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Autore: Nanda    02/09/2008    2 recensioni
Non poteva, lui non poteva vivere senza di lei. Era come l’aria che saziava i suoi polmoni, come il sangue che affluiva nelle sue vene, come l’anima vestita del suo corpo. Lei era l’unica cosa che avesse desiderato veramente nella sua vita. Non poteva, lei non poteva vivere senza di lui. Era come il vento che con stilettate nel petto saziava la sua anima, come fuoco nelle vene, come l’anima vestita del suo corpo. Lui era l’unica cosa che avesse desiderato veramente nella sua vita.
Genere: Triste, Malinconico, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 2°

 

IL CALORE DELLA TUA PELLE… NIENTE DI PIU’

 

Solo alberi intorno a lui, alberi dai rami fitti e tenebrosi e dentro una strana sensazione, quasi paura, se così potesse essere definito il tremolio che sentiva dentro al suo petto. Sentiva il vento freddo di Gennaio inoltrato soffiare attorno a lui, scuotendo le punte degli arbusti e facendo svolazzare il suo mantello nero e i suoi capelli biondi, lo sentiva insinuarsi sotto i suoi vestiti e la sua pelle, lo sentiva dentro le ossa, facendolo rabbrividire continuamente. La luna piena era coperta da piccole nuvolette simili a tante perle che si spingevano tra di loro in forme misteriose. In lontananza giungeva il suono dell’acqua di un lago che si muoveva al ritmo delle foglie degli arbusti e del suo respiro affannato. Non ricordava perché fosse lì, non ricordava chi fosse e non ricordava neppure di conoscere quel luogo dove si trovava in quel momento. Sentiva la mente vuota e benché cercasse di riportare alla mente qualche informazione su di sé e quindi sulla sua vita a lui del tutto sconosciuta non riusciva proprio a ricordare niente. Poi intorno a lui comparvero dietro tante nuvolette di fumo nero delle figure scure. Uomini con il capo coperto da tanti cappucci neri e il volto nascosto dietro una maschera argentata. Avevano delle bacchette di legno nelle mani e quando al centro comparve l’ultima figura incappucciata tutti quanti s’inchinarono in segno di rispetto. Le punte dei cappucci erano tutte rivolte verso di lui, verso quella figura che improvvisamente aveva svuotato di tutto la sua mente infondendogli senza preavviso una strana sensazione, uno strano istinto che lo portava a mostrare il rispetto che anche lui provava verso quella figura sconosciuta, come tutti quegli uomini stavano facendo. S’inchinò anche lui, fissando la terra sotto il suo volto e chiedendosi ancora una volta cosa stesse succedendo e chi fosse realmente. Era uno di quegli uomini? Sentiva di essere legato in qualche modo a quelle figure, di appartenere loro dalla nascita, ma non ricordava perché, non ricordava niente. Riusciva a sentire distintamente solo quel rispetto verso la figura scura che ora si stava dirigendo verso di lui. Non portava una maschera, il suo volto era interamente nascosto dal cappuccio largo e nero come l’aura che l’avvolgeva,  e per un momento pensò che non possedesse un volto. Sotto i suoi piedi l’erba bassa di quella radura in cui si trovava si spostava leggermente, ricadendo subito dopo secca, giallognola, sul terreno inaridito da una forza sovrannaturale. Quando fu davanti a lui alzò lo sguardo e quegli occhi, quegli occhi rossi che spuntavano dall’oscurità del cappuccio lo fecero fremere, ma riuscì a mantenere quello sguardo. Vide l’uomo estrapolare la propria bacchetta dal mantello, scoprire il braccio marmoreo di lui e puntare il pezzo di legno sull’avambraccio candido a poca distanza dalla sua pelle. Sentiva che ciò che stava succedendo era giusto, era scritto, non poteva essere evitato e lui voleva, voleva che accadesse, ne sentiva il bisogno, era tutto ciò per cui la sua vita aveva senso che continuasse. Quando la bacchetta prepotentemente fu premuta sulla pelle sentì un fuoco che invase tutto il suo corpo, un fuoco che bruciava ogni sua cellula e rigenerava un corpo nuovo, un nuovo individuo. Sentì man mano il potere che veniva infuso nel suo essere, il potere supremo, e poi, tra tutte quelle sensazioni, aprì gli occhi chiusi per il dolore e ciò che vide di fronte a lui fu una donna. Una donna sorridente, le guance appena arrossate come quelle di una bambola di porcellana fragile e delicata, una cascata di capelli rossi, come il fuoco che sentiva scorrere lungo tutto il suo corpo, vide quegli occhi verdi e quel sorriso, vide una persona conosciuta e ricordò tutto, poi la figura scomparve in un turbine di fumo e lui cadde stremato al suolo. Quando si risvegliò si ritrovò solo, solo con gli alberi che si scuotevano più prepotentemente attorno a lui, solo con la sua identità e i suoi ricordi. Solo. Sul suo avambraccio spiccava un marchio nero dai contorni arrossati e ancora ricoperti del suo sangue ora contaminato e dentro, dentro sentiva di aver sbagliato. Cosa aveva fatto? Aveva abbandonato tutto credendo che quella fosse la decisione giusta, aveva pensato che fosse la cosa giusta, per la vita di un individuo privo di tutto, vuoto di ogni cosa, che fosse la cosa giusta per lui, per Draco Malfoy, perché lui non era nessuno, non aveva un’identità, un anima, un cuore, la sua vita era incredibilmente vuota e priva di linfa. Il Signore Oscuro era entrato nel suo corpo, il potere stesso era entrato dentro di lui mentre qualcos’altro che non credeva fosse dentro di lui ne usciva disperdendosi nel vento di quella notte. Qualcosa che non credeva potesse essere dentro di lui, qualcosa di molto forte ed intenso, qualcosa che si era nascosto in una parte remota di sé a sua insaputa. Si era disperso, disperso nel vento arrivando fino al cielo, e tutto ciò che gli era rimasto era un marchio, quel marchio che spiccava sul candore della sua pelle come una fiamma intensa accesa per bruciare la sua vecchia anima e per spegnere quella debole scintilla rossastra del suo cuore, mentre in lontananza il sole rosseggiante faceva la sua comparsa tra due basse colline imporporando il cielo. 

 

“DRACO, CHE CAZZO HAI?” il biondino si svegliò di soprassalto sbattendo quasi la testa contro quella di Blaise Zabini, che era esattamente sopra di lui e tentava disperatamente di svegliare l’amico in preda a forti spasimi da quando si era addormentato. I capelli biondi erano attaccati alla fronte da una patina di sudore freddo e la testa girava come una trottola impazzita. Le coperte durante la notte erano diventate un groviglio indistinto infondo al letto e attraverso tutte le finestre aperte entrava  un’aria gelida che colpendo il suo addome nudo lo fece rabbrividire. Guardò l’amico senza alcuna espressione un momento prima di focalizzare ciò che lo circondava.

“BLAISE MA TI SEI RINCOGLIONITO?” l’amico incrociò le braccia e lo guardò scocciato, nascondendo il suo sollievo.

“No, TU ti sei rincoglionito, è da quando ti sei addormentato che non smetti di delirare, non riuscivo a prendere sonno con i tuoi lamenti continui.” così dicendo tornò a letto mettendosi sotto le coperte. Draco si alzò incazzato come poche volte lo era stato e chiuse le finestre sbattendole. Poi tornò sotto le coperte sconvolto.   

Quel sogno, era stato così… strano, così diverso da tutti i sogni che aveva fatto fino ad allora. Sembrava fosse tremendamente reale. Era come se avesse dimenticato tutto della sua vita, come se fosse stato colpito da un incantesimo della memoria che gli avesse senza preavviso cancellato ogni ricordo, dal più brutto al più bello. E dopo, dopo aveva sentito un dolore lacerante al cuore, come se fosse stato colpito da mille aghi incandescenti. Ma non ricordava cosa gli avesse provocato quest’ultima sensazione. Ricordava solo di essersi risvegliato in una radura desolata, con la testa che pulsava prepotentemente per il colpo preso in seguito alla caduta e con la sensazione di aver perso qualcosa che reputava molto importante.

Un improvviso grugnito lo fece scattare, poi Goyle strinse maggiormente il cuscino cominciando a russare. Di sicuro quella non era la sua notte fortunata. Rilassandosi un poco chiuse gli occhi tentando di dimenticare quell’incubo continuo che era la sua vita.   

 

Ed era cominciata la vita di sempre, fatta di sveglia, di scuola, di compiti, di punizioni chilometriche… di Pozioni!!! Era da due settimane che la scuola ormai era iniziata con i suoi ritmi insostenibili, e Ginny non aveva tempo per fare niente a parte trascorrere gli ultimi pomeriggi soleggiati di Settembre rinchiusa come un topo da biblioteca a studiare. Nonostante fossero solo le prime lezioni, i professori erano stranamente molto più severi del solito. Le punizioni erano aumentate assieme ai compiti e alle insufficienze. Andando avanti così molto probabilmente avrebbero dovuto bocciare tutta la scuola agli esami del Quinto e del Settimo. Fortunatamente lei faceva ancora il Sesto e quindi quell’anno non avrebbe dovuto sostenere alcun esame. Ricordava benissimo come solo l’anno precedente si fosse dovuta mettere molto d’impegno per recuperare tutto quello che durante l’anno non aveva fatto, anche se però ne era valsa la pena dato che aveva avuto quasi in tutte le materie E tranne Pozioni, dove era riuscita a strappare al malefico professore dai capelli unticci solo una misera A. Ok che sentire qualcuno definirla accettabile in pozioni era un privilegio, dato che lei stessa si rendeva conto di valere meno di zero, però si sentiva meglio pensando che era Piton che la odiava, lei non era da A in Pozioni, sicuramente una O era già più consona per le conoscenze che possedeva su quella materia. Ovviamente questi erano solo viaggi mentali; realmente, con un compito consegnato completamente in bianco, un’interrogazione da T e un distillato che aveva fatto scoppiare quasi tutta l’aula, una A era veramente un atto di carità da parte di un professore, specie se questo era il nano malefico Piton. Sta di fatto che non aveva davvero tempo neppure per pettinarsi. Qualche volta era dovuta scappare dal Dormitorio perché si era svegliata tardi dopo aver studiato fino alle undici la sera prima, ed era arrivata in aula con un mucchio di paglia per capelli accettando di malavoglia gli “apprezzamenti” dei Serpeverde con i quali condivideva purtroppo molte lezioni.

Per sua grande fortuna tra loro non possedeva solo nemici. Infatti l’anno prima aveva stretto amicizia con una ragazza, e nonostante fosse un po’ strana si era dovuta ricredere, non tutti i Serpeverde sono realmente dei pazzi, pervertiti, maniaci, nevrotici, mangiamorte, lecchini e geni in Pozioni. Mery infatti aveva già accumulato due T dall’inizio dell’anno in quella materia odiosa, provava una certa attrazione nei confronti del sesso maschile anche se non si chiudeva ogni istante in un’aula in disuso, rispondeva a tono a Piton (e Ginny era felice di aver trovato qualcun altro che lo odiasse quanto lei!), non era nevrotica, anche se qualche volta aveva strani scatti isterici molto simili a quelli di Ginny, e non voleva diventare una Mangiamorte, anche se a questo Ginny era sicura che non si sarebbe potuta opporre. Aveva sentito i suoi discorsi riguardo il modo di pensare del padre, della madre, di Voldemort. I figli di Mangiamorte che non avrebbero seguito le orme dei propri genitori sarebbero stati uccisi, senza alcuna sorta di privilegio. Ma questo Ginny lo sapeva bene.

 

Draco, dovrei… vorrei chiederti una cosa.” il ragazzo la guardò accarezzandole i capelli. Adorava quel suo profumo, così intenso e dolce.

“Dimmi.”

Tu… diventerai un Mangiamorte?” ansia…

“Si.” delusione…

Si strinse maggiormente a lui mentre una lacrima scendeva sulla sua guancia bagnando il colletto della camicia.

Shh, non piangere.”

“Perché?”Attimi di silenzio. Lunghi, interminabili, dolorosi, pieni di parole e di terra bruciata ad ogni passo verso il vuoto innanzi.

“Non è dato saperlo.”Delusione. Delusione. Delusione… e lacrime, tante lacrime innocenti che cercano di lavare via la verità, che cercano di cancellare il segno indelebile del male…

 

Il sole filtrava attraverso le grate delle finestre, creando una scacchiera luminosa sul pavimento del corridoio che portava all’aula di Incantesimi. Di tanto in tanto qualche studente frettoloso correva e qualche gruppetto camminava tranquillamente diretto alla prossima lezione. Accompagnata dalla sua ombra e dalla sua tristezza Ginny stava poggiata al muro, con un libro di media grandezza tra le mani, ripetendo qualcosa che il giorno prima non aveva mai imparato realmente. Ma in verità non ripeteva, anche se il suo obiettivo era proprio quello. Contava le righe, leggeva le parole, si concentrava su ognuna di esse senza riuscire a metterle insieme e a comporre una frase di senso compiuto che il suo cervello potesse inglobare. Certo sarebbe stato un bel problema non riuscire a concentrarsi per una che era abituata ad avere voti che non scendevano al di sotto della O, a parte Pozioni, che ogni stramaledetto anno le rovinava la media. Perché poi non riusciva a studiare? Quello sì che era un bel mistero. L’anno precedente studiava sì e no due ore e riusciva a raggiungere degli ottimi risultati; si era dovuta impegnare un po’ di più solo agli esami di fine anno. Ora invece sembrava avesse improvvisamente il cervello di una gallina. Decise di non pensare più al suo rendimento scolastico impazzito concentrandosi di più a camminare verso l’aula, dato che a distanza di poco sarebbe iniziata la lezione del professor Vitious. Il corridoio cominciava a popolarsi di più.

Rimise a posto il suo libro nella tracolla di pelle regalatale da Harry per il suo compleanno e cominciò a camminare ripetendo mentalmente quelle poche nozioni che era riuscita ad assimilare. Quando entrò vide che il professore ancora non era arrivato e in lontananza scorse una mano che, ondeggiando, l’invitava ad andare verso di lei.

Mery!” Le schioccò un bacio sulla guancia, poi si sedette accanto a lei. Sul banco aveva tante cianfrusaglie, tra cui una piuma mangiata, una boccetta d’inchiostro arcobaleno e un piccolo libricino di pelle nera pieno di scritte sopra la copertina. Lo adorava quel libretto, giornalmente infatti l’amica vi appuntava tutto ciò che di più entusiasmante le accadesse e a Ginny piaceva rileggere tutte quelle cose pazze che il più delle volte riguardavano soprattutto lei. Aveva provato molte volte a tenere un diario, ma non era mai riuscita a farlo, forse perché mai sarebbe riuscita a mettere ordine tra i suoi pensieri, forse perché un giorno, rileggere tra le pagine dei suoi ricordi non avrebbe fatto altro che buttarla giù senza darle la possibilità di fingere, di dimenticare il dolore, l’odio, le lacrime.

“Cosa mi racconti amore?” La rossa la guardò sorridente. Cosa aveva da raccontare? Niente, da quando era successo quello che era successo la sua vita era diventata un burrone, vuoto, immenso, profondo. Cosa poteva esserci da raccontare riguardo una vita spenta, una persona morta?

“Niente di particolare.” L’altra la guardò allibita.

“Non ci credo, tu che me ne combinavi una al giorno? Hei così non va amica, proprio no.”

Bhè, diciamo che sono cambiata.”

“Non è che mi sei diventata tipo la Granger, perché se è così ti avviso, abbiamo chiuso.”

“Non credo possa mai diventare come lei, comunque grazie eh, è bello sapere di avere un’amica che non ti volta mai le spalle.” Rispose ironicamente la rossa aprendo i libri e intingendo la piuma nell’inchiostro.

“E dai, scherzavo lo sai.” Così dicendo le diede un bacio sulla guancia e fece uno sguardo da cucciolo abbandonato.

“Scema! Non ce l’ho con te.” Non ebbero la possibilità di parlare ancora, perché il professore entrò reclamando il silenzio assoluto e minacciando di mettere T a tutti. Non era proprio di buon umore quel giorno, fu questo quello che pensò Ginny e che probabilmente pensò tutta la classe.

“Buongiorno ragazzi, prendete tutti quanti le vostre piume e scrivete ciò che io scrivo sulla lavagna.” Dopodiché prese a fare strani disegni e simboli. A Ginny sembrava di studiare Antiche Rune, che non amava particolarmente come materia.

 

Dopo un’ora buona Ginny era ancora più esausta della sera prima e il solo pensiero che avrebbe dovuto passare ancora un’altra ora allo stesso modo le faceva venire voglia di mandare a quel paese il professore ed uscire dall’aula, lasciando una scia di stupore dietro la sua insolenza. Tuttavia pensò bene di non cominciare subito con una nota o un brutto voto, che le avrebbero rovinato la media assieme a Pozioni. Quel giorno, infatti, non sapeva proprio niente.

Quando credette che la sua mano sarebbe scoppiata da un momento all’altro per il dolore che le comportava quello scribacchiare veloce finalmente Vitious posò il gessetto sulla cattedra e rivolse il suo sguardo sereno alla classe.

“Bene, ora cosa sapete dirmi della lezione che avevate da studiare per oggi?” la rossa sbiancò nascondendosi dietro il testone di Nigel. Se avesse dovuto rispondere alla lettera al professore avrebbe dovuto dire “un bel niente”, ma forse era meglio non esporsi più di tanto. Stranamente quello non era proprio il suo cosiddetto “giorno fortunato”.

“Signorina Weasley, venga qui e ci mostri l’incantesimo Parvuscolus.” La rossa rimase spiazzata portando immediatamente lo sguardo sulla pagina del libro aperto. Agitare e puntare: Parvuscolus. Riuscì a leggere solo questo perché poi dovette alzarsi, affiancando il professore. Quella sarebbe stata la figura più brutta mai fatta in tutta la sua vita. I Serpeverde l’avrebbero presa in giro per tutta la sua misera vita e lei, per tutta la sua misera vita, sarebbe andata in giro con un sacchetto per coprirsi il volto tanta sarebbe stata la vergogna che l’avrebbe accompagnata per tutta la sua misera vita.

Puntò la bacchetta tremolante sulla sedia postale di fronte dal professore, poi cercò suggerimenti invisibili. Figuriamoci se adesso i Serpeverde cominciavano a suggerire a una Grifondoro, figuriamoci poi se i Grifondoro avrebbero cominciato a suggerire in generale. Sotto il sorriso rassicurante del professore Ginny tentò il tutto per tutto pregando di riuscire a fare l’incantesimo.

Parvuscolus.” La sedia, che sarebbe dovuta diventare piccola come una mano, divenne grandissima, toccando il soffitto e facendo crollare una parte di esso sulla testa di un povero ragazzo che svenne. Il volto della rossa si confuse con i suoi capelli tanto era simile a un pomodoro maturo e la classe, come previsto, scoppiò in una sonora risata nel vedere il professore cercare di rimpicciolire quell’oggetto dalle misure sproporzionate e cercare di far rinvenire quel povero ragazzo con un trauma cranico. I capelli bianchi si elettrizzarono e dalla sua statura molto piccola riuscì a spaventare Ginny. Certo se avesse fatto lo stesso incantesimo al professore forse sarebbe stato un po’ più contento di riacquistare qualche centimetro, pensò cercando di sdrammatizzare mentalmente la tragica situazione.

“Signorina Weasley, lei è un disastro, non ci sono parole per esprimere la sua incompetenza.” Detto questo si ravvivò con una mano i pochi capelli secchi mesciati di grigio e asciugò il sudore inesistente che imperlava la sua fronte.

Ginny tornò a posto sbuffando. Ecco come rovinare la reputazione che hanno di te professori e compagni. Facile.

“Signorina Jacobs, mostri per favore alla nostra ragazza come andrebbe effettuato questo incantesimo senza far svenire qualcuno!” una ragazza si alzò dal suo posto facendo ondeggiare i boccoli biondi sulle spalle. Era bella, molto bella, lineamenti dolci e delicati, delle guance rosate e dei bellissimi occhi verdi. Tutti gli sguardi dei ragazzi delle due case si posarono sulle sue gambe, scoperte dalla gonna a pieghe grigia, e Ginny fece una smorfia di disgusto. La ragazza affiancò il professore, poi fece l’incantesimo alla perfezione rimpicciolendo l’oggetto. Vitious prese le misure, poi scoppiò in un applauso che coinvolse tutta la classe.

“Misure perfette, esercizio ottimamente svolto, credo che se lei non abbia nulla in contrario potrebbe dare delle ripetizioni alla nostra Weasley, che ne dice? Una settimana sarà più che sufficiente per colmare le profonde lacune della nostra cara ragazza imbranata.” Ginny sbuffò fissando la ragazza. Ricordava a malapena di averla vista ma non riusciva a riportare alla mente in che occasione… La biondina tornò a posto accennando al professore un debole e timido “sì” con la testa.

“Vi accorderete sugli orari e i giorni alla fine della lezione.” Dopo aver detto questo Vitious riprese indisturbato a spiegare, ma Ginevra Weasley non stava più prestando attenzione alle sue parole. Si era finalmente ricordata dove aveva visto quella ragazza.

Ginny… hei Ginny ma ci sei?” si voltò verso l’amica che la guardava interrogativamente.

Si… la conosci questa… ragazza?” Mery si nascose dietro Nigel cercando di non farsi scoprire dal professore, che aveva ripreso a spiegare come se nulla fosse.

“Sì, perché?”

“Niente!” l’altra la guardò per un po’ di tempo cercando di decifrare il suo comportamento e di leggere la verità nei suoi occhi.

“Ma si può sapere che c’è, sei pallida.” La rossa fece segno con la mano di non preoccuparsi, poi non le rivolse più la parola per il resto della lezione.

Perché diavolo il giorno prima non aveva studiato? Se si fosse applicata un po’ di più magari non avrebbe fatto quella figuraccia e non avrebbe dovuto ripetere niente con una che stava simpatica solo perché aveva delle belle gambe. Perché proprio lei? Perché non Flitt, Benjamin, perché lei? Si voltò verso il soggetto dei suoi pensieri e prese a scrutarla. Era bella, bella come lei non era, bella come avrebbe voluto essere. Era importante per qualcuno, importante come Ginny avrebbe voluto essere, ed era felice, come lei non sarebbe mai più stata. Strinse la piuma così forte che la spezzò, rendendo il suo banco un campo di battaglia di volatili. Era tremendamente nervosa.

Quando finalmente la lezione finì, raccolse velocemente le sue cose e salutando l’amica corse verso l’uscita. Proprio mentre era in procinto di uscire però si sentì afferrare il braccio da qualcuno.

“Ciao, piacere io sono Giulia e…

“Ginevra.” Fece con fare sbrigativo per andarsene quando si sentì chiamare di nuovo.

“Mi spiace per l’incidente di prima.”

“Non ho bisogno della tua compassione, comunque grazie lo stesso.”

“Ehm, volevo dirti che per le lezioni per me va bene alle sette.”

“Bene alle sette.” Così dicendo Ginny scomparve, fermandosi dietro una colonna. Scivolò a terra, mentre il suo volto si riempiva di lacrime e i suoi singhiozzi colmavano lo spazio vuoto attorno.

 

Lo stava aspettando da un’ora e ancora non si era fatto vedere, né si era fatto sentire per dirle che aveva rimandato l’appuntamento. Certo, questo era da lui, ma sicuramente non da lei. Aveva le mani congelate dentro i guanti di lana dai colori Grifondoro e cercava di coprire quanta più pelle potesse con la sciarpa e il mantello, che svolazzava in continuazione per il vento forte. E lei continuava ad aspettarlo, anche se questo non era da lei, anche se aveva freddo, anche se il giorno dopo sarebbe dovuta stare a letto perché avrebbe avuto una febbre da cavallo. Il lago le si stagliava di fronte imponendo rispetto, insinuando un po’ di paura visto così, ricco di sfaccettature rossicce e blu scuro. Il suo ondeggiare lieve, calmo, continuo e cadenzato stranamente la spaventava. Non si era mai soffermata così tanto ad osservarlo. Eppure, si sentiva protetta. Sentiva un’ aura invisibile che l’accompagnava ovunque andasse e che la proteggeva da qualunque cosa la minacciasse.

Le accarezzò le braccia facendola poggiare al suo corpo e lei si abbandonò completamente a quel bacio insistente alla base del collo. Era arrivato, come arrivava sempre e come lei tanto amava vederlo arrivare.

“Finalmente!” disse mescolando la sua voce ad un leggero sospiro. Ansia, desiderio, amore. Lui la strinse maggiormente e lei sentì improvvisamente la pelle bruciare. Il cuore bruciare. L’anima infiammarsi di sentimenti intensi, vissuti, profondi, ancora non del tutto conosciuti.

“Scusa, ero con Piton!”

“Ma si può sapere cosa fate in continuazione?” non rispose. Semplicemente intrecciò le sue dita con quelle di lei e dopo averle posato un bacio sul collo la portò con sé.

 

 

“Sei bellissima.” Lei arrossì sentendolo completamente preso dal tocco dei suoi capelli, dal suo profumo intenso di cioccolato. Arrossì sentendolo completamente preso da lei.

“Stupenda.” Continuò baciandole le labbra, gli occhi, le tempie, passando le sue mani ovunque umanamente potessero passare.

“Mi farai impazzire!”la baciò, avidamente, travolto da un turbine di passione, cacciandole il respiro, stringendola possessivamente.

“Non è vero.” Rispose lei sospirando e stringendolo. Non si sarebbe mai permessa di lasciarlo andare via da lei.

Bella…” disse ancora con voce roca. E lei sorrise nell’oscurità di un corridoio isolato.

 

Era proprio lì, quel giorno, lì dove adesso piangeva e credeva che sarebbe morta. Era lì che era stata con lui; nei Sotterranei era stata con lui, nell’aula di Pozioni era stata con lui, ovunque lei passasse i ricordi tornavano, la schiacciavano, le imponevano di essere ricordati, rivissuti, esattamente come la prima volta. E questo la uccideva, portandola all’esasperazione. Pianse, a dirotto, aveva tutto il colletto della camicia bagnato, ma continuava a piangere, a sfogare il suo malessere, a cercare di gettarlo fuori attraverso lacrime innocenti. Ma non serviva, anche se continuava a farlo sperando che prima o poi funzionasse. Avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto rivivere intensamente quei momenti, ma la consapevolezza si affacciò nella sua mente, annullando tutto, e formulando un unico pensiero che, se non la fece riprendere, la fece almeno smettere di piangere: “Lei doveva ricominciare a vivere”. Si alzò, asciugando il volto con la manica, poi mise la tracolla mischiandosi alla calca di studenti che popolavano la scuola.

 

Odiava particolarmente mischiarsi in quel trambusto, odiava solo vedere come tutti i suoi compagni riuscissero a camminare senza soffocare. Perché lui, lui proprio non ci riusciva. Era come vedere tante pecorelle smarrite, e lui non si sentiva una pecorella smarrita. Quindi ogni volta aspettava che un po’ di studenti si dileguassero andando in Sala Grande, in Sala Comune o in biblioteca, poi passava sfilando con tutta la sua bellezza e in tutta la sua compostezza.

Fortunatamente in quel momento non avrebbe dovuto camminare, solo aspettare fuori dall’aula di Vitious la sua ragazza. Infatti l’ultima ora di Cura Delle Creature Magiche era saltata a causa di un contrattempo del Mezzogigante e Draco aveva pensato di fare una sorpresa a Giulia. Non capiva ancora che razza di sorpresa potesse mai essere farsi trovare fuori dalla sua classe, ma in quel momento non aveva avuto altre idee e aveva optato per quella più semplice da realizzare. Stava poggiato sul muro di pietra, il mantello piegato su un braccio e lo sguardo vacuo che oscillava a destra e a sinistra.

Quella mattina era stata abbastanza pesante, aveva dovuto fare i conti con la preparazione di una Polisucco, poi era stato per la prima volta attento ad una lezione di Divinazione, anche se non ci aveva capito ugualmente nulla e infine Trasfigurazione. Era sicuro che se avesse anche dovuto fare lezione con Hagrid sarebbe impazzito. L’unica nota positiva in tutto questo era che almeno si era divertito a prendere in giro quello stupido di Neville Paciock facendo perdere quindici punti ai Grifondoro per colpa di Potter, che senza controllarsi aveva preso le sue difese.

In coda a questi pensieri sentì un leggero trambusto dentro la classe, poi vide uscire da questa molti compagni della biondina e molti Grifondoro del Sesto anno. Una ragazza in particolare attirò la sua attenzione. I capelli rossi picchiettavano sulla sua schiena mentre scappava alla velocità della luce. E tutto per un attimo scomparve, se non il bisogno di seguirla, di sapere dove andava, con chi era, cosa faceva. Lasciò cadere a terra il mantello e senza un briciolo di buon senso prese a seguirla. Giunse in una parte desolata del castello, la vide girare l’angolo e continuò a seguirla. Si nascose dietro il lato dell’angolo opposto a quello dove si trovava lei. I suoi singhiozzi riempivano l’aria, gli perforavano l’udito infastidendolo. Solo lei, ora, in passato, per sempre; lei, nel cuore, nell’anima, nel fuoco della vita. Lei nella mente. Per sempre. Momenti passati, intensi, vissuti, pieni di passione.

 

Stava impazzendo. Aveva il suo profumo nel cervello, le sue labbra nel cervello. Ce l’aveva nel cervello a minacciare la sua sanità mentale. Stava impazzendo. La sentiva, lo percepiva, era completamente nelle sue mani, sotto il suo corpo, era lei, niente di più. Lei che lo sballava. Lei che con il suo corpo, con la coscia lattea sul suo fianco scoperta dalla gonna della divisa lo stava facendo impazzire. Stava impazzendo. Ma mai pazzia era stata tanto piacevole. Lei che con quel maledetto profumo di cioccolato gli stava facendo venire voglia di mangiarla, di aggredirla. Era lei, niente di più. La voleva, la desiderava intensamente, voleva poter perdersi dentro di lei ancora una volta senza spiegazioni, senza perché. Lo voleva, niente andava oltre quest’insano desiderio morboso. E lei voleva lui, lo sapeva e non poteva fare altro che sorridere sentendo i suoi pensieri.

“Ho voglia di fare l’amore con te, Ginevra Weasley.” Soffiò nel suo orecchio assaporando l’odore dei suoi capelli.

“Anch’io.”

 

Chiuse gli occhi ripercorrendo quei momenti, assaporando ancora il piacere di averla tra le braccia così, bella nella sua semplicità cristallina. Ma quel pianto, era troppo forte, troppo intenso e vicino, per poter scomparire, per poter cancellare il dolore. Era stato troppo, era stato lungo. Era stato come morire e sentirsi resuscitare solo grazie al ricordo di quei momenti. Ed era stato come morire di nuovo, ripiombando nel buio della propria vita al ritmo di quei singhiozzi mal soffocati. Draco Malfoy si strofinò gli occhi, poi si allontanò da quel luogo così pieno di ricordi. Non era riuscito a fare una sorpresa a Giulia. Non era riuscito a dimenticarla. Non era riuscito ad amarla. Non era riuscito a tenerla tra le sue braccia né ad avvicinarsi e a farla riprendere. Non era riuscito a fare niente della propria vita se non distruggerla.

 

Draco Malfoy è vestito di un corpo a lui sconosciuto, è morto, vive nei suoi respiri. Ginevra Weasley è vestita di un corpo a lei sconosciuto, è morta, vive nei suoi respiri. E niente può cambiare questo, oltre all’amore puro e semplice nella sua complessità.

 

1 settimana dopo…

 

Non poteva andare, semplicemente non poteva farlo. Perché? Perché andava contro tutto ciò che era, che pensava. Andava contro di lei, quella stupida ragazza voleva ucciderla, ma questo Ginny lo sapeva. Per questo lei non voleva andare. Non voleva andare, semplicemente non voleva farlo. Ma doveva. Perché? Perché Vitious l’avrebbe bocciata, perché Ron avrebbe capito tutto, perché lei non aveva paura di nessuno, perché se avesse provato a ucciderla le avrebbe tirato un destro che non si sarebbe dimenticata per il resto della sua vita. La situazione era molto semplice. Lei non voleva andare, così voleva credere di non poter andare perché lei voleva ucciderla, ma doveva andare invece, perché l’avrebbe pagata cara altrimenti. Così il suo ragionamento non serviva a niente. Lei sarebbe andata, basta. Niente era in suo potere per cambiare questa crudele realtà.

Seduta ad uno dei tanti tavolini della biblioteca continuava a pensare svariate cose, tutte però astratte, irreali oltre che, naturalmente, irrealizzabili e inverosimili. Ma questa era lei, una macchina che pensava, pensava, pensava, ma stranamente non si era ancora mai fusa. Erano le sette meno dieci e pensava ancora se andare e fare una punizione di una settimana o non andare e farne una di un mese.

“Gin!” la rossa si voltò di scatto verso la ragazza appena entrata in biblioteca.

Mery?!” l’altra la guardò seria. Mery seria? Ok, c’era qualcosa che seriamente non funzionava in tutta quella storia. E Mery era la prima. Si sedette accanto all’amica.

Mery?!”

Hei ma sai dire solo il mio nome?”

“No è che… che ci fai tu qui?”

Bhè se proprio vuoi me ne vado.” Fece per andarsene ma l’altra la fermò.

“Non è che non ti voglio è che devo andare da quella ragazza per la punizione e sono un po’ agitata.”

“Si vede, con quella Giulia?”

“Sì.” Fece una faccia stravolta che fece ridere l’amica.

“Non è poi così antipatica però, sai? Come fai a giudicarla se neanche la conosci?”

“Ma io non la giudico, non voglio proprio avere niente a che fare con lei.”

“Come vuoi, comunque volevo dirti una cosa.”

“Datti una mossa allora, tra cinque minuti inizia la mia tortura settimanale.” La brunetta scosse i capelli e sorrise. Proprio in quel momento giunse un grido di Madama Pince che reclamava il silenzio.

“Vieni con me in un posto tra tre settimane?”

“Dove?”

“Vieni?” la rossa la guardò cercando di leggere la verità nei suoi occhi. Non era una brava indovina.

“Se non mi dici dove non vengo.” Disse risoluta.

“Dai, devo vedermi con Blaise.”

“E perché devo venire anch’io?”

“Perché ho paura di scoprire il suo lato di maniaco e in quel caso non avrei un testimone che mi difenda. Dai vieni, è una sorpresa!” ci fu un attimo di silenzio, poi Ginny parve risvegliarsi.

“Ok, ma se mi combini qualche guaio t’ammazzo, dico sul serio.” L’amica la baciò e la salutò, uscendo felice dalla biblioteca.

 

Solo le torce illuminavano il corridoio assieme, ovviamente, alla luce lunare piuttosto tenue e debole. I boccoli bruni le ricadevano dolcemente sulle spalle, la tracolla le sbatteva sulla gamba indicando la sua scarsezza di contenuto e producendo un rumore metallico a causa delle cinghie della sua chiusura. La gonna era portata più corta del solito e il mantello svolazzava ad ogni passo veloce.

Giunse davanti al bagno di Mirtilla Malcontenta, vi entrò e si appoggiò su una delle due colonne che dividevano i loculi aspettando per svariati minuti fino a quando non giunse un altro ragazzo.

“Allora?” disse e lei poté benissimo scorgere impazienza ed urgenza nel suo tono. Lo guardò con aria seria e indagatrice.

“Verrà.”

 

Draco Malfoy camminava per i gelidi corridoi dei sotterranei, l’unico luogo abbastanza vuoto da dargli la possibilità di dedicarsi ai suoi pensieri senza nessuno che potesse disturbarlo. Suo padre era stato molto chiaro nella lettera che gli aveva mandato qualche giorno prima assieme ad una piccola boccetta di vetro piena di uno strano liquido ambrato.

 

Ciao Draco,

non ho molto tempo per spiegarti la situazione quindi sarò conciso. Bevi questo preparato. È necessario e non voglio ribadire ancora la necessità che tu lo faccia. Ti darà le forze necessarie ad affrontare il dolore e a superarlo. Il Signore Oscuro è impaziente, vuole una data per le nuove iniziazioni. Gli ho spiegato che non è possibile per il momento, sarebbe troppo pericoloso farvi uscire tutti quanti dalla scuola senza che nessuno se ne accorga, perciò credo che il tutto sarà fatto a ridosso delle vacanze natalizie. Tu sta calmo e sii fiero dell’onore della nostra famiglia, onore che accrescerà maggiormente con la tua iniziazione. Nel frattempo sii cauto e in nome di Salazar Serpeverde muoviti a bere quello che ti ho mandato, perché ha bisogno di almeno un mese per raggiungere l’effetto sperato.

L.M.

 

Draco portò una mano in tasca e ne estrasse la pozione inviatagli dal padre. Aveva passato gran parte del suo tempo libero, da quando aveva ricevuto quella lettera, a cercare di comprenderne gli effetti e non era arrivato a niente. Sembrava fosse composta di ingredienti a lui sconosciuti e che fosse nata da una magia arcana impossibile per lui da decifrare. In quegli ultimi tre giorni non aveva fatto altro che sfogliare i giganteschi volumi della zona proibita della biblioteca. Aveva letto tutti i libri di Pozioni possibili e non aveva dormito affatto. Inoltre il sogno che aveva fatto qualche tempo prima gli tornava spesso alla mente confondendolo ancora di più. Probabilmente non c’era niente di strano nell’immaginare nei propri sogni la propria iniziazione ma lui sentiva che quello era stato un sogno diverso. Tutto era tremendamente reale e ancora poteva sentire mentalmente il dolore scaturito dalla punta della bacchetta premuta sul suo avambraccio. E poi c’era quella sensazione, come se gli fosse stata strappata una parte consistente di se stesso e non fosse rimasto altro che un individuo vuoto di ogni sensazione o emozione. Che cosa poteva voler dire? Si era risvegliato in una radura desolata e aveva sentito delusione, rabbia per quello che aveva fatto. Ma perché? Diventare Mangiamorte era il suo destino e lui non aveva mai avuto intenzione di opporsi a ciò che gli spettava, anche perché non voleva morire sotto le atroci torture di Voldemort e di suo padre.

Concluse che sicuramente era il suo subconscio che gli faceva qualche strano scherzo e stappò la boccetta. Portò le sue labbra vicino all’imboccatura ma, sul punto di berla tutto d’un fiato, inaspettatamente gli tornò alla mente l’immagine del corpo di Ginny scosso dai singhiozzi e, senza preavviso, allontanò il volto quasi come se fosse stato scottato richiudendola con un unico gesto fulmineo e intascandola nel mantello. Sentì uno strano bruciore all’altezza del cuore e chiuse gli occhi, cercando di controllarsi. Cosa diavolo gli stava succedendo? Lui non era Draco Malfoy, lui era un individuo insignificante se si lasciava sopraffare da tali stupide emozioni. Ma a volte, come in quel momento, erano più forti di lui e non riusciva proprio a respingerle. E allora si nascondeva lì, nella parte più remota dei sotterranei, e piangeva, davanti a se stesso, perché aveva imparato che mostrare le proprie debolezze agli altri non portava a niente di buono. E si stramalediceva per il suo comportamento stupido, si auto-impartiva di comportarsi come un Malfoy avrebbe dovuto, ma continuava a piangere e quando finalmente riusciva a calmarsi, asciugava gli occhi, sistemava il mantello e i suoi occhi tornavano ad essere grigi e glaciali, gli occhi di un lupo. Gli occhi di un vero Malfoy.

       

Perché il dolore è incontrollabile, è irrazionale, è difficile da sopportare. Il dolore è il dolore, niente di più. E trasforma tutto ciò che colpisce, uccidendo, mietendo vittime, infilzando l’animo con la sua brillante spada di cristallo. E quando scompare, niente è più come prima. E ciò è fonte di altro dolore, ed altro e altro ancora…

 

Camminava velocemente, pensando che più veloce avrebbe fatto più indolore sarebbe stato. Pura illusione. In verità non faceva in questo modo che aumentare di gran lunga la sua ansia. Era davanti all’aula di Vitious da cinque minuti, era in ritardo e ancora non si decideva ad entrare. Fece un respiro profondo, “ma chi cavolo è questa che mi può mettere sotto i piedi come vuole”, con questo pensiero riuscì a trovare il coraggio di aprire la porta.

“Ti stavo aspettando.” I capelli biondi erano raccolti con una pinza e qualche ciocca le ricadeva sul volto. Ginny provò un astio unico nei suoi confronti. Perché doveva essere così bella? E perché lei così maledettamente brutta? Poggiò la borsa su un tavolo e si cacciò il mantello sentendo improvvisamente caldo. Portava il maglione regalatole dalla madre con una grande G cucita esattamente al centro e la gonna era scucita in più punti. Niente di lei era lontanamente paragonabile alla camicia bianca di seta di quella ragazza o alla sua gonna a portafoglio grigia che metteva in risalto tutte le sue curve abbondanti come il suo conto in banca.

Ginny, tu sei molto meglio di una ricca ragazza viziata.

“Bene, ho pensato che inizialmente sia più semplice che tu ti eserciti su un oggetto di piccole dimensioni, poi man mano che migliorerai ti eserciterai su un oggetto più grande.” Così dicendo mise una palla di gomma di circa venti centimetri di diametro al centro dell’aula. Poi si diresse verso la rossa e con la sua bacchetta le mostrò come fare.

“Deve essere un movimento fluido ma nello stesso tempo deciso, devi puntare l’oggetto che desideri rimpicciolire e concentrarti solamente su questo, credi di riuscirci?” la rossa la guardò scettica. Credi di riuscirci? Come si permetteva a dirle una cosa simile? Certo che ci sarebbe riuscita, che domande.

Parvuscolus.” La palla rimbalzò due volte, poi tornò nella sua posizione originaria.

“Non preoccuparti, è un incantesimo difficile anche se secondo Vitious non è così.” Dicendo questo glielo mostrò di nuovo, poi appuntò alcune cose utili da ricordare alla lavagna, mentre Ginny sospirava rassegnata.

 

Erano passati solo tre giorni da quando Ginny aveva cominciato a prendere ripetizioni da quella Giulia e, anche se le costava ammetterlo, doveva dire che quella ragazza era davvero brava. Inoltre non sembrava antipatica come la rossa credeva, anzi, si era ritrovata più volte a ridere e a parlare con lei alla fine della lezione o quando si incontravano per i corridoi, tanto che spesso si ritrovavano anche a studiare assieme in biblioteca. Proprio quel pomeriggio per l’appunto avevano deciso di vedersi alle cinque per studiare Erbologia, materia in cui Ginny andava benissimo e che la biondina non riusciva proprio a capire, così la rossa seduta ad un tavolino particolarmente soleggiato aspettava smorzando il tempo nella lettura di un libro preso dalla libreria vicina. Romeo e Giulietta, era questo il titolo del romanzo, ma Ginny lo conosceva bene, dato che lo aveva letto tante di quelle volte che ormai aveva perso il conto. Parlava di un ragazzo ed una ragazza, appartenenti a delle famiglie che nutrivano da sempre un profondo odio reciproco, che si innamoravano e, a causa di un malinteso, si uccidevano entrambi per amore. Di certo non era una storia allegra, ma questo a Ginny non importava, da sempre era conosciuta per il suo masochismo spiccato.

Concentrata com’era nella lettura, non sentì la ragazza arrivare. Questa posò la borsa su una sedia vuota lì vicino e si sedette accavallando le gambe.

“Ti piace Shakespeare?” la rossa chiuse di botto il libro presa alla sprovvista. Appena vide la ragazza si calmò di botto.

 

 

La Sala Grande era quasi vuota, fatta eccezione di qualche ragazzo intento a giocare a Scacchi e lei, che seduta al tavolo dei Grifondoro leggeva.

Poco prima era andata in biblioteca a cercare nel reparto dei libri babbani un grosso volume per il prossimo compito di Babbanologia quando, improvvisamente, una ragazza era arrivata posando un libro in malo modo sul tavolino lì vicino e andandosene via di gran fretta. Se Madama Pince avesse visto che uno solo dei suoi amati libri non era al suo posto avrebbe fatto un macello, così la rossa aveva pensato di rimetterlo a posto per evitare qualsiasi tipo di problema. Quando lo aveva preso tra le mani però, attratta dalla copertina, aveva letto il titolo, poi lo aveva aperto alla prima pagina e senza alcuna logica aveva preso a leggerlo. Quando arrivata a pagina cinquanta aveva sentito un certo dolorino alle ginocchia aveva lasciato perdere il compito di Babbanologia e si era diretta in Sala Grande, dove si era completamente lasciata trasportare dalla storia di Romeo e Giulietta. Probabilmente se avesse dato un’occhiata all’orologio babbano regalatole dal padre le sarebbe preso un colpo, dato che erano le sette e mezza e ancora non aveva trovato niente riguardo la comunicazione via Internet tra i babbani, ma fortunatamente ancora non aveva avuto l’impulso di fare ciò.

Completamente immersa nella lettura sentì improvvisamente qualcosa circondarla, riscaldandola, che la fece sussultare. Saltò un po’ per la sorpresa e lo spavento. Draco si era seduto sulla panca dietro di lei circondandola con le gambe e le braccia e tenendola stretta. Si appoggiò a lui facendo come se non ci fosse.

“Ti piace Shakespeare?” la rossa corrugò la fronte.

“Conosci Shakespeare?” che Ginny Weasley, figlia di un uomo ossessionato dai babbani, non conoscesse Shackspeare era strano, ma che Draco Malfoy, puro fino alle punte dei capelli, conoscesse un autore babbano, era oltremodo spaventoso.

“Non dovevi studiare Babbanologia per domani? Devo pensare che preferisci un libro a me?”così dicendo fece per mollare la presa su di lei ma Ginny lo fermò, prendendolo per le braccia.

“Non volevi che me ne andassi?” per risposta la rossa si voltò verso di lui poggiando le sue labbra carnose sulle sue. Si allontanò poco  prima che quel bacio dolce si trasformasse in qualcosa di più.

“E questo cos’era?”

“Un bacio per dirti che non potrei mai preferire un libro a te, anche se devo dire che questo è proprio bello!” così dicendo si poggiò a lui beandosi della sua presenza. Draco la strinse come prima poggiando il mento sulla sua spalla.

“Allora? Non hai risposto alla mia domanda, ti piace Shakespeare?”

Bhè, veramente non so neanche chi sia, ho trovato questo libro per caso in biblioteca!”…

 

 

Ginny, stai bene?” la rossa si risvegliò guardando la ragazza che aveva di fronte.

“Si scusa, è che sono un po’ stanca tutto qui!” così dicendo le rivolse un bel sorriso.

La biondina scosse mentalmente la testa lasciando perdere la domanda che le aveva precedentemente posto.

“E’ da molto che aspetti, scusa è che…

“No, non ti preoccupare leggevo quindi…” non voleva sentire che aveva ritardato perché lui l’aveva fatta ritardare. Voleva evitare di pensare che lei fosse quello che in verità era. Non ora che aveva trovato un’amica tutta sua, oltre a Mery, che non le parlava solo perché era la sorella del suo migliore amico.

La biondina estrasse dalla borsa un libro abbastanza grosso, “Mille Erbe e Funghi Magici”,  poi aprì alla pagina che le interessava. Studiarono per molto tempo senza rendersi conto di aver passato praticamente tutto il pomeriggio in Biblioteca. Ginny adorava l’Erbologia, soprattutto la parte riguardante la medicina, ma ripeterla in continuazione le aveva fatto venire la nausea. Quella Giulia poteva essere un portento negli incantesimi, ma di Erbologia non sapeva neppure far crescere una Mandragola, il che era deleterio se avesse avuto bisogno di far tornare in vita un amico pietrificato! Ma probabilmente sarebbe stata abbastanza fortunata da non averne mai il bisogno. Tuttavia alla fine di un pomeriggio snervante Ginny era riuscita a inculcarle qualcosa in testa e con questa scusa aveva anche ripetuto qualcosa che non studiava da tanto. Quando finalmente Giulia completò la sua relazione sugli effetti della Calendula sulle ferite degli Ippogrifi e Ginny finì di studiare i mille usi dell’incantesimo Parvuscolus chiusero finalmente i libri, gettandosi stancamente sulle loro sedie.

“Ti confesso: non ho mai studiato un incantesimo in questo modo, ora capisco perché sei così brava!”

“Nella scuola da cui provengo non ero così brillante, ci era richiesto di studiare molto e non sempre ti confesso riuscivo a farlo.” La rossa la guardò allibita.

Bhè se io fossi stata lì avresti avuto senza dubbio una buona compagnia, a malapena me la cavo qui ad Hogwarts!” si misero entrambe a ridere sonoramente attirando l’attenzione di Madama Pince che urlò dal suo posto, benché non riuscisse a vedere di chi fossero quelle voci divertite.

“In compenso non studiavamo l’Erbologia, lo faceva solo chi si specializzava più avanti, ecco perché non so praticamente niente, sono una frana vero?”

“Non quanto me in Pozioni però!” di nuovo risero ma meno accanitamente in modo da non essere ammonite nuovamente. Ginny si sporse per controllare la bibliotecaria poi tornò al suo posto.

“Madama Pince odia chi ride o fa generalmente rumore, dice che è come se i suoi libri facciano ridere e questo non lo tollera. Credo sia leggermente diventata isterica soprattutto da quando sono entrati i miei fratelli in questa scuola, l’avranno fatta penare con i loro scherzi!” così dicendo si mise più garbatamente sulla sedia.     

“Hai dei fratelli qui?”

“Certo! Ron è un simpaticone dovresti conoscerlo, gli anni prima ci sono stati Fred e George, e ancora prima Bill, Charlie e Percy.”

“Ma quanti siete in famiglia?” Ginny rise. Questa era un’altra delle innumerevoli particolarità della sua vita.

“Sette figli, più ovviamente mia madre e mio padre. Non ti spaventare, dovrei esserlo più io essendo l’unica ragazza in famiglia che tutti cercano di difendere.” L’altra spalancò gli occhi. Ginny portò lo sguardo sul suo orologio da polso e imitò la biondina accorgendosi di che ore fossero.

“LE OTTO! Speriamo di arrivare in tempo a cena, ho una fame!” Giulia cominciò a raccogliere le sue cose velocemente imitando la rossa. Con un elastico raccolse i capelli biondi in una coda a cui sfuggirono alcune ciocche che andarono ad incorniciarle delicatamente il volto.

Quanto avrebbe voluto anche Ginny avere lunghi e ordinati capelli biondi. Cancellò questi cattivi pensieri continuando a ordinare i libri nella sua borsa. Proprio in quel momento entrò in biblioteca un ragazzo che dopo essersi guardato un po’ intorno si diresse verso le due ragazze. I capelli corvini erano abbastanza lunghi e leggermente scomposti con qualche ciocca che ricadeva sulla fronte e i suoi occhi erano di un azzurro intenso e penetrante. Quando Giulia lo vide incrociò le braccia e lo guardò sbuffando impercettibilmente.

“E tu cosa ci fai qui?” lui la fissò per un attimo poi portò la sua attenzione alla rossa che nel frattempo si era voltata sentendo i passi dietro di lei e le parole della ragazza accanto. Lo fissò per diversi attimi poi lo riconobbe. Angelo, l’amico di suo fratello e che lei non aveva degnato di uno sguardo la sera dell’arrivo ad Hogwarts, troppo stanca per prestare attenzione a qualsiasi cosa.

“Niente, volevo solo assicurarmi che stessi bene, sai, con quelli che girano per questa scuola non c’è molto da fidarsi.” Ginny capì al volo che si stava riferendo a qualcuno di preciso ma non osò chiedere a chi. A dire la verità si sentiva alquanto fuori posto in quel momento, sembrava che quello di cui stessero parlando fosse un affare abbastanza personale. Comunque non riuscì a trattenersi dall’esporre il suo parere.

Bhè, non siamo tutti così indegni di fiducia qui.” L’attenzione dei due ragazzi si concentrò su di lei e per un momento desiderò non aver mai parlato. Poi lui si avvicinò di più e le sorrise.

“Scusa, non volevo dire questo, sei la sorella di Ron vero?”

“Si, e tu sei… Angelo, giusto?” lui annuì porgendole la mano che Ginny strinse con un largo sorriso, davanti allo sguardo sgomento della ragazza bionda che seguì la scena senza spiccicare una parola.

“Vi conoscete?” chiese infine fissando più del dovuto Ginny.

“In verità non molto, è solo che l’ho visto parlare spesso con mio fratello ed Harry, ed hanno provato a presentarmelo la sera del primo Settembre ma…

“era stanca e si è addormentata sulla spalla del fratello… quindi in verità ci conoscevamo solamente di vista, anche se mi fa piacere conoscerti di persona e non attraverso le parole di Ron.” Proseguì lui. Poi si rivolse alla ragazza bionda e il sorriso sulle sue labbra si spense.

“E tu… stai attenta a quello stupido bamboccio, manca poco a che gli spezzo il collo.” Dopo aver detto questo si offrì di accompagnare entrambe in Sala Grande. Durante il breve tragitto, abbastanza lungo in verità dalla Biblioteca alla Sala Grande, Angelo e Giulia spiegarono a Ginny, con suo grande stupore, che erano fratello e sorella, e che assieme a loro padre, il nuovo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, si erano trasferiti dall’Italia per la cattedra offertagli da Silente, un vecchio amico di famiglia. Quando arrivarono a destinazione Giulia si congedò con un largo sorriso dirigendosi verso il tavolo dei Serpeverde mentre Ginny e Angelo raggiunsero il proprio. Ron sventolò la mano come una bandiera invitando Angelo accanto a lui e Ginny, invece, si sedette accanto ad Harry, che le aveva gentilmente tenuto il posto. Lo salutò con un bacio sulla guancia e prese a mangiare con gusto tutte le prelibatezze che le cucine di Hogwarts offrivano. Durante la cena però non riuscì a fare a meno di domandarsi chi fosse il soggetto della discussione di Angelo e Giulia. Le avevano inaspettatamente svelato molte cose della loro vita passata in Italia, ma Giulia non aveva avuto la possibilità o forse non aveva semplicemente voluto svelarle niente riguardo la discussione avuta poco prima con il fratello. Vero era che lui ce l’aveva a morte con uno studente della scuola che, in qualche modo, aveva fatto del male alla sorella. Avrebbe tanto voluto sapere qualcosa di più riguardo quella strana storia, ma era sicura che sarebbe stato meglio evitare di impicciarsi troppo negli affari altrui, cosa che comunque non aveva alcuna intenzione di fare, e aspettare che l’amica sentisse il bisogno di confidarsi con lei.

“Qualcosa non va Ginny?” domandò Harry scrutandola con i suoi chiari occhi verdi.

“No, niente.” Lui tornò a mangiare fintamente disinteressato, poi guardandola di sottecchi disse:

“Ho visto che sei entrata con Angelo prima, non mi nascondi niente vero?” lei si voltò di scatto spalancando gli occhi e mollandogli uno scappellotto sul braccio.

“Guarda che c’era anche sua sorella Giulia vicino, ma si può sapere cosa vai pensando?”

“Niente, sei tu che ti sei scaldata tanto e comunque, aia, mi hai fatto male sai?” lei lo guardò divertita di come fosse riuscito a incastrarla, poi gli mollò un altro scappellotto.

Hey, ti ho appena detto che fa male o sbaglio?”

“Te lo meriti!”

“E perché?”

“Perché ti stai prendendo gioco di me ed io non lo tollero!” lui la guardò per qualche secondo poi prese il pasticcino comparso da poco sul suo piatto e glielo porse.

“In questo caso, per ricevere il tuo perdono, sono pronto a concederti il mio pasticcino preferito.”

“Puoi tenerlo buffone.”

“Vuoi dire che mi hai perdonato?”

“Si, non vorrei mai avere come nemico il famoso Harry Potter.”

“Ottima osservazione, anche se non sarei mai capace di farti del male.” Concluse lui mordendo il dolce e ridendo assieme a lei.

 

Hermione, allora, vuoi muoverti?” la cena era finita da molto ormai e pochi erano gli studenti rimasti in Sala Grande. Tiger e Goyle continuavano a sbocconcellare i pochi dolcetti rimasti nei vassoi quasi completamente vuoti mentre gli altri studenti continuavano a parlare tra loro dei compiti, dei professori e di cose che a Ginny poco importavano a dire la verità. Harry, Ron e il loro nuovo amico, Angelo, erano già andati in Sala Comune e l’unica cosa che lei avrebbe voluto fare in quel momento era sdraiarsi sul proprio letto per sprofondare in un sonno ristoratore. Ma l’amica non era dello stesso parere. Da quando aveva finito di mangiare non aveva fatto altro che riordinare appunti, fogli di pergamena e ricerche addizionali spiegando che non avrebbe potuto fare quel lavoro in Sala Comune perché Ron e Harry avrebbero potuto distrarla con i loro commenti e le loro battute. Dalla fantomatica spiegazione era già passata un’ora e la moretta non aveva dato alcun segno di aver concluso il suo lavoro meticoloso.

“Ancora un attimo Ginny, non vedi che sto per finire?” la rossa la guardò al colmo della sopportazione.

“Ma è da mezz’ora che dici che stai per finire! Ti prego andiamo!”

“Solo un attimo.”

“Basta, sono stufa di questi tuoi attimi lunghi un quarto d’ora, io me ne vado.” Così dicendo prese la tracolla e salutò l’amica con un bacio sulla guancia.

“E va bene, vai, ho capito. Dì ad Harry e Ron di non preoccuparsi, devo ancora passare in biblioteca a prendere un libro.” Poi Ginny si diresse verso l’uscita. Non riusciva ancora a capire, da quando l’aveva conosciuta, come Hermione riuscisse ad essere così organizzata, sempre al passo con le consegne, sempre piena di ricerche nella cartella… per lei era quasi inverosimile riuscire a studiare così tanto, soprattutto se la materia in questione era Pozioni.

Immersa com’era nei suoi pensieri non riuscì a sentire la voce di una ragazza che la chiamava.

“GINNY, GINNY!” Giulia corse verso di lei prendendola per un braccio. Proprio in quel momento la rossa tornò alla realtà.

“Giulia, che c’è?”

“Niente, ti ho vista passare e ho pensato che forse avresti voluto un po’ di compagnia, dove stavi andando?”

“In Sala Comune, ma tu che ci fai qui?” la ragazza abbassò lo sguardo leggermente imbarazzata e Ginny non capì proprio nulla del suo comportamento.

“Ho detto qualcosa di sbagliato?” in coda alle sue parole giunse il debole suono di alcuni passi, poi un ragazzo la affiancò. Ginny sbiancò di colpo mentre la tracolla le scivolava dalla spalla provocando un tonfo sordo che riecheggiò in tutto il corridoio e nella sua mente. Cominciarono a sudarle le mani e in gran fretta si chinò per prendere la tracolla, quando si ritrovò a stringere una mano calda e bianca come il marmo. Con il cuore a mille sollevò assieme a lui la borsa poi se ne appropriò liberandosi da quel contatto bruciante che sembrava averle reso inutilizzabile l’arto.

Grazie…” biascicò non avendo il coraggio di guardarlo.

“Niente.” Rispose lui glaciale facendo in modo che dal suo sguardo non trasparisse nulla se non indifferenza completa.

“Ehm, lui è Draco, ma credo che vi conosciate già, è così piccola Hogwarts.” Disse Giulia sorridendo un po’ imbarazzata.

“Già, così piccola.” Soffiò lui. L’unica risposta di Ginny fu “Già!”, poi cercando di riprendersi sollevò lo sguardo che fino a quel momento aveva tenuto basso e si ricompose mentalmente.  

“Stavamo andando anche noi nella nostra Sala Comune, volevo chiederti scusa per il comportamento di mio fratello.”

“Non preoccuparti, per certi versi è molto simile a mio fratello.” La bionda sorrise non sapendo che altro fare. A Ginny sembrò per un attimo che Draco avesse detto nuovamente: “Già molto simile.” Ma vedendo che Giulia non si era scomposta minimamente pensò bene di tenere la lingua a freno e non chiedere spiegazioni troppo complicate da dare.

“Bene, ci vediamo domani se… se per te va bene, sono molto stanca.”

“Oh ma certo, che stupida, ci vediamo domani allora.” Ginny assentì e prese velocemente la strada per la propria Sala Comune cercando di mettere quanta più distanza possibile tra lei e la coppia dietro. Svoltato un angolo trasse un profondo respiro e asciugandosi una lacrima riprese a camminare.

 

È difficile dimenticare il proprio passato. Le notti, nella sofferenza, non sono altro che giorni malinconici più lunghi. La vita passa in secondo piano, oscurata dal buio dell’anima, la felicità è un desiderio, un sogno, più vicino di quanto si possa pensare, ma che stranamente in quel momento è impossibile raggiungere. I ricordi affollano la nostra mente, vengono rivissuti, lo richiedono, non vogliono essere dimenticati, e sono belli, vogliamo anche noi riviverli, ma nel momento in cui li riviviamo, e proviamo felicità, gioia, ci rendiamo conto che stiamo vivendo un film in bianco e nero, e in quel momento vorremmo muovere il mondo, fare qualcosa per poter tornare indietro, o creare un presente simile al nostro passato. Ma non possiamo, e per quanto ci proviamo, non ci riusciamo, ci demoralizziamo, ci riproviamo, e piangiamo, perché non riusciamo nel nostro intento. E allora ci chiediamo come fare. Ricominciare a vivere, distrarre la mente, crearsi un’altra ossessione, rivolgere le nostre attenzioni a qualcun altro, e ci sembra di riuscirvi. Sembra che all’improvviso il nostro malessere sia scomparso, scomparendo assieme ai ricordi. Ma i ricordi tornano, e non possiamo impedirglielo, e continuiamo a soffrire e vorremmo porre fine a questo nostro dolore lancinante e c’è una vocina dentro di noi, la verità, che ci dice che questa è la realtà, che prima o poi ci riprenderemo, il tempo lenirà le nostre ferite profonde e molto probabilmente è vero, ma in quel momento noi siamo sicuri che il nostro dolore non cesserà mai di esistere, e ne soffriamo.

Era così che in quel momento, sotto le calde e morbide coperte di piume d’oca, Ginevra Weasley si sentiva. Fissava il soffitto bianco cercando di non piangere, anche se il cuscino era bagnato fradicio. Non capiva perché stesse piangendo, quando ormai non lo faceva da molto tempo, ma lo stava facendo e non poteva evitarlo, era come se il suo corpo lo richiedesse, come se ne avesse bisogno. Era un pianto di quelli che credeva non avrebbe mai più fatto, non un pianto di rassegnazione, di consapevolezza, ma un pianto di dolore, profondo dolore, che esprimeva come si sentiva ogni secondo della sua vita. Il tempo avrebbe potuto aiutarla a riprendersi, ma non ci era riuscito fino ad allora e Ginny non credeva ci sarebbe riuscito in futuro, forse anche la lontananza l’avrebbe aiutata molto, ma purtroppo ovunque andasse lo vedeva, non poteva farne a meno, e allora come avrebbe potuto fare? Non lo sapeva. Tutto ciò che in quel momento sapeva era che non riusciva a dormire. Dopo quell’incontro inaspettato, forse a causa di questo o forse a causa del fatto che non aveva mangiato assolutamente nulla, era andata subito nel suo dormitorio desolato e si era messa sotto le coperte sperando di prendere sonno e non pensare più a nulla. Ma non ci era riuscita. Aveva sentito le sue compagne entrare una dopo l’altra, le aveva sentite chiacchierare un po’, le aveva sentite darsi la buonanotte e le aveva viste addormentarsi da sotto le sue coperte. Erano le due, e ancora non voleva saperne di dormire. Guardava il soffitto, si rigirava nel letto, piangeva, ricordava memorie passate, ma sembrava non avesse nessuna voglia di chiudere gli occhi anche solo per qualche secondo. Probabilmente il giorno dopo non sarebbe riuscita neppure a muovere un muscolo, figuriamoci a pensare e a capire una lezione.

Decise così di alzarsi, sicura che comunque rimanendo lì non avrebbe di certo preso sonno, e coprendosi con una leggera vestaglia rossa corta al ginocchio, nella quale Ginny era praticamente cresciuta dal suo primo anno, scese in sala comune dirigendosi verso il quadro per poter uscire e andare a prendere qualcosa da mangiare che le conciliasse il sonno. I corridoi erano pieni di spifferi che non capiva da dove arrivassero data l’assenza di finestre aperte, e le sue gambe erano quelle che ne stavano risentendo maggiormente. Cercò di coprirsi meglio e solo in quel momento si rese realmente conto che aveva bisogno di una vestaglia nuova. Nonostante tutto percorse velocemente i corridoi cercando di fare più piano possibile, dato che non era solita andare in giro per il castello furtivamente, e giunta al quadro che portava alle cucine solleticò la pera. Si aprì un varco davanti a lei e vi entrò dentro richiudendoselo alle spalle. Quando finalmente arrivò non vide nessuno, probabilmente gli elfi non si erano ancora svegliati per preparare la colazione. Così decise di farsi da sola una cioccolata calda. Cercò qua e là un po’ di latte e del cacao, e ci mise un bel po’ prima di trovare qualcosa di molto somigliante ad una dispensa. Per sua grande sfortuna era chiusa con un potente incantesimo. Provò un Halomora stentato ma riuscì solo a far muovere un po’ il lucchetto, così si sedette sulla sedia sconfortata, aspettando che arrivasse qualcuno.

Si-signorina?” uno squittio ridestò Ginny dai suoi pensieri facendole ringraziare il cielo di aver finalmente trovato qualcuno che la potesse aiutare. Si voltò e vide il visino sorridente di Dobby fissarla incuriosito.

Dobby avere riconosciuto lei, lei essere sorella di Ron Weasley, Ginny!”

Dobby, che piacere rivederti!” effettivamente era molto felice di vederlo, in questo modo avrebbe potuto bere qualcosa senza farsi scoprire facendo cadere il pentolino o la tazza a terra, data la sua goffaggine innata.

“Anche io essere felice di vedere la signorina, ma perché la signorina è qua?”

“Non riuscivo a dormire, volevo farmi una cioccolata ma non sono riuscita ad aprire la dispensa, potresti…” all’elfo gli si illuminarono gli occhi. Corse immediatamente verso la dispensa e ne uscì poco dopo con tutto ciò che gli necessitava.

Dobby felice di fare questo per lei, Dobby fare veloce.” Disse traballando per il peso. La busta gigante di cacao zuccherato gli copriva del tutto la faccia. Poco dopo Ginny uscì dal quadro con una bella tazza di cioccolata fumante in mano e un calzino in meno. Infondo sapeva quanto Dobby amasse i calzini, e per quanto a lei piacessero quelli rosa chiaro che aveva decise ugualmente di regalargliene uno, sicura che valesse molto meno di quella buona cioccolata. Attraversando i corridoi giunse davanti al quadro della signora grassa ed entrata dentro si sedette su una poltrona accanto alla finestra, portando sulle gambe raccolte una coperta trovata lì vicino e prendendo a sorseggiare il liquido caldo e buono. Ormai la notte era persa, tanto valeva prendersela comoda.

 

 

E come sempre passeggiava per i tetri e bui corridoi dei sotterranei cercando di avere il silenzio necessario per dedicarsi ai suoi pensieri. A dire la verità quella notte era di ronda e avrebbe dovuto ispezionare tutto il castello per evitare che ci fosse qualcuno oltre l’orario prestabilito fuori dalla propria Sala Comune, però era troppo scosso per potersi dedicare a mansioni che in realtà non aveva mai diligentemente svolto.  E inoltre, se fosse stato beccato, avrebbe potuto inventare di aver sentito un rumore da quelle parti e di aver avuto la brillante idea di andare a dare un’occhiata per assicurarsi che fosse tutto a posto. Piton gli avrebbe dato una lode per questo. Ma in quel momento il suo primo pensiero non era né Piton né una sua possibile lode. Era lei. Lei che occupava di nuovo la sua mente come non succedeva da molto tempo. Rivederla così da vicino, assaporare il suo tocco gentile e il suo sottile imbarazzo, sentire il suo tono di voce basso e calmo lo aveva scombussolato, gli aveva fatto riaffiorare alla mente emozioni e ricordi che fino ad allora era riuscito bene a nascondere persino a se stesso. Rivederla di nuovo, così cambiata dall’ultima volta in cui erano stati assieme, dall’ultima volta in cui si erano amati, lo aveva lasciato così… strano. A dire il vero non riusciva a capire bene cosa avesse realmente provato nel rivederla. Ma sapeva che qualcosa era cambiato in lui, come se un vulcano fosse eruttato all’improvviso e il suo stomaco fosse stato invaso da una marea di lapilli e lava incandescente. Era una sensazione devastante, che aveva coinvolto nel suo processo ogni cellula del suo corpo. Sospirò dirigendosi verso le scale che portavano fuori dai sotterranei e cercando di dimenticare il calore della sua pelle.

 

E piangeva. Continuava a piangere perché era l’unico modo per sfogarsi, riprendersi e andare avanti come sempre. Questa era la ricetta che usava Ginny, la pozione della resistenza alla vita. La tazza era abbandonata sul tavolino accanto a lei, il sonno era lontano anni luce e lei, lei era persa. Non sapeva dove, in un luogo misconosciuto dove la sua anima cercava incessantemente la strada verso un’altra vita, una strada che però non trovava. E girava, girava intorno a se stessa senza capire come fare ad uscire da quel luogo buio e cupo, umido e dagli alberi spogli dai rami intricati e dalle forme spettrali. Possibile che fosse bastato così poco, uno sguardo, per farla andare così in tilt? Possibile che non riuscisse in nessun modo a cacciarselo dalla testa? Lei DOVEVA cacciarselo dalla testa, come avrebbe fatto altrimenti ad andare avanti? Ma non ci riusciva. Stupido forse da dire, ma non riusciva a non provare tutto ciò. E allora piangeva. Tanto per dimostrare a se stessa quanto forte fosse. I suoi singhiozzi male soffocati riempivano il piccolo spazio, facendo un brutto contrasto con il silenzio di quella stanza. Fu solo dopo molto tempo che un ragazzo, immobile sulla soglia del dormitorio maschile, decise di svelare la propria presenza.

Eh-ehm…Ginny scattò improvvisamente voltandosi dietro di lei e lo vide. Cosa avrebbe pensato adesso di lei? Cosa avrebbe detto a Ron? Di aver scovato la sua sorellina a piangere? Si, molto probabilmente sarebbe stato questo quello che avrebbe fatto. E Ron le avrebbe ancora urlato contro e lei non lo avrebbe più sopportato, lo sapeva. Si asciugò con la manica della vestaglia gli ultimi residui di lacrime.

“Angelo, ti prego non dire niente a Ron.” Il ragazzo la guardò senza comprendere le sue parole. Gli occhi erano ancora rossi, le lacrime infrante sulle sue guance rosse per il pianto. Si avvicinò sedendole accanto. Il silenzio cadde tra di loro coprendoli come una leggera coltre di neve. Quando vide che Ginny non parlava, fissando il vuoto innanzi a sé mentre altre lacrime continuavano a scendere copiose sulle sue guance più silenziosamente di prima, prese la parola.

“Perché pensi che dirò qualcosa a tuo fratello?” la rossa si voltò verso di lui fissando le sue iridi chiare. Poi spostò lo sguardo incapace di reggerlo dignitosamente.

“Forse perché sei il suo nuovo amico.” Disse concisa chiudendo gli occhi.

“Ti sbagli.” Li riaprì guardandolo un po’ scettica.

“Tutti gli amici di mio fratello sono miei nemici.”

“Harry Potter ed Hermione Granger anche? Perché non sembrava.”

“Li conoscevo da troppo tempo per poter chiudere i rapporti, anche se so che loro lo hanno già fatto indirettamente.”

“Perché avresti dovuto chiudere i rapporti con loro?” perché hanno tradito la mia fiducia. Non rispose a questa domanda. Un po’ perché non sapeva cosa dover realmente rispondere un po’ perché non credeva di dover dare spiegazioni a qualcuno che neanche la conosceva. E poi cosa avrebbe dovuto rispondere? Che avrebbe dovuto chiudere con loro perché non approvavano la storia che lei aveva avuto con un futuro mangiamorte? Chiunque avrebbe dato ragione a loro, chiunque non conoscesse i sentimenti di Draco e Ginny, ovvero tutti quelli che li circondavano. Un’altra coltre di silenzio calò su di loro come candida neve.

“Dovresti sfogarti.” Cosa credevi che stessi facendo prima che tu interrompessi la mia autocommiserazione? Prima che ricevesse una risposta a tono aggiunse “Intendo con una persona e non con te stessa, perché in questo caso non credo sia positivo.” A quel punto la rossa scoppiò in una risata isterica.

“E con chi? Con te? Così avrai abbastanza da dire a mio fratello? Ti ha per caso mandato lui? Mi ha visto scendere e ha pensato di mandare una spia per vedere cosa stavo facendo alzata nel cuore della notte? Bhè torna da lui e digli che non sono affari suoi quello che faccio e con chi lo faccio.” Lui la guardò aprendo la bocca in un sorriso soddisfatto, facendola andare in escandescenza.

“Era questo quello che intendevo, comunque non ti avevo detto che dovevi farlo con me.” Lei lo guardò allibita. Chi era quel ragazzo che improvvisamente aveva alleggerito il peso del dolore che gravava sulle sue spalle? Perché senza preavviso la stava aiutando?

“Comunque non mi ha mandato tuo fratello, non riuscivo a prendere sonno.” Lei lo guardò accennando un lieve sorriso.

Bhè, sei in buona compagnia!” sorrise anche lui guardando fuori dalla finestra. Ci furono alcuni attimi di tormentoso silenzio prima che questa volta prendesse a parlare Ginny.

“Non sei una spia di mio fratello?” lui la guardò fintamente sconvolto.

“No.”

“Bene.” Si asciugò le guance avvertendo gli occhi in procinto di asciugarsi.

“Dovresti sfogarti più spesso, le ragazze che piangono troppo non piacciono molto sai?”

“Cosa ti fa pensare che io voglia piacere a qualcuno?” lui la guardò intensamente facendole distogliere lo sguardo per la seconda volta.

“Non so, lo sento.”

“E ti fidi sempre di ciò che senti?”

“Si.”

“Fortunato.”

“Perché?”

“Perché a volte ciò che senti non basta.” Di nuovo il silenzio li avvolse.

“E’ vero…” lei lo guardò senza capire poi si stiracchiò sbadigliando sonoramente.

“Hai sonno?” lei rimase interdetta. Sonno? Aveva sbadigliato e sentiva gli occhi chiudersi di loro spontanea volontà. Si, aveva sonno, AVEVA SONNO!

“Allora che aspetti? Vai a letto no?!” Lei lo guardò, poi biascicando un grazie stentato e un ‘buonanotte’ incomprensibile salì frettolosamente su per le scale. Chi era quel ragazzo? Non lo conosceva eppure… eppure era riuscito ugualmente ad aiutarla. Forse era proprio vero quello che diceva sempre sua madre, quando sei un po’ triste il metodo migliore per riprendersi è parlare con qualcuno che non conosci. Di certo non lo avrebbe dimenticato tanto facilmente. Quando Ginevra Weasley toccò il cuscino cadde in un sonno profondo e ristoratore. No, non lo avrebbe dimenticato tanto facilmente.

 

*******

 

Prima di tutto ringrazio tantissimo per le letture, sono contenta e spero che continuerete a seguire questa storia a cui tengo veramente moltissimo. Poi, mi scuso in precedenza per i lunghi tempi di attesa tra un capitolo ed un altro, ma dato lo studio, date anche le vacanze estive appena passate, e qui aggiungo un “purtroppo” sentito, non mi è stato permesso di aggiornare prima e non credo potrò rimediare molto a questo problema, anche se spero comunque continuiate a seguire la mia fic..^^!! Ora passiamo ai ringraziamenti a voi che con i vostri commenti mi avete davvero resa felice:

 

mAd wOrLd: allora, dire grazie credo sia troppo poco, sai, grazie ai tuoi commenti la mia autostima ultimamente si è risollevata da terra.. sono contenta del fatto che i personaggi siano riusciti abbastanza bene, il mio intento è soprattutto quello di prestare maggior attenzione alla sfera emotiva di ogni personaggio e alla sua psicologia, anche se comunque cerco di non abbandonare tutti gli altri aspetti della narrazione.. come ad esempio la trama!! Spero continuerai a commentare, per me le critiche sono fondamentali per poter migliorare e dare sempre più di quello che ci si aspetterebbe di poter dare..!! Grazie ancora e spero di leggere qualche altro tuo interessante commento..

 

GiO91: allora, anche il tuo commento è stato molto interessante e sono contenta che ti piacciano i flashback, ho cercato di incentrare la storia soprattutto su quelli e di legare presente e passato in modo scorrevole e dinamico, senza però perdere di vista la realtà.. credo che i ricordi siano fondamentali in questa storia, vedi il titolo anche.. come vedi poi ho anche aggiornato tardi, mi sa che sei tornata e ripartita in tutto questo tempo, ma con il subentrare delle vacanze estive e dello studio non ho avuto molto tempo per aggiornare presto, senza considerare il fattore “Ispirazione” senza il quale non valgo molto.. spero di ricevere altri tuoi pareri su questo nuovo capitolo..

 

erikappa: allora erika, se sei una fan sfegatata della coppia Harry/Ginny forse non dovresti leggere questa storia, anche se so che dicendo questo probabilmente mi sto penalizzando da sola.. non voglio prenderti in giro solo per farti continuare a leggerla, quindi sono onesta in precedenza: la storia è quasi interamente incentrata sulla storia passata di Draco e Ginny o comunque sulla LORO STORIA.. non posso dirti altro per il momento, potrebbero esserci delle parti interessanti, ma per ora non posso svelarti nulla, altrimenti non ci sarebbe gusto neanche a leggerla..!! Spero di sentirti ugualmente, in caso contrario sono contenta comunque che tu abbia letto il primo capitolo nonostante non sia la tua coppia ideale quella da me trattata..

 

 

 

  
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