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Autore: kiara_star    16/07/2014    4 recensioni
[Sequel de “La carezza di un'altra illusione”]
[a sort of Thorki; fem!Thor]
~~~
C'erano cose di cui Thor non parlava mai, c'erano storie che forse non avrebbe mai narrato. C'erano domande che Steve porgeva con qualche dubbio.
“Perché continui a vedere del buono in Loki?”
“Perché io so che c'è del buono.”
[...]
Siamo ancora su quel balcone?
Ci sono solo io?
Ci sei solo tu?

“Hai la mia parola, Loki, non cambierà nulla.”
Ma era già cambiato tutto dopo quella prima menzogna e non era stato suo fratello a pronunciarla.
~~~
~~
Ancora oggi Nygis riempie il cielo di stelle continuando a piangere per il suo unico amore, nella speranza che un dì ella possa tornare da lui.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Gender Bender, Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La leggenda di Nygis'
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cap33
L' ultima lacrima



XXXIII.





Una fitta al polpaccio destro gli fece allentare la presa. L'arciere cadde a terra privo di sensi e Thor si voltò per incrociare lo sguardo della donna stesa al suolo che si teneva la ferita all'addome con un braccio e con l'altro impugnava uno strano oggetto, ed era stato quello a colpirlo: una pistola, riusciva a ricordarlo.
«Morirai, donna!» La minacciò senza però riuscire a tenere fede a quella promessa quando si ritrovò gettato con violenza contro il muro. La spada cadde a terra e un rivolo di sangue scivolò dal suo labbro inferiore. Thor lo pulì con il dorso della mano.
Udì il ruggito e poi scorse la verde creatura a pochi metri, al di là della parete completamente distrutta.



*



Tony corse come un dannato per le scale. Gli ascensori erano fuori uso. Maledetta sicurezza centralizzata!
«Sto mandando una squadra, Stark!»
Scosse il capo saltando a tre a tre le scale.
«Non dire cazzate, Nick! Ce ne occupiamo noi qui» rispose con il fiato corto mentre percorreva il corridoio.
«L'ultima volta ve lo siete lasciati scappare. Non voglio che-»
«Stammi a sentire: quando Thor tornerà in sé non sarà per nulla piacevole dirgli che ha ammazzato decine di agenti a mani nude. Abbiamo Hulk! Ci basta questo, e poi me la sbrigo io con le riparazioni della Tower... come al solito.»
Fury tacque ma Tony lo udì mormorare sottovoce qualcosa.
«Ok, nessuno entrerà ma metterò un perimetro di sicurezza attorno alla Torre, chiaro? Nessun civile deve essere coinvolto nella vostra operazione di gruppo!»
«Assolutamente d'accordo. Ora, se volessi scusarmi, devo cercare di mantenere in vita un'astrofisica»
«Aspetta, che-»
Ma Tony terminò la chiamata prima che potesse udire altri richiami in Fury Style.
Quando Thor era ricomparso nessuno di loro se lo aspettava. Non era neanche riuscito a fermare la squadra di sorveglianza delle Stark Industries che era corsa a difesa della struttura.
Jarvis riportava che nessuno era stato ferito in modo grave ma doveva muoversi a far evacuare la Torre il prima possibile.
Ci fu ancora una scossa. Di certo avevano sfondato un'altra parete.
Raggiunse poi la stanza e chiese a Jarvis di aprire la porta chiusa dall'esterno.
Si ritrovò immediatamente il viso di Pepper di fronte.
«Che diamine succede, Tony?»
«Nulla di grave, tesoro» rispose cercando di ritrovare un respiro più pacato. C'era anche Jane accanto a Pepper.
«Nulla di grave?» ribatté esasperata Pepper. «Ci stanno attaccando! Bruce-» La seconda scossa la fece cadere fra le sue braccia, mentre Jane si poggiò alla parete.
«Devi lasciare la Torre. Adesso!»
Tony non aveva intenzione di mettere ancora in pericolo la sua vita, non a causa di quel idiota di Thor! «Happy si sta occupando di evacuare ogni reparto. Prendi le scale di emergenza e vattene da qui.» La invitò stringendola per le braccia. «Capito?»
Convincerla con così poco sarebbe stato solo un sogno, e infatti Pepper si liberò presto dalla sua presa e lo guardò come avesse detto la cosa più stupida del mondo.
«Chi è stavolta?» gli chiese e lui esitò. In quell'esitazione trovò lo sguardo della Foster e la risposta giunse silente a entrambe.
Pepper si voltò verso la donna e respirò a fondo tenendo le labbra incollate.
Si udivano in lontananza le urla di Hulk e colpi di una forza spaventosa che stavano mettendo a dura prova la solidità della sua casa.
«Pep, ascoltami. Aiuta Happy a far uscire tutti. Io devo tornare dagli altri. Ok? E ti prego, non dire di no altrimenti-»
«Ok, Tony.» Lo zittì accettando il suo compito. Ma quando chiese a Jane di seguirla Tony fu costretto a fermarla.
«No, Jane resta qui. Me ne occupo io» disse comprendendo la confusione sul viso di entrambe.
Prese un respiro e disse ciò che sapeva sarebbe stata una bella batosta per l'astrofisica.
«Lui è qui per lei,» affermò e poi si rivolse direttamente alla dottoressa. «Non possiamo rischiare che scateni una guerra per correrti dietro. Qui sarai al sicuro, Jane, e potremmo arginare il suo raggio di azione. So cosa-»
«Va bene,» rispose lei tagliando corto. «Non voglio che nessuno rischi a causa mia.»
«Ma Tony-»
«Sarà al sicuro, tesoro. Te lo prometto.» Rassicurò la sua compagna e cercò di essere il più convincente possibile, benché sapesse di non essere nella condizione di promettere nulla.
L'ennesimo colpo provocò la caduta di alcuni calcinacci dal soffitto.
«Adesso vai.»
Pepper annuì e raggiunse le scale in breve mentre si metteva in contatto con Happy. Restati soli, Tony si avvicinò alla Foster e la guardò negli occhi. Jane aveva di certo una bella tempra se ancora non era crollata dopo tutto quel casino che l'aveva vista vittima, dopo aver avuto anche il coraggio di affrontare quella lingua biforcuta chiusa in gattabuia.
«È qui per uccidermi, vero?»
Sforzò un sorriso.
«Beh, magari vuole solo riprendersi i regali che ti ha fatto,» scherzò e Jane sorrise tristemente.
«Tony...» Poi il sorriso si spense. «Non fategli del male. Non è lui, è solo... è solo...»
«Quest'attacco non è casuale, Jane. Sono certo che su Asgard sta accadendo qualcosa e che Steve farà la sua parte.» Provò a rassicurarla. «Dobbiamo solo guadagnare tempo.»
«Ok, allora dove andiamo?»
Alla domanda di Jane guardò verso le scale: c'era solo un posto in tutta la struttura dove sarebbe stata abbastanza al sicuro. Solo uno.



*



Loki fissò il soffitto che continuava a far piovere sottili granelli di intonaco.
Era ancora allungato sulla sua branda, quando l'attacco era iniziato non si era mosso da lì, non aveva emesso un solo fiato.
Stark non era nuovo ad attacchi diretti alla sua dimora, più di una volta proprio lui si era dilettato nel testare la solidità di quella struttura anche solo per vedere la sua faccia infastidita dall'ennesimo incidente che avrebbe distrutto la metà della sua Torre.
L'autore o gli autori di quell'assalto potevano essere molteplici, eppure Loki era più che certo di conoscere con precisione il nome del mandante.
Styrkárr non avrebbe mai rischiato di avere le tre essenze nel medesimo luogo, permettendo cosi a Odino una mossa per contrattaccarlo; e con Mjolnir nella sua mano e Sigyn ad Asgard, c'era solo una manovra che poteva attuare.
E se Styrkárr era prevedibile, Amora era scontata: se lui era lì su suo comando poteva volere solo una cosa.
Nonostante l'eco lontana della lotta Loki udì comunque il rumore dei passi, e quando Stark saltò giù dalle scale con lei al suo fianco si tirò a sedere con un sorriso divertito.
«Avevi ragione, alla fine: è tornato per te.» Rise dell'espressione di rabbia e dolore sul suo viso. Sciocca, piccola mortale...
«Ehi, sta' zitto!» blaterò Stark mentre si avvicinava al vetro. «Avanti, esci.»
Loki guardò la porta trasparente che si apriva e si alzò in piedi avvicinandosi alla soglia ma senza varcarla.
«Ah... ho capito» sospirò poi studiando i bordi dell'apertura. «Vuoi chiuderla qui dentro, giusto? Beh, Stark, non credo che questa piccola gabbia di cristallo le salverà la vita.» Quando i suoi occhi ritrovarono quelli di Jane, Loki riuscì a leggere l'odio che provava, il suo rancore, perfino la sua paura. «Tic-tac, Jane... il tuo tempo sta per scadere.» Sorrise ancora, con una nota di palese divertimento.
Lei fece un passo e gli fu di fronte. Loki aspettò che lo colpisse, che lo ingiuriasse, non si sarebbe neanche sorpreso se si fosse ritrovato sul viso la sua saliva, e invece Jane lo superò e varcò la soglia entrando nella cella.
«Coraggio, fuori dalle scatole tu.» Stark lo afferrò letteralmente per la maglia e lo tirò fuori. Loki glielo permise perché stava ancora guardando incuriosito il viso di Jane che adesso era alle sue spalle.
La porta di vetro poi si richiuse e Stark lo obbligò a guardare il suo di viso, tenendo fra le dita la sua maglia e fronteggiandolo a muso duro.
«Stammi a sentire. Qui nessuno ha voglia di preservare la tua vita ma ho promesso alla strafiga mora di riconsegnarti tutto intero e mi dispiacerebbe non rispettare gli accordi presi con una signora, perciò trovati un buco e restaci. O scappa, non mi importa, tanto ti ritroveremo ovunque andrai. Chiaro?»
«Dovrei scappare, Stark? E perché mai? Voglio essere in prima fila mentre vi uccidete a vicenda... E mentre lei muore per mano del suo grande amore.»
Tony lo spintonò ma poi lo lasciò andare lanciandogli solo uno sguardo che non ebbe alcun interesse a definire.
«Qui sarai al sicuro,» rassicurò la donna. «E ignora questa testa di cazzo» ringhiò prima di prendere le scale.
Loki lo guardò sparire e poi si volse verso il vetro, ormai abituato a vedere dalla parete opposta.
«Non ho paura, non di lui» affermò la donna.
«Dovresti, perché se è venuto per prendere la tua vita allora prenderà la tua vita,» ribatté. «Soggiogato o meno, Thor non ha mai amato fallire.»
Sebbene tacque, Loki vide la sua gola sussultare.
Ne gioì.



*



Natasha si trascinò accanto a Clint e gli controllò le pulsazioni. Erano basse ma il suo cuore ancora batteva.
Sospirò e strinse i denti quando avvertì la ferita pungere. Non era profonda come pensava, forse non aveva leso neanche alcun organo vitale, di certo però aveva un paio di costole incrinate e la sua spalla destra era slogata.
Fece perno sul braccio ancora illeso e cercò di tirarsi a sedere. Poggiò la schiena contro la parete e afferrò la maglia di Clint per tirarlo accanto a lei. Adagiò la sua testa sulle sue gambe e respirò lentamente per non rendere la ferita ancora più profonda.
Hulk era giunto in tempo, Hulk era l'unico che poteva fermare quell'essere che aveva le sembianze di Thor.
«Jarvis?» chiamò con voce rauca attraverso l'auricolare.
«Mi dica, agente Romanoff.»
«Dove sono?» chiese deglutendo a fatica.
«Al dodicesimo livello. Se il ritmo dello scontro non rallenta, in breve distruggeranno anche l'ultima dozzina di piani. La sicurezza della struttura non è però stata compromessa.»
«Bene, almeno una buona notizia.» Mancava solo che l'intera Torre crollasse sotto i loro piedi. «Stark ha ricevuto il mio messaggio?»
«Si, agente Romanoff. La dottoressa Foster è stata condotta nella stanza più sicura della Tower ma il signor Stark mi impedisce di rivelarne l'ubicazione esatta. Protocollo necessario per preservarne la sicurezza
«Sì, certo...» mormorò ancora Natasha chiudendo per qualche secondo gli occhi.
Il pavimento tremò sotto le sue gambe e fu costretta a riaprire lo sguardo. Attraverso la parete crollata di fronte poteva scorgere quella che era stata fino a poche ore prima la loro sala riunioni, con la macchinetta di caffè espresso con miscela colombiana, con il distributore di merendine voluto da Clint, con il tavolo di vetro adesso in frantumi su cui si accasciava Bruce quando credeva che nessuno lo vedesse, e dormiva con il capo poggiato sulle braccia. La bandiera sul muro era ora a terra, coperta dai detriti, e la grande A sulla porta era sparita, insieme alla porta stessa.
Sospirò e abbassò lo sguardo sul viso ancora assopito di Clint. Gli scostò i capelli dalla fronte e trattenne un gemito di dolore.
«Capitano...» mormorò fra sé. «Qualunque cosa tu stia facendo per risolvere questa situazione, per favore, sbrigati.»











Linn guardò i suoi occhi. Non disse nulla, non comprendeva.
«Hai capito, Linn?» Ma quando Sigyn glielo chiese annuì.
«Sì, ho capito.»
«Bene.»
L'abbracciò, e in quell'abbraccio avvertì la sua paura e i suoi timori.
Tenne per sé ogni domanda, tenne per sé ogni dubbio.
«Ora troviamo un luogo dove sarai al sicuro.»
La seguì mentre si allontanava dalla balconata, mentre allontanava la guerra e le fiamme, mentre Linn si chiedeva dove fosse Steve, come stesse, e quando quella guerra sarebbe durata.
«Sigyn?» La chiamò mentre scendevano una lunga scalinata.
Lei si voltò e Linn non disse nulla. Sigyn le sorrise e le prese la mano.
«Andrà tutto bene, Linn,» le ribadì. «Te lo prometto.»
E Linn le credette.



*



Steve si ritrovò con un ginocchio sul terreno fangoso.
Tossì forte e vide gocce di sangue cadere sulla terra.
Il polmone, forse lo stomaco.
Stava cadendo a pezzi.
Fece leva sull'ascia e si rimise in piedi, la caviglia mandò una scossa di dolore quando poggiò la pianta del piede. Era coperto di ustioni e ferite, eppure la più fastidiosa era quella dannata caviglia.
Dovette ritrovare presto l'attenzione quando fu attaccato da due esseri.
Bloccò l'affondo di uno mentre colpiva l'altro all'addome. Ruotò poi lascia abbassando il capo in modo da colpire anche il nemico dall'altro lato, caddero entrambi a terra privi di vita.
Il caldo era però insopportabile; per colpa di quelle creature, la vegetazione era in fiamme. Gli arbusti e gli alberi, alti e antichi, bruciavano e le loro foglie cadevano come petali di fuoco sulle teste dei soldati.
Respirare iniziava a fare male e il sangue che continuava a sputare non era per nulla un buon segno.
Si pulì la bocca e bagnò le labbra screpolate e ferite. Doveva continuare a lottare, doveva resistere finché avesse avuto ancora sangue da sputare e ossa da ingessare.
«Capitano, prendi!»
Voltò il capo verso la voce, era Hogun che gli stava lanciando contro quella che sembrava una pietra.
Poggiò l'ascia e l'afferrò guardandola confuso.
«Cos'è?» chiese e l'asgardiano gli si avvicinò con un sorriso sul viso provato dalla lotta.
«Frantumala sulle tue ferite. Ti aiuterà.»
Prima che potesse chieder altro, Hogun era corso in direzione di altri avversari e Steve si ritrovò al momento in solitudine a guardare quella pietra, con la sola compagnia di cadaveri avvolti dalle fiamme.



*



C'erano quasi, il vincolo si stava sciogliendo.
L'anima di Thor si stava allontanando da quella del Vanr e dovevano solo tenerla separata finché il terrestre non avesse compiuto il suo incarico.
Odino aprì gli occhi, dapprima celati per aumentare l'energia del rito, e guardò il viso di Frigga, cosparso di gocce di sudore, le sue mani poggiate contro l'Albero dell'Eterno tremavano, le sue labbra tremavano.
Non avrebbe lasciato che la sua sposa soffrisse ancora.
Erano vicini, non restava che compiere l'ultimo atto.



*



No, non poteva essere.
Styrkárr sentì la mano bruciare, come fosse bagnata dal più letale dei veleni. Le dita si sciolsero senza che potesse impedirlo e Mjolnir cadde a terra con un tonfo.
Il suo cuore batté forte, sempre più forte, sempre più rabbiosamente.
Abbassò la mano e afferrò di nuovo l'arma, riuscì a sollevarla di pochi centimetri prima che fosse costretto ad abbandonarla.
«Non puoi ribellarti a me!» ringhiò. «Io governo la tua potenza. Mia è l'anima del tonante! Mia sarà la vittoria!»
Avvolse entrambe le mani attorno al martello ma stavolta fu impossibile anche solo tenere i palmi poggiati contro l'impugnatura.
L'Incantatrice! Lei aveva il dovere di...
Non riuscì neanche a dire il suo nome. Anche la sua gola prese a bruciare come inghiottisse mille tizzoni ardenti. Si strinse il collo con le mani e crollò in ginocchio sul terreno.
Non riusciva a respirare, il suo petto era come lacerato, era come se qualcuno lo stesse tagliando nel mezzo con una lama, e Styrkárr sapeva bene chi ne era la causa.



*



Stava schivando un nuovo assalto quando sentì un brivido solcargli la pelle. Steve abbatté la creatura e si fermò. La pietra di Hogun aveva alleviato il dolore alla caviglia e sembrava che secondo dopo secondo ogni ferita diventasse più lieve. Forse quel brivido era un effetto collaterale di quella cura ma poi lo avvertì ancora, e poi udì una voce.
Va'... è tempo.
Conosceva quella voce, era quella di Odino ed era come se glielo stesse sospirando all'orecchio. Conosceva anche ciò che voleva dire.
Sollevò immediatamente lo sguardo verso la collina dove aveva visto Styrkárr lanciare saette e lo rivide lì, nel medesimo luogo eppure qualcosa era cambiato. Era in ginocchio, inerme, ma soprattutto, Mjolnir non era più nella sua mano.
Va'...
Prese un respiro, il fuoco era ormai alto e il sudore bagnava perfino le sue ciglia. Lasciò cadere a terra l'ascia che gli era stata donata da Volstagg, quell'ascia con cui aveva ucciso bestie che non pensava potessero esistere al di fuori dell'Inferno, e strinse il suo scudo.
«Capitano? Che succede?» chiese Fandral.
Steve continuò a guardare la collina.
Doveva andare.
«Guardatemi le spalle!» ordinò e iniziò a correre.
Corse fra le fiamme, il sangue e la morte. Corse fra i nemici e i soldati, saltò le carcasse e i corpi feriti dei coraggiosi asgardiani e puntò dritto verso quel martello, la cui sagoma si stagliava nel cielo ormai rosso come lava.
Il cuore picchiava così forte da sembrare quello di qualcun altro. Mentre divorava i metri, Steve pensò a Thor, a ciò che gli aveva promesso, ripensò ai suoi amici sulla Terra che confidavano in lui, ripensò a Linn alla quale aveva giurato di salvare Asgard e le sue genti, ripensò allo sguardo di Odino, allo sguardo di un padre che sapeva di aver sbagliato e che forse era solo troppo orgoglioso per ammetterlo.
Ripensò a quell'unica speranza che era letteralmente fra le sue mani.
Le gambe spinsero con più vigore, ormai non c'era più alcun dolore e, se c'era, Steve non lo sentiva. Giunse alle pendici del piccolo colle e salì veloce, affondando ad ogni falcata nella terra inumidita dal sangue.
Quando arrivò in cima, Styrkárr lo guardò: c'era un sentimento oscuro nel suo sguardo, un'energia malvagia che gli aleggiava intorno.
Steve ignorò i suoi occhi, i suoi gemiti soffocati, le sue mani che cercavano di fare perno per sollevarsi. Rimase inerme, Styrkárr, piegato su se stesso mentre Steve cancellava la distanza che lo divideva da quell'arma.
Non aveva mai avuto occasione di sfiorarla, non aveva mai neanche avuto desiderio di toccare un'arma con un tale potere, forse per rispetto verso Thor, forse per rispetto verso Mjolnir stesso.
Un passo dopo l'altro, mentre il respiro caldo bruciava nei polmoni dolenti.
Steve tenne il suo scudo al braccio sinistro e allungò la mano destra verso quell'impugnatura. Le sue dita parvero quasi tremare, ma non aveva tempo per tentennare.
Devo farcela!
Nel momento esatto in cui strinse il pugno, avvertì una leggera scossa attraversare il suo avambraccio e vibrare fin dentro al petto.
Sentì poi un dolce sibilo, quasi un canto, quando lo sollevò senza neanche accusarne il peso.
 


*



Amora si voltò all'istante mentre sentiva il suo incantesimo sbriciolarsi.
Non si era resa conto di ciò che stava accadendo, accecata dalla rabbia e dalla smania di uccidere quell'impertinente donna.
Scorse il terrestre sulla collina con il pugno stretto attorno a Mjolnir, e Styrkárr a terra, incapace perfino di stare in piedi sulle sue gambe.
«Maledetto!» ringhiò pronta a impedire a quell'umano di fare qualsiasi cosa avesse in mente di fare, sebbene fosse facile intuire quale era il suo scopo.
«Dove credi di andare?!»
Si ritrovò a picchiare il viso al suolo polveroso quando Sif le saltò letteralmente addosso. Provò a liberarsi di lei, ma finì solo con il voltarsi e mostrarle il volto che la guerriera colpì con violenza.
L'attacco fu talmente brutale che Amora non ebbe neanche occasione di pronunziare un solo sortilegio per fermarla.
«È finita, Amora!» affannò Sif mentre le spaccava lo zigomo con un pugno. «Hai perso... l'hai perso.»
«Non questa volta...» sibilò approfittando dell'attimo in cui Sif recuperò fiato. Disegnò una runa con l'indice e spedì la donna a una decina di metri di distanza.
Poggiò poi un ginocchio a terra per rimettersi in piedi. Il viso le doleva e così l'addome, ma nulla le avrebbe impedito di fermare quel piccolo insetto.
«Thor mi appartiene» affermò pulendosi le labbra sanguinanti e guardando Sif che si rialzava. «È mio.»
«Lui preferirebbe essere morto anziché sottostare ai tuoi folli comandi, strega!» sentenziò poi l'asgardiana. «Affrontami, sconfiggimi. Uccidimi! Perché solo così ti lascerò andare, Amora.»
Amora si voltò a guardare il terrestre e poi tornò con lo sguardo in quello della donna.
Non avrebbe raggiunto Midgard, né potuto fare nulla per far riavere a Thor la sua anima. Non c'era alcuna speranza che riuscisse a spezzare il legame con cui lei e Loki l'avevano vincolata a quella di Styrkárr, e la voglia di prendere la vita di Sif era troppo forte.
Sorrise passandosi la lingua sui denti per lavare ogni traccia di sangue.
«Porterò la tua testa da lui affinché la schiacci sotto i piedi.» Le promise sinistra.
Sif recuperò la sua spada e il suo scudo e le mostrò il più fiero degli sguardi.
«Fatti sotto allora, perché intendo fare lo stesso, Incantatrice.»



*



Ce l'aveva fatta. Odino avvertiva l'energia di Mjolnir unirsi a quella del terrestre. Ma l'anima di Thor era ora ancora legata a quella di quel traditore Vanr e il rito avrebbe dovuto tenerle entrambe soffocate finché Rogers non avesse concluso la sua missione.
Heimdall... sibilò Odino nella sua mente mentre chiamava quella del fido alleato... Aprigli la via.
Dopo qualche frammento di attimo sentì chiara la sua risposta.
Sarà fatto, mio re.











Iron Man giunse nella stanza e scoprì sia la Vedova che il Falco a terra, sebbene la donna fosse ancora cosciente.
Si avvicinò e piegò un ginocchio accanto al corpo del compagno per sincerarsi delle sue condizioni.
«È tutto ok, Stark» sospirò Natasha con il viso più pallido del solito.
«Non direi proprio» ribatté lui sollevando fra le braccia Clint. «Nick è fuori. Si occuperà di lui.» Poi la guardò attraverso il casco della Mark ma tenne sulla lingua ogni raccomandazione di resistere. Di certo lo avrebbe mandato a quel paese senza pensarci due volte.
Senza indugiare oltre volò fuori dalla parete distrutta per raggiungere una delle squadre allineate alla base della Tower.
«Che diamine è successo?» chiese immediatamente Nick vedendolo atterrare.
Tony gli lasciò soltanto cadere il corpo privo di sensi di Barton fra le braccia e tornò a sollevarsi dal suolo.
«Cure immediate» comandò e volò verso il piano in cui Natasha era ancora seduta sul pavimento con le spalle contro il muro.
«Vieni, tocca a te,» disse avvicinandosi per sollevarla ma la Romanoff rise scuotendo la testa e tenendosi l'addome che sanguinava.
«Non abbandono mai il campo di battaglia finché la missione non è compiuta.»
Testarda di una russa.
«Stark!» La udì poi litigare mentre la raccoglieva fra le braccia.
«Taci, rossa. Ho una nuova missione per te: restare viva.»
Natasha lo guardò con rabbia e quel sentimento di impotenza che doveva farle male, e avvolse le braccia attorno alle sue spalle.
«Non sei il mio capo...» mormorò con una smorfia di dolore mentre Tony prendeva quota.
«Lo so. Cap è il tuo boss e sono certo che sarebbe d'accordo con me. »
La Vedova non disse più nulla e si lasciò condurre fino alla squadra di soccorso. Tony le diede l'incarico di informare Nick e soprattutto di tenerlo fuori da quell'edificio.
Sapeva che Natasha Romanoff poteva portare a compimento anche due missioni nello stesso momento.
Sollevò il capo verso l'alto quando presero a cadere interi pezzi di pareti e acciaio.
Bruce stavolta avrebbe dovuto contribuire a ripagare almeno il 30% dei danni.



*



Jane sentiva il suo cuore battere furioso e il fiato spezzarsi ogni volta che immetteva aria. A ogni colpo che udiva, a ogni scossa che rischiava di farle perdere l'equilibrio, il cuore batteva più forte.
Loki se ne stava seduto tranquillamente sulla scrivania sul fondo della stanza, incurante dei calcinacci che cadevano dal soffitto, del pavimento che tremava, della paura che bruciava nei suoi occhi.
Loki sedeva, silente a gambe incrociate, e la guardava con un sorriso glaciale.
Provò rabbia, più di quella che avrebbe creduto di poter ancora provare e avrebbe soltanto voluto ucciderlo con le sue stesse mani.
Se solo Thor lo avesse fatto tanto tempo fa, se solo...
Si sentì così debole. Gli stava dando quello che voleva, stava diventando una creatura viscida e spregevole. Stava diventando come lui; provava gli stessi sentimenti orribili e lo stesso buio nell'anima.
«Hai davvero intenzione di restare lì a guardare?» gli chiese sottolineando tutto l'astio che l'avvolgeva.
«Oh, certo. Perché dovrei perdermi un tale meraviglioso evento?! Thor che uccide la donna che ama sotto l'influsso di una donna che ha amato.» Poi rise velenoso e crudele. «Perché lui l'amava, sai? Voleva che fosse la sua regina. E anche se Amora è una puttana manipolatrice, sarebbe stata di certo una regina più degna di te, Jane Foster. Almeno non avrebbe reso il futuro re di Asgard vedovo nel giro di qualche decennio.»
«Quanto piacere provi a farmi del male?... È questa la tua unica soddisfazione?» La sua voce tremò attraverso quella domanda. Perché il silenzio di Thor l'aveva ferita, le sue bugie, i suoi segreti. Tutta quella vita che non sapeva avesse vissuto era stata una ferita che non si sarebbe richiusa facilmente.
Loki sorrideva ma piano, mentre Hulk urlava in lontananza, ogni maschera si sciolse da quel viso pallido, e quegli occhi verdi tanto inquietanti quanto magnetici sembrarono divenire più umani.
«Non sono io a farti del male, Jane. È stato lui, è stato Thor a prendere il tuo cuore e romperlo.»
Una lacrima sfuggì al suo controllo e se ne vergognò. «Lui ha questa capacità innata di essere dannatamente crudele con chi dice di amare.»
Quel cuore è mio perché nessuno potrà mai cancellare il dolore che gli ho causato e che lui ha causato a me.”
«Chi è Hela?» domandò poi, ripensando alle sue parole, ripensando ai suoi occhi che anche mentre pronunziavano quel nome sembravano gli occhi di un uomo ferito, e non di un mostro assassino.
Loki sorrise e abbassò il capo.
«Non vuoi saperlo davvero, credimi» rispose.
«Perché? Perché mi ferirebbe ancora?»
«No, perché te lo farebbe odiare.»
Restò silente alle sue parole ed ebbe vero timore di scendere ancora più a fondo in quell'abisso di dolore che era il loro legame.
«Hela...» sospirò e Loki la guardò ancora. «È il motivo per cui tu lo odi... Non è così?»
Ancora un sorriso, stavolta di una straordinaria dolcezza, una dolcezza di cui Jane non lo avrebbe mai ritenuto capace, un sorriso che assurdamente ricordava quello di Thor.
«Lei è il motivo per cui non l'ho mai davvero fatto.»
Sussultò.
«Lei?»
Ci fu ancora una scossa, stavolta di spaventosa forza che la catapultò a terra.
Perfino Loki cadde dalla scrivania e si appoggiò ad essa per rimettersi in piedi.
«Credo che il tempo delle confidenze si sia esaurito.» Era tornata la maschera, era tornato il ghigno, era tornato il vecchio Loki. «Ed anche il tuo di tempo, dottoressa Foster.»



*



Quella spada era una spina nel fianco. Anzi, una spina nel suo culo metallico.
Non esisteva modo per togliergliela dalle mani, non esisteva neanche modo per “spegnerla”. Di qualunque materiale fosse fatta era indistruttibile e anche parecchio pericolosa.
La stanza prese fuoco nell'attimo in cui il fendente destinato al polpaccio di Hulk tagliò di netto il muro.
Tony provò con ogni singola arma presente nella sua Mark, ma nessuna di esse sembrava efficace.
La struttura della Torre inoltre stava subendo troppe sollecitazioni e un pericolo di crollo non sembrava più un'ipotesi così remota.
Portare la lotta all'esterno sarebbe stato anche peggio, ma qualcosa dovevano inventarsi altrimenti sarebbero finiti tutti sotto quintali di cemento e acciaio e nonostante quello, Thor e la sua dannata spada sarebbero continuati ad essere una spina nel culo.
Hulk anche iniziava a perdere colpi il che era tutto dire.
Ringhiò, il gigante buono, e si avventò contro Thor afferrandolo per quel ridicolo mantello e facendo fuori un'altra colonna del suo soggiorno.
«Toglietevi dalla mia strada, terrestri!» comandò loro Thor quando si rialzò in piedi. «Non è la vostra vita che voglio.»
«Grazie per la clemenza, Lord Mantello Candido» mormorò Tony sparandogli contro qualche altro colpo.
Altra mossa inutile.
Thor rispose al suo attacco e Tony si ritrovò a colpire con le spalle il telaio d'acciaio della vetrata, i cui vetri erano ormai coriandoli taglienti sul pavimento. «Dannazione...»
Di quel passo sarebbe andato presto a far compagnia a Clint.
Hulk gli regalò qualche secondo per rimettersi in sesto mentre affrontava ancora Thor. Almeno potevano contare su di lui e...
L'urlo che salì un attimo dopo fu tremendo. Tony sgranò gli occhi attraverso il suo casco mentre lo vedeva crollare sul pavimento. La spada, adesso completamente viola, affondata nel suo stomaco e il volto di Thor era una maschera di fredda crudeltà.
L'amico verde era ancora in ginocchio, nel tentativo di togliersi la lama dalla carne con uno strano liquido che stava fuoriuscendo dalla ferita. Un liquido dello stesso inquietante colore viola che si mischiava con il sangue di Hulk, ma che nel momento che gocciolava a terra lasciava un solco.
Non poteva essere, non poteva averlo fatto sul serio.
«È veleno?» chiese incredulo Iron Man. Nessuna risposta era necessaria.
«Hulk... male...»  mormorò la povera creatura con una smorfia di dolore sul volto. «Hulk male» ripeté sofferente e Tony si ritrovò a tremare di rabbia nella sua Mark.
Thor nel mentre abbandonò la sua posizione e camminò verso di lui, lasciando alle spalle Hulk, con la sua spada ancora affondata nello stomaco.
«Jane Foster. Dimmi dov'è?»
Si sentì chiedere Tony e avrebbe solo voluto spaccargli la faccia a suon di pugni.
Fu quello che fece.
Al diavolo laser e altre cazzate, voleva solo farlo sanguinare con le sue mani.
Thor cadde con le spalle a terra e Tony gli salì a cavalcioni addosso assestando un pugno dietro l'altro sul suo viso.
«Pezzo di merda! Sei un lurido pezzo di merda, Thor! Che tu sia maledetto. Stupido ottuso asgardiano!» vomitò rabbioso senza fermarsi dal colpirlo.
Thor subì il suo attacco silente, senza emettere un solo gemito di sofferenza, sebbene il suo viso iniziasse a essere bagnato di sangue. Gli afferrò poi entrambi i polsi metallici fra le mani e lo guardò.
Tony respirava affannoso e il casco della Mark pareva soffocarlo ancora di più.
Non riusciva più a muovere le mani, bloccate nella sua morsa.
«Jarvis?» chiamò.
«Sì signore?»
Thor lo colpì con una testata e poi ancora una.
Tony cadde al suolo, sentendo la testa girare e le orecchie fischiare.
«Rogers... digli...» bofonchiò tentando di sollevarsi. Il suo braccio fu ancora una volta fra le mani di Thor.
«Signore?»
Ciò che Jarvis udì poi non fu un comando, solo un urlo, quando Thor gli spezzò di netto il braccio.



*



Le scosse cessarono. La polvere si poggiò silente sulle superfici. Fu silenzio.
E sembrò essere anche più terrificante di quei suoni di battaglia.
Jane guardò il soffitto, la cella, i vetri che avevano tremato sotto ogni sollecitudine della struttura ma che erano rimasti integri.
Trascorsero secondi pesanti come ore e poi altri secondi ancora e non accadde nulla. Sembrava che la lotta fosse terminata, che tutto fosse finito.
Guardò infine Loki, che non sorrideva più e che osservava il fondo delle scale.
Non chiese cosa stesse aspettando, non chiese chi. Quando udì i passi, non chiese nulla, respirò solo a fondo mentre li sentiva avvicinare, mentre vedeva la sagoma entrare nel suo campo visivo, mentre il suo cuore cadeva a terra come un frutto troppo maturo.
«Thor...» Le sue labbra si mossero da sole, la sua lingua pronunziò quel nome senza che lo volesse.
Era lì, davanti a lei, ferito e sanguinante, che la guardava come se non la vedesse davvero. Era vuoto il fondo del suo sguardo, era privo di espressione il suo bel viso.
Saettò con lo sguardo alle sue spalle, dove Loki era rimasto silente a osservare il tutto, con le spalle premute contro la parete e la bocca serrata in una linea rigida.
«Jane Foster.»
Al sentire la sua voce pronunciare il suo nome ebbe un brivido orrendo. Non era la voce di Thor, non c'era dolcezza né tenerezza nel suo tono, non c'era nulla in lui.
Respirò con più affanno restando immobile mentre lo vedeva fare un passo di più verso il vetro che li divideva.
Quando le fu ormai di fronte appoggiò il palmo contro la parete trasparente.
Jane avrebbe voluto poggiare il suo contro quel vetro, chiedergli di tornare ad essere l'uomo che amava, che l'aveva fatta sentire speciale e unica come nessun altro, che l'aveva fatta sentire amata come non le era mai accaduto.
Torna a essere Thor, il mio Thor.
Avrebbe voluto dirglielo, avrebbe voluto piangere altre lacrime e altre ancora, ma ogni emozione ghiacciò quando quel palmo si chiuse in un pugno, quando Thor colpì con quel pugno il vetro fino a farlo tremare.



*



L'aveva guardato, una volta soltanto e poi l'aveva ignorato.
Cosa c'era di così diverso? Cosa c'era in questo Thor che differiva dall'essere accanto a cui aveva vissuto per tanti secoli?
Loki si ritrovò a porsi quella domanda mentre guardava le sue spalle allontanarsi per giungere alla cella.
Le sue spalle, la sua schiena...
La storia si ripete, dunque, fratello?
L'umana era spaventata eppure sembrava conservare una speranza nel fondo dei suoi occhi nocciola.
Poi Thor colpì il vetro e il rumore sembrò essere da solo capace di frantumarlo.
Loki sentì risuonare i successivi nel suo petto, come fosse il suo cuore che Thor stava colpendo con il pugno.
Lo era stato, un tempo.
Jane indietreggiò a ogni colpo finché non finì con le spalle contro la parete bianca.
«Thor, sono io. Smettila, ti prego...» Le sentì supplicare con sofferenza, e Loki sapeva non era la morte a spaventarla quanto la mano che gliel'avrebbe donata.
Aveva sempre sperato che fosse Thor un giorno a ucciderlo, sarebbe stato un modo degno con cui essere legati per sempre. Morire per mano di un fratello troppo amato e troppo odiato, far sì che fosse Thor a morire per mano sua.
Morire insieme, uno accanto all'altro, morire come non erano stati capaci di vivere.
I pugni si fecero più brutali, finché Thor non colpì la parete anche con i calci, eppure nulla parve scalfirla.
Stark aveva avuto ragione quella volta: quella cella era il solo luogo in cui la donna avrebbe potuto trovare una parvenza di sicurezza. Ma era solo questione di tempo. Presto anche quella parete sarebbe crollata e Jane Foster, la donna mortale che tanto aveva odiato e disprezzato, sarebbe morta.
Se anche Rogers fosse riuscito nel suo intento, se anche Odino e Freyja avessero messo fine alla minaccia di Styrkárr e Amora, se anche Thor fosse tornato ad essere il Dio del Tuono, nulla avrebbe potuto chiudere la ferita che avrebbe portato per sempre, sapendo di essere colui che aveva ucciso la donna che amava.
Avrebbe potuto guardare i suoi occhi colpevoli, le sue mani che non sarebbero state mai più candide. Aveva ferito i suoi amici, il mondo che aveva giurato di proteggere, era stato il cane a guinzaglio di quella folle di Amora e per di più aveva strappato il cuore dal petto di Jane Foster.
Sarebbe stata una vendetta di cui godere, la sua sofferenza avrebbe per sempre riflesso quella che aveva portato lui nel cuore per secoli, che avrebbe sempre portato. Quella colpa li avrebbe uniti come li aveva uniti quel peccato.
Una crepa si disegnò sul vetro, sottile, e si allungò al successivo colpo.
Bastava guardare e attendere e godere della sua distruzione.
Con le tue mani, Thor. Sono state le tue mani a portare tanto dolore...
Avrebbe riso della sua sofferenza, avrebbe gioito della sua disperazione.  Quegli occhi di cielo non avrebbero mai più smesso di piangere, quegli occhi di cielo che tanto amava.
Mi odierai, perché ho dato inizio a tutto questo. Mi odierai, fratello, come ho sempre desiderato.
Eppure...
Io non sarei in grado di odiare qualcuno che amo, Loki. Per quanti aspetti oscuri possa avere, per quante ombre possano albergare nel suo cuore, io amerò sempre ognuna di quelle ombre... Sempre... anche quando quelle ombre avranno inghiottito ogni luce.
No, non era così. L'avrebbe odiato, Thor lo avrebbe odiato, Sigyn lo avrebbe odiato! Lei... lei...
Odiami! Devi odiarmi!
Sentì quel vecchio dolore che tornava prepotente a bruciare la sua carne, lo sentì spandersi sotto ogni crepa che si disegnava sulla superficie trasparente, sotto ogni lacrima che lasciava gli occhi di Jane.
Non l'avrebbe mai odiato, non lei, non Thor.
Avrebbe odiato se stesso perché il dolore che aveva portato Loki era stato Thor a causarlo e questo lo sapeva.
E quella colpa sarebbe stata la sua vera morte.
«Sono un folle...» sospirò fra sé mentre poggiava lo sguardo sulla piccola arma che sostava a terra, accanto alla scrivania, forse caduta durante una di quelle scosse.
Si inginocchiò e la raccolse stringendola nella mano.
La guardò, nera e pesante, mentre una sottile linea elettrica attraversava le due estremità in cima.
«Sono sempre stato un folle.»
Si bagnò le labbra e sorrise.
Qualcosa diceva che una volta giunto in Hel, se ne sarebbe pentito.



*



Il vetro avrebbe ceduto. Pochi secondi, ancora pochi colpi e sarebbe esploso in mille schegge.
Jane non riusciva neanche più a vedere il suo viso, tante erano le lacrime che le offuscavano la vista. Si portò una mano a coprire un gemito mentre Thor continuava a colpire con ferocia la parete, mentre continuava a guardarla come fosse solo un problema da eliminare. Senza alcun'emozione, alcun sentimento.
Non c'era neanche odio nel suo sguardo. Non provava niente.
«Smettila...» La sua voce era un fiato che fece fatica lei stessa a udire.
La parete alle sue spalle era l'unica cosa che le impediva di crollare.
Non poteva finire così, non poteva accettarlo.
Guardò quegli occhi di ghiaccio ancora una volta prima che le fossero celati, prima che Thor li chiudesse con un ringhio e cadesse a terra sul suo ginocchio destro.
Non capì cosa stesse accadendo finché non scorse Loki alle spalle di Thor con un taser nella mano e un ghigno sul viso.
«Ci ho ripensato,» affermò. «Mi diverte troppo mettergli i bastoni fra le ruote.» Ancora un sorriso sinistro mentre balzava indietro nell'attimo in cui Thor si rialzava.
«Tu!» tuonò Thor con rabbia. Jane vide Loki aprire le braccia con fare colpevole.
«Un'ultima lotta. Solo tu e io... Che ne dici? Ti va, fratello
E c'era tanta sofferenza in quel sorriso che Jane forse capì solo adesso una briciola del loro legame.
«Io non sono tuo fratello, sporco Jotun.»
«Oh, non sai quanto ho aspettato di sentirtelo dire.»
Poi Thor lo attaccò e Jane avrebbe solo voluto chiudere gli occhi.











«Capitano Rogers!»
Steve si sentì chiamare con vigore e cercò nella folla che lottava quella voce. Era il guardiano Heimdall che combatteva con furia. Steve aspettò di avere i suoi occhi e poi capì.
«Seguimi!»
Annuì e corse nella stessa sua direzione sebbene fosse ancora su quella maledetta collina.
Lo scudo al fianco e il martello stretto nella mano.
Era incredibile. Ci era riuscito: l'aveva sollevato come fosse leggero come una piuma.
Lo guardò ancora stordito poi alzò lo sguardo verso Heimdall che correva molto più velocemente di lui e Steve comprese che era diretto al ponte.
Doveva consegnare il martello a Thor e Heimdall doveva sapere dove fosse.
La sua sagoma diveniva sempre più piccola mentre balzava con incredibile agilità. Steve strinse i denti e cercò di tenere il suo ritmo, ma la caviglia iniziava a fare davvero male e non aveva più pietre da usare.
Ebbe un'idea.
Se era riuscito a sollevarlo magari sarebbe riuscito anche usarlo come faceva Thor.
Si fermò con il fiatone e ne afferrò l'estremità.
«Proviamoci» mormorò e iniziò a farlo ruotare. L'arma prese sempre più velocità finché Steve non sentì un'incredibile energia esplodere direttamente dal suo braccio.
Lanciò poi il martello verso l'alto tenendo saldamente la presa e un attimo dopo stava volando verso il Bifrost.
Non ebbe neanche il tempo di guardare il campo di battaglia che si estendeva ai suoi piedi che si ritrovò a ruzzolare letteralmente sul ponte di cristallo.
Perfino Mjolnir gli cadde dalle mani e scivolò via fermandosi miracolosamente solo a un paio di centimetri dal margine del ponte.
Steve si rialzò passandosi una mano sulla fronte, mentre avvertiva una strana nausea salire dallo stomaco. La testa girava e tentò di scacciare il malessere dovuto alla caduta.
Recuperò poi Mjolnir mentre attendeva che Heimdall lo raggiungesse.
Il guardiano fu da lui in breve.
«Non hai raccolto quell'arma per poi farla cadere nell'abisso dei mondi, Steven Rogers.»
Non sapeva se fosse un richiamo o altro, sentì comunque l'imbarazzo farsi spazio fra le altri mille emozioni che cavalcavano nel suo petto.
Heimdall tenne stretta la sua spada e la infilò in un ampia fessura al centro della cupola. Steve lo affiancò volgendo però lo sguardo alle sue spalle, verso il palazzo, verso la guerra, verso le grida dei coraggiosi soldati, verso le fiamme che avvolgevano la vegetazione.
«Dov'è Thor?» chiese poi prestando nuovamente attenzione all'uomo.
Un nuovo vortice prese a brillare dinanzi ai suoi occhi.
Era uno spettacolo straordinario che non aveva avuto modo di vedere quando era giunto lì.
«Su Midgard,» rispose. «Devi affrettarti, non c'è più tempo.»
L'ultima frase lo agitò ma non chiese oltre. Si avvicinò alla soglia dove mille luci vorticavano accecanti.
«Il destino di Asgard è nelle tue mani.»
Steve sospirò.
«Grazie per aver reso le cose più facili...» mormorò e poi fece un passo in avanti. Non riuscì a non chiudere gli occhi.


Sentì il suolo sotto i suoi piedi dopo pochi frammenti di tempo. Aprì le palpebre scoprendo così di trovarsi sulla cima della Tower, sulla pista di atterraggio sul cui cemento era ancora impresso il simbolo lasciato dall'arrivo di Sif.
Poi un rumore lo obbligò a sollevare lo sguardo.
Un jet dello S.H.I.E.L.D. sorvolava la zona. Si accorse che erano due. Pensò che qualcosa non andava.
Devi affrettarti, non c'è più tempo.”
Thor doveva essere lì alla Torre, il che voleva dire che...
«Accidenti!»
Si catapultò alla porta e saltò lesto le scale finché non si trovò davanti alla più totale delle devastazioni: intere pareti al suolo, polvere, calcinacci, vetri. Non c'erano però uomini a terra.
Si guardò in giro cercando i suoi compagni con entrambe le mani impegnate.
«Ehi, Stark? Dove sei?... Nat?... Bruce?»
Provò a chiamarli ma nessuno rispose. Scese ancora un paio di piani saltando direttamente attraverso le voragini del pavimento. Era stato Thor a fare tutto questo?
«Thor?» Provò a chiamare lui ma neanche allora ebbe risposta.
Sentì tutti i lividi e le ferite pulsare nel momento in cui i suoi passi rallentavano e il respiro trovava il suo ritmo.
Era passato un giorno, un solo giorno, e sembrava che tutto fosse andato in rovina.
E se fosse stato tardi? Se Thor avesse fatto qualche gesto folle sotto il comando di Amora?
Non riusciva neanche a pensarci.
Si voltò ancora intorno. C'erano solo detriti e polvere. I mobili erano andati in frantumi e così i lampadari, perfino gli schermi di Tony e tutti i suoi oggetti moderni di cui tanto andava fiero.
«Dove ti se cacciato, Stark....» masticò fra i denti.
E Pepper? Jane?
Anche loro erano alla Tower quando era andato via.
Non era possibile che-
«Steve...» Udì un brontolio, una voce che però riconobbe subito. Si avvicinò velocemente a un paio di grossi pezzi di cemento che sollevò dopo aver poggiato lo scudo a terra.
«Bruce?»
Era coperto di ferite e senza vestiti a coprirlo.
«Steve... ce l'hai fatta?» gli chiese Bruce mentre Steve lo sollevava fra le braccia.
«Che è successo, Bruce? Dove sono gli altri? Dov'è Thor?»
Bruce tossì, con il volto sporco di polvere e sangue.
«È andato da lei, da Jane... Devi aiutarla.»
Annuì con vigore adagiando il compagno sull'unica zona ancora intatta del pavimento. Si sfilò la giacca e gliela poggiò in dosso e si accorse solo allora della ferita sul suo ventre.
«Bruce, sei-»
«È tutto ok, Steve. Devi andare da Jane.»
«Dov'è?»
Bruce scosse la testa con stanchezza e sofferenza e Steve trattenne un sospiro.
«Capitano Rogers?» D'improvviso la voce di Jarvis risuonò nella desolata stanza.
«Jarvis?» Steve non fu mai più felice di udirlo.
«La dottoressa è al piano G66. Il signor Stark ha ritenuto che chiuderla nella cella anti Hulk fosse l'unica opzione che avrebbe aiutato la sua sopravvivenza. Mi ha ordinato di comunicarlo unicamente a lei, capitano, quando sarebbe tornato. A proposito, ben tornato
Stark sapeva sempre tutto. Stupido geniale Stark.
«Grazie» sospirò e si rialzò recuperando scudo e martello. Guardò poi Bruce che lo osservava con lo sguardo socchiuso. Un debole sorriso sulle labbra.
«Vai, capitano.»
Steve ricambiò quel sorriso e poi si recò rapidamente verso la cella.



*



Sputò un grumo di sangue e sorrise mentre lo vide formare una strana forma sul pavimento.
Si trascinò fra la polvere con i gomiti sentendo come se ognuna delle sue ossa si fosse rotta.
Non riuscì a trattenere un gemito di dolore quando avvertì il colpo del tacco del suo stivale alla schiena, fra le scapole, che lo bloccò nuovamente al suolo.
Poi la pressione sparì e una mano lo afferrò per i capelli sollevandolo di peso da terra. Loki si ritrovò il viso sbattuto contro il muro più volte per poi ricadere ancora sul pavimento.
Rise, tossendo sangue, e si voltò.
Thor lo guardava rabbioso e oscuro come non era mai stato.
E così era giunta la fine.
Era giusto così.
Non si ribellò quando Thor gli avvolse la mano attorno al collo e lo tirò su finché non toccava neanche più il suolo con la punta dei piedi.
Poi strinse.
Lo guardò fisso negli occhi e tentò di sorridere.
Continua... avrebbe voluto avere la forza di dirlo, ma non riusciva neanche a respirare.
«Fermati, Thor!»
Era stata Jane a urlarlo dalla cella. Era tornata accanto al vetro e aveva ora il viso asciutto, sebbene i suoi occhi erano arrossati e ancora umidi.
«Non puoi ucciderlo. È tuo fratello...»
Che straordinaria follia! Adesso stava anche cercando di salvargli la vita.
Ma, in fondo, lui non aveva poc'anzi fatto lo stesso?
Oh, sì, Loki avrebbe voluto avere più aria nei polmoni per ridere di gusto. Ma non c'era più aria, non c'era più forza, perfino la sua vista si stava affievolendo.
«Tu non vuoi ucciderlo, Thor. Non vuoi fargli davvero del male.»
Ma Thor non l'ascoltava. Stringeva, stringeva sempre più forte e Loki gliene fu grato. Avrebbe messo così fine a ogni sua pena.
Che valore aveva ormai più la vita per lui?
Aveva perso tutto ciò per cui aveva continuato a lottare, a ingannare, a uccidere, a vivere...
La sua famiglia, la sua casa, sua madre, Sigyn.
Cos'era un'eternità nella più profonda solitudine se non una lenta e crudele morte?
Invece presto sarebbe finito, ogni dolore, ogni sofferenza, tutto sarebbe finito.
Sentì una lacrima lasciare l'angolo dei suoi occhi.
Avrebbe voluto impedirlo ma ormai non aveva più forza per fare nulla.
Thor lo guardava ancora, con le mani avvolte attorno alla sua gola.
Finalmente Thor lo stava guardando.



*



Jane non riusciva a fare altro che sbattere il palmo contro il vetro mentre vedeva Thor soffocare letteralmente Loki.
Non poteva lasciarglielo fare, non poteva permettere che Thor uccidesse Loki. Non sarebbe mai sopravvissuto al senso di colpa, quel senso di colpa sarebbe stato la sua morte.
«Thor!» urlò e colpì la parete. «Thor!»
Non la stava a sentire, non esisteva. In quel momento tutto ciò che sembrava occupare la sua mente era uccidere Loki.
Jane crollò con le ginocchia a terra tenendo entrambe le mani contro quel vetro, mentre Thor perdeva l'ultimo riflesso di sé.
«Basta adesso!»
Accadde tutto troppo velocemente. Loki che cadeva al suolo, Thor che si voltava verso le scale, lo scudo che lo colpiva, lui che lo afferrava.



*



Era arrivato in tempo e ringraziò Dio per questo, il suo Dio, quello in cui aveva sempre creduto e in cui nonostante tutte le assurdità che gli erano capitate, continuava a credere.
Lanciò lo scudo e vide Thor afferrarlo.
Loki giaceva a terra, con gli occhi chiusi e il volto insanguinato ma il suo petto si sollevava e abbassava, seppur lentamente.
Jane era nella cella, come aveva detto Jarvis, e sembrava stare bene, nonostante tutto.
E Thor era lì, ancora sotto l'influsso di quella donna, e a Steve restava solo un'azione da fare.
Sollevò il martello e glielo mostrò.
«Armi sbagliate, amico mio,» affermò e Thor lo guardò con astio prima di scagliargli contro il suo scudo.
Steve lo bloccò e nel medesimo istante gli lanciò contro il suo martello.
Nel momento esatto in cui Thor lo afferrò ci fu un'esplosione di luce.











Linn sentì il fiato spezzarsi. Sigyn le cadde d'improvviso fra le braccia, come una bambola di pezza.
Si inginocchiò a terra e la chiamò allarmata.
«Sigyn?... Sigyn?» Le scosse le spalle, le sfiorò il viso e trattenne un gemito di paura.
Non respirava, non c'era battito.
Le accarezzò i capelli, le baciò la fronte e la strinse fra le braccia.
Chiuse gli occhi, come chiusi erano ora quelli di Sigyn, della sua amata signora.
La cullò silente, sentendo il suo profumo svanire respiro dopo respiro, la sua pelle farsi fredda come quella della statua che portava il suo nome.
«Andrà tutto bene» sospirò contro la sua tempia donandole ancora un bacio. «Andrà tutto bene.» E bagnò quel viso freddo con le sue lacrime.



*



«NO!»
Amora urlò quando sentì distintamente il suo legame infrangersi, quando sentì l'anima di Thor tornare nel suo corpo e il suo vincolo di obbedienza spezzarsi all'istante.
Guardò Sif, con la quale aveva lottato fino a quel momento, mentre piccole gocce di acqua cadevano sul suo viso e il cielo di Asgard si copriva di nubi.
La pioggia divenne presto tempesta spegnendo le fiamme che stavano divorando la vallata.
L'aveva perduto, era stato tutto inutile, ed era soltanto colpa di quello stupido Vanr.
E se Amora aveva perso la sua guerra, lo avrebbe ricambiato con la stessa moneta.
«Arrenditi, Amora.»
Non diede ascolto alle parole di Sif. Sollevò soltanto la mano richiamando tutte le sue creature che si sciolsero presto in cenere come non fossero mai davvero esistite.
«Mai, Sif. Finché avrò fiato e finché avrò la forza di provarci.» Le promise.
E così avrebbe sempre fatto.
Thor le sarebbe appartenuto, un giorno. E quel giorno sarebbe di certo giunto.
Schioccò poi solo le dita e svanì nel nulla, come d'incanto.



*



Freyja guardò le radici di Yggdrasill, ne accarezzò le venature del legno e poi allontanò la mano.
«Frigga?»
Udì Odino chiamare il nome della sua sposa e poi correre da lei mentre la regina si accasciava stanca e provata. «È stato troppo per te, mia adorata» sospirava Odino con visibile preoccupazione.
Frigga sorrise e scosse il capo. Accarezzò il viso del suo consorte e lasciò che Odino baciasse le sue mani.
«È finita» enunciò poi Freyja rubando l'attenzione di entrambi i sovrani di Asgard. Frigga le donò un sorriso stanco e Odino tacque con sguardo ancora colmo di pensieri.
«Fa' ciò che devi, Freyja» le disse poi il Padre degli Dèi e Freyja assentì con gratitudine.
Si allontanò tenendo le mani elegantemente legate sul davanti.
Per te, Freyr. Per te, mio adorato fratello.



*



Styrkárr sentì la forza riavvolgere lentamente il suo corpo. Si guardò le mani che tremavano di rabbia, di amara rabbia.
«Maledetta Incantatrice!»
Lo aveva tradito, gli aveva voltato le spalle e lo aveva lasciato a marcire nella polvere sotto lo sguardo dell'esercito di Asgard, sotto le sue lance. E Styrkárr guardava quegli occhi che lo fissavano, glaciali, senza dire una parola.
Riconobbe perfino il viso di uno di loro, di Hogun, il Vanr che aveva giurato fedeltà agli Aesir. Un traditore, ma che lei aveva portato alla gloria delle battaglie.
Si alzò sulle sue gambe e mostrò ai suoi avversari la sua fierezza. Perché se era giunta la sua ora, non avrebbe mai chinato il capo dinnanzi a nessuno.
«Allora? Chi vuol farsi avanti? Chi vuole rivendicare la testa del grande Styrkárr?...» urlò a gran voce e quando ci fu solo silenzio rise. «Nessuno? Nessuno osa sfidarmi? Uno contro cento, contro mille, e mille periranno davanti ai miei piedi!» minacciò con enfasi, nascondendo il reale sentimento che attraversava le sue membra.
«Coraggio, Asgard, mostrami la tua forza, o sono solo leggende fasulle? Dov'è il tuo re, dov'è Odino? Perché non scende qui? Troppo vecchio e spaventato, forse, troppo codardo i Padre degli Dèi per affrontare il potente Styrkárr!»
E poi la vide, come una perla fra la sabbia, bellissima e maestosa come era sempre stata. La sua sola regina.
Si inginocchiò tenendo però il capo sollevato per vederla avvicinarsi silente, come danzasse sull'acqua.
«Freyja...» sospirò il suo nome quando gli fu di fronte e allungò la mano per afferrare la sua. Le posò un bacio sul dorso e sospirò contro la sua pelle. «Io...»
Il fiato gli si spezzò nei polmoni. Le parole morirono nella sua gola, il più atroce dei dolori lo avvolse mentre il sangue iniziò a scorrere sulle sue vesti.
Abbassò poi lo sguardo e inorridì quando vide le pallide dita della sua mano affondare sempre più nel suo petto fino a stringere letteralmente il suo cuore.
«Io... io...» Per te, per Vanaheim, per la gloria che quel folle di Freyr ci ha rubato accordandosi con Asgard.
Era questa la ragione e Freyja avrebbe capito, avrebbe capito perché aveva deciso di agire come aveva agito.
Ma non ci fu tempo di parlare né di respirare. Non ci fu più tempo.
L'ultima cosa che vide fu il suo sguardo freddo che lo guardava senza mostrare emozione.
Poi il dolore aumentò, divenne insopportabile, finché non svanì.

Styrkárr si accasciò a terra, senza vita. Freyja stringeva nel palmo insanguinato quel cuore marcio. Lo schiacciò forte fino a renderlo una poltiglia e poi lo lasciò cadere accanto al suo cadavere.
La vallata, bagnata dalla pioggia, tacque.
La guerra era finita.











***












NdA.
La guerra è vinta e adesso si contano le vittime.
Questo capitolo mi è costato mezzo fegato perché ho svalvolato parecchio mentre lo scrivevo. Così mi pare di ricordare dal momento che è passato un po' XP
Almeno è finito, così come è finita la guerra e ogni idea pazzoide di Styrkárr e compagnia bella... ma Amora che fine ha fatto?
...
Ad ogni modo spero sia stato gradito.
Il prossimo sarà il preludio del finale e con il 35 si concluderà la nostra avventura ^^
Ci becchiamo quindi settimana prossima!
Kiss Kiss Chiara


  
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