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Autore: Vala    01/09/2008    0 recensioni
 - È mattina. Lo sai perché la sveglia ha suonato, e se la sveglia ha suonato deve essere ora di alzarsi. E tu ti alzi la mattina.  -

Difficilmente il risveglio avviene per mezzo del bacio del Principe. A me non è mai capitato.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È mattina. Lo sai perché la sveglia ha suonato, e se la sveglia ha suonato deve essere ora di alzarsi. E tu ti alzi la mattina. Anche se non lo sai, la tua mente ha già affrontato questo contorto ragionamento prima ancora che tu apra i tuoi dolci occhi per fissare il soffitto della stanza. Un soffitto bianco. Bianco come il foglio di carta che hai lasciato tra le pagine del libro che leggevi la sera precedente prima di dormire. Bianco come il foglio che lascerai sulla cattedra della prof alla fine del compito in classe.
Ma comunque è mattina, e tu ti alzi. Ti viene da vomitare, ma ti alzi. Non stai in piedi per il sonno ed il fastidio, ma ti alzi. Ti alzi, e a piedi nudi ti avvii verso la porta della tua camera, al buio più totale. La luce ferirebbe i tuoi occhi, non vale la pena disturbare la corrente solo per rovinarti la vista. Ma ecco, la porta della camera si apre con uno scricchiolio sinistro. E tu pensi, ecco, prima o poi devo dare un’oliata a qui cardini visto che in sei mesi pa’ non ne ha avuto tempo.
Un fascio di luce, una voce allegra ti saluta. È tua madre. Tu le sorridi, fai la faccia tranquilla. Va tutto bene. E le dita di tua madre premono il maledetto interruttore. La luce si accende. Ecco, adesso cominci a incazzarti. È decisamente mattina.
Vai in bagno. Stranamente non è occupato. Tuo fratello dorme. Buon segno per te, non per lui, vuol dire che non andrà a lezione. Quando avrà mai lezione, un mistero. Non vedi l’ora di andare all’università anche tu per poter dormire quanto vuoi senza l’assillo della campanella delle 8 che immancabilmente perdi. Chiudi la porta dietro di te, e sei di nuovo in pace. Certo, sei in bagno ed è mattina, ma sei in pace. Nessuno può entrare e tu hai cinque minuti di respiro prima di ricominciare la tua vita. Ti accosti allo specchio, a tentoni afferri il contenitore delle lenti a contatto. Sviti i tappi bianchi sperando di ricordare qual’era destra e quale sinistra, ti infili le lenti. Non vogliono entrare. Scappano. Dopo tre minuti persi vedi perfettamente. E quello che vedi non ti piace.
Davanti a te, riflessa nello specchio, sta una sconosciuta ragazzina di 17 anni dall’aria stanca. I capelli ovviamente in disordine, le occhiaie ovviamente pronunciate, le guance sempre troppo paffute e quella vaga espressione da idiota. Sì, sei proprio tu e ti odi a morte. Vorresti tanto non essere lei, essere qualcun’altra. Ma è mattina, e tu sei così ogni mattina. La nausea ti assale di nuovo, non ce la fai a tenerla stavolta, ti volti di scatto e abbracci la tazza. Stamattina non ce l’hai fatta a tenere, ma domani sarà un’altra mattina e ce la farai. Le tempie ti pulsano, sembrano prenderti in giro. Sei tentata di rimetterti a dormire lì in bagno.
Da dietro la porta tua madre bussa. È tardi. Rischi di sentirle di nuovo dalla prof. Non c’è tempo per vomitare adesso. Adesso è tempo di fare la brava bambina, la brava figlia, la brava studentessa. Adesso è tempo di essere un’altra.
Esci dal bagno sorridente. Non si sa mai chi potresti incontrare. E infatti incontri tuo padre, ha la tua stessa faccia sconvolta, in mano la tazzina del caffè che mamma gli porta a letto ogni mattina. Anche a te piacerebbe, ma non osi chiedere una cosa simile, sarebbe da viziata. E poi tu ufficialmente il caffè non lo bevi. O meglio, la tua facciata il caffè non lo beve. Troppo amaro. Troppo da adulta. E tu non sei adulta. Ti sale di nuovo la nausea ma la ricacci indietro. Non è momento di vomitare in faccia a tuo padre. Ma lui stranamente vede qualcosa di strano in te, ti fissa per un istante in più, è perplesso.
“Dormito bene?” chiede con la sua solita voce. No, non ha capito nulla, tutto a posto. È mattina e lui è rincoglionito come tutta la giornata. Sorridi tranquilla, borbotti qualcosa a proposito del ritardo di ieri che ti ha messa nei guai, e scompari in camera tua. Ah, se solo potessi restare in camera tua! Ma non ti è concesso. Devi socializzare, devi farti vedere dal mondo. E il mondo ti deve giudicare.
Infili a caso un paio di jeans e una felpa. Ecco, ora solo le scarpe, poi sei pronta per andare. La cartella è lì che ti aspetta, al suo interno hai già infilato qualche libro, i sudoku e la risma di fogli bianchi che ti aiutano a sopravvivere durante le interminabili lezioni. Non sai ancora se userai il bigliettino che hai infilato nell’astuccio, ma non osi toglierlo per paura che ti serva. Se torni a casa con un cinque o peggio un quattro, fai preoccupare i tuoi, e tu non vuoi problemi, non vuoi fastidi. Vuoi solo che ti lascino in pace.
Ti chiamano. Non hai più tempo. Sei in ritardo. Corri. Corri in cucina ad afferrare due biscotti. Tuo padre è ancora lì che beve il suo caffèlatte. Ma tua madre si lamenta che farai tardi. Peccato che non guidi tu. E allora, di nuovo a protestare, di nuovo a supplicare il vecchio di sbrigarsi. Finalmente si sbriga, sbuffando e tenendo il broncio, ma si sbriga e mette in moto. Ecco, sali in macchina. Hai preso le chiavi di casa? Una tastata rapida ti dice che sì, le hai.
Casa tua scompare nello specchietto retrovisore e tu senti il nodo alla gola farsi sempre più serrato, più pressante. Non cedere, non devi cedere. Le unghie si spingono nella carne del palmo. Senti i tuoi timpani premere dolorosamente, la pressione aumenta. Non cedere, non puoi cedere. E prima ancora che te ne renda conto, prima ancora di aver capito che è passata quasi mezz’ora, sono le otto e cinque, e tu sei in ritardo. Di nuovo. Come ogni mattina. Scendi al volo dalla macchina, afferri a due mani la cartella, un saluto veloce all’autista. Sei arrivata fin qui, non puoi mollare proprio ora. Non devi. Ti guardi il palmo delle mani, le mezzelune delle tue unghie sono ancora visibili. Ti senti meglio. Ce la fai.
E varchi la porta della scuola. Vieni immediatamente invasa dalla sua solidità, dalla sua sicurezza. Sì, stai meglio. Non subito però. Subito c’è la corsa in classe e la ramanzina per il ritardo. Ma poi ti siedi al tuo banco, le tue amiche ti sorridono e tu cominci a pensare che tutto sommato hai fatto bene ad alzarti.
Brava, ce l’hai fatta anche oggi.
Domani sarà un’altra mattina, un altro giorno.
Domani ricomincerà tutto.
  
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