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Autore: Dea Elisa    22/07/2014    1 recensioni
Semplice raccolta di drabble/one-shot con protagonisti Anna e Antonio. I titoli delle storie seguiranno un ordine alfabetico, tecnica abusata, ma a mio parere ideale per lavorare di fantasia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Vedova

 

«Si consola facilmente, la vedova Radicati.»

I commenti maliziosi delle nobildonne che si intrattenevano attendendo udienza dal re non potevano essere più ostentati. Se fino a quel momento l’attenzione di Anna ignorava le loro chiacchiere, le signore avevano abbandonato ogni discrezione quando i loro sguardi indagatori avevano intercettato il cenno che Antonio aveva rivolto ad Anna dalla parte opposta del corridoio.

«Oh, si è offesa.»

«Che avremmo detto di scandaloso?»

Anna sentiva i loro occhi vispi adesi alla propria schiena, rapidi a calcolare traiettorie, a congetturare emozioni, mentre l’abito frusciava veloce attorno alle proprie gambe.

«Niente di sconosciuto.»

«Se solo l’avesse scelto giovane ed altolocato…»

«Allora, mia cara, la nostra si chiamerebbe invidia.»

«E adesso, invece, di che si tratta?» domandò Fabrizio con drammatizzato fare complice, sopraggiunto dopo aver notato la repentina evasione della sorella.

«Oh» sobbalzò l’ultima voce, troppo concentrata nella conversazione per accorgersi dell’intromissione. «Conte Ristori, perdonante l’impertinenza: sono solo chiacchiere di vecchie galline annoiate.»

«Mi avete tolto le parole di bocca. E ora scusate» le fulminò con lo sguardo, «ma io e la contessa Ristori mia moglie siamo attesi da sua maestà.»

«Che sfrontatezza! E tutto per difendere la sorella.»

«Amica mia, riteniamoci privilegiate a non appartenere alla loro famiglia. Tra nobili decaduti e serve insignite di titoli nobiliari, chi avrebbe il coraggio di affacciarsi alla finestra?»

Le interlocutrici accondiscesero, scuotendo più volte la testa in segno di commiserazione.

 

«Anna, aspettate.»

La donna camminava a passo svelto, più dispiaciuta che adirata, verso la prima uscita che desse sui giardini. Il tentativo di non farsi scalfire da quelle parole taglienti era fallito, sebbene fosse convinta che il proprio allontanamento avesse provocato in loro maggiore ilarità e materiale su cui affinare le loro supposizioni.

La sontuosità del palazzo era immersa nel silenzio: gli ospiti erano concentrati negli appartamenti reali, con l’illusione che le proprie esigenze venissero prima o poi assecondate dal re, o con la pretesa di scambiare fantasie e aggiornarsi sulle ultime notizie di corte. Nemmeno i numerosi membri della servitù parevano interessarsi dell’uomo e della donna che giocavano a rincorrersi.

Quando il corridoio si aprì sul porticato che incorniciava il cortile interno, Anna rallentò, percorrendo solo alcuni ulteriori passi, quasi come a saggiare la consistenza dell’erba.

Il suo inseguitore rallentò a sua volta, fiducioso nel termine della fuga di Anna, e si fermò a distanza dietro di lei.

«Non dovete prendervela.»

«Avete sentito tutto?» Si meravigliò della stupidità della domanda.

Era evidente che avesse sentito.

Avevano sentito tutti.

«Mi spiace.»

«Non ho bisogno della vostra pietà.»

Anna allargò il ventaglio di pizzo e prese a farsi aria.

«Non avrei mai voluto che la mia presenza fosse fonte di questo ciarlare imbarazzante. Perdonatemi se ho insistito ad accompagnarvi.»

Sapevano entrambi che l’invito non proveniva da Antonio, bensì da Elisa e Fabrizio. L’uomo le si avvicinò silenziosamente, timoroso che un approccio troppo brusco la portasse ad allontanarsi.

«Non mi sembra avessimo assunto atteggiamenti equivoci» continuò dopo essersi rassegnato al silenzio di Anna, che si trattenne anche dall’informarlo che rincorrere una donna per consolarla non era niente di diverso.

In fondo apprezzava quelle attenzioni.

In fondo.

«La gente ci conosce, cataloga le nostre vite, le incrocia col nostro passato» esordì Anna. «Non si dà tregua, indaga su ogni gesto per rintracciarne ambiguità, sottintesi.» Voltò appena il capo e studiò Antonio con la coda dell’occhio.

«Si stancheranno presto: in noi non troveranno niente di tutto ciò.» Fece una pausa. «O sbaglio?» le sussurrò ad un orecchio, imponendosi di non sfiorarle il viso con le labbra.

Il ventaglio di Anna smise di agitarsi.

«Sbaglio» bofonchiò Antonio.

«Avete detto?»

«Che è tutto molto chiaro e non c’è motivo di nasconderci.»

La mano di Anna tornò a muoversi nervosa. «Infatti» concordò.

«Quindi possiamo rientrare.»

La donna continuò a farsi aria più intensamente, ostinandosi a fissare il prato innanzi a sé.

«E questo» sfilò il ventaglio dalle mani di Anna, «non vi serve più.»

Come previsto, si girò e l’aggredì con furia, ordinandogli di restituirle il maltolto.

«Non muovetevi» le intimò Antonio, gli occhi rivolti a un punto oltre le sue spalle.

«Che cosa?! Ridatemi il mio v-»

«Lo dico per voi.» La prese delicatamente per le spalle affinché non si spostasse.

Il gesto le scatenò la reazione opposta. «Non toccatemi.»

«Anna, vi prego» la supplicò. «Ci stanno guardando.»

Indifferente ad ogni avvertimento, la donna si voltò e riconobbe alcune delle signore che tanto si erano prodigate a diffondere i propri giudizi.

Tornò a fissare Antonio, le labbra tremanti alla ricerca di domande pertinenti o parole sufficientemente offensive.

«Ve l’avevo detto» evidenziò lui.

«Vi odio» sibilò, e non poté non adocchiare di nuovo il capannello di donne.

«Smettetela di guardarle» le raccomandò non riservando riguardi alla provocazione. «Altrimenti penseranno che stiamo parlando di loro.»

«E non è quello che stiamo facendo?»

Antonio sorrise alla naturalezza di Anna, e fece lo stesso alle nobildonne, che si affrettarono a rispondere con cenni e occhiate compiaciute.

«Avete sorriso loro» gli fece notare con stizza.

«No.»

«Sì invece» lo rimbeccò.

«Rispettabilità e condiscendimento: me l’avete insegnato voi. Siete gelosa?»

«Di quelle quattr-» un’occhiataccia di Antonio le suggerì di placare il tono. Si lisciò il vestito e respirò profondamente, costringendosi al contegno. «Cosa consigliate di fare?» bisbigliò, rassegnandosi alla collaborazione.

«Quello che preferite. Potremmo rientrare, dileguarci verso l’uscita, oppure…»

«Oppure cosa?»

Antonio fece un passo verso di lei.

«Che fate? Non vorrete mica…»

Ma non si mosse, mentre Antonio, incantato a scrutare i suoi occhi, le carezzava il viso con un dito. Il pollice le sfiorò le labbra, che si dischiusero. Anna continuò a fissarlo attonita e incapace di compiere alcun gesto. Il cuore insisteva a battere più forte, l’ambiente intorno a lei a perdere di spessore.

Eppure non era passato troppo tempo da quando l’aveva avuto così vicino, sebbene entrambi avessero tentato l’impossibile pur di dimenticare quel giorno.

Vanamente.

Al diavolo le dicerie, i commenti aspri e disprezzanti, il mito della perdita recente di un marito. Avevano mai conosciuto la felicità, loro? Avevano vissuto metà della propria vita sognandone un’altra, abbandonata e rinchiusa in una gabbia di vetro, che desse la possibilità di osservarla ma non quella di renderla tangibile?

Antonio le posò una mano sul fianco e Anna si sentì intrappolata, perduta, senza modo né motivo di imporre resistenza.

Senonché quel gesto non volle annullare l’ultimo fiato di distanza, bensì atterrare insieme di nuovo nello stesso giardino da cui provenivano.

«Avete ragione. Meglio che vi lasci sola» pronunciò mimando un sorriso.

E se ne andò, lasciandola sospesa, inappagata, a domandarsi confusa quando avesse detto cosa fosse meglio, chi avesse avuto ragione o torto, quali parole si sarebbero scambiati nel loro successivo incontro, e quando questo avrebbe avuto luogo.

Prima di scomparire all’interno del palazzo, Antonio si voltò l’ultima volta.

Accennò un inchino e sorrise: aveva ancora il suo ventaglio in mano.

   
 
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