilassate e dall’atmosfera godibile che non sia in casa.” Il sorriso che accompagnava quelle infamanti parole, così come il suo sguardo, erano più amichevoli del previsto.

Per quanto insolitamente cordiale, Molly sfidava chiunque a farsi piacere un prognostico a proprio svantaggio. Prognostico di cui, tra l’altro, era stata del tutto consapevole senza che lui affondasse il dito nella piaga.

“Prego, Mr. Holmes,” lo salutò con familiarità Wiggins e fece per cedergli il posto sul divano.

Mycroft lo guardò come uno scarafaggio e marciò oltre, insediandosi invece sulla poltrona di Sherlock. Con l’ombrello tenuto in una perfetta parallela e simile al bastone-bacchetta di legno di un istitutore di inizio secolo, si limitò a seguire il gioco con occhi di falco.

Molly sospirò interiormente – aveva imparato a farlo spesso negli ultimi anni, tanto da avvalersi di quei sospiri interiori con deleteria costanza e frequenza.

Aveva pensato che la partita non potesse andare peggio, per lei. A quanto pareva il destino, o il karma, aveva un senso dell’umorismo altamente contestabile. 

 

*

 

Molly non era stata per niente sfiorata dal pensiero che Mycroft sarebbe davvero rimasto in silenzio fino all’arrivo di Sherlock, né che la mancanza del suo bersaglio preferito lo avrebbe trattenuto dall’individuare tra i presenti alternative fonti di diletto personale, diletto conseguito nel metterne in vista le manchevolezze.

Aveva semplicemente sperato che non fosse lei la fortunata fiduciaria di quell’onere gravoso.

“Se fossi in lei, non lo farei, Miss Hooper.”

Non di nuovo.

“Oh,” Molly guardò intenta l’unità che era stata sul punto di dislocare, “perché?”

Victoria sogghignava impenitente, ma Wiggins le rivolse un’occhiata simpatizzante e Mary era tipo da ‘vivi e lascia vivere’, o almeno questa era sempre stata la sua impressione.

“Se persiste in questo schema pericoloso, in base all’accordo tra Mastro Wiggins e Mrs. Watson, la sua armata verrà spazzata via in un duplice contrattacco e Miss Queen diventerà inveterata regina del suolo britannico che lei ha l’incarico di proteggere.”

Molly fece un verso scoraggiato, riflettendo su una nuova, eventuale mossa.

“Le consiglio caldamente di spostare la flotta di Edimburgo e –”

“Un attimo,” lo interruppe Molly, “per quanto gentile, suggerire è barare.”

“Nessun problema, Doc,” sorrise Wiggins.

“Già, praticamente il gioco è in chiusura.”

Molly corrugò le sopracciglia. In parole povere le stavano dicendo che non c’era modo che lei si salvasse da una debacle disastrosa, pur contando sull’astuzia di Mycroft.

Be’, pensò risoluta, questo era tutto da decidersi.

 

*

 

Quando John mise piede nell’appartamento, agitando le spalle anchilosate e passandosi una mano tra i capelli bagnati, rimase impalato sulla porta per una manciata di secondi, forse qualcosa in più, decisamente per uno scarto di secondi di troppo, a fissare la scena surreale che si presentava ai suoi occhi.

C’era il salotto, non sottosopra e niente affatto a soqquadro. C’erano sua moglie, sua figlia, Mrs. Hudson, Wiggins e Victoria Queen distribuiti attorno a una plancia di gioco sistemata sul basso tavolino di fronte al divano.

E poi c’erano Molly, Molly Hooper e Mycroft, Mycroft Holmes impegnati in un acceso scambio di vedute su qualcosa che riguardava ‘un centro di rifornimento’ e la ‘volubilità dei francesi’ e l’essere ‘potenzialmente razzisti’.

Lesse il nome sul contenitore sul pavimento e la confusione naufragò in rassegnazione. Diplomacy. ‘Un Gioco di Intrigo Internazionale, Fiducia e Tradimento’ recitava la tagline.  

Dannazione, come aveva fatto a perderselo?

Cercò lo sguardo di Mary e vi trovò riflesso lo stesso brillante divertimento.

E poi salì l’ultima rampa di scale anche Sherlock, simile a un fosco e minaccioso fantasma. Scosse i capelli neri come il pelo irsuto di un cane e stette ad osservare faziosamente quella scena impagabile. “Non accetterò, Mycroft,” annunciò lugubre e Mycroft e Molly smisero all’istante di scambiarsi piacevolezze per voltarsi simultaneamente e fissarlo come si guarderebbe un ladro che si sia intrufolato in piena notte in proprietà privata.

Sherlock fece una smorfia terribile e malevola, dopodiché voltò le spalle ai presenti, imboccò regalmente la porta della sua camera da letto e scomparve alla vista.

 

 

Ricomparve quindici minuti più tardi. Il gioco da tavolo nel frattempo era stato riposto; Mrs. Hudson, Wiggins e Victoria avevano augurato la buonanotte ritirandosi nei rispettivi appartamenti e i restanti del gruppo avevano preso un atteggiamento serio che mal si adattava al contesto di appena poco prima.

Specialmente Mycroft – le gambe accavallate, l’espressione severa che accompagnava un leggero increspamento della fronte - la cui dignità era ormai definitivamente compromessa agli occhi di John; e Molly che aveva assunto un’aria mortificata e colpevole e occhieggiava a Mycroft come se attendesse il momento opportuno per porgere delle scuse di cui l’altro non avrebbe visto alcun beneficio o provento. Poteva già immaginarseli alla perfezione: la reazione di lui e il commento di accompagnamento, qualcosa sulla falsariga di ‘mera forma sociale’ o, come l’avrebbe convenientemente definito, un puro pro forma.

Purtroppo Sherlock scelse di mostrarsi in quel momento.

Non andò a sedersi sulla sua poltrona, quella era occupata da Molly, ma prese il gatto che stava in panciolle sul davanzale della finestra e si posizionò alle spalle di lei.

A quel gesto per niente implicito di galanteria, con buona grazia di chi stentava a crederlo capace di atti davvero gentili, Molly gli regalò un sorriso di rara limpidezza a cui Sherlock rispose con una vaga carezza sulla spalla di lei e lo scorcio di un rapidissimo, altrettanto raro, sorriso.

John si sfregò il mento per eclissare il proprio di sorriso e Mary fece lo stesso, dietro la tazza di tè che Mrs. Hudson si era premunita di preparare loro prima di scendere dabbasso.

Si sarebbe detto che tra tutti quei sorrisi Mycroft trovasse all’improvviso l’ambiente stomachevole. Più del consueto, s’intendeva.

“Hai sprecato tempo prezioso nonché i servizi del Governo per un viaggio a vuoto. Non che solitamente siano meglio impiegati. Pare un netto miglioramento questo.”

“Sherlock.” Non un blando richiamo o uno soffice di pericolosità in avanscoperta, ma un tono pregno di minacciosi sintomi premonitori. Mycroft si massaggiò l’attaccatura del naso. Uhm, pensò John, nuvole in purgatorio. “Malgrado tu abbia collezionato un considerevole repertorio di tentativi compiuti per dimostrare il contrario, la mia tolleranza non è infinita.”

“No, certo che no.” Sherlock gli rivolse un sorriso da iena, deliberatamente provocatorio. “A quanto pare lo è solo il tuo pingue stomaco.”

“Ti ho lasciato risolvere dei casi, ma ciò non significa che io non possa intervenire in qualsiasi momento. Dammi una ragione, Sherlock e te ne farò rimpiangere.”

“Sono terrorizzato.”

Perfetto. Ci mancava una buona dose di sarcasmo. John avrebbe voluto capirlo. Era di pessimo umore e d’accordo, forse ne aveva ogni ragione. Il tentativo di quella notte si era rivelato l’ennesimo buco nell’acqua, ma non riusciva proprio a trattenersi? Non poteva se non altro tentare?

“Almeno potresti ascoltare quello che ha da dire,” intervenne Molly.

Sherlock si sgonfiò un poco e abbassò la testa per guardare Molly, che invece aveva alzato la sua.

“So già cosa dirà,” disse Sherlock.

“Potresti rimanere sorpreso.”

“Ne dubito.”

Con una smorfia, grattando le orecchie del gatto che gli si era arrampicato su una spalla e se ne stava là appollaiato, Sherlock fece un cenno impercettibile a Mycroft, che dal canto suo, ovviamente, non poteva lasciar passare la cosa sottobanco.

Indirizzò a Molly un’occhiata di affettato apprezzamento. “Poche lezioni ancora e potrebbe aspirare ad una carriera da agente diplomatico.”

Molly si strinse al petto il gatto che Sherlock le aveva messo in grembo, sembrò riflettere sulla proposta di lui con solennità. “Non sono mai stata un granché in lingue straniere,” disse con franchezza, “e il diplomatichese sembra fin troppo problematico.”

Tatto, finezza, abilità nella trattazione di affari delicati che richiedevano prudenza, o anche nelle relazioni tra persona e persona. Molly era una diplomatica nata. 

Mycroft le rivolse uno sguardo fermo, nel suo modo di dire ‘Touché’, quindi espose gli estremi del caso.    

 

*

 

La mattina successiva tutti recavano i segni della nottata che si era protratta fin quasi all’alba. Tutti tranne Sherlock che aveva una robusta costituzione e una caparbietà e resistenza quasi inumane.

“Ricordami perché ho accettato il caso,” lo sentì lamentarsi a bocca piena.

John storse gli occhi dietro il Times. Gli sovvenne il pensiero, forse maligno ma sicuramente sincero, che quella sfera della vita in comune – svegliarsi al suono degli strimpelli del suo violino, fare colazione con Sherlock che gli rubava il cibo dal piatto e deduceva venti cose prima che lui voltasse pagina – non gli fosse affatto mancata. “Perché te lo ha chiesto Mycroft.”

Sherlock fece una faccia scettica, trangugiando il suo caffè.

Nel momentaneo spiraglio di silenzio, John ridacchiò. “Perché Molly ti ha fatto gli occhi dolci e tu non hai saputo resisterle. Arrenditi, sei un uomo anche tu.”

“La tua dabbenaggine non ha fine.”

Sentire qualcuno inserire la parola dabbenaggine in un qualsiasi contesto conversativo e prima che scoccassero le nove di mattina, questo sì, lo ammetteva, gli era mancato da morire.

 

*

Lord Robert Walsinghain de Vere St. Simon, secondogenito del duca di Balmoral, era un uomo dal viso pallido e il naso aquilino, una vena di gentilezza insolitamente spiccata negli occhi nocciola e modi di fare affabili.
Se si fossero ritrovati a percorrere lo stesso marciapiede, l’uno di fianco all’altro nel traffico londinese, John non avrebbe riconosciuto in lui un nobile Lord, se non per quel non so che nel portamento – qualcosa di vagamente impettito, una sorta di austerità che non riusciva a trovare pace, a rilassarsi – e per l’abbigliamento estremamente ricercato. La sua cravatta di raso con minuscoli fiorellini lilla doveva costare da sola uno se non due dei suoi stipendi, pensò John con una punta d’invidia. Per non parlare del fermacravatte d’argento.
“Sabato sera Hatty, Hatty Doran, la mia fidanzata, aveva uno spettacolo al Future Theatre. Da allora è scomparsa.” Lo disse in un tono che molti avrebbero definito piatto o addirittura freddo, ma che non lo era affatto, non per John.
“Non è la prima volta che accade,” constatò Sherlock.
“No, non lo è,” riconobbe Lord Simon. “È quasi una settimana che questo fenomeno ha luogo. Alla fine di ogni spettacolo Hatty svanisce nel nulla. Non la si trova nei camerini e con lei scompare anche il costume di scena. Ho provato ad aspettarla dietro le quinte e sulla boccascena, ma niente sembra funzionare. Cala il sipario e non si riesce più a trovarla da nessuna parte. È come se si volatilizzasse. Questo ha mandato in agitazione anche la sartoria del teatro e il resto della compagnia. Come lei può ben immaginare mancano gli estremi per richiedere l’intervento delle forze di polizia o avviare le procedure di allertamento. Non è semplicemente scomparsa, perché di fatto scompare unicamente nei periodi di tempo che intercorrono tra uno spettacolo e l’altro. Ebbene io non posso adeguarmi agli iter burocratici. Voglio trovare Hatty e voglio farlo subito.”
“Ci parli della signora,” ingiunse Sherlock.
John simulò un colpo di tosse e gli indirizzò un’occhiata delle sue. Si sporse in avanti, decidendo di prendere la parola. “La ritiene capace di giocare un brutto tiro al teatro? Il suo può essere un modo estremo per allontanarsi da lei, per timore di affrontarla faccia a faccia?”
“Hatty è molto superstiziosa, non ama distrazioni nel periodo che precede la prima, ma scappare o nascondersi non è nel suo carattere. No, se agisce in questo modo è perché è costretta dalle circostanze.”
“O perché a costringerla è qualcuno.” Sherlock incrociò le mani davanti al naso. “Quindi vuole che ritrovi la sua fidanzata, pur non trattandosi di un caso di rapimento.” Perché dovrei scomodarmi?
Lord Simon si accigliò. “Come può escluderlo a priori?”

È evidente. Non è evidente, John? Sherlock si voltò verso di lui con stampate in faccia quelle riflessioni. Incrociando il suo sguardo di ammonimento, roteò gli occhi e sbuffò, tamburellando le lunghe dita sui braccioli della poltrona. “Miss Doran è un’attrice. Chi meglio di lei è al corrente dei trucchi del mestiere sul palcoscenico? Inoltre è scomparsa con il suo abito di scena, il che elimina numerose alternative dal ventaglio di probabili soluzioni.”
Lord Simon non era persuaso e John intravide per la prima volta un’intensa preoccupazione farsi largo in lui, prendere il sopravvento. “Lei è mai assalito dal timore di sbagliare?”
Sherlock sembrò ponderare sulla questione con grande serietà, quindi con un cenno di assenso assicurò nella voce flautata che sapeva usare, alle volte: “Molto raramente.”

 *

Dopo l’uscita di scena di Lord Simon, Sherlock saltò in piedi di scatto.
John si apprestava a seguirne l’esempio quando Molly irruppe nella stanza. Indossava il soprabito e aveva un ombrello rosso in mano. Mary la seguiva e John, sospirando, si accorse di cosa stringeva in mano: una radiolina-interfono.
Sperava che non diventasse un’abitudine, quella. Il brillio esasperatamente divertito nello sguardo di sua moglie pareva assicurargli il contrario.
“Voglio venire con voi,” disse Molly in tono risoluto.
Sherlock la fissò a lungo, intensamente, poi con lentezza annuì. “D’accordo.”
Nessun infernale discorso sulla sicurezza. John era allibito. No, di più: era assolutamente sbigottito; in buona misura perfino arrabbiato. “Sherlock, posso parlarti?” domandò a denti stretti. “Possibilmente in privato.”
Lui reagì con fastidio alla proposta. “Qualsiasi cosa tu possa dire, ci ho già pensato. Ho valutato le opzioni e deciso di conseguenza. Molly verrà con noi. Fine della questione.”
Contenendo a stento un’imprecazione, John serrò i pugni. “Come preferisci.”

 *

Mary e Mrs. Hudson li avevano scortati fino alla porta e rimasero sulla soglia finché il taxi non scomparve, svoltando oltre la curva dell’imbocco di Baker Street.
“Speriamo che vada tutto bene.” Mary non aveva dubbi in proposito, ma lo stesso una parte di lei non poteva non essere impensierita di fronte alle molteplici occasioni di pericolo che, lei più di chiunque, sapeva essere acquattate dappertutto, in luoghi impensati. C’erano tante variabili in quel gioco, troppe.   
Mrs. Hudson sospirò e scosse la testa, sistemandosi meglio la frangia dello scialle su una spalla. “A Dio piacendo, cara. Che dici, inforniamo un po’ di pane?”

 *

“Fu commissionato all'architetto Ernest Schaufelberg ed è in stile italiano. È stato il primo teatro ad essere costruito a Londra dopo la fine della prima guerra mondiale.”
Molly studiò affascinata la facciata dell’edificio. Era in cemento, con pilastri in mattoni di supporto al tetto e la famosa statuetta di Tersicore arroccata sopra l'ingresso. “Scolpita da una compagnia celebre di artigiani di Worcestershire,” la mise al corrente Sherlock, indicandogliela col braccio.
Accedettero attraverso le doppie porte di bronzo in un atrio di marmo grigio e rosso, con una biglietteria di rame battuto.
Con 432 posti a sedere nella sala, è il secondo più piccolo teatro del West End.”
Con un sospiro esasperato e insieme stizzito, John lo minacciò di sconsigliabili ripercussioni sul suo posteriore se non si fosse deciso a stare zitto.
“Siamo nel bel mezzo di un caso.” La voce di lui era fiacca, gli occhi più stanchi che mai mentre squadrava sia lei che Sherlock. “Potreste cercare di avere un’aria meno compiaciuta? Tra voi due non so chi sia il peggiore.”
Molly chinò la testa. “Scusa, John.”
Sherlock nascose poco e male un sorriso asimmetrico. “Non prometto nulla.”

 *

Nel punto in cui erano appostati si aveva il controllo visivo dell’intera sala: la platea di sedie di velluto rubino, le due balconate frontali e i palchetti laterali. E ovviamente del palcoscenico in ogni sua componente, piano scenico e retropalco inclusi.
John era di guardia nel sottopalco mentre lei e Sherlock si trovavano sulla piccionaia, o forse sarebbe stato più corretto chiamarlo col suo nome, ballatoio.
Poco prima che lo spettacolo iniziasse, Molly vide uno dei macchinisti arrampicarsi come un trapezista sulla struttura di legno della graticcia e armeggiare con le corde di canapa legate agli stangoni. Alle loro spalle il pesante fondale di velluto nero cominciò una lenta discesa. Molly incrociò le braccia sul corrimano e guardò in basso, godendosi la prima vera uscita in compagnia di Sherlock.
Come se le avesse letto nel pensiero, lui si tastò le tasche del Belstaff, nella ricerca evidente di qualcosa, quindi le passò un binocolo e una brochure.
“Per il prossimo appuntamento sarebbe bello vestire abiti da sera e chiacchierare nel foyer,” disse Molly a cuor leggero, prendendoli.
Sherlock annuì, come se lo fosse appuntato.
Molly lesse distrattamente il titolo sul manifesto e le sfuggì un piccolo verso di giubilo ed eccitazione.
Sherlock inarcò le sopracciglia.
“Scusa,” disse lei con un sorriso che sembrò disarmarlo per un attimo. “È che – La signora in nero,” gli sventolò il pezzo di carta sotto il naso, “è stato praticamente uno dei miei racconti preferiti da bambina.”
Sherlock arcuò un angolo di bocca e i suoi occhi si concessero un guizzo di qualcosa, piacere forse nello scorgere il piacere di lei, prima di tornare seri e concentrati. 

   *

“Uno spettacolo eccellente,” commentò Sherlock, impugnando il cellulare e battendo freneticamente i tasti mentre inviava un messaggio-lampo a qualcuno – senza dubbio John. “Anche quel Fantasma di Pepper era tutto fuorché scadente.”
“E gli attori,” aggiunse Molly. “La signora in nero è interpretata da Miss Doran?”
Sherlock le fece segno di tacere. Molly obbedì e seguì la direzione del suo sguardo. Era appuntato sopra le loro teste, in alto, sulla torre scenica là dove un uomo, un’ombra appena visibile, ma agile e smilza, si stava muovendo di soppiatto in direzione delle quinte, verso qualcosa che assomigliava a una torretta metallica che sorreggeva dei riflettori spenti.
Sempre a gesti, Sherlock le fece capire di rimanere dove si trovava e si affrettò a seguire l'ombra dell'uomo.
Pochi minuti dopo vide l’ombra cadere nel vuoto, appesa ad una grossa fune e poi fare un capitombolo da un’altezza approssimativa di un metro, un metro e mezzo sul palco sottostante.

*

“Mi dispiace, Robert.” Vestita completamente di nero, neri i capelli lucenti e neri gli occhi dolenti che fissavano il fidanzato corrente al fianco di quello passato (un ragazzo allampanato dagli occhi verde chiaro, basette, folti capelli castani e un mento degno di ogni considerazione), Hatty Doran era una donna affascinante dalla pelle di magnolia. Nessuno stupore per John che due uomini tentassero di accaparrarsi le sue attenzioni, di cui uno era un Lord.  
Lo stesso Lord che rispose a quello sguardo compunto con uno afflitto. “È per via del mio titolo, Hatty?”
Lei scosse la testa con decisione, incrociò le mani sulla gonna dell’abito vittoriano. “Non ho mai voluto essere una Lady.”
“È questo allora? Che per te non abbia rinunciato al titolo, il problema?”
“Non te lo avrei mai chiesto, Robert.”
Lui aveva un’espressione amareggiata quando lei gli rese l’anello di fidanzamento – un gioiello d'oro scuro e di foggia antica, di sicuro tramandato per generazioni. “Forse avresti dovuto.”

 *

“Agnizione,” mormorò Sherlock. Prima che lei potesse chiedere spiegazioni lui proseguì: “L’ipocrisia dei sentimenti non smetterà mai di sorprendermi.”
“Cosa intendi?” Molly si voltò a fronteggiarlo.
Sherlock aveva una smorfia che non era solo disgustata, ma di ostile, manifesta disapprovazione. “Come ha potuto dimenticare così facilmente il suo amore precedente?”
Molly si accigliò. “Non l’ha fatto. È proprio questo il punto, no? Non l’ha mai dimenticato e quando ha scoperto che era vivo –”
“Ma come può tradire il nuovo, voltare le spalle a una promessa fatta a un uomo in virtù di quella fatta a un altro uomo? Promesse che rompono promesse.” Lo disse nel tono da ‘non capisco’.
Molly sorrise senza averne seriamente l’intenzione. “Io credo di capirla molto bene invece. Non ha rotto un giuramento. La sua era speranza.”
“Speranza.” Sherlock la fissò come una povera squilibrata.
“Sherlock,” iniziò dolcemente e fece uno dei suoi sospiri interiori, “quando ami a lungo qualcuno ti rendi conto che quella persona ti è entrata dentro, ti ha influenzato senza quasi che ne avessi coscienza. L’amore ti cambia. Non so dirti se in male o in bene, ma di certo lo fa, ti cambia. E anche quando quella persona non c’è più o è andata via o si è allontanata, non rinunci a quella nuova parte di te. La puoi addormentare, puoi illuderti che altre prendano il sopravvento, crederci abbastanza da renderlo possibile. Poi incontri qualcuno di diverso e ti scopri ad amarlo, ma è un amore molto, oh, molto differente dal primo e tutto ricomincia daccapo. Si ama sempre e mai in modo uguale. L’unica caratteristica che li accomuna è che non sono in nessun modo semplici. Non è amare o perché si ama, ma come lo si fa ad essere importante.”
Lo aveva spiazzato. Per un istante, un istante languido e disincantato, Sherlock lesse con serena trasparenza quello che lei non aveva tentato di nascondere neanche una volta in quelle settimane. So che c’è qualcosa che mi nascondi, ma non ti forzerò per scoprirlo. Sempre durante quell’istante, sembrò giungere a una decisione finale. Molly la vedeva profilarsi nei suoi occhi, nell’azzurro che ad un tratto si faceva incerto, sospeso come il cielo quando non sa risolversi tra sole e pioggia e trova l’armistizio di una copertura di nuvole. Aprì la bocca.  “Molly, io –”
Poi l’istante si spezzò, la magia fu rotta dal suono vibrato del cellulare di lui. Con un sospiro condiviso Molly mise da parte quel miraggio e Sherlock controllò il display, accigliato. “È John,” disse ruvidamente. “Dobbiamo andare.”

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Ruta