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Autore: G K S    20/07/2014    1 recensioni
- Cosa significa essere pazzi?
- Cosa significa stare rinchiusi in una stanza bianca?
// Parlo di una stanza munita di sbarre alla finestra in una soffocante oasi di pace priva di qualsiasi umanità realmente palpabile, priva di luce, priva di vita. //
Forse significano la stessa cosa ma non si può... scappare?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Si passa alla terza persona,
potrà sembrarvi strano, ma vi assicuro che il risultato è quello giusto,
ora c'è l'identità centrale!
Recensite lettori silenziosi!! *minaccia* ehehe <3






O d i o





Diciassette anni e proprio di niente da raccontare, o meglio, niente di bello da raccontare. Era quello che avrebbe dovuto dire alla giovane signora Stovyn l’ultima volta che era venuta a parlare con lui.
«Sono la tua psicologa Nathan, voglio che mi dici quello che pensi di tutto quello che ti è successo.»
«Non voglio.» Era freddo, come sempre.
«Perché no?»
«Perché io la odio, ecco perché.» Lui stava imbacuccato nella camicia di forza, seduto a terra in un angolo della stanza imbottita e non riusciva a sentire suo neanche il suo nome ormai, era freddo come il marmo, come tutto il resto della sua vita d’altro canto.
«Tu non mi odi.» Disse la signora Stovyn sorridendo sotto gli occhiali a mezzaluna: «Tu credi di odiarmi perché appartengo a quest’ambiente, perché odi tutto questo, non odi me.»
«No.» Rispose lui appoggiando la testa al muro freddo: «Io la odio proprio perché mi fa schifo come persona.»
«D’accordo.» Disse la donna alzando le mani: «Allora per cortesia spiegami Nathan per quale ragione sono così odiosa.»
«E perché dovrei?» Lei sospirò amaramente: «Per parlare. Ti fa bene parlare.» Quel tono di voce così comprensivo... era insopportabile.
«Tutto qui? Non mi pare una ragione abbastanza convincente.»
«Perché sì Nathan.» Disse la signora Stovingnon dando un’occhiata al suo orologio: «Perché te lo sto chiedendo, dimmi perché mi odi, avanti.» Alzò lo sguardo dall’orologio e increspò in un sorriso la bocca rosea, Nathan abbassò lo sguardo e sentì uno degli occhi riempirsi di lacrime.
Chiuse gli occhi cercando di non pensare, cercando di reprimere quella sensazione d’affetto che sentiva di provare per quella donna.
Quella sensazione che odiava.
«Ho diciassette anni.» «Diciotto.» Lo corresse lei pazientemente.
«Diciassette anni e la mia vita è finita, così, da un giorno all’altro.»
Nathan alzò lo sguardo e vide che lei aveva aggrottato le sopracciglia in un cipiglio sia dispiaciuto che al contempo, come sempre preoccupato: «Non dire così...»
«Perché no? Lei guarda il suo l’orologio che ha al polso, mentre a me non è dato sapere neanche che diavolo di giorno è oggi, io mi sento... mi sento morto, lo riesce a capire questo?»
Lei abbassò lo sguardo e si portò una mano a tamponarsi la sua bocca rosea e viva; quella donna nel suo camice bianco era la cosa più viva che Nathan potesse vedere da un anno a quella parte, non riusciva quasi a capacitarsene.
«Sà perché lei guarda l’orologio signora Stovyn? Lei guarda l’orologio perché quando avrà finito di ascoltarmi andrà a casa sua, abbraccerà i suoi figli, preparerà la cena, aspetterà che suo marito ritorni dal lavoro e poi cenerete tutti insieme, guarda l’orologio perché lei ha una famiglia, una vita, tutte cose che a me sono state negate e portate via per sempre.
Io la odio perché lei è viva, non è di plastica come questa stanza, ne tanto meno costretta dentro una camicia di forza. La odio perché dovrebbe avere il buon senso!» Gridò Nathan in lacrime, disperato, con tutto il fiato che aveva in corpo: «Di non chiedermi perché la odio!»

 
  
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