Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Francine    19/07/2014    2 recensioni
10 Frittate può sembrare il titolo di un libro di cucina, ma non è così.
In
10 Frittate, con il dieci rigorosamente scritto in cifre, vi mostrerò come noi romani facciamo le frittate. Ovviamente in senso metaforico.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

«Aggeggio infernale!», e giù l’ennesimo colpo contro la parete lucida. Niente, s’è fatta male lei, ma quel coso non s’è smosso di un millimetro.
«Che è successo, signò
«Il solito», risponde la diretta interessata. «Quest’attrezzo si è mangiato i miei soldi!»
«Eh, lo fanno, lo fanno…», commenta l’uomo mentre lei insiste a picchiare quel macchinario. «Permette?»
La donna si scansa e l’uomo poggia una mano sulla superficie fredda, quindi pem!, assesta una gran manata al macchinario, ottenendo il medesimo risultato.
Il distributore continua a lampeggiare il suo messaggio accattivante come se nulla fosse. «Niente. Se l’è magnati, signò. Se vede che c’aveva fame…»
«Ho anche io fame!», protesta la donna con cinquanta centesimi in mano. «Ma io dico! Se non funziona, ci vuole tanto a mettere un bel cartello o spegnere ‘sto coso?»
«E chiamali scemi. Uno non lo sa e continua a metterci i soldi, convinto che funziona. Eh, so’ dei fiji de bona donna, quelli…» 
Il distributore sembra osservarli con disinteresse, come se quei due non stessero parlando di lui. Resta lì, a ribadire il suo asettico invito, Prenditi qualcosa di buono!, che lampeggia in azzurro sul display, e la signora si sente presa in giro.
«Io vorrei sapere adesso come faccio!», si lamenta pigiando in continuazione il pulsante per la restituzione delle monete. Niente.
«Ci vorrebbe un bel baretto!», commenta l’uomo, le mani dietro la schiena, mentre osserva i suoi sforzi. «A Monte Mario ce l’hanno, come pure l’edicola.»
«Già…», replica la donna premendo come un’ossessa il pulsante. Niente.
«Che poi io guardo, guardo, guardo e poi mi chiedo: una stazione ben servita, un posto dove c’è un via vai di gente continuo sarebbe l’ideale per un bar o per l’edicola. Guardi tutti quei bei locali inutilizzati! Che ci vuole ad aprire un bel negozio? Con i ritardi dei treni, una fresca e l’altra, si fa comunque un bell’incasso, e io di incassi me ne intendo, modestamente…»
«Già», replica spiccia la donna, sperando che quel distinto signore con i capelli sale e pepe faccia qualcosa di concreto. Oppure chiuda il becco.
«Pure per gli autisti, dico», continua lui imperterrito. «Quei poveri cristiani arrivano, prendono un caffè, una cosa calda, un tramezzino…»
La donna non gli risponde più neppure a monosillabi; guarda il distributore che ripete il suo accattivante invito e segnala che la temperatura interna si aggira sui diciotto gradi. «Pensi che quando il 97 cambiò capolinea, dieci anni fa, il barista di via Tarsella fece addirittura una raccolta di firme pur di riavere il capolinea davanti al suo bar.»
«Immagino che lei c’era…», scappa detto alla donna, tutta presa a fronteggiare il nemico.
«Sicuro!», risponde lui. C’avrei giurato! pensa lei cominciando a dare segni d’impazienza. «Ho firmato tra i primi, anche se a me, le dico la verità, la cosa non mi riguardava manco di striscio. Io abito alle case bianche di via della Speranza, ha presente? Quelle dietro il cinema. Mi servo alla latteria sotto casa, ma sa com’è, conosco Pino da quand’era un pizzangrillo alto così con i calzoni corti…»
«Pino?»
«Il padrone del bar», specifica, come se la cosa dovesse risultare ovvia. 
«Capisco…», replica la donna, i cinquanta centesimi nella mano destra oramai caldi, mentre spinge ancora il pulsante d’acciaio che entra nel distributore senza che cambi la sostanza delle cose. «Niente. Inutile. S’è proprio mangiato i soldi…»
«Signò, lasci perdere», consiglia l’uomo. «Ormai è andata. C’aveva messo molto?»
«Due euro», risponde estraendo il cellulare dalla borsetta. «Proviamo a chiamare questo numero verde…», aggiunge esasperata.
«Dia retta a me, qui non fa niente nessuno. Una volta uno di questi cosi qui ha fregato dieci euro a mio figlio Gabriele. Dieci, mica uno.»
«A-ah», fa la signora, il telefonino attaccato all’orecchio.
«Ma io gliel’ho detto. “È colpa tua! Guarda me, io mi preparo un panino la mattina e ho risparmiato”. Ci metto dentro gli avanzi della cena, che altrimenti andrebbero buttati. Oppure un paio di pomodori con il tonno. Che ci vuole? Tanto li ho nel frigo, no?», le racconta l’uomo, nonostante lei sia tutta presa ad aspettare che qualcuno risponda dall’altra parte.
«No, dico, ha visto che prezzi? Due euro. Ma stiamo scherzando? Con due euro sa quanti panini mi preparo? Se vado al supermercato che sta su via del Marmo, compro tutto il necessario, pane, tonno, pomodori e mi danno anche il resto! E io dovrei dare due euro a loro? Ma questi stanno fori coll’accuso
La donna non risponde. Ascolta il disco registrato che, con voce meccanica e lagnosa, le dice, in sostanza, che i suoi due euro sono stati incamerati dal distributore, ma che per riaverli potrà inviare un fax al numero… In pratica, spenderebbe più per riavere quei soldi che lasciandoli nella pancia ingorda della macchina.
«Porco Giuda!», si lamenta chiudendo la comunicazione e portandosi una mano alla bocca.
«Allora?» domanda l’uomo. «Che le hanno detto?»
«Che me la pijo in saccoccia!», risponde la donna, non sa nemmeno lei perché. 
Si conoscono forse? No. Nemmeno di vista. Neppure per sentito dire. Anzi, a pensarci bene, non sa nemmeno come si chiama quel signore dai capelli un tempo neri che ha preso con così tanto interesse il suo caso.
«Che le avevo detto? Va sempre a finire in quel posto all’ortolano! Sempre!»
La voce meccanica dell’altoparlante li interrompe e annuncia che il prossimo treno arriverà con dieci minuti di ritardo. 
«C’avrei giurato!», commenta la donna avviandosi verso le scale mobili. «Quando una giornata comincia male…»
«Su, su, non ci pensi. Tanto, si sa, il treno di e un quarto arriva sempre con dieci minuti di ritardo, cascasse il mondo. Puntuale nel ritardo, che paradosso, eh?»
«Già…»
«Che poi io vorrei tanto sapere il perché di questo costante ritardo. Che incontra, quel treno? Le papere e le lascia passare?»
E l’uomo si accoda alla donna sulle scale mobili, sfinendola con le sue chiacchiere.
Ma non si azzitta mai?, si domanda lei sperando che squilli il cellulare, che incontri qualcuno che conosce, che cada un fulmine sulla testa di quel tizio che parla, parla, parla… Che si esauriscano le batterie o che trovi il modo per spegnerlo, qualcosa, insomma, che chiuda la bocca di quel logorroico senza speranza.
Il treno alla fine arriva spaccando il secondo, i passeggeri salgono e la vettura riparte, mentre la stazione ritrova il suo silenzio.
Dopo cinque minuti un rumore di tacchi risuona per l’atrio luminoso. Tac, tac, tac e un paio di gambe lunghe si fermano davanti al distributore incriminato.
Buongiorno! Prenditi qualcosa di buono!, recita la scritta sul display luminoso. La temperatura è di quattro gradi.
«Buongiorno a te!», risponde il ragazzo mettendo le mani in tasca ed inserendo le monete nello scomparto ad una ad una, fino a raggiungere i due euro.
Controlla il numero del prodotto che gli interessa, lo compone sulla tastiera e pigia sul tasto “ok”.
Con un clang delicato la molla si muove, gira piano piano nella scansia metallica e spinge in avanti la confezione di tramezzini pomodoro e mozzarella, che cade con un tonfo morbido nel vano sottostante.
Il ragazzo infila la mano, tasta all’interno della fessura, trova il pacchetto e lo tira fuori. E in quel momento, il ditributore fa clang ancora una volta: nello scomparto del resto è caduta una moneta da cinquanta centesimi.
«Grazie!», risponde il ragazzo intascandosela e ridendo. «A domani, Debora», e si volta verso le scale mobili per andare al binario due. Tempo un paio di minuti e le sue lunghe gambe spariscono alla vista del distributore.
«Debora?»
«Che c’è?»
«Sai che quello che hai fatto va contro ogni logica e contro le regole?»
Se solo potesse, Debora lancerebbe uno sguardo gelido a Sabrina, la collega alla sua destra.
«Ha ragione!», rincara la dose Jessica, addetta alle bevande fredde, forte del proprio nome scritto con la vernice a spray rosso fuoco sopra il vetro di plexiglass. «Le regole sono regole.»
Debora, specializzata in tramezzini e prodotti da forno nei tre comparti superiori, e alimenti del banco-frigo per i restanti dieci inferiori, le sente ronzare con maggiore intensità.
«Essù, chiudete un occhio…»
«Non li abbiamo, Debora…», rimarca Sabrina.
«E comunque sia, hai ripetutamente infranto le regole, interrompendo il servizio di tua spontanea volontà e non per cause tecniche, HK7542J.»
«Eddai, Jessica…»
«E non chiamarmi Jessica, non attacca!»
In realtà, lei non si chiama Jessica. 
Debora, Sabrina e Jessica non sono i nomi di tre ragazzine con la gomma da masticare perennemente tra i denti. Una mattina di Aprile, quando il mondo è troppo bello per sprecare quattro ore tra i banchi di scuola, queste tre hanno fatto sega e hanno comperato le bombolette di vernice spray dal ferramenta accanto al cinema.
Rosso per Jessica, blu cobalto per Debora e argento per Sabrina. Volevano fare dei graffiti sui muri della stazione, ma non sapendo da che parte cominciare, e dopo un paio di tentativi andati male, hanno deciso di scrivere i propri nomi sui distributori automatici della stazione, dimostrando a tutto il quartiere di sapere come si chiamano. E mentre si accingevano a quest’operazione che mescola in sé arte da strada e grammatica italiana, hanno pensato bene di sillabare i propri nomi, così da non sbagliare come ha fatto Massimiliano Catarsi quando ha scritto uno struggente messaggio d’amore di vernice e cemento alla sua bella – ribattezzata per l’occasione Debbora – firmandosi Massimigliano.
E i tre distributori, da poco accesi e ancora inesperti delle cose del mondo, e ubbidienti ai comandi impartiti dagli Uomini, hanno creduto che quelle tre sgallettate li stessero battezzando. Così, HK7542J è diventata Debora, FJ501WA Sabrina, e SMA77l59 Jessica.
«Hai sbagliato. Lo sai. Ma continui a fregartene. Ti picchiano, battono contro il vetro, ti chiedono di vomitare indietro il cibo, ma tu…»
«Adesso basta!», ronza Sabrina mettendole a tacere. «Debora, all’introduzione di monete deve corrispondere l’erogazione del prodotto. Possibile che tu non capisca? Se continui a tenerti i soldi per far quadrare i conti, pensi che nessun utente protesterà?»
«Ma…»
«Debora è la quarta volta questo mese che la ditta manda il tecnico. E io sono stanca», replica Jessica. «Ogni volta ci mettono i secoli per fare le verifiche, mangiano a sbafo e ci rivoltano come pedalini per non trovare niente di niente. Avanti di qusto passo, penseranno che ci sia un bug nel software. E in tutta sincerità, a me non va di essere smontata per il tuo viaggiatore dagli occhi neri!»
«Lo capisco, però… Oh, è che lui mi piace così tanto…», e la temperatura interna di Debora sale a venticinque gradi. «Quando mi accarezza è così… gentile. Ha del riguardo per me. Non spalanca lo sportelletto ed infila la mano in un colpo solo.»
«A me pare solo un po’ tocco…», ronza Jessica.
«E la sua voce, quando mi saluta e mi dice “Buongiorno!” con quell’accento caldo….»
«Adesso basta!» Sabrina alza il brusio. «Debora, smettila o farai saltare la resistenza!»
«Facile a dirsi!», protesta Debora, e la temperatura scende pian piano a venti gradi.
«Ma tu puoi riuscirci. Così, su. Brava, brava. Pensa che se alzi la temperatura rovini gli alimenti. E non vuoi dare al tuo amato viaggiatore un prodotto scadente, vero?»
«No, no… Certo che no», e pian piano la temperatura di Debora torna nella norma. «Però vorrei che fosse chiaro un passaggio…»
«Quale?», ronzano in coro le altre due.
«Antonio non mangia a sbafo. Gli faccio semplicemente lo sconto…»
«Sarà, ma anche così…», interviene Sabrina, quando Jessica impone il silenzio.
«Zitte! Zitte, per carità! Arriva gente!» 
Due suore. Passano davanti a loro parlando in spagnolo, il velo oltre le spalle e un sorriso stampato sui volti olivastri. Tirano dritto di fronte alle tre macchine, che nel recente passato hanno rubato dei soldi a suor Magda – quella più bassa e grassoccia – e salgono anche loro sulle scale mobili, nella direzione per Roma.
E poco dopo, il ronzio dei distributori torna a farsi sommesso, in attesa che il prossimo avventore decida di prendersi qualcosa di buono, nell’attesa di un treno puntualissimo, sì, ma solo quando si tratta di essere in ritardo.
Per cui, amici miei, fate attenzione: se un distributore vi ruba una moneta, non lo fa perché è ingordo, o dispettoso, o non gli piace la vostra cravatta.
Forse, è semplicemente innamorato.

 


Ottobre 2006
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Francine