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Autore: Princess Kurenai    04/09/2008    5 recensioni
Sei una schiava. Non hai diritti, hai solo doveri. Elimina la tua personalità. Cancella sogni e desideri, non ti è permesso averli. Devi assoluta fedeltà al tuo padrone, solo a lui e a nessun altro. Devi sempre tenere alto l'onore della famiglia del tuo padrone. Devi sempre accettare tutto ciò che ti viene ordinato, dall'irragionevole all'umiliante. Tieni sempre la testa bassa. Non incrociare mai lo sguardo del tuo padrone: è una mancanza di rispetto. Sei una schiava e sempre tale resterai. {Partecipante al Contest GaaraHinata}
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sabaku no Gaara , Neji Hyuuga
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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.: Dorei ~ Schiava :.

Sei una schiava.
Non hai diritti, hai solo doveri.
Elimina la tua personalità.
Cancella sogni e desideri, non ti è permesso averli.
Devi assoluta fedeltà al tuo padrone, solo a lui e a nessun altro.
Devi sempre tenere alto l'onore della famiglia del tuo padrone.
Devi sempre accettare tutto ciò che ti viene ordinato, dall'irragionevole all'umiliante.
Tieni sempre la testa bassa.
Non incrociare mai lo sguardo del tuo padrone: è una mancanza di rispetto.
Sei una schiava e sempre tale resterai.
A Hinata erano sempre state imposte quelle rigide regole sin dalla sua più tenera infanzia.
Era nata da una relazione clandestina del capo famiglia della nobile casata degli Hyuuga con una povera cameriera.
Era una figlia bastarda, la cui presenza era inopportuna e incomoda, nonostante non fosse mai stata riconosciuta dalla figura paterna e nonostante la sua crescita fosse stata sin da subito impostata per
diventare una schiava, come sua madre.
La sua infanzia, infatti, era trascorsa tra tremende punizioni per la sua sbadataggine e inettitudine che causavano ritardi o disastri nel servire.
Era troppo delicata per poter sostenere duri e massacranti lavori.
Troppo debole per sopportare i castighi che le venivano imposti, alleviati soltanto dai segreti aiuti che il suo fratellastro le dava appena poteva.
Neji era il suo unico amico che, sin da piccolo, si era sempre dimostrato serio e posato - così come voleva la rigida dottrina degli Hyuuga - ma anche onesto e fedele, con un odio smisurato verso le tirannie del padre, soprattutto su quel delicato angelo che considerava, nonostante tutto, sua sorella.
Hinata si sentiva protetta e solo: in sua presenza, diventava quasi più sicura di sé, ed era disposta a sopportare tutto per restare con il fratellastro.
Gli schiavi non potevano avere desideri ma lei ne possedeva uno: restare per sempre con Neji.
Quello dimostrava quasi che lei non era una serva in realtà, ma che era un bozzolo dal quale un giorno sarebbe nata una farfalla, libera e bella.
Quel desiderio però era rimasto intatto solo fino al suo sedicesimo anno d'età.
Hinata era diventata una ragazza stupenda nonostante la sua situazione e la guerra, che per due anni aveva visto il lento declino delle forze di Konoha.
Quella sconfitta era pericolosa per chi, come gli Hyuuga, possedeva molte ricchezze e suo padre, Hiashi, ne approfittò subito pur di non perdere la sua posizione privilegiata come nobile, prodigandosi per stringere un prezioso patto con la famiglia più ricca dei nuovi padroni di Konoha, i Sabaku provenienti da Suna.
Un patto che vedeva compreso anche un dono: una sua schiava.
L'uomo riuscì in questo modo a liberarsi dell'incomoda presenza di una figlia bastarda nella propria dimora e a ottenere le grazie dei Sabaku con un solo colpo.
Dalla sua Hinata, si ritrovò catapultata in una nuova realtà, lontana da Neji e dalla casa nella quale era cresciuta.
Conosceva già di fama i suoi nuovi padroni. Erano famosi non solo per le loro ricchezze - quasi pari a quelle degli Hyuuga - ma anche per alcuni racconti, cresciuti quasi come leggende durante la guerra e che non erano poi così tanto falsi.
La famiglia era composta da sette persone.
Vi era Temari, la maggiore dei figli. Una giovane e bella donna dal carattere sicuro e forte e un po' calcolatore, che con le sue grazie e la sua intelligenza, straordinaria per una ragazza, era riuscita a conquistare e sposare un ricco banchiere di Kita, Kakuzu.
Quest'ultimo era un uomo già adulto che aveva visto molte cose dalla vita, impossessandosi di numerose ricchezze. Aveva un aspetto spaventoso, causato dalla sua altezza e dalle varie cicatrici che costellavano il suo corpo. Era inoltre di poche parole, lasciava quasi sempre che fossero i suoi occhi, puri smeraldi, a farlo per lui.
Poi, vi era il secondogenito, Kankuro, di un anno più piccolo di Temari. Era un ragazzo all'apparenza giocoso e un poco sbruffone, ma che in realtà nascondeva la mente di un manipolatore. Amava farsi chiamare 'Il Marionettista' per la sua capacità di controllare - o meglio ricattare e assoggettare - le persone. Molto simile, non solo nell'aspetto, a suo padre.
Il capo famiglia, Hokori, era noto per la sua capacità di negoziatore. Era stato lui a portare la vittoria a Suna con l'aiuto non solo del maschio maggiore , ma anche con quello del figlio minore e di suo cognato, Yashamaru, fratello di sua moglie Karura. Questo era un ottimo medico che aveva 'riportato in vita' intere legioni di feriti, dall'aspetto però un poco effeminato, forse a causa della grande somiglianza con la sorella, una donna dolce e comprensiva, forse l'unica della quale Hinata non avesse paura.
Li temeva tutti infatti, primo sugli altri il figlio minore: Gaara.
Si diceva che fosse stato lui a condurre realmente alla vittoria Suna, anzi che fosse stato 'l'arma' usata per distruggere interi corpi militari.
Un assassino dal sangue freddo ma dall'aspetto fragile e pallido.
Se le apparenze ingannavano realmente, quello ne era l'esempio e Hinata aveva paura di lui e non voleva andare oltre nel conoscerlo.
Anni di schiavitù nella casa paterna le avevano insegnato a stare lontana dai guai e se voleva un giorno rivedere Neji, doveva fare in modo di proteggersi.
E quindi, come la migliore delle serve, non obiettava mai a nessuna disposizione.
Tratteneva il terrore dentro di sé e a testa bassa acconsentiva a tutto.
Silenziosa eseguiva gli ordini di tutta la famiglia.
Hokori voleva mangiare qualcosa alle ore più impensabili della notte? Lei andava a cucinare.
Kakuzu voleva che facesse delle dubbie 'consegne' per lui? Lei doveva eseguire.
Kankuro pretendeva che indossasse sempre e solo un sensuale abito nero come 'divisa'? Lei lo indossava.
Temari la mandava a fare compere per lei al mercato delle stoffe? Lei si operava subito per accontentarla.
Tutto, senza eccezioni.
Ubbidiva di fronte all'ordine di andare nei quartieri poveri, rischiando la vita, per consegnare sospetti pacchi di Kakuzu ad ancor più ambigui individui e avrebbe ubbidito anche all'ordine di Kankuro di soddisfarlo sessualmente, perché già sapeva che era quello il suo obiettivo.
Non poteva tirarsi indietro o scappare.
Non le era permessa la fuga, sarebbe morta subito senza rivedere Neji e non poteva permetterselo, per quello, quando Gaara entrò nella piccola stanza - simile a un ripostiglio -, inghiottì tutta la paura che scalpitava per controllarla, attendendo ordini con il capo chino.
Sentiva lo sguardo del suo padrone su di sé, critico e freddo: era come se la stesse spogliando.
Ignorò le guance che le si imporporarono a quel pensiero, ma quasi sussultò quando le gelide mani del ragazzo le afferrarono il viso costringendola ad alzarlo.
I suoi occhi grigi incontrarono quelli color acquamarina dell'altro.
Tremò, terrorizzata, nonostante tutti gli sforzi non riusciva più a controllarsi.
" Hai paura di me?", domandò con voce strana, quasi pazza.
Le sue iridi verde chiaro erano scosse da inusuali brividi e le mani, che le tenevano il viso, sudavano.
Era una delle crisi che aveva sentito nominare da Yashamaru e lei sarebbe stata la sua vittima.
Non sapeva che rispondere per tentare anche solo di calmarlo, perché ogni soluzione avrebbe sicuramente portato a reazioni negative.
Poteva mentire con la bocca ma non con gli occhi.
" S-sì...", ammise con voce debole, flebile e spaventata.
Le stretta divenne immediatamente più dura e in un assurdo senso di autoconservazione Hinata si ritrasse, tremante.
" L-la prego... p-posso fare quel che v-vuole...", mormorò cercando di proteggersi, ma le sue parole parvero andare a vuoto di fronte allo schiaffo del suo padrone, che la colpì facendole sanguinare il labbro.
Gemette di dolore, accasciandosi ai piedi del letto, portando le mani alla parte lesa.
Non si accorse neanche delle lacrime che iniziavano a bagnarle il viso tanta era la paura, non solo per ciò che era accaduto, ma anche per quello che l'avrebbe dovuto subire di lì a poco, preannunciato dalle mani che la afferrarono con forza per i capelli, sollevandola, e dalle labbra calate violentemente sulle sue.
Ciò che accadde nell'ora successiva era tinto del rosso del sangue e del dolore causato dalle percosse e dalle violenze che le fecero perdere i sensi.
Li riacquistò solo qualche ora dopo, richiamata dalla voce di Karura, e ciò che vide la fece star ancor più male di quanto già stava.
Giaceva nuda sul suo letto e il suo corpo era ricoperto di sangue e lividi, e con lui anche il lenzuolo.
Un'innocenza rubata con la forza e ciò che sperava fosse un crudele incubo si era rivelato realtà, ma gliel'avevano sempre detto: gli schiavi non possono fare sogni, tutta la loro intera vita è un reale incubo.
Per la prima volta in tutta la sua esistenza, Hinata, si convinse che quello era il suo destino e che niente poteva modificarlo: era nata schiava e come tale sarebbe morta.
Mai come in quel momento sentiva la figura di Neji lontana, come se fosse solo un ricordo.
Si alzò traballante e, dopo essersi data una sistemata, raggiunse con passo incerto la sua padrona per riprendere il suo pesante quotidiano lavoro, inventandosi delle scuse per spiegare le sue ferite - uno schiavo non può mentire a un padrone ma non può neanche metterlo in cattiva luce.
Non poteva raccontare ciò che era successo con Gaara.
Doveva rimanere un segreto tra lei e il padrone.
Un segreto che con il passare dei mesi si era appesantito, ed era stato sporcato da altri violenti incontri.
Gaara era tornato, più e più volte, e sempre con la stessa brutalità l'aveva costretta a sottostare a lui.
Risultava sempre più difficile per lei nascondere i lividi o trovare nuove scuse per le domande che di tanto in tanto le venivano poste - anche se una parte di Hinata era convinta che i Sabaku già sapessero ma che, per il rispetto e il terrore che anche loro provavano per il giovane, non proferissero parola.
Un po' la ragazza capiva i sentimenti del padrone - non tutti, non poteva comprendere cosa lo spingesse a quelle violenze - e cercava, con la sua dolcezza di donargli quell'affetto che in famiglia gli era precluso.
Perché via via era diventato sempre più chiaro: i Sabaku temevano Gaara.
Era troppo forte e incontrollato anche per loro, tanto da cercare di evitare qualsiasi contatto con lui.
La mancanza di quell'affetto - simile a quello che aveva provato anche Hinata da parte del padre - l'aveva spinto a cercarlo in altre forme che purtroppo erano violente.
La paura era rimasta, era un sentimento indelebile, ma la ragazza aveva iniziato ad affezionarsi a lui perché erano simili.
Per quanto avesse sofferto, Hinata, non era in grado di odiare, era il suo peggior difetto, che però di fronte a Gaara diventava un pregio perché lui non aveva bisogno di altro odio.
Doveva essere amato e capito, che poi lui non permettesse a nessuno di avvicinarsi era un altro conto, ma stava bene, quando la ragazza lo abbracciava in lacrime durante i loro incontri mentre la feriva.
Gli donava quel calore e quella forza che gli erano sempre mancati e, passo dopo passo, aveva iniziato a lasciar cadere le sue difese per Hinata, glielo doveva.
Se c'era qualcosa o qualcuno che poteva aiutarlo, quella era lei.
E mentre fuori da quella casa, i gruppi di rivoluzionari cercavano di liberare Konoha dalla dominazione di Suna; dentro i violenti incontri tra i due si facevano lentamente più dolci.
Ma non di una dolcezza 'buona', quello che restava dopo era amaro.
Troppo sangue e dolore era stato versato a causa di Gaara e lo sapeva. Più riacquistava la lucidità, più prendeva atto di tutti i suoi errori.
Primo su tutti l'aver ferito l'unica persona che avesse iniziato ad accettarlo.
Non chiedeva però scusa, le parole spesso erano menzogne - lo sapeva bene, era a causa delle bugie di suo padre e suo zio se era così - e non voleva che lei pensasse che le stesse mentendo.
Chiedeva perdono solo con i gesti e sperava un giorno di trovare il coraggio di dirle tutta la verità, e in quel momento attendeva solo il ritorno della ragazza dalle spese che le erano state assegnate da Kakuzu e Temari.

Attraversava incerta il grande mercato, carica di pacchi appartenenti alla sua padrona.
Aveva svolto tutti i compiti che le erano stati assegnati e, come ogni volta che c'era di mezzo Temari, tornare alla casa dei Sabaku risultava difficile con tutti i pacchi che aveva acquistato.
Riuscì con difficoltà a superare il mercato fino a infilarsi le parco, dove crollò su una panchina.
Cercò di recuperare le forze per poter tornare a casa, non poteva permettersi di arrivare più tardi di quanto già stava facendo.
Avrebbe fatto arrabbiare Temari e di conseguenza anche Kakuzu.
E non...
" Hinata.", i suoi pensieri vennero interrotti da una voce che ormai sentiva solo in sogno.
Una voce calda e bassa.
La voce di Neji.
Alzò la testa di scatto mentre quella speranza che era andata via via spegnendosi si riaccendeva di fronte alla figura familiare e desiderata del cugino.
" N-neji...", mormorò in un sospiro, incontrando gli occhi grigi dell'altro.
In un anno - il tempo che era passato dalla sua 'cessione' di Sabaku - non era cambiato, le donava sempre la stessa sensazione di protezione e sicurezza.
Il ragazzo le si avvicinò, aveva un'espressione seria ma lei, nei nelle sue iridi, poteva benissimo leggervi lo stupore e la felicità.
Magari anche lui desiderava rivederla e quindi gli donò un dolce sorriso timido, per niente diverso da quelli che gli regalava quando erano piccoli.
Si dimenticò di tutto.
Dei pacchi, del ritardo, delle punizioni che avrebbe poi subito.
C'era solo Neji e nessun altro.
Non c'erano state molte parole, più che altro c'erano le loro mani che si stringevano e i loro occhi, persi l'uni nell'altro.
Hinata avrebbe voluto chiedere tante cose ma non parlò.
Era troppo importante quel momento per sprecarlo, ma come era ovvio doveva finire e si concluse con Neji che le metteva il mano una pillola, coprendola poi con la sua.
" Questa ti libererà e libererà anche Konoha.", le sussurrò baciandole poi la fronte, in segno di rispetto e come saluto.
Era la promessa che si sarebbero rivisti ed era tutto ciò che contava in quel momento.
Niente la poteva scalfire al suo ritorno dai Sabaku, né lo schiaffo di Temari per il suo ritardo, né lo sguardo truce e quasi assassino di Kakuzu e nemmeno Kankuro che, vedendola sola nel corridoio, la bloccò.
Era una cosa che capitava ormai spesso di cui Hinata non aveva stranamente paura, forse dopo quello che aveva passato con Gaara le molestie dell'altro suo padrone non le avrebbero fatto niente, finché si fermavano a quei placcaggi nei luoghi più impensabili della casa.
" Hai fatto arrabbiare mia sorella.", le disse con voce bassa.
La ragazza si limitò a tenere la testa come sempre bassa, stringendo forte la pillola nel pugno, come per darsi forza.
" M-mi dispiace...", rispose.
" Vieni.", si allungò per aprire la sua camera conducendola poi al suo interno.
Non si ribellò, come era ovvio, e restò in attesa di quello che presto sarebbe accaduto.
Kankuro la portò di fronte allo specchio che la 'catturava' in tutta la sua interezza e bellezza, si spostò alle sue spalle, baciandole il collo mentre, lento, la spogliava.
Il respiro di Hinata si velocizzò appena, ma non parlò né si mosse, osservando dallo specchio il suo corpo che piano veniva spogliato, indumento dopo indumento.
Rimase così nuda, di fronte allo specchio, con le guance arrossate per l'imbarazzo e il cuore il gola.
Le labbra dell'altro si posarono sulla sua schiena percorrendola, un lento cammino che Hinata trovava insopportabile.
Avrebbe voluto scostarlo e allontanarlo, raccogliere i suoi vestiti e scappare ma era una schiava.
Sarebbe morta subito.
" Kankuro.", fredda voce di Gaara li risvegliò da quel torpore, misto all'eccitazione e al terrore, e solo in quell'istante Hinata si permise di cadere inginocchiata per terra, esausta.
Era stufa di essere una schiava, stufa di essere usata e di non essere libera.
Doveva finire tutto a nome suo, di Neji e di Konoha, anche se significava sporcarsi le mani di sangue e infrangere il contratto che la legava come serva ai Sabaku.
* " Tu non sei una schiava." *
Le parole del fratellastro le tornarono in mente, gliele ripeteva sempre, ogni volta che lei era sul punto di crollare.
* " Gli schiavi si arrendono alla vita e tu sei ancora qui, non ti sei arresa."*
Già, lei aveva sempre tirato avanti e doveva continuare a farlo.
" G-gaara.", sentì appena il gemito terrorizzato di Kankuro, era persa in un mondo tutto suo dal quale tornò solo quando si ritrovò sola nella stanza con il suo coetaneo.
Si azzardò per un attimo ad alzare lo sguardo su Gaara, abbassandolo subito con le guance arrossate.
" Mettiti questo.", prese incerta il primo abito che le veniva passato affinché potesse rivestirsi.
Lo infilò veloce, era nero come il colore del lutto, restando seduta sui talloni terra, ancora incapace di alzarsi.
Il ragazzo la osservava silenzioso, come in attesa, per poi distendersi sul pavimento e poggiare la testa sulle gambe di Hinata. La guardò in viso, specchiandosi in quelle iridi così chiare.
Doveva dirglielo.
Sentiva che quella era l'ultima opportunità.
" Mio padre e mio zio mi hanno sempre drogato.", una semplice frase, quasi senza senso detta il quel modo, di punto un bianco, ma in quella situazione non si poteva far altro che ascoltare e capire.
Gaara le stava raccontando tutta la verità sui Sabaku.
" Ero malato di una malattia che mi portava ad essere violento per qualche tempo e ne hanno approfittato, aumentando questi tempi di follia con le droghe per creare così il mostro che sono."
" L-lei non è u-un mo-mostro.", balbettò lei, rigirando di nascosto la pillola.
Le sembrava quasi di dover accoltellare alle spalle qualcuno, un gesto meschino e senza onore.
Era indecisa.
Tornare con Neji o restare con Gaara.
Da una parte il suo bisogno di avere accanto la persona che amava e dall'altro il dovere di restare con chi aveva bisogno di lei.
Felicità, egoismo e sacrificio si mischiavano indissolubilmente, confondendola.
" Sei sempre stata troppo buona.", il ragazzo chiuse gli occhi, abbandonato nel calore che Hinata emanava. " Le cose non dovevano andare così. Dovremo tutti essere liberi. Tu di stare con la tua famiglia e io di decidere della mia vita. La ormai questa è la nostra strada e non possiamo far altro che cercare di dare un senso alla nostra esistenza."
Lei non rispose, carezzando però la testa di Gaara, come per confortarlo.
Non si stava più comportando da schiava.
Si stava comportando da Hinata e aveva preso la sua decisione.
Voleva la libertà per tutti.
" Ti ho voluta bene a modo mio ed ho sbagliato.", sussultò appena e guardò il ragazzo, ma quando lo vide dormire quasi si convinse di averlo sognato.
Il suo primo sogno da persona libera.
Con dolcezza gli fece ingerire la pillola - non c'era odio nel suo gesto e mai ci sarebbe stato - mentre delle inconsce lacrime le bagnavano il viso.
Continuò a carezzargli i capelli, come per rassicurarlo fino a sentire il respiro di Gaara sparire.
Erano liberi.
Lei poteva finalmente tornare da Neji.
Konoha si sarebbe liberata della dominazione di Suna - perché dopo la morte del ragazzo la forza della degli occupatori della città era notevolmente dimezzata.
E Gaara, lui era stato liberato dalla una famiglia che non l'aveva mai considerato una persona.
Quella morte avrebbe sempre segnato l'animo della ragazza e non le dispiaceva, perché lei non voleva dimenticarlo, perché anche Hinata aveva voluto bene a Gaara a modo suo.

.^ Fine ^.



Ora che i risultati sono usciti posso dirlo: questa fic ha avuto seri problemi ad uscire.
Prima di tutto al cell è difficile vedere sei pagine e poi correggerle e per secondo - testimone Ainsel - non avevo voglia di farla.
Ma si sa: non sono una tipa che ama ritirarsi.
Spero vi sia piaciuta tanto quanto piaccia a me (anche se l'ho scritta 'tanto per' mi piace questo lavoro).
Alla prossima.
   
 
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