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Autore: PapySanzo89    21/07/2014    4 recensioni
Seguito di A Little Ray of Sunshine.
One shot non per forza collegate tra loro, stralci di vita di Sherlock e John con Sunshine.
Insomma, nella terza stagione hanno detto che sarà una bambina e io gongolavo troppo. u.u
NOTE: parentlock
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Beta: Yoko Hogawa
Rating: fluff, introspettivo (più o meno XD)
 
 
Senza ‘se’ e senza ‘ma’…
 
 
 
 
Sherlock corre sotto la pioggia battente e da lontano vede il suo portone e la scritta 221B illuminarsi sotto  la luce giallognola dei lampioni. Ha avuto un caso e l'ha risolto poco prima che iniziasse il diluvio, rimanendo fuori casa per tutta la sera e tornando solo a notte inoltrata. Per questo, nonostante abbia solamente voglia di salire, gettare i vestiti alla rinfusa a terra ed entrare nel bagno a farsi una doccia il più velocemente possibile, sale le scale con passo leggero ed entra il meno rumorosamente possibile, stando attendo a non svegliare John e la bambina al piano di sopra. Non appena mette piede in casa e si spoglia del cappotto, lasciandolo gocciolare nell'atrio – sapendo perfettamente che la cosa non renderà molto felice John – nota un piatto coperto da uno straccio e un conciso bigliettino di raccomandazioni: mangia.
Sotto un disegnino di Sunny che lo salutava e gli diceva di ascoltare il papà.
Sherlock sorride nella penombra della cucina e, anche se non ha fame, mangia un boccone di fretta e scappa in bagno ad asciugarsi sommariamente.
Sente dalla finestra le gocce che battono furiosamente contro il vetro e un tuono spezza il silenzio della notte.
Per un attimo si chiede se Sunshine stia dormendo serena o meno e l'idea che sia agitata lo fa preoccupare, così getta la camicia bagnata nel cesto della lavatrice e sale al piano superiore stando attento a non far scricchiolare gli scalini.
Quando arriva fuori dalla porta rimane un attimo fermo a fissare la maniglia e il pensiero che lo ha accompagnato per tutto il giorno (e che lo ha rallentato durante il caso) gli ritorna alla mente.
 
Domani saranno nove anni che Mary è morta.
 
E Sherlock sente la pesantezza di quella giornata piombargli addosso. Perché è stupido, perché è veramente tanto stupido e non si è mai – mai – sentito così stupido in tutta la sua vita. Nemmeno (a pensarci ora) quando non si è dichiarato a John anni e anni addietro per timore di un rifiuto.
Perché non può avere pensieri del se lei fosse ancora viva? Perché sa perfettamente che è un discorso senza senso e che John odia quando si ferma a pensare a queste cose. Ma Sherlock, quando il giorno dell'anniversario si avvicina, non riesce a fare a meno di pensarci. Se Mary ci fosse ancora, la bambina che c'è dietro quella porta adesso non sarebbe sua. Non sarebbe con lui. Non la vedrebbe ogni giorno e non la vedrebbe crescere. Non lo chiamerebbe papà.
E Sherlock si chiede come avrebbe potuto sopportalo.
Scuote la testa e abbassa la maniglia, curiosando in quella che una volta era camera di John e che adesso è la camera di Sunshine. È (com’è ovvio che sia) totalmente diversa rispetto a prima. La carta da parati è stata tolta per lasciare posto a un tinteggiatura uniforme color lilla, il letto è stato cambiato e disposto vicino la finestra, ci sono più mensole, giocattoli e DVD dei cartoni che spuntano da ogni dove, libri di scuola sulla scrivania, fogli A4 sparsi a terra o attaccati al muro con puntine da disegno, i pattini sotto il letto vicino allo zaino con la stampa di una qualche ragazzina famosa di cui Sherlock non conosce davvero l’identità. L’unica cosa che rimane della vecchia camera di John è l’armadio color legno chiaro. L’unico oggetto che pare far ricordare al detective a chi appartenesse quella camera prima.
 
E come sarebbe stata se…
 
Un rumore lo fa voltare e vede Sunny girarsi nel letto, scoprendosi quasi del tutto dalle lenzuola e finendo pericolosamente vicina al bordo.
Sherlock la raggiunge in un paio di falcate e la prende per il busto, riadagiandola in mezzo al letto con delicatezza. Per un attimo si chiede da chi abbia preso il sonno così agitato, ma John saprebbe perfettamente a chi dare la colpa.
«…Papy?»
Sherlock sospira e si volta a guardarla.
«Torna a dormire Sunny, sono solo venuto a vedere se andava tutto bene.»
La bambina si riappoggia pesantemente contro il cuscino e si stropiccia gli occhi.
«Lo ha fatto anche papà prima.»
Sherlock fa un mezzo sorriso, era una cosa assolutamente ovvia.
Prende le coperte e le tira sopra il letto, nascondendo la bambina sotto le lenzuola e facendola ridere e dimenare. Anche a Sherlock scappa una mezza risata e, sebbene siano le tre di mattina, continua a giocare con Sunshine finché la bambina non allunga le braccia e va a circondargli il collo, tirandolo verso di sé. Il consulente capisce l’antifona e le si siede accanto, facendola abbarbicare sopra al suo petto.
Ringrazia che domani sia domenica o John non gliel’avrebbe fatta passare liscia l’averla tenuta sveglia a quell’ora.
Comunque Sunshine non ci mette molto ad addormentarsi nuovamente e Sherlock può sentire il respiro pesante direttamente contro la propria pelle e la manina di Sunny artigliargli l’avambraccio nel sonno.
Mia, pensa Sherlock e la circonda con un braccio, accarezzandola lievemente e passandole poi le dita tra i capelli sciolti.
Quella bambina è sua in modi che anni addietro non avrebbe mai potuto nemmeno immaginare. Ricorda ancora la prima volta che l’ha chiamato papà e quegli occhioni blu si sono focalizzati nei suoi. È uno dei pochi ricordi sentimentali impiantati nel suo palazzo mentale che non ha intenzione di cancellare per nulla al mondo. Ricorda la prima volta che ha visto John farle il bagno e il primo giorno di scuola, ricorda di non essersi sentito affatto pronto. Insomma, lui, Sherlock Holmes, alle prese con una bambina. Santo Cielo, non era in grado di prendersi cura di se stesso, figuriamoci di qualcun altro. Ma c’era John. E il motivo per cui lui riusciva a fare la maggior parte delle cose era proprio per John. E c’era così tanto di John in quella bambina che ha pensato che avrebbe potuto farcela.
Per ora, nessuno lo ha smentito. O, perlomeno, non lo hanno fatto né lei né John, e questo è l’importante.
E se può vantarsi di avere una tale figlia, è sempre grazie a Mary.
Mary, di cui non riesce a liberarsi nemmeno dopo tutti quegli anni e a cui comunque deve qualcosa. Più di qualcosa, a dirla tutta.
Accarezza ancora i capelli e la schiena di Sunshine finché non è totalmente sicuro che si sia addormentata e poi la sposta, adagiandola sul materasso e coprendola, rimettendole sul letto il suo orsacchiotto di pezza (un regalo di Molly) caduto a terra e infine esce, richiudendosi delicatamente la porta alle spalle.
La pioggia sta pian piano cessando e lui sente l’impellente desiderio di raggiungere camera sua e poggiarsi contro John, sentendo il suo calore e togliendosi il freddo dal cuore e dalle ossa.
Scende nuovamente gli scalini facendo attenzione, passa dalla cucina prendendo il bigliettino di suo marito e sua figlia e lo appende al frigo con la calamita a forma di pugnale, dirigendosi poi silenziosamente in camera.
John, rischiarato dalla luce della lampada sul comodino lasciata accesa, si è addormentato con gli occhiali da vista addosso e un libro sul petto, in una posizione apparentemente scomoda, metà seduto e metà disteso. E Sherlock si sente davvero a casa. Perché John ha provato ad aspettarlo ma alla fine ha ceduto (come al solito) e si è addormentato, perché John è suo, suo e dannatamente suo, ora e per sempre.
E sa che John prima o poi (Mary o meno) sarebbe tornato da lui. Lo sa. O, perlomeno, tenta di saperlo. Perché erano destinati a stare insieme. Perché il primo giorno al Bart’s si sono visti e si sono riconosciuti. E anche se Sherlock Holmes non crede minimamente nel destino, John è un qualcosa di troppo importante per non credere in qualcosa.
E chiaramente non glielo dirà mai a voce.
Avrei potuto non vederlo mai così. E lui avrebbe potuto aspettare qualcun altro e non me, addormentato su un altro letto.
«John.»
Sherlock ha raggiunto l’altro lato del letto senza nemmeno accorgersene e ha appoggiato una mano sulla spalla del dottore, scuotendolo piano.
«John.» riprova ancora, e questa volta John sbatte piano le palpebre e gli occhiali gli cadono dal naso.
«’lock. Che ore sono?» chiede con la voce impastata dal sonno e sbadigliando, massaggiandosi gli occhi con indice e pollice.
Ma Sherlock non risponde, semplicemente lo guarda e vede le rughe d’espressione formarsi attorno agli occhi e alla bocca di John quando alza il viso a guardarlo con espressione stranita non sentendo risposta.
«È successo qualcosa?» John è improvvisamente vigile e attento e il sonno sembra essere sparito, alza una mano per afferrare quella di Sherlock e il consulente lo lascia fare, sedendosi sul letto appena sente John tirarlo a sé.
«Sherlock?» adesso il tono è preoccupato e Sherlock non vuole far preoccupare John. O almeno, non in determinate situazioni.
Si sente una carogna per il pensiero che ha fatto, ma è felice che Mary non ci sia più, anche se le piaceva, anche se le aveva quasi voluto bene. Ma John è sopra ogni altra cosa.
Sporge le braccia, gli circonda il collo - il dottore lo guarda di nuovo con aria stranita - e poi lo bacia.
John rimane per qualche istante sorpreso, non sapendo cosa fare. Sherlock non lo sveglia mai, solitamente rimane addirittura sul divano per non disturbare (siccome dopo o durante un caso non dorme), ma alla fine alza le braccia e le porta a circondargli la schiena; sente la pelle nuda freddissima e si chiede dove diavolo sia stato fino quel momento, poi si ricorda di aver sentito rumore di pioggia prima di addormentarsi, quindi forse si era preso tutto il diluvio tornando a casa.
John si sposta e alza le coperte, facendo entrare Sherlock in quel bozzolo caldo e aiutandolo a togliersi i pantaloni.
Sherlock trema dal freddo e John tenta di scaldarlo come può, con le coperte, col corpo, coi baci e Sherlock ricambia, aggrappandosi a lui come poche altre volte ha fatto.
John sa che c’è qualcosa che non va, ma non ha tempo ora; ne parleranno dopo, ora deve solo occuparsi di Sherlock e togliergli dalla testa i brutti pensieri.
 
°oOo°
 
Sherlock, stremato e sudato, si accascia contro il materasso e si stringe a John che gli è sopra e non lo ha lasciato andare nemmeno per attimo.
Ora ha caldo. Ora sta bene. Ora si sente un po’ più idiota di prima per i pensieri inutili ma molto più felice.
«Sei un idiota.»
Sherlock alza lo sguardo verso John e sporge la testa di lato, non connettendo subito a che cosa l’altro si stia riferendo.
«Tu pensi, anzi no, sei sicuro che io sia così cieco da non accorgermi di certe cose, ma fidati, quando si parla di famiglia, io mi accorgo di tutto, solo che molte volte lascio correre.»
Sherlock si immobilizza per qualche secondo e John sorride, scendendo a baciargli uno zigomo.
«In questo periodo dell’anno diventi sempre più taciturno e rompipalle del solito. Non ho detto niente perché è evidente che tu non ne voglia parlare. E sai perché non me ne vuoi parlare? Perché ti darei del coglione. Cosa che in questo momento sei, per intenderci.»
Sherlock si morde il labbro inferiore e cerca di sdrammatizzare.
«Sappi che ho tutti gli estremi per chiederti il divorzio. Non si tratta così il proprio marito.»
John lo guarda con un mezzo sorriso e scuote la testa, alla fine si abbassa a sussurrare all’orecchio di Sherlock.
«Avrei scelto te. Sempre. E ti ho già spiegato il perché.»
E Sherlock è tornato serio, perché di certe cose non riesce proprio a riderne, non con John, che capirebbe subito che sta mentendo comunque.
«Lo so.»
«Bugiardo.» John gli bacia l’orecchio e Sherlock si rilassa. «Ma immagino di non poter piantare un pensiero in quella tua testa dura, quindi lascia che ti ami ora per come siamo e smettila di farti assillare dai dubbi. Non si vive di se e di ma.»
Sherlock annuisce e si sposta di lato per fare spazio a John che si appoggia su un fianco e poi allunga un braccio, invitando Sherlock a raggiungerlo. Il detective gli si poggia addosso e rimane in silenzio, ad ascoltare i battiti accelerati del cuore di John.
«Dovresti dormire un po’, Sherlock. Domani sarà una giornata lunga.»
Il detective inarca un sopracciglio e alza lo sguardo dal petto di John per portarlo agli occhi del dottore.
«Domani ci aspetta il luna park con Hamish. Spero non te ne sia dimenticato.»
E il sorriso di John al momento è la cosa più sadica che Sherlock abbia mai visto in anni di convivenza.
«Non esiste al mondo che faremo una cosa simile.»
«Oh, sì invece, la sveglia è tra quattro ore e dobbiamo passare da casa di Hamish, ti ricordo che hai dato il consenso qualche notte fa.»
Sherlock apre la bocca e la richiude. Ha troppi improperi da dire per farli uscire tutti in una volta.
«Le cose dette a letto abbiamo detto che non valgono!»
John scuote la testa.
«Tu l’hai detto, io non sono mai stato d’accordo. Quindi è meglio che riposi, non sia mai che non riesci stare dietro ad un ragazzino di nove anni. Chissà cosa potrebbe fare alla nostra povera Sunshine.»
E John scoppia a ridere talmente forte alla faccia indignata di Sherlock da doversi coprire la bocca con una mano per non svegliare la bambina al piano di sopra.
«Vado a dormire sul divano.»
E John ride ancora più forte, afferrando Sherlock per un braccio e riportandolo a letto, baciandogli le labbra imbronciate quando finalmente riesce a smettere di ridere.
«Ti amo, idiota.» dice John con le lacrime agli occhi dalle risate e spingendo di forza Sherlock contro il materasso. «Anche se ogni tanto sei molto più idiota di tante altre persone.»
«La causa di divorzio sarà salatissima.»
John ride a bassa voce e torna a baciare Sherlock con lentezza.
Sherlock gli circonda le spalle e pensa che è vero, che erano destinati a stare insieme, che a volte (ma molto, molto, molto raramente) è un idiota, ma è un idiota stramaledettamente fortunato.
 
 
 
 
 
 
NOTE:
E’ tanto OOC ma sono una famigliola quindi insomma, spero non vi abbai dato troppo fastidio :3
   
 
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