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Autore: Ragazza In Fiamme    19/07/2014    1 recensioni
Mi chiamo Raf, sono un angelo. Quest'anno ho frequentato il secondo anno del mio stage per Custodi, alla Golden School. Pensavo sarebbe stato facile, pensavo che avrei potuto cambiare la mia vita. Reina era ormai fuori dai giochi, avevo trascorso tutta l'estate con un ragazzo, Gabi, credendo di essere riuscita a dimenticare Sulfus e il nostro 'incidente', mi sono divertita con le mie amiche. Ma è bastato uno sguardo, il primo giorno, a farmi ammettere che non è mai stata solo un'illusione. Un demone e un angelo possono amarsi. Noi ci amiamo. Però, mentre prima siamo stati spinti a farlo, siamo stati usati, ora l'intero creato cerca di allontanarci. E distruggerci.
Siamo soli. E in fuga.
Genere: Avventura, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Raf, Sulfus | Coppie: Raf/Sulfus
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Caro diario.

“No non cosí.” alzai la penna dal foglio e sospirai.
La finestra accanto il mio letto era invitante. Non c’era piú luce siccome la notte aveva preso il posto del giorno da almeno un’ora. Spostai la lampada dalla mia scrivania, alla mensola della finestra. Faceva un po’ a pugni con il vetro, dato il poco spazio che c’era, ma una volta attaccata la spina alla corrente e portato la sedia girevole vicino il termosifone, avevo trasformato quel piccolo posticino in un tavolino dove mi sentivo molto piú a mio agio.
La luna era piena quella notte. Era uno spettacolo guardarla. Chissá, magari m’avrebbe dato ispirazione.
Feci un bel respiro e ri-appoggiai la bic sulle pagine del mio nuovo diario.

Caro..qualcuno.
É la prima volta che tengo un diario personale. O almeno credo.
Mi chiamo Sarah.
Credo. Di nuovo.
Ho 16 anni. E di questo ne sono sicura.
Non so precisamente cosa dovrei scriverti.
Giulia dice che potrebbe aiutarmi a esprimere meglio le mie emozioni.
E allora sarebbe meglio cominciare a elencarle tutte. Riavvolgere la storia. Dal capitolo 1.
Bada bene, caro qualcuno, che non saró brava nel descrivere luoghi e persone, non sono una buona scrittrice.
Allora:
Circa un mese fa, mi sono svegliata circondata da occhi.
Quello che riuscivo a vedere, anche per via della mia vista sfocata, erano le dozzine di occhi che mi fissavano, metá inespressivi e metá sbalorditi.
La mia prima memorabile emozione, è stata, la pace.
Mentre sono sicura, che chiunque sarebbe morto di paura al mio posto, io riuscivo a godere solo di un’incredibile tranquillitá.
Ancora oggi non mi spiego il perché.
Comunque sia, quelli che mi osservavano, neanche fossi una provetta da analizzare, erano i miei dottori, che dopo alcuni secondi di shock iniziale, ripresero a svolgere ognuno le proprie mansioni.
Qualcuno mi aiutó a staccare il tubo infilatomi in gola, altri mi alzarono lo schienale, e c’era chi si occupava anche delle cose piú piccole, come portare via vasi di fiori vecchi, aprire le tende per far entrare un po’ di luce e cacciare fuori tutte le persone che non avevano nulla da fare.
A proposito di luce, ricordo il nervosismo che mi venne quando qualche brillante uomo mi punto una lucetta abbagliante dapprima nell’occhio destro, e poi in quello sinistro. E cosí se ne andó quel poco di chiarezza che le mie pupille avevano. Ecco la mia seconda emozione.
Diventó tutto sfocato, ma bastarono alcuni battiti di palpeb per far tornare tutto come sarebbe dovuto essere.
Sentivo la gola asciutta, una gran fame e caldo.
Lo stupore, fu la terza emozione che provai, quando sentii la mia voce.
«Potrei avere qualcosa da mangiare?»
Era roca, spezzata, impastata dal sonno. Non mi pareva molto femminile a dire il vero.
In ogni caso, un’infermiera annuí e venti minuti dopo venne da me con un vassoio piene di cose da mangiare. Dalle dolci, alle salate. Dai cornetti ai salatini.
La fame che avevo in quel momento, beh, non poteva considerarsi un’emozione, ma la gioia che provai e l’appagamento dopo aver finito tutto quel mondo di robe che mi si erano parate sotto il naso, si, quelle si.
Giulia (lessi il nome sul targhettino della divisa) era una donna magra, abbastanza alta, dallo sguardo dolce e tocco rilassante. La trovavo anche molto bella, con i suoi occhi azzurri e capelli corti ma neri. Le incorniciavano il viso dai lineamenti dolci, anche qualche ruga sulla fronte non riuscivo a nom considerarla graziosa, addosso a lei.
Appena finito di mangiare, prese ad accarezzarmi la testa. Senza pormi nessuna domanda. Le ero grata per questo. Mi sentivo in forze, in grado di scalare una montagna ma non di rispondere a cosa personali.
Un’oretta circa, dopo, il mio dottore, Mario, rientró seguito passo passo da 3 uomini in divisa. Polizia.
Curiositá.
Li mi avvolse la curiositá.
«Ciao..ehm..» inizió Mario. Vidi che si morse la lingua e aspetto un secondo o due prima di continuare.
«Loro sono ufficiali della polizia e vorrebbero farti qualche domanda. Seguono il tuo caso da quando ti hanno trovata e dopo 2 mesi finalmente sei riuscita a svegliarti.» si fermó di nuovo.
Forse si aspettava una mia qualunque reazione. Sentii solo di dover annuire.
Il primo di loro, il pelato, cominció. Mentre gli altri due ascoltarono e il terzo nel frattempo, cacció un taccuino e una penna, per annotare ogni mia risposta.
«Sai perché sei qui?»
Scossi la testa.
«2 mesi fa, il 12 Agosto, sei stata vittima di un’incidente stradale..»
Ad un primo impatto credetti che quell’uomo stesse mentendo, poiche nella mia mente non si fece strada nessuna immagine di nessun incidente. Ma la polizia non avrebbe avuto motivo di mentirmi. Ero io. Che non ricordavo.
«..la tua famiglia, mi dispiace tesoro, ma non è sopravvissuta. La tua auto si é schiantata contro quella di un’altra famiglia, e tu e un ragazzo, che siamo sicuri provenisse dall’altra vettura, siete gli unici sopravvissuti. So che é dura. Puoi piangere se vuoi. Ti chiedo scusa per il poco tatto che ho usato nel comunicarti questa notizia..»
Non riuscii a parlare. O a pensare solamente a una frase da poter spiaccicare. Tutti e 3 i poliziotti mi fissarono, anche il terzo, quello alto e moro, si fermo dallo scrivere e aspettó una mia reazione.
La aspettavo anch’io in realtá. Tutte quelle notizie in un minuto mi avevano buttata nella realtá, svegliata completamente ormai dal mio lungo sonno, ma non sentivo di dover versare neanche una lacrima, di dover fare ulteriori domande. Forse era solo confusione, forse ero sotto shock, ma poco mi importava della mia famiglia. Non sentivo legami se non con me stessa.
Il mio dottore prese ad avvicinarsi al mio fianco.
«..quindi» riprese in fine il secondo ufficiale «ci dispiace. Davvero. Ma dovremmo farti alcune domande siccome il caso ancora non si è risolto. Sappiamo che le vittime sono state 4. Due uomini e due donne, ma non siamo stati in grado di identificare nessuna di loro Ne il ragazzo sopravvissuto dell’altra famiglia. Di lui sappiamo solo il nome: Sulfus. Né..te.»
Fece una breve pausa.
«..infine. Potresti dirci qual é il tuo nome e cognome?»
Scossi la testa immediatamente.
Mi strinsi le gambe con le braccia.
Iniziai a tremare.
L’emozione piú grande che provai, fu la paura.
La paura mi pervase completamente, e ora si che sentivo il bisogno di piangere, il bisogno di urlare.
Cercai disperatamente la risposta in ogni angolo della mia mente. Cercai di ricordare chi ero, da dove venivo, il volto di mia madre, la voce di mio padre, dove eravamo diretti, l’ultima immagine immagazzinata. Ma nulla. Non trovai nulla.
Cosi espirai.
Inspirai.
Espirai.
Urlai.


Velocemente, dopo essermi accorta dell’ora che si era fatta, chiusi il diario rimettendolo sotto il materasso e mi spalmai le coperte fino al mento.
Amnesia retrogada era la mia diagnosi.
Non ricordo nulla della mia vita dopo l’incidente ma tutto cio che ho appreso, come scrivere, andare in bici, parlare, si.
La sveglia segnava l’1:38 del mattino.
Ripensare al mio risveglio non era mai bello, ma tanto lo facevo ogni sera, ogni mattina, ogni volta che qualcuno chiedeva il mio nome.
“Sarah, ma non ho un cognome. É un nome provvisorio, finché le indagini non prenderanno una svolta e io e Sulfus avremo una vera identitá, per ora sono Sarah.” rispondevo.
Inutile cercare di nascondere la mia storia. In un modo o nell’altro altre domande sarebbero arrivate e non avrei potuto tirarmi indietro.
01:50.
Ripresi il diario e la penna. Riaccesi la luce. Tanto quella notte non avrei chiuso occhio.

La prima volta che conobbi Sulfus, fu il giorni dopo del mio interrogatorio con le forze dell’ordine. Scoprii che Giulia aveva seguito il mio ricovero passo passo, standomi accanto anche delle notti per non lasciarmi sola e portando, qualche volta, dei fiori freschi per abbellire la mia stanzetta spoglia.
Non sapevo come ringraziarla.
Nel mio cuore era l’unica persona a cui tenevo come una madre.
Quel giorno, le dissero di farmi iniziare la riabilitazione.
Mi aiutó a sedermi sulla sedia a rotelle e stava per portarmi fuori, in modo da prendere un po’ aria e farmi alzare, per ricominciare a muovere le gambe che erano state ferme per ben due mesi. L’incidente non aveva causato gravi danni fisici, all’inizio riportavo ustioni di primo grado sulle gambe e spalle, ma nel sonno sono guarite.
Questo perchè, sia io che Sulfus siamo stati trovati a debita distanza dalle auto carbonizzate.
Non volevo sprecare un minuto di piú, volevo scoprire piú che potevo della mia storia, di chi ero, e di come avevo/avevamo fatto a salvarci.
«Giulia per favore potresti non portarmi fuori?» «Tesoro devi ricominciare a muoverti»
«Lo so, lo so, e lo faró ma prima ti prego, capiscimi, è arrivato il momento di conoscerlo»
«Stai parlando dell’altro superstite?»
«Si»
Giulia sospiró. Mi aveva capita.
«Se prima svolgi tutti gli esercizi, ti ci porto»
«Ma Giulia ne ho bisogno adesso! Per favore»
«É piú importante questo tesoro, cerca di pensare alla tua salute, ne hai passate davvero tante. Il tuo è un miracolo. Ci sará tempo per tutto»
«Le altre infermiere mi hanno detto che domani andrá via, che lui si é svegliato prima e che una coppia ha deciso di adottarlo momentaneamente»
Un altro sospiro. Prima di arrivare all’ascensore che ci avrebbe portato al parchetto pieno di attrezzi dell’ospedale, sentii che era davvero importante parlare con quel ragazzo, cosí strinsi forte i freni delle ruote della mia sedia, costringendoci a fermarci.
«Ehy!» mi rimproveró Giulia. Fece il giro e si abbasso all’altezza del mio viso.

«Lo so che verrá adottato. Sono stata io a convincere quella coppia a farlo. Abitano nel mio palazzo e non hanno figli naturali, ma sono bravissime persone. Potrei chiedergli di venire a parlare con te stesso domani, appena lo incontro.»
Non era quello che volevo. Quindi feci l’unica cosa che mi avrebbe permesso di fare quel che mi piaceva, da quel momento.
«Va bene»
Giulia sorrise e si rimise alla guida della carrozzella.
Prima di ripartire mi abbassai per togliere i pedali che mi sostenevano le gambe e con forza, con tanta forza, che non seppi nemmeno io da dove venisse, mi alzai in piedi.
La mia infermiera si spaventó, e corse al mio fianco. Mi prese per il braccio per aiutarmi e sostenermi.
«No no, non cosí, una cosa alla volta o potresti farti male»
Ma io dovevo farcela.
In piedi riuscivo a stare, anche se sentivo le ginocchia e i piedi formicolarmi quasi da farmi male, ma pian piano mossi un passo.
Bene, avevo il controllo sui miei movimenti.
Tutti il peso del mio corpo si poggió sulla destra, facendomi molto male, ma lentamente il dolore spariva e riuscivo a sentire ogni particella del mio arto. Feci cosi anche con la sinistra, stando attenta a non fare nessuna smorfia di dolore cosí da non far preoccupare Giulia e costringerla a riportarmi a sedere.
Circa 10 o 15 minuti dopo di camminata, ero riuscita a tornare come nuova. Completamente funzionante.
A quel punto, tra lo stupore della mia balia e di alcuni presenti, mi feci accompagnare nell’ascensore e al piano di Sulfus.
Mi sentivo molto eccitata e curiosa all’idea di conoscerlo e parlargli.
Infondo infondo, sentivo anche un legame con lui, per via del miracolo che aveva abbracciato entrambi.
Magari lui ricordava qualcosa.
Avevo un sacco di domande da fargli.
Arrivate davanti la porta 14 del corrioio, Giulia si fermó a parlare con un uomo e una donna che uscirono da quella stessa stanza.
Dovevano essere i tutori, data la confidenza.
Ne approfittai per entrare, bussando lievemente prima.
«Avanti»
E mi feci avanti.
Seduto sul letto in quella stanzina spoglia, per molti versi simile alla mia, trovai un ragazzo bellissimo.
Sulfus aveva i capelli scuri come la notte, neri, e se i miei occhi non m’ingannavano, c’era tra di essi, qualche sfumatura di blu. Non troppo corti, ma nemmeno troppo lunghi.
Qualche ciocca si teneva alzata chissa come, compreso il ciuffo.
Quando mi avvicinai notai i suoi occhi verdi, grandi. Splendidi.
Non sapevo se per la forma o la grandezza ma quasi sorrisi nel vederli.
Infondo a quelli, c’era qualche sfumatura di giallo. Giallo girasole.
Le labbra erano rosse, screpolate. Instintivamente passai un dito sulle mie, ma le sentii lisce e carnose.
La ritrassi subito peró. Era il momento di presentarmi.
«Ciao..»
«Ciao?»
«Non sai chi sono? Non ti hanno parlato di me?»
Capí al volo, poiche le sue pupille si ingrandirono e con un salto, scese dal letto per venirmi incontro.
Mi tese la mano per stringerla, e io ricambiai, ma invece lui l’avvicinó e mi diede un bacio.
Strabuzzai gli occhi tanto dallo stupore. «Sei l’altra ragazza che i Rossi hanno adottato. Piacere di conoscerti, bellezza» e mi fece l’occhiolino.
Eee no, a quanto pare capí male.
«Ma che cosa!» staccai la mia mano dalla sua, infastidita.
«Sono..Anna» fu il primo nome che mi venne in mente. «..l’altra sopravvissuta.»
«Ah.» Sulfus sembró felice, ma curioso, come me, d’altronde. Forse doveva farmi tante domande quante io ne avrei volute fare a lui.
«Ti sei svegliata!» si sedette sul letto, e mi invitó a fare lo stesso. Lo seguii.
«Si, proprio ieri. Nessuno te l’ha detto?»
«No, siccome non sono tuo parente non potevo sapere quasi nulla sul tuo stato. A volte venivo a trovarti, ma non mi lasciavano entrare.»
Sorrisi.
«Grazie..»
«Immagino tu non sia qui per salutarmi soltanto»
«No, si, cioe, si. Allora, appena ho saputo di te volevo venire subito a vedere in che condizioni stavi..se uguali o peggiori delle mie..»
«oh..» rise «grazie del pensiero»
Arrossii.
«Si e..cioe ero preoccupata ovviamente. E poi, non voglio mentirti, ma ho bisogno di farti molte domande.»
«D’accordo, vai.»
«oh okay» mi sistemai a gambe incrociate sul letto, e lui fece lo stesso. Si parò davanti a me. Ero pronta per fargli la prima domanda, ma..può sembrarti stupido, caro lettore, non riuscivo a concentrarmi bene con quegli occhi davanti. Osservavo tutto di lui, intensamente, come se volessi imprigionare quelle immagini nella mia testa prima che potessero svanire. Cercavo di fare in modo che Sulfus non si accorgesse di tutte le attenzioni che gli stavo dando, non so proprio se ci riuscii.
«Innanzitutto mi dispiace..infinitamente..per i tuoi genitori.»
Abbassó la testa.
«Anche a me per i tuoi»
«Tu ricordi qualcosa dell’incidente?»
«Ricordo solo la puzza insopportabile che mi ha fatto aprire gli occhi. Ero dentro la mia macchina, ed ero spaventato. Faceva caldissimo e mi trovavo sottosopra. Non indossavo la cintura quindi ho spaccato con il gomito il finestrino affianco a me e senza guardarmi indietro, sono uscito. In quel momento non sapevo dove mi trovavo. La gamba mi bruciava da morire e appena mi sono allontanato dall’auto, quella ha preso fuoco. Sono rimasto fermo per un po’ a guardare la scena. Ero scioccato. Mi ero salvato appena in tempo. Poi mentre stavo andando via, ho visto la tua macchina, che perdeva tanta benzina e sapevo sarebbe esplosa da un momento all’altro. Mi sono detto di andare a controllare, ma la mia gamba faceva troppo male. Stavo per piangere dal dolore. Poi ho sentito un uomo che gridava aiuto..dalla tua macchina» Non seppi che dire, aspettai che continuasse perché pensavo seriamente..che sarebbe scoppiato in lacrime da un momento all'altro. Invece non fu così. Però potei notare tutta la tristezza che emanava dalla sua voce. E dalle sue mani, le quali si raschiavano a vicenda, l'agitazione.
Mi guardó intensamente.
«Credo fosse tuo padre, Anna»
«E cosa hai fatto?»
«Non sono un vigliacco, sono tornato per aiutarlo, ma la cintura era incastrata e non riusciva ad uscire.»
«hai visto anche mia madre?» Lo interruppi. Lui stacco lo sguardo da me e strinse gli occhi, per poi sbattere le palpebre alcune volte e finalmente, riprendere. Quel gesto mi fece capire che l’aveva vista..e chissá in quale stato.
«Si. E non ho visto solo lei, ho visto anche te. Nel sedile di dietro, svenuta.»
«Sei stato tu a tirarmi fuori? É per questo che ci siamo salvati?»
«Si»
Quelle poche frasi, sentivo che avevano gia cambiato tutto in me.
«Anna..mi dispiace non essere potuto tornare indietro per tuo padre.» disse quasi sottovoce.
Con lo sguardo perso nel vuoto, mi chiesi quali fossero state le ultime parole dei miei genitori. Mi immaginavo mia madre, toccarmi i capelli e sussurrarmi quanto mi voleva bene, mio padre accendere la radio e guardarmi dallo specchietto retrovisore. Le loro mani intrecciarsi, la meta che avremmo dovuto raggiungere. Una vacanza su un’isoletta dell’Italia. Un soggiorno in America, o comunque all’estero.
Avevo perso tutto. Ora lo sapevo. Avevo perso tutto, ed ero completamente sola. Un brivido mi scosse. Se non mi fossi ostinata nel scoprire tutti i dettagli del mio incidente forse ora sarei felice. Per quel poco.
Mi asciugai le altre lacrime che scesero senza che me ne fossi accorta. Alzai lo sguardo e Sulfus lo distolse dal mio viso.
«Di nuovo, mi dispiace per la tua famiglia Sulfus. Posso chiederti dove eravate diretti? O se ci sará un funerale? Ci verrei volentieri se a te fa piacere»
Ci fu un bel minuto di silenzio dopo la mia domanda, che non volevo assolutamente rompere. Forse aveva bisogno di piangere, o di trovare le parole. Oppure ero stata troppo invadente. Troppo affrettata. «In realtá, i corpi dei miei genitori non sono ancora stati identificati. Come i tuoi»
«Come?»
Si alzó dal letto e prese a camminare avanti e indietro, per tutta la stanza.
«Ehm, vedi, nessuno ha riconosciuto i corpi, é un miracolo che siano ancora..»
«..ancora abbastanza intatti. Io non so neanche i loro nomi, non so dove eravamo diretti, non so..nulla. Non so nulla Anna. Mi sono svegliato prima di te, si, ma senza uno straccio di ricordo. Soffro di amnesia dovuta al trauma e alla botta contro l’asfalto. Al contrario tuo sono stato trovato in fin di vita, immerso nel mio stesso sangue.»
Non riuscivo a credere a quello che mi aveva appena detto.
«Questo mi hanno detto. Dopo l'esplosione non c'è nulla nella mia testa. Vuoto. Zero. E insomma..ero ricoperto di sangue..e anche tu. Del mio.»
Non so per quale ragione ma la prima cose che mi venne in mente di fare fu abbracciarlo, forte.
Chiusi gli occhi.
E in quell’abbraccio trovai abbastanza forza per non crollare, dopo aver sentito tutte quelle cose.
Non tornai a sedere dopo, lui si, ma io volevo solo uscire da li e correre nella mia stanza, se le mie gambe me l'avessero permesso, dormire e dormire per ore. Giorni. 
Prima di andarmene peró, gli chiesi:
«Solo un'ultima domanda. Scusami. Come fai a ricordare il tuo nome allora..?»
«É stato..» mi guardó «è stato un istinto. Non so come ma so di chiamarmi cosí.»
Annuii ma c’era qualcosa che non mi convinceva in questo, peró decisi di non immischiarmi troppo. Entrambi potevamo farci del male a vicenda continuando a tornare indietro..nei ricordi di quel giorno.
«Io peró non mi chiamo Anna.» confessai.
«E allora come ti chiami?»
«Non lo so. É stato il primo nome che mi è saltato in testa. Ero indecisa fra questo e Sarah.» Sorrisi. «anche io soffro di amnesia. Quando i poliziotti hanno provato a farmi qualche domanda ho avuto una crisi. Non ricordavo nulla. Non ricordo nulla. Persino il mio nome. So solo che ho intorno ai 16 anni, dai test fisiologici.»
Gli occhi di sulfus erano lucidi.
Il suo sguardo mi diceva che mi capiva e che gli dispiaceva molto, cosa che disse subito dopo.
Ci salutammo con un bacio sulla guancia, i migliori auguri per il futuro, e la speranza che ci saremmo incontrati di nuovo.
In cuore mio speravo davvero di poterlo rivedere. Sentivo un legame con lui, e non debole, ma molto forte. Forse per via dell’incidente, forse perchè anche lui era nel mio stesso stato. Ma durante quei 20 minuti in quella piccola stanzetta con lui, mi sentii meno sola.
Fu cosí che conobbi Sulfus, quel giorno.
«Ah e comunque!» Mi voltai prima di uscire dalla porta 14. «mi piace molto Sarah. Molto di piú.» sorrise, con gli occhi e con le labbra. Gli ricambiai il sorriso.
E fu cosí che creai una nuova identitá.
 
Note:
Ciaaaao. Allora, non so che scrivere. Ssssì. Io mi chiamo Laila, e non sono nuova, anzi, sono un vecchio membro di questo sito, ma era tipo da 3 anni che non entravo. Non ricordo proprio tutti i progetti che avevo fatto per questa storia, ma vabe', vuol dire che creerò di nuovi!
Non ho riletto il capitolo perché sto usando un computer non mio per pubblicare e non c'è tempo! Non sarà facile postare siccome dal mio cellulare non c'è proprio modo (e credetemi, ne ho provaati di modi), ma magari quando andrò a casa di un parente o di un'amica, ne approfitterò! E se OLC (Only love can) vi piacerà, ci andrò giusto apposta ahaha
Detto questo mi scuso per gli errori e per la bruttezza del capitolo ma davvero, non avevo idea di come continuare!
Ringrazio Katherine Stringes per avermi spronata a continuare e, con la sua storia, ad avermi fatto tornare su questo sito :)
Un bacio <3
  
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