Vedova
«Si
consola facilmente, la vedova Radicati.»
I
commenti maliziosi delle nobildonne che si intrattenevano attendendo
udienza
dal re non potevano essere più ostentati. Se fino a quel
momento l’attenzione di
Anna ignorava le loro chiacchiere, le signore avevano abbandonato ogni
discrezione quando i loro sguardi indagatori avevano intercettato il
cenno che
Antonio aveva rivolto ad Anna dalla parte opposta del corridoio.
«Oh,
si è offesa.»
«Che
avremmo detto di scandaloso?»
Anna
sentiva i loro occhi vispi adesi alla propria schiena, rapidi a
calcolare
traiettorie, a congetturare emozioni, mentre l’abito
frusciava veloce attorno
alle proprie gambe.
«Niente
di sconosciuto.»
«Se
solo l’avesse scelto giovane ed
altolocato…»
«Allora,
mia cara, la nostra si chiamerebbe invidia.»
«E
adesso, invece, di che si tratta?» domandò
Fabrizio con drammatizzato fare
complice, sopraggiunto dopo aver notato la repentina evasione della
sorella.
«Oh»
sobbalzò l’ultima voce, troppo concentrata nella
conversazione per accorgersi
dell’intromissione. «Conte Ristori, perdonante
l’impertinenza: sono solo
chiacchiere di vecchie galline annoiate.»
«Mi
avete tolto le parole di bocca. E ora scusate» le
fulminò con lo sguardo, «ma
io e la contessa Ristori mia moglie siamo attesi da sua
maestà.»
«Che
sfrontatezza! E tutto per difendere la sorella.»
«Amica
mia, riteniamoci privilegiate a non appartenere alla loro famiglia. Tra
nobili
decaduti e serve insignite di titoli nobiliari, chi avrebbe il coraggio
di
affacciarsi alla finestra?»
Le
interlocutrici accondiscesero, scuotendo più volte la testa
in segno di
commiserazione.
«Anna,
aspettate.»
La
donna camminava a passo svelto, più dispiaciuta che adirata,
verso la prima
uscita che desse sui giardini. Il tentativo di non farsi scalfire da
quelle
parole taglienti era fallito, sebbene fosse convinta che il proprio
allontanamento avesse provocato in loro maggiore ilarità e
materiale su cui
affinare le loro supposizioni.
La
sontuosità del palazzo era immersa nel silenzio: gli ospiti
erano concentrati
negli appartamenti reali, con l’illusione che le proprie
esigenze venissero
prima o poi assecondate dal re, o con la pretesa di scambiare fantasie
e
aggiornarsi sulle ultime notizie di corte. Nemmeno i numerosi membri
della
servitù parevano interessarsi dell’uomo e della
donna che giocavano a
rincorrersi.
Quando
il corridoio si aprì sul porticato che incorniciava il
cortile interno, Anna
rallentò, percorrendo solo alcuni ulteriori passi, quasi
come a saggiare la
consistenza dell’erba.
Il
suo inseguitore rallentò a sua volta, fiducioso nel termine
della fuga di Anna,
e si fermò a distanza dietro di lei.
«Non
dovete prendervela.»
«Avete
sentito tutto?» Si meravigliò della
stupidità della domanda.
Era
evidente che avesse sentito.
Avevano
sentito tutti.
«Mi
spiace.»
«Non
ho bisogno della vostra pietà.»
Anna
allargò il ventaglio di pizzo e prese a farsi aria.
«Non
avrei mai voluto che la mia presenza fosse fonte di questo ciarlare
imbarazzante. Perdonatemi se ho insistito ad accompagnarvi.»
Sapevano
entrambi che l’invito non proveniva da Antonio,
bensì da Elisa e Fabrizio.
L’uomo le si avvicinò silenziosamente, timoroso
che un approccio troppo brusco
la portasse ad allontanarsi.
«Non
mi sembra avessimo assunto atteggiamenti equivoci»
continuò dopo essersi
rassegnato al silenzio di Anna, che si trattenne anche
dall’informarlo che
rincorrere una donna per consolarla non era niente di diverso.
In
fondo apprezzava quelle attenzioni.
In fondo.
«La
gente ci conosce, cataloga le nostre vite, le incrocia col nostro
passato»
esordì Anna. «Non si dà tregua, indaga
su ogni gesto per rintracciarne
ambiguità, sottintesi.» Voltò appena il
capo e studiò Antonio con la coda
dell’occhio.
«Si
stancheranno presto: in noi non troveranno niente di tutto
ciò.» Fece una
pausa. «O sbaglio?» le sussurrò ad un
orecchio, imponendosi di non sfiorarle il
viso con le labbra.
Il
ventaglio di Anna smise di agitarsi.
«Sbaglio»
bofonchiò Antonio.
«Avete
detto?»
«Che
è tutto molto chiaro e non c’è motivo
di nasconderci.»
La
mano di Anna tornò a muoversi nervosa.
«Infatti» concordò.
«Quindi
possiamo rientrare.»
La
donna continuò a farsi aria più intensamente,
ostinandosi a fissare il prato
innanzi a sé.
«E
questo» sfilò il ventaglio dalle mani di Anna,
«non vi serve più.»
Come
previsto, si girò e l’aggredì con
furia, ordinandogli di restituirle il
maltolto.
«Non
muovetevi» le intimò Antonio, gli occhi rivolti a
un punto oltre le sue spalle.
«Che
cosa?! Ridatemi il mio v-»
«Lo
dico per voi.» La prese delicatamente per le spalle
affinché non si spostasse.
Il
gesto le scatenò la reazione opposta. «Non
toccatemi.»
«Anna,
vi prego» la supplicò. «Ci stanno
guardando.»
Indifferente
ad ogni avvertimento, la donna si voltò e riconobbe alcune
delle signore che
tanto si erano prodigate a diffondere i propri giudizi.
Tornò
a fissare Antonio, le labbra tremanti alla ricerca di domande
pertinenti o
parole sufficientemente offensive.
«Ve
l’avevo detto» evidenziò lui.
«Vi
odio» sibilò, e non poté non adocchiare
di nuovo il capannello di donne.
«Smettetela
di guardarle» le raccomandò non riservando
riguardi alla provocazione.
«Altrimenti penseranno che stiamo parlando di loro.»
«E
non è quello che stiamo facendo?»
Antonio
sorrise alla naturalezza di Anna, e fece lo stesso alle nobildonne, che
si
affrettarono a rispondere con cenni e occhiate compiaciute.
«Avete
sorriso loro» gli fece notare con stizza.
«No.»
«Sì
invece» lo rimbeccò.
«Rispettabilità
e condiscendimento: me l’avete insegnato voi. Siete
gelosa?»
«Di
quelle quattr-» un’occhiataccia di Antonio le
suggerì di placare il tono. Si
lisciò il vestito e respirò profondamente,
costringendosi al contegno. «Cosa
consigliate di fare?» bisbigliò, rassegnandosi
alla collaborazione.
«Quello
che preferite. Potremmo rientrare, dileguarci verso l’uscita,
oppure…»
«Oppure
cosa?»
Antonio
fece un passo verso di lei.
«Che
fate? Non vorrete mica…»
Ma
non si mosse, mentre Antonio, incantato a scrutare i suoi occhi, le
carezzava
il viso con un dito. Il pollice le sfiorò le labbra, che si
dischiusero. Anna
continuò a fissarlo attonita e incapace di compiere alcun
gesto. Il cuore
insisteva a battere più forte, l’ambiente intorno
a lei a perdere di spessore.
Eppure
non era passato troppo tempo da quando l’aveva avuto
così vicino, sebbene
entrambi avessero tentato l’impossibile pur di dimenticare
quel giorno.
Vanamente.
Al
diavolo le dicerie, i commenti aspri e disprezzanti, il mito della
perdita
recente di un marito. Avevano mai conosciuto la felicità, loro? Avevano vissuto metà
della propria vita sognandone un’altra,
abbandonata e rinchiusa in una gabbia di vetro, che desse la
possibilità di
osservarla ma non quella di renderla tangibile?
Antonio
le posò una mano sul fianco e Anna si sentì
intrappolata, perduta, senza modo né
motivo di imporre resistenza.
Senonché
quel gesto non volle annullare l’ultimo fiato di distanza,
bensì atterrare
insieme di nuovo nello stesso giardino da cui provenivano.
«Avete
ragione. Meglio che vi lasci sola» pronunciò
mimando un sorriso.
E
se ne andò, lasciandola sospesa, inappagata, a domandarsi
confusa quando avesse
detto cosa fosse meglio, chi avesse avuto ragione o torto, quali parole
si
sarebbero scambiati nel loro successivo incontro, e quando questo
avrebbe avuto
luogo.
Prima
di scomparire all’interno del palazzo, Antonio si
voltò l’ultima volta.
Accennò un inchino e sorrise: aveva ancora il suo ventaglio in mano.