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Autore: DigitalGenius    15/07/2014    4 recensioni
Garfield arrossì lievemente. Non poté evitare che il cuore gli si fermasse, nel guardarla, anche se non era la vera Raven.
«Allora, cosa ti porta qui?» gli domandò lei sorridendo.
Garfield dischiuse le labbra per risponderle. All’improvviso tutti i suoi piani, tutti i discorsi a cui aveva pensato per riportare Raven tra i Titans, sembravano inutili. Chinò lo sguardo e strofinò per terra una suola della scarpa.
Sentiva quegli occhi addosso a sé e quello sguardo lo trafiggeva.
«Dov’è che sono le altre emozioni? Potrei parlare con alcune di voi?» esordì all’improvviso agitando le punte delle orecchie.
Coraggio scrollò le spalle. Il sorriso le si spense mentre si avvicinava al bordo del precipizio su cui si trovavano. «Loro non verranno» annunciò rassegnata. «Si vergognano»
«Perché dovrebbero?» le domandò il ragazzo seguendola. «Sono sempre il buon vecchio Beast Boy, credevo di piacere almeno alla metà di loro»
«Tu ci piaci» lo tranquillizzò lei nel vederlo quasi nel panico. Gli sorrise. «Diciamo che non sono pronte ad incontrarti. O almeno non lo sono la maggior parte di loro»
«Perché?» domandò Garfield mogio. «Perché loro no e tu sì?»
«Perché?» ripeté lei. «Perché io sono il Coraggio»
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast Boy, Raven, Robin, Starfire
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CIO’ CHE IL CUORE BRAMA SAPERE, CIO’ CHE NON VORREBBE MAI PATIRE


Il piazzale davanti al museo era ancora un cantiere. Dopo lo scontro con Raven gli esperti avevano raccolto i reperti più importanti, solo in seguito erano potute cominciare le vere riparazioni. Il nastro giallo della polizia delimitava ancora la sala dello scontro ed il gestore del museo osservava assieme a Robin i lavoratori che sistemavano le macerie all’interno. «Non hanno preso ori o gioielli, né alcun tipo di oggetti rituali» spiegò l’uomo con pazienza. «Hanno preso solo un libro»
Il ragazzo annuì, comprensivo. «Un libro potrebbe essere molto pericoloso nelle mani di Raven, mi creda. Tutto dipende dal contenuto»
L’uomo sospirò, incrociando le braccia dietro la schiena e scambiando un’occhiata con il giovane supereroe. «So cosa si dice della tua giovane amica» tentò di confortarlo, intuendo i dilemmi che lo smuovevano dentro.
«Il mio compito è proteggere la città, sempre e comunque» spiegò Robin alla svelta, sperando così di tagliar corto con il discorso. «Qualunque cosa lei voglia fare, se porterà dolore o farà del male agli innocenti io sarò costretto a fermarla». Incrociò le braccia, osservando frusciare per i colpi di vento i teli sistemati al posto delle pareti mancanti. Era il momento di sapere con cosa avrebbe dovuto confrontarsi. «Mi può dire cosa c’era scritto in quel libro?»
L’uomo si sfilò gli occhiali e li ripulì accuratamente con una pezza. «Posso fare di più» rivelò serio. «Abbiamo in archivio le foto di ogni singola pagina di ognuno dei volumi che conserviamo qui»
Robin annuì, confortato. «Quando potrò averle?» domandò impaziente.
«Anche subito» lo rassicurò l’altro, «ti dispiace seguirmi in archivio?»
Il ragazzo sospirò, poi lasciò il cantiere con il gestore del museo ed entrambi si diressero insieme verso il piano inferiore.

L’allegro fischiettare di Victor animava la quiete del garage, accompagnato dal tintinnio degli attrezzi che usava per stringere i bulloni delle gomme appena cambiate. Il ragazzo aveva la sua routine e, per quanto le missioni e gli attacchi dei criminali potessero scombinargliela, ne aveva bisogno per ritrovare la sua calma.
Nel suo garage trovava la pace che gli serviva per potersi rilassare e ciò gli consentiva di essere pronto per quando il dovere l’avrebbe richiesto. Quella mattina, tuttavia, mentre il pensiero della ragione per cui Robin si era recato in città senza voler essere accompagnato da qualcuno lo metteva particolarmente in ansia, si ritrovò a ricevere il messaggio meno atteso della sua vita.
Aveva da sempre avuto una specie di archivio interno, un circuito che gli permetteva di ricevere chiamate ed addirittura mail direttamente all’interno del cervello, ma mai si sarebbe aspettato che lei tentasse di contattarlo a quel modo.
Il messaggio era breve, lapidale.
Ho bisogno di riavere il mio specchio. Possiamo vederci tra due giorni in centro, da soli?
Raven.

Rilesse il messaggio un paio di volte, prima di rendersi conto che non era frutto della sua immaginazione. Deglutì rumorosamente, tentando di ricomporsi. Con la mano tremante dovette l’asciar perdere l’idea di finire il suo lavoro, troppo nervoso per poter continuare.
Prima di darle una risposta, pensò, avrebbe dovuto soppesare bene possibilità e conseguenze.

DUE GIORNI DOPO

Il sole del mezzogiorno rendeva l’aria piacevolmente tiepida, anche in presenza della leggera brezza che scuoteva il parco facendo oscillare le fronde degli alberi ed i fiori attorno a lui.
Garfield restava ad occhi chiusi, steso a pancia all’aria a crogiolarsi sotto i raggi caldi. All’ombra avrebbe avuto freddo, ma così, nel mezzo del prato ed esposto alla piena luce del giorno, stava perfettamente. Era rilassante starsene così a non far nulla, ma il ragazzo aveva ben altre cose per la testa, quel pomeriggio. Lilith, Raven e Jeremy occupavano gran parte dei suoi pensieri, come era accaduto nei due giorni successivi all’incontro con Lilith nel piccolo appartamento.
Probabilmente era un pensiero stupido, ma più il tempo passava più si convinceva che Lilith potesse aiutarlo a capire ciò che era successo a Raven.
Rilassato com’era non si accorse neanche di essersi addormentato fino a quando non fu svegliato da un flash e da un sonoro click appena poco lontano da lui.
Dischiuse un occhio, sollevando svogliatamente la testa dalle braccia incrociate che fino ad allora aveva usato come cuscino, e osservò seccato il suo osservatore.
Ci mise alcuni secondi a mettere a fuoco il volto in controluce. Era una giovane dalla pelle diafana ed i capelli color mogano che lo osservava divertita dall’alto. Stringeva tra le mani una macchina fotografica dall’aria costosa, ma sembrava troppo giovane per essere una fotografa professionista. Probabilmente, pensò Garfield, era una delle studentesse del corso di fotografia che si teneva giù in città.
Lei lo osservava divertita, scrutandolo curiosa con un’espressione che mostrava quasi esplicitamente la curiosità riguardo a quello a cui lui aveva pensato prima di essere disturbato. Garfield la ignorò, tornando a chiudere gli occhi e reprimendo uno sbadiglio.
Non aveva nulla da dire, non aveva voglia di parlare, di fare amicizia o di chiederle cosa volesse. Aspettò, sperando che se ne andasse o si distraesse a fare foto alla natura che li circondava. Tentò di tornare al suo pisolino, ma sentiva gli occhi della ragazza addosso e questo non gli permetteva di rilassarsi appieno.
«Cosa?» domandò alla fin, con più astio di quanto avrebbe voluto. Non gli piaceva essere scontroso o maleducato, ma quello non era proprio il momento perché un estraneo lo disturbasse. Voleva solamente stare solo, nella speranza che Lilith lo avvicinasse ancora.
La ragazza gli sorrise, felice che lui avesse incominciato la conversazione, come se Garfield avesse usato un tono amichevole e l’avesse semplicemente salutata invitandola a sedersi con lui.
Si lasciò ricadere sul prato, appena poco più in là, guardò sul display della macchina fotografica scorrendo tra le foto. «Sei uno di quei supereroi di cui parla il giornale, vero?» domandò senza guardarlo.
«E allora?» ribatté il ragazzo controvoglia. Non voleva che ora la fan di turno iniziasse a tempestarlo di domande, ma non aveva prestato davvero attenzione al modo in cui la ragazza aveva posto la domanda.
«Sono appena arrivata in città» rivelò lei sorridendo. «Non ero sicura che fossi tu»
Lui le lanciò un’occhiata. Quanti ragazzi verdi c’erano in giro per il mondo? Davvero questa ragazza aveva dovuto chiedere la conferma, per essere sicura che fosse lui?
«Sono Changeling» si presentò, sperando che lo ricordasse. Tutti avrebbero dovuto conoscere i supereroi, almeno secondo lui.
«Io sono Veronica» gli rispose la ragazza. «Sei fotogenico, se non fosse per i vestiti e per i fiori rossi e bianchi ti mimetizzeresti perfettamente nell’erba. Ti dispiace se ti scatto qualche foto?»
Garfield sospirò, si mise a sedere e strinse tra le mani un ciuffo d’erba per poi strapparlo via lentamente. «Ti ringrazio, Veronica, ma non sono proprio in vena»
Tagliò corto, sperando che ciò facesse cadere il discorso, ma sembrava che lei non avesse intenzione di permetterlo.
«Allora cosa ci fai qui da solo? È una cosa da supereroi? Stai ricaricando le batterie tra una cattura di un criminale e l’altra?»
«Veramente speravo di incontrare una persona»
Veronica impugno bene la macchina e portò il mirino davanti all’occhio. Sistemò lo zoom e scattò alcune foto a ripetizione, tutte rivolte verso il prato davanti a sé. «Sei carino. Gli altri ragazzi della tua squadra sono carini come te? Sai, non credo che sia umanamente possibile»
«Ma non lo vedi mai il telegiornale? Non puoi decidere da sola guardandoci in tv?» domandò Garfield grattandosi il braccio imbarazzato. «Sinceramente non credo proprio di poter rispondere alla tua domanda. Dovresti chiede un parere esterno»
«Come sei modesto» rise Veronica. Spense la macchina fotografica e ne tappò l’obbiettivo per poggiarla tra l’erba accanto a sé. Allungò una mano, sfiorando con un dito la linea violacea delle vene sull’avambraccio verde di Garfield.
Il ragazzo si tirò indietro, srotolando la manica della camicia, che fino ad allora aveva tenuto avvolta fin sul gomito.
«Mi dispiace, non volevo metterti a disagio» si scusò Veronica. Sorrideva sbattendo gli occhi, mettendo in mostra le lunghe ciglia scure e le labbra rosso sangue. Non sembrava davvero dispiaciuta.
Garfield deglutì, evidentemente quella ragazza non era abbastanza intelligente da capire quando una persona voleva stare sola, o forse lo capiva fin troppo bene ed era decisa a far finta di nulla. Per qualche strana ragione gli aveva messo gli occhi addosso e non sembrava volerlo lasciare in pace.
«Posso aiutarti?» le domandò serio. Non voleva essere maleducato, ma non riusciva a non esserlo. Lasciami solo. Lasciami solo. Ripeteva tra sé.
«Non necessariamente» gli rispose Veronica. Scrollò le spalle e giocherellò con una ciocca per capelli. Non gli toglieva gli occhi di dosso e Garfield faceva di tutto per non incrociare il suo sguardo. Ma fu difficile, quando lei gli afferrò il mento con due dita e lo costrinse a guardarla in faccia. «Forse - pensavo - sono io che posso aiutare te»
Si spostò, strisciando verso di lui in ginocchio. Spostò la mano dal mento ai suoi arruffati capelli verdi, spazzolandoli lentamente. Lo accarezzò come avrebbe fatto con un gatto, dolcemente ma risolutamente. Lo forzò ad arrendersi al suo tocco e sorrise soddisfatta, quando sentì un lieve tremito provenire dal profondo della gola del ragazzo. Garfield iniziò a fare le fusa, contro la sua volontà, inaspettatamente, incapace di comprendere la ragione per cui una perfetta estranea gli facesse questo effetto. Non voleva, si rifiutava di arrendersi in questo modo a lei, si rifiutava di mostrarsi così a chiunque. Aveva sempre pensato che avrebbe fatto le fusa per Raven, un giorno, ma il pensiero di lei ora era distante, annebbiato. Veronica gli sfiorava le orecchie come nessun altro aveva mai fatto. Garfield non voleva essere toccato così da una persona qualunque, ma non riusciva a tirarsi indietro, a dirle di smetterla ed andarsene.
Veronica si sporse verso di lui, gli strinse il viso tra le mani e lo baciò lentamente. Stettero così per qualche istante, labbra contro labbra, in attesa. Veronica aspettò pazientemente il momento in cui lui avrebbe reagito, e questo avvenne dopo un paio di secondi.
Garfield la afferrò per la vita, trascinandola verso di sé. Lei assecondò il movimento, finendo per spingerlo di nuovo sull’erba. Era seduta a cavalcioni sopra di lui e iniziò a sbottonargli la camicia lentamente.
«Non credo che questo sia il posto e il momento giusto» mormorò Garfield con voce roca.
Veronica gli sorrise, chinandosi ancora su di lui. «Fai silenzio» gli suggerì.
Si chinò a baciargli il naso, poi gli rosicchiò il mento e spostò le labbra sul collo. Finì di sbottonargli la camicia, premendo con una mano sul suo petto. Garfield sentì il fiato mancargli, tanta era la pressione della mano della ragazza. La sentì ridere sommessamente, soddisfatta dell’effetto che stava avendo su di lui, consapevole della sua resistenza sempre più debole.
Garfield sentì l’ossigeno mancargli ma, nonostante tutto, la frenesia aumentava ogni secondo sempre di più. Nonostante tutto voleva che Veronica la smettesse, che se ne andasse. Voleva tornare a stare da solo. Veronica gli mordicchiò l’orecchio, poi il collo. Alla fine scese a baciargli il petto, giocando con due dita con la catenina d’argento, facendole scorrere fino ad afferrare il ciondolo con la runa che lui indossava.
Alla fine strillò, saltò lontano da Garfield e gli ringhiò contro, furiosa.
Il ragazzo sussultò alla vista del volto distorto di lei; i denti affilati erano ora rivolti verso di lui, mentre gli occhi stretti si erano fatti scuri.
«Che diavolo sei?» le domandò Garfield alzandosi allarmato. Si accucciò in posizione di difesa, preparandosi all’evenienza che lei gli saltasse addosso.
Lei non gli rispose, recuperando il suo contegno. Svanì sollevando un mulinello di terra, lasciando un cerchio d’erba incenerita nel punto in cui il vento le era vorticato attorno.
Garfield sussultò, scattò a sedere provando a riprendersi. Abbassò il volto, per constatare di avere ancora addosso la camicia. Strinse gelosamente la sua runa, ripensando al momento in cui Lilith aveva deciso di regalargliela per proteggerlo, appena prima di salutarlo l’ultima volta che si erano visti.

Batté ripetutamente il dito metallico sul tavolo della tavola calda. La borsa con lo specchio sistemata sulla tovaglia, dove poteva controllarla con la coda dell’occhio senza che qualcuno trovasse sospetto il suo interesse. Guardava l’orologio troppo spesso per non dare a vedere quanto fosse impaziente. Era nervoso all’idea di rivedere la sua amica, ma il senso di colpa per aver tenuto nascosto al suo migliore amico quell’incontro era un peso che sarebbe stato troppo pesante se non si fosse ripetuto che era anche per il suo bene, per impedirgli di trovarsi faccia a faccia con una persone che avrebbe potuto essere troppo diversa da quella che aveva conosciuto.
Trattenne il fiato, nel vedere la porta che si apriva e la ragazza dai capelli scuri entrare nel bar. Nonostante l’assenza del mantello sembrava essere la solita Raven; indossava un paio di jeans attillati ed il cappuccio della felpa blu era sollevato, lasciando libere di ricadere sul suo petto solo alcune ciocche di capelli scuri. Si avvicinò sicura, scostando la sedia con una mano e sedendosi con leggerezza. «Ciao Victor» tagliò corto lei. Vide immediatamente lo specchio, ma non fece nulla per prenderlo, invece si limitò ad accavallare le gambe e poggiare i gomiti sul tavolo.
Victor deglutì, tentò di abbozzare un sorriso che Raven non ricambiò. «Ciao» le disse. Non aspettò che lei dicesse qualcosa; iniziando di sua iniziativa a tempestarla di domande, non riuscendo ad aspettare oltre per esporre i suoi dubbi. «Si può sapere che fine hai fatto in questi mesi? Perché diavolo hai distrutto il museo?» domandò con impeto non riuscendo ad impedirsi di gesticolare. Qualcosa gli avvolse la gamba, strisciando sotto i pantaloni e sotto la giacca, per poi coprirgli la bocca per impedirgli di proseguire. Si guardò attorno con la coda dell’occhio, per assicurarsi che nessuno avesse visto. Raven lo liberò dalla stretta di energia nera, facendogli cenno di abbassare la voce. Una volta libero Victor si chinò sul tavolo ed abbassò la voce, sussurrando concitato: «Che significa questa storia che hai un fratello e chi era quella ragazzina che era con voi l’altra notte?»
«Vedi, Trigon non era certo che sarebbe riuscito a usarmi come portale» spiegò brevemente la ragazza. «Si è assicurato di avere più di una possibilità»
Victor annuì. Si chiedeva come mai non ci avesse pensato prima, ma ora non aveva importanza. «Per questo sei andata via? Per cercare i tuoi fratelli» disse comprensivo.
Ma Raven scosse la testa. «No; sono loro che hanno trovato me. Mi hanno chiesto aiuto ed io non potevo voltare loro le spalle»
«Aiuto per fare cosa?» domandò immediatamente il ragazzo, ansioso di sapere. Voleva capire, voleva aiutarla, voleva sapere che era ancora la ragazza che conosceva, quella per cui avrebbe dato la vita.
Raven si limitò a poggiare le mani sulla tovaglia. «Per fermare definitivamente Trigon» affermò all’improvviso, alzandosi ed afferrando il fagotto con tranquillità. «Statene fuori e nessuno si farà male» tagliò corto. «Grazie per avermi riportato lo specchio» concluse, voltandosi e dirigendosi fuori con passo svelto.
Victor non provò a fermarla.

Garfield aveva pensato che, una volta aperta la porta della stanza, sarebbe stato investito da una nuvola di polvere. Rimase quasi deluso quando questo non successe.
La camera era come la ricordava: ordinata, lievemente cupa e con un leggero strato di polvere a coprire le superfici piane. Passò rapidamente un dito sulla scrivania, osservando di sfuggita l’impronta più scura che vi aveva lasciato, poi strofinò il polpastrello dell’indice contro quello del pollice per liberarsi dalla polvere. Dopo un’occhiata rapida al letto, là dove Raven aveva dormito tante volte, tornò immediatamente a concentrarsi sul motivo per sui si trovava lì. La libreria era al solito posto ed il ragazzo si sforzò di non concentrarsi sull’aria di abbandono e solitudine che lo attorniava. Fece scorrere le dita sulle varie copertine, conscio di non sapere neanche cosa stesse cercando, e fece mente locale per avere almeno un indizio da cui partire.
Era stato aggredito, se si poteva davvero chiamare aggressione e, da quanto era riuscito a capire, era accaduto attraverso un sogno. Quella cosa che aveva visto era certamente un demone, quindi doveva cominciare da qualche dizionario di demonologia, ammesso che ne esistessero, ma dai titoli non riusciva a decidere quali provare prima.
C’era un’antologia degli spiriti, un intero volume dedicato a strani cerchi magici scritto in una lingua che non conosceva, un mucchio di robaccia di cui non riusciva nemmeno a comprendere l’argomento.
Con un sospiro ed una dozzina di scuse mentali rivolte a Raven, che sperava non scoprisse mai questa sua intrusione, si accinse a sfilare dallo scaffale l’ennesimo libro, bloccandosi con il braccio sollevato per aria, però, quando intravide finalmente qualcosa di utile appena dietro il tomo che stringeva nella mano.
Si trattava di un bel malloppo, con sulla copertina raffigurata una delle creature di pietra appollaiate in cima ad una vecchia cattedrale gotica. Garfield la osservò con attenzione, rendendosi conto con un sussulto che non si trattava affatto di una statua. Come diceva in una delle prime pagine, era l’illustrazione di un gargoyle. E sfogliando ancora le pagine ingiallite il ragazzo trovò altri mostri e volti deformi accompagnati da minuziosi dettagli e spiegazioni.

L’essere stato sveglio dal momento in cui aveva ricevuto quelle foto non era d’aiuto alla sua concentrazione. Due notti totalmente insonni erano troppe anche per il Ragazzo Meraviglia, ma nonostante tutto lui non riusciva a smettere di tentare di interpretare quella lingua antica.
Alla fine, suo malgrado, ciò che gli fu maggiormente d’aiuto fu uno dei vecchi libri che la sua ex compagna di squadra aveva deliberatamente lasciato nella sua vecchia camera. Non avrebbe mai pensato che Raven sarebbe stata così stupida da lasciare in bella vista qualcosa che potesse aiutarli a metterle i bastoni tra le ruote, a meno che la cosa non fosse stata intenzionale.
Una volta che, finalmente, il contenuto del manoscritto gli fu in parte chiaro, si domandò se Raven non volesse davvero essere fermata.



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Volevo aggiungere qualcosa di intelligente, ma mio cugino vuole giocare a cluedo e devo dire che l’idea stuzzica anche me, quindi vado ad accontentarlo.
Baci, Genius
  
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