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Autore: deli98    16/07/2014    1 recensioni
Questa è una storia che si è ripetuta più volte e come vedrete ha sempre come protagonisti i due fratelli italici.
Chissà perché alla fine tendiamo a fare gli stessi errori, senza accorgersi di esserci già passati.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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E' una giornata come tutte le altre: firmare scartoffie, partecipare alle riunioni, firmare altre scartoffie, discutere con gli ufficiali dell'esercito le tattiche da seguire, firmare ancora altre scartoffie, discutere per telefono con Ludwig per ottenere dei rinforzi da mandare in Sicilia, firmare come sempre ancora altre scartoffie. Questo è ciò che succede più o meno tutti i santi giorni nell'ultimo periodo.
A fine giornata non capisco più niente e non riesco nemmeno più a ricordare con chi ho parlato e quali documenti ho firmato. Tutti i giorni sempre la stessa storia.
Da quando sono arrivati gli Alleati sul mio territorio mi sento sempre più stanco: fatico a mantenere la concentrazione e ogni tanto mi sento gli arti intorpiditi.


-Felicià! Dove sei?- Mi sento chiamare dalla camera di mio fratello.
-Sono qui! Che c'è?- Mi affaccio sulla stanza e vedo Romano in mutande. -Dai Roma! Sbrigati che stanno aspettando solo noi per incominciare!-
-Uff. Possono continuare ad aspettare, allora.- Si avvicina al letto, dove c'è posata la sua alta uniforme bianca. 
-Tu che dici? Devo proprio metterla?- Sempre la stessa storia: quando c'è in ballo un avvenimento importante non sa mai cosa mettersi e naturalmente chiede aiuto a me. 
-Se preferisci scendere in mutande fai pure!- Lui mi guarda rimproverandomi con lo sguardo, ma nel suo modo più affettuoso, con il suo migliore sorriso che regala solo a me, il suo unico e dolce fratellino.
-Dai, vieni qui!- Mi fa segno di avvicinarmi e poi mi abbraccia, schioccandomi anche un bacio vicino all'occhio sinistro. Queste manifestazioni di affetto da parte sua sono più uniche che rare e c'è sempre un motivo sotto.
-Lo sai che ti voglio bene, vero?- Lui non interrompe il suo abbraccio e mi culla tenendomi stretto a sè. Posso sentire il profumo e il calore della sua pelle abbronzata dal sole.
-Sì, lo so!- Anche questa volta mi da un altro bacio, ma sulla fronte.
-E tu mi vuoi bene?- Vorrei rispondergli e non riesco perchè all'improvviso mi sento la bocca sigillata, ma intanto i secondi passano e qualcosa mi bagna il viso:
le sue lacrime. Scioglie il suo abbraccio e senza degnarmi di uno sguardo si volge verso la sua uniforme. Mi siedo sul bordo del letto attento a non fare rumore.
Lui prende i pantaloni e per qualche attimo li ammira tenendoli alzati, poi finalmente si gira verso un grande specchio appeso alla parete e se li infila. Proprio in quel momento vedo del sangue che sgorga da una ferita sulla sua schiena.
-R-Romano?- Il sangue non smette di scorrere e va a sporcare i pantaloni precedentemente immacolati, che presto si tingono di rosso.
-Cosa c'è, Feli?- Vedo il suo riflesso allo specchio e nella sua mano scorgo un pugnale insanguinato dalla forma stranamente familiare che gocciola sul pavimento di marmo bianco.
Le gocce di sangue cadute per terra diventano sempre più grandi, fino a quando non coprono qualsiasi cosa con il loro colore scarlatto, che lentamente diventa sempre più scuro, fino al rosso più cupo. 
-C'è qualcosa che non va?- Mi sorride in modo strano, come mai lo avevo visto prima. Il sorriso di un assassino.
Per la paura non riesco più ad aprire la bocca neanche per urlare. E intanto lui si avvicina, molto lentamente passo dopo passo. Istintivamente mi giro verso la porta per scappare, ma non c'è più nulla, se non il colore rosso. Mi volto di nuovo verso di lui e mi spavento a vederlo ad una decina di centimetri di distanza da me. Sento il suo profumo misto all'odore del sangue che mi da alla testa. Ho paura ma non piango, non voglio piangere.
-E' TUTTA COLPA TUA.- sussurra al mio orecchio facendomi venire i brividi lungo tutto il corpo. 
Con un gesto fulmineo mi colpisce al petto, dritto al cuore.


Mi sveglio di soprassalto, con una fitta dolorosa al cuore. Istintivamente porto la mano al petto, ma non c'è nulla. Sono ancora nella mia stanza, avvolto nelle lenzuola bagnate dal mio sudore.
-E' stato solo un incubo, niente di più.- Cerco di dirmelo ad alta voce, per tranquillizzarmi, ma ha l'effetto contrario.
Percepisco le ultime parole pronunciate all'orecchio da lui, come se aleggiassero ancora nell'aria, con la sensazione del suo fiato ancora sul collo e dei brividi lungo la schiena.
Un incubo così reale.
Non ho il coraggio di rimettermi a dormire. 
In verità non è la prima volta che passo una nottata insonne, ho perso il conto di tutti gli incubi che ho fatto, ma questo è di sicuro il peggiore di tutti.

Per tutto il resto della mattina rimango in uno stato di trance, come sempre perdo la concentrazione ogni due minuti e non mi accorgo della gente che mi parla.
Forse è perchè non dormo abbastanza, ma preferisco non pensarci, se no mi tornano alla mente brutte cose.
-Generale Vargas?- il segretario entra nel mio studio con un fascicolo di carte in mano. Devono essere i soliti documenti da controllare e firmare.
-Sì, avanti.- Nell'ultimo periodo ho sempre tantissime cose da fare, soprattutto firmare inutili scartoffie e roba varie. Sono in crisi.
-Scusi se la disturbo proprio adesso, ma è appena arrivata la notizia del bombardamento a Messina e... di un certo incidente avvenuto sta notte.- Senza aggiungere nient'altro posa i documenti sul piano della scrivania e se ne va. Di cosa sta parlando? Cosa è successo questa volta? Con calma mi metto a sfogliare la pila di fogli e cartelle, fino ad arrivare ad un sottilissimo fascicolo del campo di detenzione con su scritto "Romano Vargas". 
E questo cosa sarà? Lo apro e vedo dei fogli con su scritto tutti i dati e informazioni riguardo Romano, più altri documenti di identità e certificati. A cosa mi serve tutta sta roba? Mentre sto per mettere da parte il fascicolo, la busta di una lettera cade dalla cartellina. Riporta il marchio e la firma del direttore.

Al gentilissimo Feliciano Vargas,

Siamo davvero dispiaciuti e amareggiati nell'informarla che il suo parente, Romano Vargas, è deceduto l'altra notte a seguito di un attacco aereo.
Sfortunatamente il corpo non è stato ritrovato e non si potranno tenere i funerali del suo caro parente a causa della guerra attualmente in corso.




Rileggo la lettera almeno dieci volte, prima di rendermi conto del vero significato delle parole scritte. Romano è morto? Come è possibile? E adesso?
Cosa devo fare adesso che lui non c'è più? Milioni di domande mi attraversano la mente, ma senza nemmeno una risposta.
Che stupido sono stato! Mi alzo di scatto dalla sedia e mi dirigo verso la porta, che apro di scatto sbattendola.
-Signore? Ha bisogno di qualcosa?- Una signorina in uniforme mi corre incontro, pronta a qualsiasi cosa.
-No. Anzi, sì! Mi faccia preparare un velivolo, subito!- Lei ha un'espressione perplessa, come se non avesse compreso il mio ordine.
-Ma... Signore... Vede, nessuno può lasciare la base senza un permesso ufficiale e lei...- Quante storie per avere un aereo.
-Non mi interessa. Qui comando io e si fa quello che dico io. Ha capito?- Lei non ribatte nulla e al telefono chiama quelli della pista di atterraggio per avvertirli dell'ordine ricevuto.
Magari si sono sbagliati, magari è vivo.



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Quando riprendo conoscenza è già pomeriggio inoltrato e si avvicina la sera. Mi rendo conto di aver dormito per più di 12 ore di seguito completamente indisturbato. 
La scorsa notte è successo un vero disastro, ma sperare che sia solo un brutto sogno è inutile: un aereo in fiamme è caduto sul campo di detenzione e l'esplosivo ha preso fuoco, distruggendo tutto.
Mi guardo intorno e riconosco i fitti cespugli dove ci eravamo rifugiati. E c'è anche lui, lo sconosciuto piovuto dal cielo che mi fissa con curiosità.
-Finalmente ti sei svegliato.- Mi porge una scodella fumante di zuppa di fagioli in scatola. La divorai nel giro di due minuti, sotto lo sguardo divertito dello sconosciuto. Ma anche io lo guardo. Non è italiano e dai capelli biondi e gli occhi azzurri avrei detto che è un tedesco, ma è troppo umano per esserlo.
-Alfred Forster Jones, al vostro servizio. Lei come si chiama?- Mi guarda attentamente, come se fossi una forma di vita curiosa e tutta da studiare. Ma dove l'ho già sentito questo nome? In qualche modo mi suona familiare.
-Sono 984.- E' difficile abbandonare le vecchie abitudini. Lui cambia espressione, come se avessi detto qualcosa di ovvio ma di sbagliato.
-Non voglio sapere il codice del registro. Qual'è il suo vero nome?- Di nuovo curioso. Mai visto uno così.
-Romano. Romano Vargas.- Da quanto tempo non lo dicevo? -Dammi del tu, se no mi fai sentire vecchio.- Il che in effetti è vero, sono più vecchio di lui. 
Comunque, fosse per me, mi rimetterei a dormire per recuperare quasi due anni di insonnia, ma l'interrogatorio evidentemente non è ancora terminato. Lo sconosciuto sgrana gli occhi stupito senza dire una parola, ma dura solo qualche attimo e poi torna alla carica.
-Ma per caso tu sei il...- Quante volte avrò sentito questa domanda? No, dannazione. Non di nuovo! Non gli lascio finire la frase, per paura della verità che salta sempre fuori.
-NO DANNAZIONE! NON SONO FRATELLO DI NESSUNO!- Mi ritrovo ad urlare come un ossesso. L'interlocutore sgrana di nuovo gli occhi e poi fa una faccia serissima che non avrei mai immaginato sul suo viso perennemente allegro. Allegro come era una volta Feliciano.
-Non era quella la mia domanda.- C'è una pausa, colma del mio imbarazzo. -Ma comunque lo sapevo già, Arthur mi aveva parlato di te e di quello che ti è successo. Non hai idea di quanto sei fortunato ad avere un fratello così vicino. Ne ho uno anche io e non so nemmeno se mi vuole bene. Non me lo ha mai detto e forse non me ne vuole. Ma io sì! Se lo perdessi morirei anche io dal dolore, perchè è l'unico e insostituibile. Hai una minima idea di quanto mi manchi la sua presenza? Lui è entrato in guerra nel '39, ben cinque anni fa. Da allora l'ho perso di vista e lui non mi fa sapere nemmeno se sta bene o no, niente. Io gli scrivo e quando ne ho l'occasione cerco di contattarlo via radio, ma non risponde. Tra non molto andrà in Normandia e ho intenzione di raggiungerlo, anche se non vuole. Scommetto che il tuo ti vuole bene, in fondo.- Adesso mi ricordo di lui, Arthur me ne aveva parlato. Ma lui come fa a sapere se mi vuole bene o no? E' andato a chiederglielo di persona?
-Ma tu che ne sai se mi vuole bene? Hai visto dove mi ha rinchiuso? Questo per te significa affetto?- Lui scuote la testa e sorride con le labbra, ma non con gli occhi.
-Si accorgerà di aver sbagliato e chiederà il tuo perdono, vedrai. E' solo confuso, perchè si trova tra due fuochi: te e Germania. Ma tra poco sarà tutto finito e tornerete insieme, come una volta. Mentre io tornerò ad essere odiato da tutti quanti.- Detto questo volge il viso verso il cielo per cercare di nascondere una lacrima.
-E Arthur? Non pensi a lui?- Dopo essersi asciugato gli occhi torna a guardarmi con un'aria triste.
-Che importa? Lui mi odia per quello che gli ho fatto! Ma avevo le mie ragioni. Ero cresciuto e avevo bisogno dei miei spazi, ma questo concetto non riusciva a capirlo ed è andata come è andata. Litighiamo sempre, anche per la cosa più futile. Ma voglio bene anche a lui e gliel'ho detto, ma forse non mi ha neanche sentito o avrà fatto finta di non sentire, come suo solito.-
Per un paio di minuti rimaniamo ad ascoltare il silenzio e ad osservare la sera che si fa avanti spegnendo il sole.
-Dobbiamo andarcene di qui e allontanarci finché ci sarà un po' di luce per vederci.- Si mette in piedi a fatica e mi porge la mano per aiutarmi a mettermi in piedi. 
Solo allora noto che è ferito ad una gamba. Dal pantalone sbrindellato noto anche una fasciatura.
-Ma sei pazzo? Sei ferito! Dove vuoi andare conciato così?- Lui si china per prendere il suo zaino.
-Sto benissimo. Dobbiamo andarcene, subito. Mentre dormivi è passato un aereo italiano a sorvolare la zona almeno tre volte. Credo non ci abbia visto, se no avevamo una pioggia di proiettili addosso. Ma potrebbe tornare di nuovo.- Mi guarda sorridente. -In più dovremmo procurarci dei vestiti nuovi. Con quegli stracci che hai addosso non andrai molto lontano.- Si mette in marcia, con un'andatura leggermente zoppicante ma comunque spedita. Arthur aveva ragione: quando si mette in testa qualcosa non si può fargli cambiare idea.
Dopo aver camminato per un paio d'ore è calata la notte qui in Sicilia. Alfred aveva ragione a dire che l'aereo sarebbe tornato, infatti circa un'ora dopo lo abbiamo visto da lontano sorvolare la zona dell'esplosione. Intanto ne ho approfittato anche io per fargli delle domande.
-Senti, ma tu cosa hai combinato la scorsa notte?- Lui cammina davanti a me e non si ferma un secondo.
-Io niente. Piuttosto sono stati i tedeschi ad avermi intercettato con il radar. Non hanno esitato a colpirmi il motore che è andato subito a fuoco. Il resto lo puoi immaginare. Sentivo che c'era qualcosa che non andava.- Il resto dei fatti li conosco: mi è venuto addosso mentre scendeva con il paracadute, poi mi ha praticamente caricato in spalla e mi ha portato in un rifugio in mezzo ai cespugli. E' successo tutto talmente in fretta che molti particolari non me li ricordo. Non è sopravvissuto nessuno a parte noi due. -Spero solo che non sia troppo tardi...- Non ho fatto molto caso alle sue parole perchè ero completamente immerso nei miei pensieri. Nessuno ha più detto qualcosa, perchè tutti e due avevamo la testa rivolta verso casa nostra.
Dopo due ore ci siamo accampati in mezzo alla vegetazione, per non rischiare. Giusto il tempo di mangiare e mi sono subito messo a dormire, vinto dall'infinita stanchezza che mi porto sulle spalle.

-Hey! Svegliati!- Mi sento dare dei colpi alle caviglie. Ma che ore sono? Mi sembra di essermi addormentato dieci minuti fa! Apro gli occhi e non vedo nulla se non una figura in piedi vicino a me e le stelle nel cielo. Sì, ho dormito solo dieci minuti. -Dobbiamo andarcene di qui! Ho sentito delle voci poco lontano e si stanno avvicinando.- Afferrandomi per le braccia mi rimette in piedi senza sforzi e io non riesco a trattenere degli insulti. Perchè proprio adesso?
Alfred tira fuori una torcia elettrica dal suo zaino e l'accende, illuminando un sentiero. Ci mettiamo subito in marcia, sempre stando attenti a non uscire dalla vegetazione. Qualche metro più sotto c'è una stradina sterrata e da lontano vediamo una camionetta tedesca con due soldati a bordo che si avvicina sempre di più. 
Appena Alfred la vede spegne la luce della torcia e tira fuori dei chiodi. Ha proprio di tutto in quello zaino! Capisco subito cosa vuole fare, infatti li butta sulla strada. Proprio come speravamo: al passaggio del veicolo si buca una gomma, producendo un debole fischio. La camionetta è costretta a fermarsi e subito volano insulti in tedesco.
-Bene, all'attacco!- Mi porge una delle due doppiette che tiene in mano e con un salto scende in strada. Ma che fa?! L'eroe? Sono costretto a seguirlo per coprirgli le spalle.
-Mettete le mani in altro e ben in vista!- Colti alla sprovvista, i due soldati si voltano di scatto per vedere i loro aggressori. Le loro armi sono dentro all'automezzo e si rendono conto di non poterle recuperare, a meno che non vogliano una pallottola piantata in fronte. Entrambi alzano le mani sopra la loro testa.
-Spogliatevi.- Lentamente Alfred si avvicina ai due, sempre tenendo la pistola spianata. Ma ho sentito bene? I due tedeschi si sono già tolti la giacca e molto lentamente si sbottonano la camicia.
-Ma che cazzo fai?! Vuoi uno spogliarello?- Lui volta la testa di scatto, fulminandomi con lo sguardo.
-Li vuoi dei vestiti puliti o no?- Non si sarebbe dovuto distrarre. Uno dei due, cogliendo l'occasione al volo, si butta sopra l'americano schiacciandolo a terra, mentre l'altro si lancia verso la camionetta e afferra un mitra. Ma io non sono rimasto a guardare e gli ho sparato due colpi in pieno petto. Anche il suo compare lo ha subito seguito all'inferno, con un colpo in pancia. Alfred si mette subito in piedi e spoglia i due corpi. Io non li voglio neanche toccare quei due.
-Ecco, prendi.- Mi lancia l'uniforme di quello più magro, ma mi sta comunque troppo grande. Sono enormi i tedeschi! Anche Alfred si cambia l'uniforme, lasciando quella americana di un color marroncino chiaro per quella tristemente grigia dei nazisti. Si tira indietro i capelli e si mette il cappello dell'uniforme. 
-Come sto?- Fa una finta faccia incazzata e si mette in una posa statuaria. Per un attimo sembra davvero un tedesco, ma poi scoppia in una risata contagiosa e malgrado la triste situazione ci pieghiamo tutti e due dalle risate. Una cosa è certa, non sarà mai un buon nazista.
Dopo esserci ripresi, ci mettiamo subito al lavoro. Lui sposta i corpi verso il ciglio della strada e io cambio il pneumatico bucato, perchè per fortuna ce ne uno di riserva. Mettiamo a posto le armi e ci mettiamo in viaggio a bordo della camionetta. Mentre lui guida io non resisto più al sonno.
Ma comunque non riesco a dormire a lungo, svegliato dagli scossoni dovuti al terreno accidentato. Alfred è visibilmente stanco, ma non vuole lasciarmi il volante, anche perchè solo lui sa dove vuole andare. Ripensandoci non gliel'ho mai chiesto! Con il pretesto di tenerlo un po' sveglio mi metto a fare conversazione con lui.
-Dove stiamo andando di preciso?- Lui non scolla neanche per un momento gli occhi dalla strada, continuando ad assumere un'espressione concentrata.
-Nella mia base.- Ha un tono di voce nervoso o forse anche preoccupato. Per cosa è difficile dirlo, perchè quel ragazzo è tutto da interpretare.
-E quanto dista? Se posso chiedertelo?- Lui frena di colpo prendendomi alla sprovvista. Ma che cosa gli prende?! Mi guarda, ma è troppo buio e non riesco a vederlo chiaramente. Senza darmi una risposta afferra la cartina dal cruscotto e la apre di scatto, poi con la torcia la illumina. Non faccio nessun commento, temendo che esploda da un momento all'altro.
-La vedi questa?- Sulla carta indica un punto dell'isola. I nomi delle località sono scritte tutte in tedesco. -E' Messina. E la vedi questa? E' la mia base.- Sposta il dito di un paio di centimetri e sopra c'è scritta la voce "Us-Basis". -Quella base dista in linea d'aria circa 20 km da Messina. Ci sono due problemi: il primo è che siamo in montagna, e in montagna le strade non sono diritte come in città. Quindi, per percorrere quei fottuti 20 km ci impiegheremo anche tutta la notte! Il secondo problema è che quella base dovrebbe essere segreta! Solo l'esercito americano e quello inglese dovrebbero esserne a conoscenza. Ma vedi, qui è segnata! Ciò significa che i tedeschi sapevano tutto fin dall'inizio, magari intercettavano già le nostre comunicazioni e sapevano del bombardamento a Messina. Infatti mi pareva parecchio strano che a quell'ora di notte fossero tutti alzati ad aspettare che passassi io con il mio aereo. Venendo al punto, sono tutti in pericolo perchè non sanno che i tedeschi sanno! Mi capisci?! Hai idea di cosa significhi?! Tutte le informazioni e piani militari passano da li!- Alla fine del suo discorso sta praticamente urlando, incurante del fatto che qualcuno potrebbe sentirci. Non so proprio cosa dire, la sua scenata isterica mi ha praticamente lasciato basito. Senza aspettare una mia risposta preme sull'acceleratore e riparte a tutta velocità, stringendo fortissimo il volante. Non sa dove andare.
-Lascia che guidi io. Non sarò un asso in geografia ma conosco il mio territorio.- Lui frena di nuovo e scende dal mezzo, poi fa il giro e apre la mia portiera. Con un cenno della testa mi intima di scendere e non esito un attimo. Lui si siede sul sedile del passeggero e io prendo il suo posto da guidatore.
Riparto e prendo una strada sterrata quasi nascosta in mezzo alla vegetazione. Chissà da quanto tempo nessuno passava di li.
Alfred non dice una parola e mi accorgo che si è addormentato. In fondo capisco la sua reazione nervosa: è preoccupato per Arthur e poi non dormiva da due notti.

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Ci ho messo parecchio a scrivere questo capitolo, un po' perchè ero momentaneamente a corto di idee e un po' perchè è piuttosto lungo da scrivere.
Comunque sia, sono entrambi vivi e vegeti e uno è molto preoccupato per Arthur (anche se la scrittrice non lo vuole farglielo ammettere). :3
Fatemi sapere come vi sembra...
  
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