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Autore: giambo    17/07/2014    4 recensioni
Sono passati ormai tredici anni dalla fine della grande Era della Pirateria. La Marina ha ormai preso pieno possesso delle acque del Nuovo Mondo, sterminandone la maggior parte dei pirati che lo navigavano. I pochi sopravvissuti si sono riuniti attorno a quattro nuovi imperatori pirata che però, con il passare del tempo, stanno invecchiando senza vedere nuovi eredi all'orizzonte.
Monkey D. Kinji è un ragazzino di dodici anni che trascorre le sue giornate a fantasticare su avventure fantastiche in paesi lontani. Sotto le amorevoli cure di due zie adottive, Kinji cresce felice e spensierato, non conoscendo l'eredità terribile del nome che porta dietro. Tuttavia, ad un tratto, Kinji sarà obbligato ad arruolarsi nell'Armata Rivoluzionaria, il cui comandante lo segue e lo controlla fin da quando è nato. Sotto la supervisione del burbero Johan, della ribelle Neyna e della provocante Fumiko, Kinji cresce forte e testardo. Ma la volontà racchiusa nel suo nome lo porterà presto a fare una scelta: se schierarsi dalla parte della Marina, dei rivoluzionari o dalla parte di un teschio sormontato da un buffo cappello di paglia
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo personaggio, Sabo, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'OPNG: One Piece New Generation'
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Capitolo 6

 

Thall è rimasta famosa per quella che è considerata da tutti gli storici come l'ultima battaglia della grande Era dei Pirati. Le Settimane del Sangue avevano decimato i grandi pirati del Nuovo Mondo, ma ciò non aveva spento il loro spirito guerriero. Un'ultima alleanza fu creata per tentare di arginare l'offensiva del Marina. Il capo dell'alleanza fu il pirata Eustass Kid, divenuto tristemente famoso per la sua crudeltà e per la sfrenata ambizione che ne divorava l'animo. Vedendo il proprio mondo cadere, Kid radunò a Thall più navi possibili, ultimo dei grandi pirati ad avere il prestigio per farlo, con l'obiettivo di stroncare la spietata caccia del Governo Mondiale nel sangue. Tuttavia, il loro scopo fallì. Una spia, conosciuta successivamente con il nome di Saionji il maledetto, rivelò il luogo del raduno pirata alla Marina: Thall.

L'ormai moribondo Sakazuki non aveva la forza di coordinare l'attacco, e decise di consegnarlo nelle mani dell'ammiraglio Smoker. Sotto la sua guida, una flotta di oltre settanta navi arrivò nella baia dell'isola di notte, attaccando i pirati di sorpresa. Tuttavia, la resistenza di quest'ultimi fu ardua, e fu solo dopo due giorni che il conflitto terminò con lo sterminio pressoché totale dei pirati. La battaglia terminò solamente quando Smoker riuscì ad avere la meglio su Kid dopo un ferocissimo ed estenuante combattimento.

Si dice che mentre tornava al Quartier Generale, con le teste di Kid e dei suoi alleati infilzate a prua in segno di vittoria, Smoker abbia dichiarato che, da quel momento in avanti, quel mare sarebbe appartenuto alla Marina e a nessun altro. E che nessun pirata avrebbe mai più osato varcare il confine del Nuovo Mondo, e sfidato il potere del Governo Mondiale.

 

La Vera Storia” di Nico Robin, ultimi paragrafi del capitolo dedicato alle Settimane del Sangue.

 

 

 

Le onde si accavallavano con violenza una sull'altra, andando ad infrangersi con forza sempre maggiore sulla fiancata destra della nave. Ad ogni colpo il mare sembrava riuscire a prendere il sopravvento sull'imbarcazione, ma poi quest'ultima, con indomito coraggio, riaffiorava dall'nferno d'acqua in cui era sprofondata, pronta a nuove sfide.

Neyna si appoggiò con forza alla balaustra che fiancheggiava la nave. Il rollio violento dell'imbarcazione le aveva messo sottosopra il suo stomaco normalmente di ferro. Prima che potesse controllarsi, un violento conato le fuoriuscì dalle labbra, bruciandole la gola. Fu con profonda stizza che osservò di aver rigettato solo dell'amara bile.

Si asciugò con una mano tremante la bocca, mentre si aggrappava con ancora più forza, nel disperato tentativo di non finire in acqua.

Gli dei devono odiarci per inviare una simile furia.

Erano trascorsi due mesi dalla sua partenza da Baltigo. Ormai erano entrati nel North Blue da circa due settimane, ma l'albina aveva potuto ricordare come quello non fosse il periodo migliore per navigare in quelle acque. Le tempeste ed il vento gelato non li avevano mai dato tregua, e quest'ultima tempesta sembrava più violenta delle altre: ormai erano tre giorni che infuriava, e non si vedeva alcun segno di miglioramento.

Mentre l'ennesima onda si infrangeva contro la fiancata, Neyna riuscì, a stento, a non rigettare per l'ennesima volta. Si sentiva tutto il corpo intirrizzito, e aveva le mani completamente gelate. Alla ragazza sembrava passata un'eternità dall'ultima volta che aveva provato caldo.

Dobbiamo fare qualcosa. Non possiamo farci affondare da questo tempo maledetto.

Riuscì a rimettersi in piedi con qualche tentativo di troppo. Barcollò fino alla poppa della nave, dove il capitano Atsumori teneva il timone. Atsumori aveva l'aspetto del classico lupo di mare: un naso a becco, folte sopracciglie ormai grigie, pochi capelli bianchi in testa e un volto scolpito negli anni dal sale, dalla pioggia e dal vento.

“Capitano!” urlò l'albina cercando di farsi sentire sopra il frastuono del vento. “Capitano!”

“La sento, mocciosa.” grugnì l'uomo. Il fatto di trovarsi in mezzo ad una delle più violente tempeste che avesse mai incontrato non lo scalfiva minimamente. Intimamente, Neyna lo ammirò.

“Come siamo messi?” ululò mentre si aggrappava ad una sartia per non perdere l'equilibrio. “Ce la faremo?”

Un ghigno sdentato uscì fuori dal volto di Atsumori, quasi come un taglio netto su un blocco di granito.

“Questo non lo so.” rispose gridando mentre metteva la nave in modo di prendere le successive onde di prua. “Dobbiamo solo aggottare e sperare di cavarcela. Di più non posso fare.”

“Come sperare?” gridò incredula la guerriera. Successivamente, uno schizzo d'acqua la centrò in pieno viso, riempiendole gli occhi di sale. Con una mano tentò, senza troppo successo, di calmare il bruciore.

“Vai nella stiva a dare una mano.” ordinò bruscamente il vecchio lupo di mare. “Qui mi sei solo d'impiccio.”

Per quanto stizzita dal tono del capitano, Neyna gli ubbidì e si immerse, non senza qualche difficoltà di equilibrio, nel ventre oscillante e scuro della Kaze no aisukurīmu.

 

 

Si muoveva in maniera meccanica, cercando di ignorare il bruciore dei muscoli, la stanchezza che le si appiccicava addosso come un manto denso e colloso, il sapore del proprio stomaco nella bocca ed il bruciore del sale che gli tirava la pelle e le rendeva la gola secca.

Aggottava. In mezzo agli altri marinai, in un ululare di ordini, imprecazioni, grugniti e bestiemmie. Mentre alcuni cercavano di svuotare il ventre maleodorante della nave, altri erano ai remi nel disperato tentativo di impedire a quest'ultima di andare alla deriva. Un bestione completamente rasato, con la pelle scura come la notte, si muoveva avanti ed indietro, urlando ordini e coordinando le operazioni.

“Avanti luridi bastardi! Remate se volete rimanere in vita! Remate donnicciole!” sbraitava con gli occhi spalancati, mentre il sudore gli colava lentamente dalle tempie.

C'era un caldo maledetto. Fuori poteva anche esserci un freddo polare, ma dentro il calore ed il tanfo erano asfissianti. Neyna sollevò l'ennesimo secchio pieno di acqua sporca, notando con disgusto che dentro galleggiavano i resti del pasto dei marinai. Reprimendo un conato di vomito, l'albina gettò fuori nave il contenuto, prima di immergere di nuovo le braccia in quella brodaglia scura e maleodorante.

Il tempo non passava mai. Ben presto la ragazza staccò il cervello dal corpo, limitandosi ad eseguire gli ordini in maniera meccanica. Immergi, svuota. Immergi, svuota. Immergi, svuota. Ormai non riusciva più a pensare ad altro, anche perché una parte del suo cervello sapeva che, se si fosse collegata meglio al mondo circostante, la fatica che il suo fisico stava accumulando l'avrebbe stroncata.

“Ehi tu!” urlò ad un certo punto il coordinatore. “Posa quel secchio!”

Neyna non ci fese caso, continuando nel suo compito.

Immergi, svuota. Immergi, svuota. Immergi, svuota.

“Sei forse sorda?!” con un ringhio di rabbia, l'uomo si immerse nelle acque nere fino alle caviglie, andando a strattonare bruscamente la ragazza. L'albina lo guardò con fare assente.

Immergi, svuota.

“Vai ai remi! I ragazzi non ce la fanno ed hanno bisogno di aiuto! Posa quel maledetto secchio!”

Con un cenno confuso del capo, la guerriera gettò il secchio nell'acqua, districandosi tra gli altri marinai, ed uscendo dall'acqua che scorreva nella sentina. Successivamente, si mise ai remi, cominciando un nuovo movimento meccanico.

Avanti, indietro. Avanti, indietro. Avanti, indietro.

Non c'era altro nel suo mondo in quegli istanti interminabili. Il sudore gli scorreva lentissimo lungo il filo della schiena, mentre le vesciche gli si formavano e scoppiavano con esasperante lentezza sui palmi delle mani. Ben presto, il suo sangue andò a mischiarsi con quello dei suoi compagni di viaggio lungo il manico dei lunghi e lucenti remi di frassino.

Avanti, indietro. Avanti, indietro. Avanti, indietro.

Non c'era altro. Ignorava i muscoli che gli stavano gridando pietà, il sale che gli seccava la gola e gli rendeva gli occhi lacrimanti, lo stomaco sottosopra che continuava ad inviarle fitte di nausea violentissime.

Se questo è un incubo, svegliatemi.

Alla fine, intorpidita nel suo dolore, Neyna cedette di schianto, cadendo sul pavimento. Udì vagamente qualcuno che urlava di prendere il suo posto. Sentì lo scalpiccio di piedi che correvano frenetici sulle assi di legno, il dondolio continuo della nave, e lassù, lontano come il cielo, l'ululato del vento.

Kinji.

Infine, cadde nell'incoscienza.

 

 

Si svegliò lentamente. La prima cosa che constatò fu che era nella sua cuccetta, la seconda fu che puzzava come un maiale. L'albina arricciò il naso disgustata.

Si alzò con difficoltà. La nave sembrava silenziosa e tranquilla. Non c'era alcun rumore fuori dalla norma, e le voci che arrivavano fioche dall'alto erano tranquille. La guerriera uscì barcollando dalla nave.

L'aria gelida che soffiava la svegliò del tutto. Con un brivido, la ragazza osservò come il mare, grigio come il ferro, fosse agitato, ma non esageratamente. Nuvole spesse e pesanti coprivano il cielo, mentre un vento freddo come il ghiaccio gonfiava le vele.

“Ah, finalmente si è svegliata!” esclamò Atsumori con un ghigno. Il capitano era seduto a poppa, e si stava gustando con gusto il sapore del tabacco attraverso una logora pipa. “La mocciosa guerriera.”

“Dove siamo?” domandò Neyna ignorando la presa in giro dell'uomo. Per quanto trovasse irritanti quei nomignoli, in quel momento se era ancora viva lo doveva esclusivamente a lui.

“A poche miglia dall'isola Wispol.” rispose tranquillamente Astomuri aspirando con gusto il tabacco. “La tempesta ci ha rallentato, ma non eccessivamente. A quest'ora saremmo già arrivati da un paio di giorni, ma non mi lamento troppo. Avremmo potuto essere sbalzati nel più fetido e lontano degli oceani, mentre stasera saremo arrivati a destinazione.”

Gli occhi grigi dell'uomo osservarono con continuità la ragazza, mettendola a disagio.

“Anaconda mi ha raccontato tutto.” aggiunse alla fine. Anaconda era l'uomo di colore che aveva coordinato le manovre in sentina durante la tempesta. “Hai remato con una forza incredibile per tutta la notte. Raramente ho visto uomini così resistenti in simili situazioni, ma il fatto che lo abbia commesso una donna la rende ancora più incredibile come vicenda.”

“Ho fatto quello che dovevo...” borbottò l'albina imbarazzata.

Atsumori fece un ghigno divertito.

“Ti conviene darti una sistemata. Un capitano non dovrebbe puzzare così tanto.”

Rossa in volto come un peperone, la ragazza fece marcia indietro, andando sottocoperta per ripulirsi. Ma dentro di lei, oltre all'imbarazzo, cominciò a scorrerle nelle vene l'eccitazione e la tensione per la missione imminente.

Ora si comincia a fare sul serio.

 

 

Kinji fu svegliato da un dolore lancinante allo sterno. Si rotolò sul terreno, gemendo dal dolore, ed usando tutte le parolacce che conosceva.

“Alzati.” fu il secco commento di Bellamy a quello spettacolo. Ancora dolorante, Kinji eseguì. Aveva i crampi allo stomaco dalla fame, e non aveva dormito molto bene. Tuttavia, dallo sguardo freddo dell'uomo, il ragazzo aveva il presentimento che presto si sarebbe sentito molto peggio.

Rimasero a fissarsi per diversi minuti. Mentre il sole cominciava a scaldare le cime degli alberi, e la foresta riprendeva lentamente la propria vita diurna. Bellamy teneva le braccia incrociate sul petto e sembrava studiare il ragazzo. Come la sera prima, anche questa volta il moro ebbe un guizzo di paura nel sentirsi osservato da quell'uomo.

Poi, lentamente, un ghigno uscì dal volto del biondo. A kinji dava l'idea di una bestia feroce che si avvicinava alla propria preda.

“Allora, moccioso. Immagino che tu vorrai sapere il perché della mia presenza qui.” iniziò Bellamy con fare divertito.

“Beh, veramente non ci ho ancora pensato a questo lato della faccenda.” rispose il ragazzo con indifferenza.

“Davvero? Beh, questo mi ricorda molte cose...” proseguì ridacchiando l'uomo. “In ogni caso, per farla breve, io sarò il tuo incentivo ad allenarti.”

“Incentivo?” ripeté poco convinto il moro.

Il sorriso di Bellamy si fece, se possibile, più ampio.

“Prova a tirarmi un pugno con tutta la tua forza.” rispose. Kinji lo guardò perplesso.

“Cosa?”

“Sei forse sordo? Ti ho detto di colpirmi, in faccia per la precisione.”

Il ragazzo inarcò un sopracciglio, incapace di comprendere il perché della richiesta.

In fondo, se mi da il permesso, non commetto nulla di sbagliato.

Radunando tutta la forza che aveva, Kinji spiccò un salto e colpì il volto di Bellamy. Rimase sconvolto quando vide che l'uomo era rimasto indenne dal suo colpo.

“Beh? Sarebbe tutta qui la tua forza?” domandò ghignando il biondo.

“Questo è un vero pugno.” subito dopo, il moro venne scagliato contro il tronco più vicino, lasciando un profondo segno nella corteccia. A Kinji parve che gli fosse caduto addosso un'incudine di un quintale. L'aria gli uscì prepotentemente dai polmoni, lasciando per qualche istante confuso ed affannato a terra, alla disperata ricerca di ossigeno.

“Forza, in piedi.” ordinò annoiato Bellamy. “Riprovaci.”

Proseguirono per circa un paio d'ore. Ogni volta Kinji tentava di colpire il biondo, e puntualmente veniva scagliato lontano da quest'ultimo. Nonostante il dolore, il ragazzo non mollò. Rialzandosi ogni volta con più rabbia di prima. Non comprendeva cosa volesse quell'uomo da lui, ma di una cosa era sicuro: non si sarebbe mai arreso di fronte a lui.

Alla fine delle due ore, dopo che Kinji aveva la faccia tumefatta dai colpi, Bellamy si fermò.

“Per oggi può bastare. Ti voglio qui domani mattina, stessa ora, che ricominciamo. Se non ti farai vedere sappi che ti darò la caccia, e non mi limiterò solamente a gonfiarti la faccia con qualche pugno.” detto questo, l'uomo uscì dalla radura tranquillamente, lasciando sul terreno un Kinji dolorante, ma non domo.

Se speri che mi arrenda ti sbagli di grosso, bestione.

 

 

Passarono le settimane. La vita di Kinji prese una quotidianità incredibile. Ogni mattina combatteva con Bellamy fino allo sfinitmento, poi passava il resto della giornata ad esplorare la foresta ed a procurarsi del cibo. Ben presto si accorse che gli alberi erano disposti in un ordine ben preciso, quasi che qualcuno avesse voluti piantare seguendo uno schema definito. Fu con suo grande stupore che si accorse, dopo qualche giorno, che il centro di tutto era la radura dove combatteva con Bellamy, quasi fosse il cuore dell'interno bosco.

I mesi passarono. L'autunno scorse via deciso e veloce. Kinji si accorse di irrobustirsi giorno dopo giorno. Cacciare per lui divenne ben presto un'abitudine, e fu con gratitudine che mise in pratica gli insegnamenti di Risa sull'accendere un fuoco. Ormai, con il freddo che cominciava a pungere la notte, la presenza di un focolare era una necessità fondamentale.

Ripararsi dal freddo fu un problema. I suoi abiti si logorarono presto, obbligandolo a crearsene di nuovi con le pelli di animali. I primi risultati, con l'utilizzo di alcune pietre affilate, furono disastrosi. Ma un giorno si sveglio con un coltello in ottimo stato al suo fianco, ringraziando mentalmente quel brontolone di Bellamy, il moro lo prese e ne fece buon uso per la creazione del proprio guardaroba invernale.

Gli allenamenti con Bellamy proseguirono senza alcuna pausa. Che ci fosse pioggia, neve o sole, l'uomo pretendeva che lui andasse in quella radura a combattere. Per quanto facesse passi da gigante, il ragazzo non riusciva ancora a colpire seriamente il biondo. Tuttavia, nonostante la sua frustrazione crescesse ogni giorno di più, non si arrendeva, ed il giorno dopo ci riprovava con la stessa voglia ed intensità di prima.

Con l'arrivo dell'inverno procurarsi cibo divenne più difficile. Molti animali andarono in letergo, ed il ragazzo fu costretto a dare la caccia alle bestie più feroci e grandi della foresta. Più di una volta rimase ferito, anche in maniera piuttosto grave, ma in qualche modo riuscì sempre a cavarsela. Un paio di volte fu tentato di chiedere aiuto a Bellamy, ma poi si rispondeva che non avrebbe ottenuto nulla: doveva cavarsela da solo.

Aveva trovato un buon rifugio dove passare le rigide notte invernali: una grotta disabitata. Gli inverni a Baltigo erano di norma rigidi, e un paio di notti nevicò furiosamente. Dall'ingresso della caverna, il ragazzo passava le giornate a fissare la neve con fare pensieroso. Perso nei suoi ricordi.

Con il passare dei mesi infatti, Kinji sentiva, sempre più spesso, la mancanza dei suoi amici. Si sentiva profondamente in colpa per averli abbandonati in quel modo, e sapeva che anche se fosse tornato con loro niente sarebbe più stato uguale.

Lo faccio per loro. Se fossimo partiti insieme come progettavamo, sarebbero stati uccisi per colpa mia.

Spesso la notte sognava i loro volti che lo fissavano triste. Ma il volto che gli causava dolore era quello di Risa. Sempre così forte, dura, ma anche capace di volere bene, e di proteggerlo ed istruirlo. Ma poi il sogno si tramutava in un incubo, con lei che si metteva a piangere, urlando disperata il suo nome. Quando si svegliava, non era insolito che uscisse alla ricerca di aria fresca.

Una notte gli incubi lo inseguirono con più violenza del solito. Sconbussalato nel profondo, il ragazzo uscì quasi di corsa dal suo rifugio, nella speranza di schiarirsi le idee.

Era una fredda notte invernale. La neve si era ghiacciata, e scricchiolava con forza sotto i suoi piedi. In alto, nel cielo scuro, le stelle brillavano vivide e fredde, come l'inverno che stringeva la sua morsa sull'isola.

Mentre si concedeva il lusso di fare due passi, il moro notò quasi con stupore la presenza, poco distante dalla sua caverna, di Bellamy. Il biondo era seduto sotto un albero, e fissava le stelle con fare freddo e distaccato. Tuttavia, quando Kinji provò ad avvicinarsi, l'uomo puntò le sue iridi cupe su di lui.

“Non dormi?” domandò con la sua voce cupa e profonda.

Il ragazzo si limitò a scuotere la testa, mentre andava a sedersi affianco a lui.

“Non mi pare di averti dato il permesso di sederti affianco a me.”

“Non mi pare di avertelo chiesto.” ribatté Kinji.

Un ghigno comparve sulle labbra di Bellamy. Ormai il moro aveva imparato a riconoscere quel sorriso: il biondo lo usava solamente quando era divertito o profondamente arrabbiato. Sperò che fosse vera la prima ipotesi.

“Che faccia tosta.” dichiarò ridacchiando. “Ne hai di fegato, moccioso.”

“Ho notato che possiedi strani poteri.” dichiarò a bruciapelo Kinji. Notò con piacere che il sorriso sparì velocemente dalle labbra dell'altro.

“Vedo che sai osservare...” Bellamy sembrava sorpreso, ma non eccessivamente. “Quando l'hai capito?”

“Durante le nostre lotte. Muovi le braccia in modo forzato. Come se per te tirare un semplice pugno sia un atto innaturale, a cui non sei abituato.” le parole uscirono velocemente dalle labbra intirrizzite del ragazzo, come se si stesse liberando di un peso tenuto dentro di sé da troppo tempo.

“Bravo.” ammise l'altro riprendendo a sorridere. “Sì, io possiedo un frutto del diavolo. Lo Spring-Spring.”

“E che tipo di potere ti dona?” domandò curioso il moro.

“Quello di mutare i miei arti in molle. Sono un uomo molla.” rispose seccamente il biondo. Kinji rimase profondamente sorpreso da quella notizia. Aveva sospettato che Bellamy ne avesse mangiato uno, ma non credeva che fosse nel giusto. Un frutto del diavolo! Aveva letto di quei mitici frutti, e sapeva che davano poteri innaturali e potentissimi, ma al prezzo di perdere la capacità di nuotare. Il moro non ne aveva mai visto un possessore di tali frutti all'opera, ma non gli sarebbe dispiaciuta una dimostrazione. Tuttavia, non ebbe il coraggio di domandare a Bellamy di mostrare a lui i suoi poteri.

“Non è svantaggioso? Non saper nuotare intendo.” domandò invece.

“Impari a conviverci.” fu la secca risposta dell'altro. “Se stai attento, difficilmente questa debolezza ti si ritorce contro.”

“Non credo che ne mangerò mai uno.” borbottò il ragazzo. “Ci tengo a nuotare.”

“Sai che me ne importa...” rispose l'uomo.

Tra i due cadde un silenzio pesante ed imbarazzante. Kinji aveva come l'impressione che Bellamy gli celasse qualcosa, altrimenti non capiva il perché di tale astio nei suoi confronti. In tutti quei mesi, per quanto avesse cercato di instaurare un qualche tipo di rapporto con lui, aveva sempre fallito. Respinto dal malumore e dalla freddezza del biondo.

“Perché ti sto così antipatico?” domandò all'improvviso, rompendo il silenzio che c'era tra di loro. Notò che l'uomo si irrigidì all'istante. Come se fosse sulla difensiva.

“Sai osservare, ma non sai capire quando è il momento di tenere la bocca chiusa.” rispose con voce fredda l'altro.

“Ho notato che mi guardi sempre con astio. Perché? Cosa ti ho fatto di male?” insistette il ragazzo.

“Cosa mi hai fatto?” domandò riprendendo a sogghignare Bellamy. “Beh, vedi Kinji, la questione non è cosa tu mi hai fatto. La questione è perché io sono qui.”

Kinji si limitò a fissarlo perplesso. Nel frattempo, il biondo si alzò.

“Ti do un consiglio: smettila di impicciarti del mio passato, renderà tutto più semplice.” detto questo, l'uomo si incamminò nella foresta, lasciando il ragazzo da solo con i suoi dubbi e le sue domande.

 

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