(15th September)
Fu un viaggio di ritorno
silenzioso, in cui Molly, seduta tra John e Sherlock, fissava davanti a sé con
occhi distanti.
Sherlock pareva oltre il
naturale andamento delle cose, viaggiatore nomade in un mondo di nozioni e
calcoli e riflessioni preclusi anche a chi, come lei, avrebbe volentieri dato
un braccio e una gamba, sacrificato ogni cosa per entrarci una sola volta.
Molly si morse le labbra e
poggiò la testa contro il poggiatesta, ma non riposò né era sonno quello che le
faceva bruciare gli occhi. Era il disimpegno della delusione, qualcosa che tra
le tante conseguenze le faceva dolere la gola e contrarre il petto.
Se anche John lo notò, decise
di sorvolare e non fece commenti.
A Baker Street oltrepassarono
l’ingresso, immerso nel buio e nel silenzio, e salirono le rampe di scale
quietamente.
Una volta nel 221B, John si
lasciò cadere sulla sua poltrona con un tonfo e un gemito affaticato. Si
massaggiò il collo, allungando le gambe in avanti. Dunque riaprì un occhio e lo
fissò su Sherlock per valutarne gli intenti. “Be’,” disse scoraggiato,
“immagino di dovermi preparare, giusto? Quanto tempo mi dai prima di uscire di
nuovo?”
Molly si mosse per superarli,
non volendo mostrare quella specie di disappunto, no di più, era dispiacere e amareggiata rassegnazione, che sentiva
allargarsi dentro di lei.
Nel passargli accanto, Sherlock
le sfiorò il polso, ma furono le sue parole a frenarne i passi. “Non questa
notte, John.”
John inarcò le sopracciglia,
ma non si lamentò per quell’insperata serata di riposo. Inclinò la testa,
guardando entrambi come se fossero lettere mozzicate e gli spazi tra loro
quelli di un rebus da risolvere. “Molly?”
Tutto a posto?,
sembrava chiedere. Devo restare?
Sherlock inspirò pesantemente
e Molly poteva sentire la tensione irradiata da lui come se fosse la propria. “Buonanotte,
John,” disse e fece un cenno rassicurante, di conferma.
*
Sherlock chiuse
attentamente la porta. Si prese del tempo, sfilandosi il Belstaff e
appendendolo.
Seduta sulla sponda del
letto, Molly osservò le sue manovre senza fiatare fino a quando lui, capitolando
di fronte alla sua perseveranza, si voltò ad incrociare il suo sguardo attento
e deciso con uno che lo era ugualmente, ma in modo più sottile e interessato e
contrariato.
“Cosa è cambiato?”
domandò Molly senza preamboli.
“Era ovvio che te ne
saresti accorta.” Dal tono che aveva utilizzato era impossibile stabilire se ne
fosse contento o, al contrario, infastidito.
Molly sollevò il mento,
stringendo i pugni e formando delle pieghe tra le lenzuola. “Non sono cieca,
Sherlock. Avrei dovuto esserlo per non notare la mobilitazione intorno a me,
quindi sputa il risposto. Cosa ti preoccupa?”
C’era un limite a tutto,
compresa alla comprensione. Perciò cosa?
Doveva saperlo. Cosa era stato sul punto di dirle,
al Future, prima che il messaggio di John lo interrompesse? Cosa lo tormentava?
Tu.
Gli occhi di Sherlock le
percorsero il viso come se intendessero divorarla, fagocitarla nell’infinità
dei suoi.
L’acciglio di Molly si
spianò appena, la sua smorfia si addolcì in una piega meno insistente,
battagliera. “Ci sono stati nuovi sviluppi, vero? Cos’altro hai scoperto?”
Di
nuovo quel lampo
indecifrabile. Sherlock le si avvicinò, si sedette accanto a
lei, così vicino da sfiorarla, ad un tiro di schioppo. “Mi
occorre
che tu ti fidi di me un’altra volta. Puoi farlo?”
Per un istante, Molly si
limitò a guardarlo. Nella frazione di secondo successiva, mormorò: “Sempre.”
Era esattamente quello
che entrambi si erano aspettati l’uno dall’altra.
“Ti ringrazio.”
“Sarò meglio che tu lo
faccia,” lo redarguì Molly con un sorriso poco sentito, plastificato nel suo
voler apparire faceto. Cercò la sua mano e gliela strinse. “E anche che tu ricordi cosa mi hai detto. Proteggi te
stesso come proteggeresti uno di noi.”
Sherlock le rivolse un
sorriso che non gli raggiunse gli occhi. Quelli rimasero torbidi, ombreggiati
dai pensieri che lo assillavano. Lui le prese il mento con il pollice, si chinò per baciarla con
forza e Molly glielo lasciò fare. C’era tempo per chiarirsi. Ci sarebbe stato, domani. Questa
era la sua speranza. E la sua paura.
*
La mattina successiva,
Molly si svegliò sola nel letto, la parte di lui fredda con le lenzuola
malamente rabberciate in un tentativo di riordinamento. A tentoni cercò gli
occhiali sul comodino e li inforcò, tirandosi a sedere e sgranchendosi.
Accanto al cuscino c’era
un ciondolo, il suo ciondolo, e non
era più annerito, ma come nuovo, lavoro di oro pallido e ricami di filigrana. Lo
prese e lo indossò, cercando di non pensare a quanto riaverlo la rendesse
malinconica. Amava quel ciondolo, lo aveva sempre amato, era l’ultimo regalo di
suo padre, l’unico ricordo di sua madre, ma rappresentava anche una serie di
momenti non propriamente felici. Era il simbolo dei suoi lutti, delle sue
perdite, di vecchie cicatrici e dolori. Riaverlo era un po' come riviverli. Un
pensiero sciocco, perfino puerile; così sciocco che Molly si alzò in fretta e ricacciò indietro il groppo, costringendo il volto in un’espressione
tranquilla.
In salotto li trovò tutti
e tre in vestaglia, con borse sotto gli occhi e i volti stropicciati. Ovviamente
non Sherlock che aveva un bagel in
una mano e un giornale nell’altra. Era sciatto, per niente elegante e semisdraiato
in una posizione impossibile, ai piedi aveva delle babbucce persiane; i capelli
erano una massa nera e scarmigliata che lui non si era ancora dato pena di
sistemare.
Molly lo trovò
irresistibile e si allungò per rubargli un pezzo di bagel. Lui la redarguì con
uno sguardo e un colpetto del giornale su un fianco e lei rise, prima di
chinarsi nuovamente, questa volta per rubargli un bacio.
Lo
sentì irrigidirsi e raddrizzarsi, buttare all’aria il giornale e il bagel,
sentì l’imprecazione di John e la risata di Mary, il gorgoglio di Katie e poi
ci furono solo le mani di Sherlock sul collo, dietro la nuca, che trafficavano
con il suo elastico. Senza quasi accorgersene si ritrovò con i capelli sciolti,
arruffati attorno al viso e sulle spalle e con Sherlock che li trapassava da
parte a parte come se volesse districare nodi inesistenti. Ed erano carezze così
gradevoli che lei si ritrovò a mugolare per il piacere.
John imprecò di nuovo.
“Vi prego,” lo sentì dire implorante.
Molly si tirò indietro
con un sorriso talmente spiccato che le sembrò impossibile riuscire a
contenerlo.
“Buongiorno,” disse
Sherlock, gli occhi da gatto luminosi come fari e le passò una tazza,
prendendola dal tavolino del caffè.
“Buongiorno.”
“Di sicuro lo è per
voi,” commentò Mary.
“Ti addentri in un
territorio pericoloso, Mary,” la avvertì John.
“Ma non mi dire. Quanto
pericoloso?”
Visto che l’argomento
metteva a disagio tanto lei quanto John, la conversazione slittò su altro. “Quindi?
Com’era il caso?”
Molly si morse le labbra per non ridere. “Noioso,”
scandì perentoria. “Si è scoperto che Miss Doran si nascondeva da Lord Simon,
come ipotizzato da John.”
“John aveva ragione? Sul serio?” Mary lanciò
un’occhiata a John che le puntò contro l’indice.
“Non essere così sarcastica, moglie.”
“O?”
“O potrei –”
Il lamento di Sherlock li interruppe.
“Siete disgustosi quando fate così, ne siete coscienti?”
“Questo perché non puoi vedere la tua faccia quando
Molly indossa gli occhiali,” ritorse John. “Non credevo
avessi un tipo.”
“Malgrado tutto amo il mio amore,” disse lui, come se
citasse una battuta teatrale, riaprendo il giornale e scorrendo le testate. “È
così sbalorditivo?”
Lo era. Improvvisamente l’aria sembrava molto più calda e
tutto molto più grande. Molly voltò di scatto la testa verso la finestra, come
se volesse accertarsi del tempo, le guance coperte dalla cortina di
capelli sciolti.
“Perché si nascondeva?” domandò Mary.
“La famiglia di lui le ha fatto pressioni perché lo
lasciasse, offrendole una cospicua somma di denaro,” rispose Sherlock annoiato.
“Miss Doran ha accettato per pagare i debiti del precedente compagno di letto.”
“Non chiamarlo così, caro. È disdicevole.”
Molly strabuzzò gli occhi. Sbagliava o John aveva
davvero appena imitato Mrs. Hudson?
“Lord Simon sopravvivrà,” rimarcò Sherlock. “Ha una
tenuta di 200 ettari a sostenere la fantomatica infelicità del suo cuore
spezzato.”
*
(17th September)
Tutto iniziò davvero con la scomparsa di Toby. Da quel
momento la situazione mutò, prendendo una direzione drastica. Successe da un
giorno all’altro, di punto in bianco, al modo peculiare in cui soltanto i cataclismi
riescono a precipitare.
Il pomeriggio andava digradando in una serata fresca e
ventosa, con le ombre ancora tiepide e le pietre del muro divisorio del
giardino di Mrs. Hudson che emanavano un calore riposante. Quel calore
attraversava il tessuto leggero della maglietta che Molly indossava e
scioglieva i nodi di tensione nella schiena e nelle spalle, intanto che lei si
abbracciava le gambe, come aveva fatto un’estate di tanti e
tanti anni prima, in un cimitero di campagna in Irlanda.
Molly batté le palpebre, riavendosi dal mare nebuloso
che aveva in testa. Nessuno era venuto ad avvertirla.
Il sole era tramontato e Sherlock era ancora fuori,
chissà dove con John, a combattere le ombre.
Con un sospiro, Molly si alzò e si ripulì i pantaloni
dal terriccio.
Mrs. Hudson le sorrise quando entrò nella sua cucina,
porgendole un bicchiere alto di tè ghiacciato. “Pomeriggio piacevole, Molly
cara?”
Molly prese un sorso, ringraziandola. “Ho liberato
l’angolo sotto il muricciolo dalle erbacce e domani –”
“Non dovresti sforzarti,” la interruppe Mrs. Hudson ed
il tono, così come la mano che le accarezzò il braccio, era pieno di affettuosa
premura.
Molly avrebbe voluto dirle che non era gentilezza la
sua, non questa volta. “Non ho altro da fare.” Era la pura, semplice verità. I
ragazzi avevano ricominciato ad andare a scuola, Wiggins e Victoria era di
nuovo scomparsi per quelle cosiddette ‘questioni in sospeso’ con Sherlock e Mary
aveva ripreso a lavorare. Solo Katie era con lei, ma, per quanto adorabile, una
bambina di appena pochi mesi non era esattamente il tipo di compagnia che –
“Cara, non vorrei allarmarti.”
Quando Mrs. Hudson diceva di non allarmarsi, ecco, pensava Molly, era il momento di
farlo.
“Non vorrei allarmarti,” proseguì Mrs. Hudson, “ma hai
visto Toby? Ieri sera non è rientrato dalla sua uscita serale.”
Molly cercò di rassicurarla, ma prendendo Katie e
salendo nell’appartamento per preparare la cena, non riuscì a ricacciare la
sensazione di malessere che aveva provato tutto il giorno.
“Toby è scomparso.”
Non un battito di ciglio o un guizzo di muscolo, il
respiro di qualcosa di minimo. Niente. Né sorpresa né preoccupazione. Molly
sentì il cuore sprofondarle ai piedi.
“Te lo riporterò,” disse Sherlock.
Molly annuì, ma sapeva riconoscere una bugia e sapeva
riconoscere ancora meglio il bugiardo che l’aveva creata.
*
(18th September)
Mrs. Hudson affacciò la testa nella camera da letto di
Sherlock e la chiamò. Sorrideva, anche se per qualche ragione sembrava si
stesse sforzando di nasconderlo. “Molly cara, puoi scendere un attimo? C’è
qualcosa che vorrei mostrarti. È in salotto.”
Molly guardò esitante Katie. Dormiva tranquillamente,
stesa su un fianco, nella sua tutina giallo sole.
Mrs. Hudson afferrò al volo. “Rimarrò io con lei.”
Molly la ringraziò. Nel salotto trovò Wiggins e
Victoria. Wiggins esibiva un sorriso falso e un gatto tra le braccia, un gatto
grigio e bianco come Toby, ma che non lo era. Quando lui glielo tese e lo
presentò come Toby, Molly lo guardò in faccia, sicura di aver frainteso, ma
Wiggins insistette e lei si rese conto di aver capito, ma lo stesso di non
capire affatto, neanche un po’.
“So riconoscere il mio gatto e quello non è Toby.
Chiedi a Sherlock, anche lui ti –”
“Holmes lo ha già riconosciuto, Molly,” si intromise
Victoria. Qualcosa nel suo sguardo le diceva di soprassedere, di prendere quel
dannato gatto che non era Toby e ringraziare e ‘per l’amor del cielo, taci’.
Di nuovo quella sensazione, di estraniata e furibonda incredulità.
“Molto bene.”
*
Lo aspettò alzata, incapace di dormire, facendo avanti
e indietro e costretta a tenersi vicino quel gatto che assomigliava a Toby, ma non lo era. Rivoleva il suo gatto e
soprattutto voleva sapere perché le avessero dato quel sostituto. Era una
farsa? Faceva parte di un piano? Qualunque fosse la risposta, non le importava.
Quando lui entrò, fu come se i giorni precedenti non
fossero mai esistiti. Aveva di nuovo l’aspetto di uno spettro in pena. Era teso
ed irritabile.
Molly non si lasciò intenerire dal pallore, era sempre pallido, dalle occhiaie, aveva sempre dormito poco e male, dal
modo in cui prima di accorgersi di lei si stesse sfregando gli occhi con le
dita, come per disperdere la stanchezza.
Sherlock la vide, in piedi nell’angolo opposto della
stanza, e si fermò.
“Rivoglio il mio gatto. Non ti ho mai chiesto niente
in passato. Ti chiedo questo: voglio indietro Toby.”
Lui si mosse verso il letto. Gettò il Belstaff sul
pavimento, seguito dalla giacca, scalciò via le scarpe e cominciò a sbottonarsi
i polsini della camicia. “La restituzione del tuo gatto e poi cos’altro vorrai,
Molly?”
“Non so cosa tu stia combinando, ma se verrà torto un
solo pelo a Toby –”
Lui voltò la testa per dedicarle uno sguardo
sprezzante e crudele da sopra la spalla, uno che non le mostrava da molto
tempo. “Sì, Molly, sei credibile quanto una formica nelle tue minacce.”
‘Minacce’, lo vide mimare con le labbra in un’eco
muta, quindi sgranò gli occhi e la fronte si spianò come sarebbe successo ad uno
scienziato pazzo illuminato dal lampo creativo dell’ennesima invenzione o
scoperta. “Molly Hooper, sei un genio!” esclamò e la afferrò per i fianchi,
trascinandola in una giravolta frenetica. Il resto sembrava averlo dimenticato.
Molly cercò di staccarsi, lui non glielo permise. “Lo
sono? Cioè, lo sono, ma per cosa
esattamente?”
“Ritroverò il tuo gatto, ma fino a quel momento –”
“Io rimarrò qui a Baker Street,” concluse lei,
adombrandosi.
Sherlock sollevò un angolo di bocca in un sorriso che
lei avrebbe voluto schiaffeggiare. “Brava ragazza.”
*
(19th September)
“Sul serio, mia cara, sei troppo accomodante con lui.
Gli ci vorrebbe una bella strapazzata,” dichiarò Mrs. Hudson.
“Molly non è accomodante, è comprensiva,” replicò
Mary.
“La comprensione è fatta per Dio, a quel che dicono,”
disse Victoria.
“E per le donne.”
“No, credo che nel nostro caso si tratti di pazienza.”
Molly avrebbe voluto davvero che la smettessero. Fu
quasi tentata di farglielo presente, quando un propizio scampanellio la
distrasse dal proposito.
Un minuto dopo Wiggins saliva le scale con un grande
pacco indirizzato a lei. Nessuno ne fu stupito. Negli ultimi mesi per riempire
il tempo aveva fatto incetta sui siti di acquisti online. Lo stesso, Molly
aggrottò le sopracciglia. Non ricordava di aver ordinato niente nell’ultimo
mese, a meno che non si trattasse di un ordine che era andato smarrito o di un
pacco mandato da qualcuno. Lo portò in camera da letto sotto gli occhi prudenti
di Mary, che l’aveva seguita come un’ombra fedele. “Posso?” chiese, indicando il
pacco.
Molly annuì.
Mary esaminò il pacco, tastò il cartone come se fosse
un serpente pronto ad aizzarsi contro di lei, quindi lo aprì. Dentro c’era una
pelliccia o meglio, quello che si rivelò essere –
“Un costume da gorilla.” Molly era allibita, Mary solo
divertita.
“Ci deve essere stato un errore nella consegna.”
Mentre lo diceva le sovvenne l’idea che non si trattasse di un errore, le
indicazioni postali erano troppo precise. Accarezzò il pelo e prese la maschera
in mano. Fu allora che notò il biglietto all’interno. A Mary pareva essere
sfuggito.
“Uno scherzo,” si sforzò di ridere Molly. “Deve
trattarsi di Meena.” Una parte di lei pregò che lo fosse.
“A meno che non voglia che tu partecipi alla maratona
di domani, non vedo a cosa potrebbe servirti. Manca ancora un mese ad
Halloween.”
“Maratona?” Molly chiese con cautela. Cautela, ci
voleva cautela, si disse, cercando con le dita il biglietto.
Mary non rilevò i suoi movimenti. “Quella che parte
dalla LUC della Minster Court. Percorre cinque miglia intorno alla City.”
Molly continuò ad accarezzare la pelliccia. Sì, ne
aveva sentito parlare ovviamente, la maratona di volontari. “Gorilla sul Tower
Bridge. Deve essere uno spettacolo.”
Aspettò che Mary fosse occupata ad allattare Katie,
andò in bagno e prese il biglietto che aveva intascato. Le sue mani erano
ferme, non tremavano e di questo fu grata. Le sue erano mani di un chirurgo, si
sforzò di ricordare.
Sul biglietto c’erano delle istruzioni. ‘Seguile alla
lettera, Molly - mouse’, diceva, ‘se non vuoi che uno di loro perda un dito o
un braccio o il cuore, a mia discrezione.’ Le istruzioni erano precise. La mattina
del 20 settembre alle 10:30. Era firmato con una M e Molly si chiese cosa
dovesse fare, cosa potesse fare. Aveva poche ore per decidere, poche ore
soltanto.
‘O che facciano la fine del tuo gatto.’
*
“Tieni. È quello che mi avevi chiesto, no?”
John gli porse il ciondolo annerito che aveva trovato
nel cassetto del comodino della sua vecchia camera da letto. Odiava quello che
aveva fatto, rovistare tra gli oggetti personali di Molly, odiava Sherlock per
averglielo chiesto e odiava ancora di più se stesso per aver accettato.
Lui lo prese senza un ringraziamento e John fece
una smorfia. Prego, amico, è stato un
piacere.
Sherlock gli concesse un’occhiata quasi inesistente
nella velocità con cui tornò ad osservare il finestrino del taxi. “Smetti
quell’aria offesa, John. Non ti ho chiesto di frugare nella sua biancheria.”
Maledetto idiota.
Nda:
Ora entriamo nel vivo. Il prossimo capitolo è pura
azione. Sarà l’ultimo capitolo prima dell’epilogo, perciò sì, altri due e poi i
giochi sono chiusi.
Vorrei scusarmi per la lentezza con cui ho aggiornato
questo capitolo e anche il precedente, ma ero in una specie di blocco, no
togliamo pure la ‘specie’, ero in blocco o crisi o che dir si voglia. Anche quando
ho scritto l’ultimo capitolo lo ero e in effetti si nota (la prima parte l’avevo
scritta in un periodo buono, la seconda, da Lord Simon in poi, in questa settimana e mezza di black-out).
È un capitolo che ho abbastanza odiato scrivere e infatti manca di quell’ispirazione
che mi ha animato per tutto il corso d’opera (corso d’opera, xD, che megalomane
che sono).
Spero che questo sia valso l’attesa. Nel prossimo
capitolo comparirà finalmente Moran. A chi amasse gli spoiler, consiglio di
cercare in rete il significato della carta del Fante di picche.
http://www.greatgorillarun.org/faqs.html
La maratona esiste e io personalmente la trovo un’idea fantastica. Sul serio,
gorilla sul Tower Bridge! A chi non piacerebbe?
Altre domande: che fine ha fatto
Toby? Perché hanno
dato a Molly un finto Toby? Sherlock credeva sul serio che Molly non si
sarebbe
accorta dello scambio? Cosa vuole Moran? Cosa ha aggiunto nel
biglietto? Mary
davvero non ha notato niente? I ringraziamenti sono d'obbligo. Siete
fantastiche. Nonostante il caldo, il sole, il mare trovate sempre tempo
per commentare e di questo vi sono grata. Siete meravigliose e vorrei
avere più parole a mia disposizione per espremere il concetto,
ma non ne trovo di abbastanza belle o buone. Fa troppo caldo per un
abbraccio? ;)