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Autore: _Leviathan    15/07/2014    5 recensioni
Frank Iero e Daisy Snowdon sono migliori amici. Frequentano il liceo a Westwood, nel Minnesota, e hanno un compito da portare a termine: Scattare delle fotografie che facciano vincere loro il concorso di fotografia della scuola.
Daisy è sicura di aver trovato la location perfetta: L'ex Ospedale Psichiatrico di Westwood.
Solo nel momento in cui Daisy e Frank si recheranno lì, si renderanno conto che quel luogo nasconde un terribile segreto.
Genere: Horror, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bandit Lee Way, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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***Miao! Come sempre all'inizio di ogni nuovo capitolo tengo a ringraziare immensamente le fantastiche persone che utilizzano un pochino del loro tempo per leggere e seguire questa storia. Un abbraccio enorme va anche e soprattutto a quei tesori che recensiscono, mi aiutano con i loro consigli, e mi infondono sempre più fiducia in me stessa. Siete importanti aw c: 
Non ho altro da aggiungere, se non: Leggete, godetevi il capitolo e... recensiteeee! <3***





 
Capitolo 3.

 
 

- Che diamine era quella cosa? –
- Non lo so. – Frank si alzò dalla sedia.
Si passò una mano sulla faccia. Indugiò per qualche istante sul mento e poi la lasciò ricadere lungo il corpo. – Dio… – Scosse la testa e tornò a sedersi.
Eravamo a casa sua, in cucina. Avevo perso il conto di quante sigarette avessimo fumato negli ultimi venti minuti, ma dalla consistente nube di fumo addensata sul soffitto dovevano essere state parecchie.
- D, dammi la macchina fotografica. –
Gliela passai facendola scivolare sul tavolo. Non ne volevo sapere più niente di fotografia per quella notte, e probabilmente anche per il resto della mia vita.
Avevo vomitato l’anima fuori da quel fottuto Ospedale Psichiatrico, e dovevo ancora fare del mio meglio per trattenere la bile – ormai era rimasta solo quella – all’interno del mio corpo.
Ero senza forze, ma non avevo intenzione di mangiare o bere nulla. Il solo pensiero di ingerire qualcosa mi dava il voltastomaco.
Osservai Frank dalla mia postazione accanto al frigorifero. Aveva acceso l’aggeggio e stava scorrendo le foto di quella notte.
- Che cosa speri di trovare? Quello di scattare foto al… coso non è certo stato il mio primo pensiero. – Anzi, non mi era neanche passato per l’anticamera del cervello.
Frank mi ignorò.
Sbuffai e roteai gli occhi. Raggiunsi il mio pacchetto di sigarette sul davanzale della finestra e ne accesi un’altra.
Fu più o meno quando ero arrivata al terzo tiro che gli occhi di Frank si spalancarono. Le sue mani lasciarono andare la macchina fotografica che cadde con un tonfo sul tavolo, e lui si alzò di slancio dalla sedia. In realtà somigliava più al movimento che compie una persona nel momento in cui si è scottata con un ferro rovente.
- Merda! – Imprecò, prendendo a pugni il tavolo.
Avevo ufficialmente paura ad avvicinarmi.
- Non dirmi che l’ho immortalato. –
- Cazzo… sì! –
Quello fu il mio turno di sgranare gli occhi. La mia bocca si spalancò a vuoto, ma Frank rispose alla muta domanda con la frase successiva: - Dev’essere stato quando siamo sbucati alle latrine. Mi sembra di ricordare che mi hai urtato leggermente. Credo… credo che venendomi addosso tu abbia cliccato per sbaglio il pulsante e… ecco. – Scrollò le spalle.
In effetti non faceva una piega.
Presi a tormentarmi il labbro inferiore con i denti. Allora era tutto vero. Quella cosa era vera. Certo, non avevo dubbi di averla vista, dal momento che eravamo in due e che nessuno dei due aveva assunto di recente sostanze stupefacenti, ma la foto era un’ulteriore conferma.
Guardai Frank. Il suo volto era incredibilmente pallido. Se non fossi stata al corrente della situazione avrei giurato che soffrisse di anemia.
Mi avvicinai al tavolino di legno. Non volevo vedere quella foto, ma qualcosa dentro di me mi diceva che dovevo farlo. Era la parte di me che voleva prendessi completamente atto della situazione.
Avvicinai una mano tremante alla macchina fotografica, la presi e l’avvicinai.
La foto era tutta storta e sfocata, la luce quasi inesistente, ma ad un’analisi un po’ più approfondita si riusciva a distinguere la sagoma dell’essere. Era esattamente come lo ricordava la mia mente, forse ancora più mostruoso perché purtroppo non era solo nella mia mente. Gli arti allungati, la pelle sottile e putrida. E quegli occhi… due maligni puntini luminosi nell’oscurità.  
Rabbrividii.
- E’… umano, secondo te? – Chiesi con un filo di voce. Appoggiai la macchina fotografica sul tavolo, la mia mano tremava ancora.
Non riuscii a comprendere l’espressione sul volto di Frank. Probabilmente perché lui stesso non riusciva a comprendere quali sentimenti stesse provando. Era un misto tra terrore, ansia e confusione totale. C’era anche un pizzico di razionalità. E se si guardava attentamente si riusciva a scorgere quel piccolo accenno di follia. Proprio là, appena a sinistra delle pupille dilatate.
Scosse la testa e strinse le labbra. Mi guardò spaesato. – Non lo so. – Sollevò le braccia e le lasciò ricadere lungo il corpo. – Penso di doverci dormire sopra. Ne parliamo domani, che ne dici? –
Annuii automaticamente, anche se l’idea di affrontare di nuovo l’argomento mi terrorizzava.
Frank mosse qualche passo verso di me e mi abbracciò. Fu un abbraccio lungo e straziante, potevo sentire chiaramente la paura e la tensione, ma fu probabilmente il più bell’abbraccio della mia vita.
Sollevai il volto e i miei occhi incontrarono quelli di Frank. – Posso dormire con te questa notte? – Il tono con cui lo chiesi sembrava quello di una bimba impaurita dal mostro nell’armadio che chiede al papà se può dormire nel lettone con lui.
Ho reso l’idea?
Frank mi stampò un bacio sulla fronte e mi sorrise. Uno di quei sorrisi che amavo. – Certo che si, Principessa delle Tenebre. –
 
 
Sarebbe stato decisamente troppo bello se quella fosse stata una notte serena e limpida. Sarebbe stato bello, ma innaturale.
Il rumore della pioggia scrosciante, gli ululati del vento e i ticchettii insistenti dei rami del platano in giardino che battevano sulla finestra della camera di Frank mi convincevano sempre di più di essere stata catapultata in un film dell’orrore.
E quando mai in un film dell’orrore la notte è serena?  
Mai, appunto.
Quindi sarebbe stato innaturale.
Appunto.
Non riuscivo a dormire. Erano le tre e quarantasette e non avevo ancora chiuso occhio. Frank, affianco a me, dormiva un sonno agitato. Spesso gemeva e sussultava, stava sudando molto. Preferii comunque non svegliarlo, in ogni caso stava riposando più di me. Gli posai un bacio leggero sulla fronte che sgombrai dai capelli scuri.
Sollevai le coperte e mi sedetti sul bordo del letto, in attesa che arrivasse l’alba.
 
 
Qualche ora dopo – o almeno presumevo che fosse qualche ora dopo – mi ritrovai seduta per terra con la schiena appoggiata al bordo del letto, e il viso di Frank a meno di dieci centimetri di distanza.
Il collo mi faceva un male cane, il braccio destro aveva perso sensibilità.
- D, che ti è successo? –
Mi ero addormentata. Mi ero addormentata in una posizione decisamente innaturale.
Perché dormire in un letto è troppo mainstream.
Sbattei le palpebre ancora un paio di volte, poi cercai di alzarmi tenendomi aggrappata al letto. Una volta in piedi, mi stiracchiai.
– Mi ricordo solo che non riuscivo a dormire e che a un certo punto ho cominciato a gironzolare per la stanza. Devo essermi addormentata lì. – Indicai il punto in cui ero seduta qualche secondo prima. Mi grattai la testa e sbadigliai. – Tu come stai? Hai fatto un casino questa notte…  –
Frank si strinse nelle spalle. – Incubi. –
- Già. Avrei dovuto svegliarti. –
- No, tranquilla. Almeno ho dormito un po’. –
E ciò seguiva esattamente il mio ragionamento di questa notte. Per qualche istante mi sentii l’amica perfetta, quella che ha sempre la situazione sotto controllo e che sa sempre cosa fare. Non riuscii a trattenere un sorriso.
Frank mi guardò per un po’, poi anche le sue labbra si curvarono all’insù. – Cosa c’è? –
Scossi la testa. – Niente! Vado a preparare la colazione. –
 
 
Frank Iero, Daisy Snowdon, un tavolo, e un foglio di carta ancora immacolato.
- Allora… - Cominciò Frank, la bocca piena di pancake allo sciroppo d’acero. – Punto numero uno della lista? –
Ci pensai su. – Mmmh. “Non stavamo sognando”, direi. Ho anche il punto numero due. –
- Spara. –
- “Non eravamo fatti.” –
Accennò a un sorriso e trascrisse i primi due punti sul foglio bianco.
Sapevo che erano cose banali ed ovvie, ma in un caso come quello era necessario partire da lì.
- Ho il punto numero tre. – Disse.
- Okay. –
- “Era reale.” –
Lo guardai di sbieco con un sopracciglio sollevato.
- Ehi, che c’è? Eravamo d’accordo di partire dalle ovvietà. –
Sorrisi, gli diedi un buffetto sotto il mento e annuii. – Hai ragione, scusa. –
- Punto numero quattro. – Continuò. – “Era innaturalmente alto e magro, gli arti superiori erano più lunghi del normale, la pelle era quasi diafana.” –
- Direi che questi sono tre punti, Frank. –
- Hai ragione. – Trascrisse tutti i punti. – E per finire… punto numero sette: “Stava mangiando un essere umano”. –
- No! – Lo corressi. – E per finire, punto numero otto: “Era umano?” Questo penso debba restare un punto di domanda. –
- Giusto. –
Frank rilesse la lista e sbuffò. – Sapremo mai con cosa abbiamo avuto a che fare? –
- Spero di no. – Rabbrividii.
- E domani? –
- Cosa? –
- A scuola D. Come faremo? –
Mi morsi l’interno delle guance, non ci avevo pensato. – Io quelle foto non le sviluppo. Non voglio più vederle. Se proprio ti interessano fai te. –
- Ma… il concorso…  –
- Affanculo il concorso Frank. –
 
 
La notizia che ebbe la capacità di scioccarmi ancora di più la ricevetti alle otto di sera, per gentile concessione del telegiornale.
Non credevo ci fosse ancora qualcosa in grado di scioccarmi, ma evidentemente mi sbagliavo. Io e Frank avevamo passato la giornata a fare il nulla più assoluto, tra un’ipotesi e l’altra su cosa potesse essere il coso  (erano venuti fuori le opzioni: alieno, zombie, mostro, scimmia evoluta male, umano evoluto male, un serial killer travestito) e il terrore di essere stati seguiti e di poter ricevere visite spiacevoli durante la notte. Non aveva senso, perché se quella cosa ci avesse davvero seguiti sarebbe entrata di sicuro ieri notte, ma ogni cosa ormai mi terrorizzava, e sospettavo seriamente di star diventando paranoica. Per di più, i genitori di Frank erano fuori città per lavoro, quindi ogni rumore in casa bastava e avanzava per farmi perdere dieci anni di vita alla volta.
Jodie Quinn, l’insulsa giornalista bionda che mi era sempre parsa come la perfetta mogliettina americana, stava presentando il telegiornale di quella sera.
15 Ottobre 2013. Il giorno in cui passai un’intera giornata stravaccata sul divano del salotto di casa Iero, con una scodella piena di popcorn in una mano e una lattina di coca cola nell’altra. E i piedi di Frank sulle gambe.
Jodie Quinn blaterava le solite inutili notizie che si sentono ogni giorno al telegiornale, io e Frank guardavamo la televisione distrattamente. Fino a quando…
“Notizia dell’ultima ora” disse Jodie. Sembrava allarmata. Anzi, sembrava una di quelle persone che cercano di nascondere la paura e la perplessità dietro ad una maschera d’indifferenza, ovviamente senza riuscirci.
Risultava ridicola.
“All’interno dell’ex Ospedale Psichiatrico di Westwood sono appena stati ritrovati i resti del cadavere di una donna, e due agenti di polizia sono stati gravemente feriti. Impossibile per ora identificare la donna, mentre si presume che l’aggressore sia un animale.” 
Guardai Frank. – Un animale?! Quello non era un animale! –
- Beh, D, che ti aspettavi? Non diranno mai al telegiornale che è un mostro uscito direttamente dall’Inferno. –
Sospirai. – Che sta succedendo, Frank? –
Si strinse nelle spalle. Non disse nulla.
- Ho paura. – Mi accoccolai accanto a lui e lo abbracciai. – C’è qualcosa di troppo strano ed irreale in questa faccenda. –
E’ strana ed irreale, ma è… reale. E’ assurdo. –
“L’ambulanza sta trasportando in questo momento i feriti al Westwood Hospital Center, dove…”
Frank spense la tv.
- Ehi! –
- Ne ho abbastanza. –
- Non mi interessa se ne hai abbastanza, accendi subito quella tv. –
Frank sbuffò e la riaccese, ma il servizio era terminato. – Visto? Non hanno aggiunto altro. –
Strinsi le labbra e me ne stetti in silenzio per un po’.
- Non voglio andare a scuola domani. – Mormorai.
- Già, neanche io. Non riuscirei a sopportare tutte le domande di James riguardo al concorso. –
Aveva ragione. James Jackson era un primino che dall’inizio dell’anno si era accollato a Frank, probabilmente l’aveva preso in simpatia o, secondo altre voci, si era innamorato di lui. Storsi le labbra in una smorfia. Non mi piaceva pensare a Frank assieme a qualcun altro. Ma forse era una cosa normale, dal momento che ero la sua migliore amica. O forse no.
Fatto sta che James Jackson era un patito di fotografia, e domandava a Frank ogni singolo dettaglio riguardo al concorso. Quando sarebbe arrivata la domanda: “Allora, l’avete trovata la location?” probabilmente mi sarei messa a vomitare nel cortile della scuola, ed era una cosa che ero assolutamente intenzionata ad evitare.
La cosa che non sapevamo, era che non ci saremmo mai più tornati a scuola. 
   
 
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