Prologo:the
drops of rain they fall all over
15 settembre 2013
La pioggia batte monotona sulle
finestre di casa nostra,
nessuno si cura di abbassare le tapparelle: abbiamo una colf che
pulirà i vetri
fino a farli scintillare domattina.
Anche se non avessimo una colf il clima nella stanza è
troppo teso perché qualcuno si muova e faccia qualcosa.
Mia madre è seduta sul divano bianco del salotto, indossa
un abito bianco con i bordi neri di Chanel, fuma elegantemente una
sigaretta
con le gamba accavallate.
Nei suoi occhi di ghiaccio non c’è niente,
né
comprensione né amore, solo gelida furia. May è
seduta su una poltrona davanti
a lei e io su un’altra poltrona.
“May, cara, potresti ripetermi quello che hai
detto?”
Interrompe il silenzio con una domanda dal solito tono
salottiero.
“Mamma, sono incinta e non so chi sia il padre.”
“Complimenti, deficiente.
Pensavo che l’unica fonte di problemi in questa casa
fosse quella pazza di tua sorella, invece mi sbagliavo. Pensavo che
almeno tu
fossi normale, frequenti le feste, hai gli amici giusti, pensavo di
essere
riuscita a insegnarti qualcosa.
Contano solo i soldi, tesoro e una buona reputazione.
Tu non puoi e non devi avere un bambino, ne va dell’onore
della famiglia.
Domani chiamo il mio ginecologo di fiducia, così
abortirai e poi potrai conoscere il tuo futuro marito, che è
assolutamente
favoloso.”
Il che significa che è una faccia di culo che ama solo i
soldi e il lavoro e se ne frega della famiglia.
“No, mamma.
Innanzitutto sono incinta di quattro mesi e non posso
abortire e anche se potessi non lo farei. Io voglio tenere questo
bambino.”
May abbassa la testa, lasciando che i suoi lunghi capelli
biondi le coprano la faccia.
“Alza la testa, voglio vederti in faccia, cretina!
Ripetimi quello che hai detto.”
“Sono incinta di quattro mesi e voglio tenere il
bambino.”
Lei la guarda gelida, fa venire la pelle d’oca quando fa
così.
“Prego?”
“Voglio tenere il bambino.”
Lei spegne la sigaretta con un gesto secco.
“Bene, allora va in camera tua e impacchetta le tue cose.
Non c’è più posto per te in questa
casa, non farti mai più rivedere.”
May si alza e se ne va in camera, ora tocca a me.
“E tu, puttanella inutile?
Andrai a letto con Deanna?”
“NO!”
Lei mi guarda ancora più furiosa di prima.
“Cosa?”
“Hai capito bene: NO!
Non sono lesbica e non voglio fare esperienze del genere,
nemmeno per ottenere un lavoro.
Quella donna può andare a farsi fottere per quanto mi
riguarda!”
Lo schiaffo arriva inatteso.
“Non parlare così e fai quello che ti dico! Hai
già
rovinato abbastanza questa…”
“NON ME NE FREGA UN CAZZO! HO SEMPRE CERCATO DI FARE COME
VOLEVI TU E QUESTO E’ IL RISULTATO! ADESSO FACCIO QUELLO CHE
DICO IO!”
Le urlo in faccia, ma lei non si scompone.
“L’ho sempre saputo che eri inutile, Sophie, adesso
per
favore vattene da questa casa e non tornare mai
più.”
Dopo averle lanciato un ultimo sguardo carico d’odio vado
in camera mia e comincio a impacchettare tutte le mie cose. Carichiamo
tutti i
nostri averi nella macchina di May e poi cominciamo a chiamare i nostri
amici.
Abbiamo bisogno di qualcuno che ci ospiti mentre
cerchiamo un lavoro e un nuovo appartamento, ma questa richiesta sembra
impossibile da soddisfare.
Qualcuno ha già l’appartamento pieno, qualcuno
aspetta i
parenti, altri dicono che non vogliono immischiarsi.
Insomma, dopo il temporale quando il sole fa capolino su
New York giusto per tramontare, non abbiamo un posto dove andare.
“Ho fame.”
Borbotta May.
Io guardo i soldi nel portafoglio, ovviamente possiamo
permetterci un Mac Donald, ma non bastano per una caparra per un
appartamento.
Scendiamo dall’auto per mangiare e mentre mangiamo i
nostri hamburger capiamo che quelli che per anni abbiamo chiamato amici
in
realtà non lo erano, erano solo persone che ci accettavano
per i nostri soldi e
per il nostro cognome.
Finito di mangiare, torniamo in macchina, May si tiene
protettivamente la pancia tra le mani, come se qualcuno potesse farle
del male.
“May, davvero non sai chi sia suo padre?”
“No, non lo so. A un certo punto della festa ho preso una
di quelle pastiglie che ti mandano fuori di testa e da allora non mi
ricordo
cosa sia successo, probabilmente ho anche scopato con più
persone.”
“Ecco, perché hai fatto il test per
l’aids.”
Mi dico.
“Esattamente e sono stata fortunata che nessuno di loro
fosse sieropositivo.”
“Che cazzo facciamo?”
“Proviamo ancora a chiamare domani.”
E così finiamo per dormire in macchina.
La mattina dopo siamo piene di dolori, continuiamo a
chiamare persone per tutto il giorno, ma sembra che nessuno ci voglia.
Il jet set ci ha preso a calci in culo e ci ha fatto
capire che non siamo degni di loro.
Alla fine del secondo giorno il sole tramonta ancora e
non abbiamo più fame.
Mia sorella guarda meditativa il fumo della mia sigaretta
che sto fumando fuori dalla macchina, sembra che stia pensando a
qualcosa.
“Cosa c’è, May?”
Le chiedo quando rientro.
“C’è un’unica soluzione,
Sophie.
Dobbiamo andare in California da Wendy.”
“Non ci vorrà mai.”
“Io dico di sì e poi ormai non abbiamo scelta,
nessuno ci
ospiterà qui a New York.
Nessuno.”
Io sospiro.
“Hai ragione.”
Con gli ultimi soldi rimasti prenoto due biglietti di sola andata per
San Diego
e incarico un’azienda di trasporti di portare tutto
all’indirizzo di Jack.
La mattina dopo diamo al camion dell’azienda i nostri
scatoloni e poi andiamo all’aeroporto, carichiamo le valige
che abbiamo fatto
ieri sera.
Quando chiamano il volo per Los Angeles il mio cuore
salta un battito.
E se anche Wendy non ci volesse?
Angolo di Layla
Eccolo, il seguito.
Spero che qualcuno commenti o non so se aggiornerò (odio
queste cose, ma ci sono rimasta male per le zero recensioni).