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Autore: _Leviathan    21/07/2014    4 recensioni
Frank Iero e Daisy Snowdon sono migliori amici. Frequentano il liceo a Westwood, nel Minnesota, e hanno un compito da portare a termine: Scattare delle fotografie che facciano vincere loro il concorso di fotografia della scuola.
Daisy è sicura di aver trovato la location perfetta: L'ex Ospedale Psichiatrico di Westwood.
Solo nel momento in cui Daisy e Frank si recheranno lì, si renderanno conto che quel luogo nasconde un terribile segreto.
Genere: Horror, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bandit Lee Way, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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***Buonsalve! Sono viva, sono viva, yay! (?) c: 
Eccoci qua con un altro capitolo e i soliti ringraziamenti, che però non sono mai abbastanza. Un grazie immenso alle persone adorabili che hanno commentato la storia con le loro recensioni, e anche a coloro che l'hanno aggiunta tra le preferite/seguite/ricordate. 
Bene, siete morte d'ansia abbastanza? Eccone un'altra dose :3 
Meow***




Capitolo 4.





- Daisy! Daisy, dobbiamo andare! –
Mi rigirai nel letto mugugnando qualcosa che con un po’ di fantasia poteva somigliare ad un “che cosa c’è?”
In risposta Frank mi tirò per un braccio fino a che non riuscii a mettermi più o meno seduta sul materasso.
- Fraaaank… –
- Daisy ti prego alzati, dobbiamo andare! –
Era disperazione, quella che sentivo nella sua voce?
Corrugai le sopracciglia e mi misi a sedere un po’ più diritta. Lo guardai in faccia per qualche istante.
Si, era disperazione.
- Frank, cosa succede? –
- Smettila di chiedermi cosa succede, NON NE HO IDEA! Succede che là fuori va tutto a puttane D, e noi dobbiamo andarcene di qui ORA! –
Mi ritrassi istintivamente da lui, gli occhi sgranati e la bocca aperta senza che riuscissi a produrre una minima parvenza di suono. La sua espressione mutò improvvisamente, e Frank tornò ad essere il mio Frank.
- Scusami. Oddio, scusami, non volevo. –
Mi passai velocemente la lingua sulle labbra, annuii. Poi mi alzai dal letto e indossai i jeans abbandonati lì per terra. Presi lo zaino e me lo misi sulle spalle, poi uscii dalla stanza.
Tutto questo senza dire una parola.
Frank mi inseguì e mi bloccò prima che riuscissi a sgattaiolare giù dalle scale.
- Daisy, scusami. Non volevo, ma sono sconvolto. –
- Se là fuori sta andando tutto a puttane come dici, allora sta andando a puttane anche il mio mondo. C’è la mia famiglia là fuori.
Si morse il labbro inferiore.
- Non riusciremo ad andare da tua madre. –
- Che cosa stai dicendo?! –
- Non c’è tempo. Chiamala, dille di prendere le sue cose e di andarsene da qui, ora! –
- Frank, non lo farebbe mai. Non se io non sono con lei. Ma potrebbe…  –
- No, non può niente, deve andarsene ora. –
- Frank ragiona! Se le dico di venirci a prendere ce ne andremo tutti! –
- Ma non deve venirci a prendere. Per arrivare a casa mia bisogna passare per forza dalla zona dell’Westwood Hospital Center, dove è cominciato tutto. E… non ne uscirebbe viva. Daisy, quella cosa che c’era nell’ospedale psichiatrico… penso che abbia passato una specie di virus a quegli agenti di polizia feriti. E loro lo stanno diffondendo. –
Rimasi paralizzata per un lasso di tempo che mi parve infinito.
- E tu come lo sai? – Okay, non era esattamente la cosa che ci si sarebbe aspettato avrei detto dopo una storia come quella. – Voglio dire, mi hai appena detto che non ne sapevi nulla! –
- Ho guardato il telegiornale. Te l’avrei detto dopo, ora non c’è tempo. –
Riprese a tirarmi per un braccio, ma ancora non mi lasciai guidare. Davvero pensava che l’avrei seguito così, senza che mi dicesse nulla?
- Frank. Non posso. Io devo andare a prenderla. –
Si morse il labbro. Non sapeva cosa fare.
- Ti prego. –
- Daisy… -
- Se tu non vieni andrò da sola. –
Si avvicinò e mi prese il viso tra le mani, guardandomi fisso negli occhi.
- Ti prometto che ci andremo, te lo giuro. Ma ora non possiamo. E’ più grave di quello che pensi. Sono già morte tantissime persone, e noi non abbiamo nulla con cui difenderci. Non ci resta che nasconderci e aspettare. Ma ti prometto che poi ci andremo. –
- Ma poi sarà troppo tardi. –
- No, se la avverti. –
Corrugai la fronte e me ne stetti in silenzio per qualche istante.
- Dove stiamo andando? –
- Mio nonno aveva costruito una specie di… bunker, in giardino. Andiamo lì. Chiama tua madre finché c’è ancora campo. –
Annuii e presi il telefono cellulare dalla tasca dei jeans. Composi il numero di Rachel e attesi.
- Ti prego, ti prego rispondi. –
Nulla. Il cellulare squillava a vuoto. Partì la segreteria.
Decisi di lasciarle un messaggio.
“Ehi, Rachel, sono io. Devi andartene da questo posto il prima possibile, adesso. Lo so che sembra una cosa da pazzi ma ti prego, ti prego di ascoltarmi e di fidarti di me. Vattene il più lontano possibile, vai-via-da-Westwood. Io sono con Frank. Starò bene.
Ti voglio bene, mamma.”
La voce mi tremava, non avevo mai avuto così tanta paura in vita mia.
Riposi il cellulare nella tasca dei jeans.
Frank si era già incamminato.
- Frank? –
Si fermò e si voltò verso di me.
- E se le è successo qualcosa? –
Scosse la testa. – Non penso. La zona in cui abiti tu è lontana dall’ospedale. Probabilmente sta ancora dormendo. –
- Allora sarà meglio che si svegli in fretta. –
Frank annuì e si voltò di nuovo.
- Frank? –
- Cosa c’è? –
- Dobbiamo andare a prenderla. –
- Non abbiamo i mezzi D. E uscire a pedi sarebbe come suicidarsi, lo sai. Mi dispiace…  –
Mi morsi il labbro inferiore. Sospirai. – Okay. – Sussurrai. Annuii un paio di volte cercando di convincermi che sarebbe andato tutto bene, senza molti risultati, comunque.
- Ehi. Andremo da lei.
Frank allungò una mano verso di me. Per circa un minuto rimasi a guardarla come se fosse un serpente velenoso. Non capivo cosa dovevo fare. Non sapevo quale sarebbe stata la scelta giusta. Mi ero sempre fidata ciecamente di Frank, ma quel giorno c’era una parte di me che non voleva lasciarsi convincere.
Il mio corpo era bloccato. Diviso nella parte di me che avrebbe voluto correre via, e in quella che avrebbe voluto seguire Frank. La parte emotiva e quella ragionevole. Le due forze, di egual potenza, si annullavano, rendendomi completamente incapace di muovermi.
I miei occhi verdi si fissarono in quelli nocciola di Frank. Mi guardava come implorandomi, urlandomi silenziosamente di andare con lui, di fidarmi di lui.
Strinsi la sua mano, e insieme ci dirigemmo in giardino.
Era uno scenario apocalittico. La città, nei pressi dell’Westwood Hospital Center, andava letteralmente a fuoco. Nubi di fumo si sollevavano dai palazzi, urla e scoppi provenivano da ogni parte.
Mi ero bloccata, di nuovo. Non avrei mai pensato di essere così debole.
Lì, nel giardino che sarebbe rimasto tale ancora per poche ore al massimo, mano nella mano con Frank, gli occhi sgranati, non riuscivo a muovere un muscolo.
Non capivo come ciò che avevamo visto nell’ospedale psichiatrico potesse collegarsi a tutto questo. Sembrava molto più un attentato terroristico.
Deglutii. Mi sentii tirare per il braccio, e allora mi ricordai dov’ero e cosa dovevo fare. Seguii Frank.
Ci fermammo sul retro del giardino, dove lui lasciò andare la mia mano per aprire una botola completamente coperta d’erba. Non l’avevo mai notata, e in effetti sarebbe stato impossibile farlo.
- Forza D, scendi. –
Annuii. Misi un piede sulla scaletta che portava giù nel rifugio, poi un altro e un altro ancora, finché non toccai il suolo. Poco dopo arrivò anche lui. Fece luce con la torcia che avevamo utilizzato l’altra notte nell’ex ospedale psichiatrico, e accese la luce dopo aver illuminato l’interruttore. Era tutto arrugginito, doveva avere almeno cinquant’anni. Mi meravigliai che funzionasse ancora.
Frank salì di nuovo la scala e chiuse la botola.
Eravamo completamente isolati. Non si sentiva più alcun rumore provenire da fuori.
Mi guardai intorno. L’abitacolo doveva misurare al massimo quattro metri per tre. Tutto quello che c’era erano una brandina e uno scaffale colmo di cibo in scatola e bottiglie d’acqua.
Andai automaticamente verso la brandina e mi ci buttai sopra. Pensai che probabilmente era stata la forza d’inerzia a farmi muovere, più che la mia vera e propria forza di volontà.
Frank mi raggiunse, si sedette sul bordo del letto e si prese la testa tra le mani. Subito pensai che stesse per mettersi a piangere. Non l’avrei biasimato, in effetti non avevo idea del perché io stessa non avevo ancora pianto.
Poi però abbassò le mani sul materasso. Sbuffò. Cercò di farmi un sorriso, anche se più che un sorriso quella cosa sembrava più una smorfia di dolore.
Si stese di fianco a me. Mi prese la mano, e sospirò. Guardavamo entrambi il soffitto bianco coperto di muffa.
- Eccoci qui. Io, te, e il mondo che va in fiamme. – Sussurrò. Era davvero stremato.
- Sono contenta di essere qui con te. Sei l’unica persona che avrei voluto vicino in un momento simile. – Avevo parlato a voce talmente bassa che subito non fui sicura che lui avesse sentito. Ma l’aveva fatto, certo. Eravamo distanti solo pochi centimetri.
Si voltò su un fianco e mi guardò. Feci lo stesso.
- Daisy, voglio che tu sappia questo. Qualunque cosa succeda, io ci sarò e mi prenderò cura di te. Vedrai, ce la caveremo. –
Annuii ed appoggiai la fronte contro la sua. – Mi fido di te. –
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto.
– E’ tutto così assurdo, Frank. Vorrei solo svegliarmi. Svegliarmi e tornare alla normalità. Questo è solo un brutto sogno. –
- Non è un sogno, Daisy. –
 
 
 
La prima cosa di cui mi resi conto quando mi svegliai, era che mancava la luce.
Frank era ancora di fianco a me. Lo chiamai, e dopo qualche leggero scossone e un paio di mugolii aprì gli occhi.
- Frank? –
- Mmh? –
- Hai spento tu la luce? –
Mi resi conto subito dopo aver pronunciato quelle parole che la domanda era insensata. Ci eravamo svegliati esattamente nella posizione in cui ci eravamo addormentati, sdraiati l’uno di fianco all’altra, mano nella mano. Frank non si era mosso da lì per tutto il tempo.
- No…. –
Appunto.
Si alzò e si stiracchiò un po’. Poi, aiutandosi con la luce della torcia, si diresse verso l’interruttore. Schiacciò tutti i pulsanti ma non successe nulla.
- Merda, dev’essere andata via l’elettricità. Devo andare a controllare. –
Avevo sentito bene?
- Frank, no. –
- Devo.
Sbuffai e mi misi le mani sui fianchi. – Non fare l’eroe, non ce n’è bisogno. Vuoi davvero rischiare di rimanerci secco per una cosa del genere? –
Frank mi guardò con un’espressione che sembrava voler dire: “Quali-sono-i-tuoi-problemi-donna?” –  Devo solo mettere la testa fuori da questo rifugio D, non mi succederà niente. E poi è necessario per vedere cosa sta succedendo là fuori. –
Provai a ribattere, ma mi zittì all’istante. – Lo sai che ho ragione. –
Controvoglia, annuii e lasciai perdere. Si, sapevo che aveva ragione e sapevo anche che era impossibile cercare di smuoverlo dalla sua decisione.
Mi alzai dalla brandina e presi la torcia che teneva in mano, illuminai la scaletta
mentre lui saliva.
Con un po’ di fatica sollevò la botola. Il mio cuore accelerò i battiti improvvisamente. Avevo paura di quello che avrebbe visto.
- Oh, cazzo. –
- Cosa? – Avevo il cuore in gola.
Chiuse la botola e tornò giù. Non avrei saputo descrivere l’espressione sul suo viso. Ma era pallido, troppo.
- Beh, hai presente com’era la città prima, no? –
Annuii, la fronte corrugata. Non si prospettava nulla di buono.
- E’ ancora in quello stato, ma è molto… peggio. La zona colpita si è estesa a dismisura. Un’immensa nube di fumo oscura completamente il cielo, se non avessi il cellulare non sarei in grado di dire che ore sono. Manca l’elettricità dappertutto. E… la mia casa. E’ stata incendiata. Non è rimasto molto. –
Mi portai una mano alla bocca. Non era possibile. Tutto questo era troppo. Mi prese un capogiro, mi tenni in piedi attaccandomi allo scaffale del cibo.
Non riuscivo a parlare. Sapevo solo che stavo per piangere.
Abbracciai Frank e lo tenni stretto per quello che parve un lasso di tempo infinito. Qualcosa di caldo bagnò il mio collo. Lacrime. Stava piangendo anche lui.

 

 
 
 
Giorno 01.
 
Ho trovato un vecchio block notes e una matita, mi sto facendo luce con la torcia. Tra poco dovrò spegnere, io e Frank dobbiamo conservare la poca batteria rimasta.
I cellulari sono morti, sappiamo solo che sono passate poco più di ventiquattr’ore da quando siamo qui. Tra poco non riusciremo neanche più a distinguere i giorni.
La nube di fumo in cielo sta svanendo a poco a poco, ma ancora non ci fidiamo ad uscire. Non sappiamo cosa sia successo, perciò non abbiamo idea di come attrezzarci. Sappiamo solo una cosa: Tutto questo ha a che fare con l’essere dell’ex ospedale psichiatrico. In che modo, ci è sconosciuto.
 
 
 
Giorno 02.
 
Io e Frank abbiamo appena mangiato.
Cibo in scatola.
Fa schifo ma non mi sento assolutamente nella posizione di potermi lamentare. Anzi, penso di essere una delle cittadine più fortunate di Westwood.
Che fine hanno fatto quelli che conoscevo? Qualcuno di loro è ancora vivo? E’ assurdo pensare che solo tre giorni fa era tutto normale, e che ora la situazione è questa. Si rischia di diventare pazzi.
Vivere qui dentro sta diventando faticoso.
Per fortuna sono con una delle persone che più amo al mondo.

 
 
Giorno 03.
 
Oggi io e Frank usciremo da qui.
 
   
 
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