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Autore: AuraNera_    23/07/2014    3 recensioni
Non serve superare degli esperimenti genetici per essere speciali. Si può scampare alla morte... o essere posseduti.... non saperlo è pericoloso.... ma se ne sei a conoscenza, come va a finire? Qual è il tuo futuro? Perché combattere? Per chi?
Ma soprattutto..... contro chi?
Genere: Drammatico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Valkyria

“Torni a cercarla?” mi chiese Echo, glaciale. Io scossi le spalle.
“Non so che altro fare... e poi mi sento in colpa.” mormorai in risposta. Pensavo che se ne andasse e che mugugnasse qualcosa come suo solito, invece rimase lì piantata come un chiodo fisso, a scrutarmi nell’animo con i suoi occhi cremisi. Provai ad aggirarla e procedere, ma lei mi sbarrò la strada, una, due, sei volte.
“Si può sapere che hai, Echo?” sbottai irritata verso la ragazza dai capelli celesti.
Lei scrollò le spalle.
“Penso che non dovresti andare.” borbottò.
Inutile dire che ci rimasi di sasso. Davvero Echo mi stava chiedendo di infischiarmene di Egypt e stare comoda, rassegnandomi?
“Che... cosa... hai detto?” formulai a fatica dopo qualche istante di incredulità.
“Non credo che tu riesca a reggere questo ritmo ancora per molto. Voglio dire, ti sei vista? Sei uno zombie.”
Ok, effettivamente aveva ragione. Non avevo una bella cera. Ma c’era quel piccolo, minuscolo, fastidioso, insistente dettaglio.
Delle mie condizioni non me ne importava un fico secco. Al momento avevo solo un pensiero in testa. E quel pensiero aveva un nome.
Egypt.
Scossi la testa.
“Non importa. Mi rimetterò quando l’avrò trovata.” sbottai. Ma lei non era convinta.
“E se non la troverai? Che cosa farai? Ti lascerai andare?” mi provocò lei con la sua voce piatta.
“La troverò”
“Come puoi esserne certa?”
“Perché... me lo sento”
“E io invece sento che tu debba rimanere qua”
Inutile dire che, dopo questo botta e risposta, iniziammo a litigare. O meglio: io le sbraitavo addosso e lei ribatteva pacatamente. Odiavo discutere con Echo, perché non si risolveva mai nulla. Inoltre non ti da soddisfazione battibeccare con una senza emozioni, perché non reagisce, non viene provocata da nulla; inoltre, con la voce piatta che si ritrovava, ti faceva imbestialire.
Quindi, dopo averle sputato parole, che è poco consono ripetere, addosso, girai sui tacchi e ripercorsi i miei passi, sotto lo sguardo vigile e rosso dell’altra.
Entrai in camera, sbattendo la porta. Mi buttai sul letto sbuffando, poi presi il cuscino, me lo premetti sulla faccia e urlai.
Urlai fino a sentire la gola in fiamme e la voce roca. Avevo gli occhi lucidi, ma non una lacrima aveva passato il muro di ciglia.
Sempre con la fronte appoggiata sul cuscino e il naso leggermente schiacciato sul materasso, mi misi a pensare.
Ripensai, per la centesima volta almeno, alla discussione tra me ed Egypt. A quanto fossi stata stupida. Anche nei confronti di Nightmare.
Ero arrivata alla geniale conclusione che Nightmare non era un traditore. Era stato catturato, non si era consegnato. E, forse, lui ed Egypt stavano semplicemente architettando un piano d’evasione. E lei aveva previsto la mia reazione, probabilmente da parte degli altri. O forse no... forse proprio da parte mia.
In ogni caso, Egypt era facile da capire, ma al contempo difficile. Cioè, non era una ragazza scontata in generale, ma lo diventava quando imparavi a conoscerla...
Era testarda, ma non decisa, prudente e abbastanza esitante. In ogni caso, una che portava a termine quello che si incaricava di fare.
Il punto allora era: che cosa si era imposta di fare Egypt?
Mi alzai dal letto di botto, come se mi avessero dato la scossa.
Ora mi sembrava tutto così logico!
Mi cambiai, indossando la mia divisa, composta da un top corto senza spalline formato da due fasce disposte a X, due pantaloncini corti fissati da due elastici sulle cosce, I guanti lucidi fin sopra il gomito e i miei stivali lunghi fino al ginocchio. La divisa mi lasciava scoperta la pancia piatta, dove si vedeva perfettamente una cicatrice curva sul fianco sinistro.
Quello che Egypt stava cercando... ero stata una stupida a non pensarci prima.
Presi il mio falcetto dall’impugnatura nera, semplice, con la lama seghettata lucida e striata da una sottile venatura blu,  e la frusta, lunga, sottile, nera, appena più larga sull’impugnatura, dove stava un pulsante che avrebbe fatto apparire dei piccoli uncini sulla superficie della corda.
Ovviamente lei non era passata dalla parte dei cattivi... ero stata sciocca a pensare all’ipotesi di un suo tradimento.
Mi legai i capelli marrone scuro come ero abituata a fare, in due code fermate da trenta centimetri buoni di stoffa arrotolata su sé stessa e fermata da molteplici elastici incrociati. Perlomeno così la parte di chioma lunga non mi avrebbe intralciata, mentre una zazzera più corta mi incorniciava il viso.
Naturalmente Egypt sarebbe andata avanti sulla sua strada... per cui c’era una sola cosa plausibile a cui riuscivo a pensare al momento...
Infine, mi introdussi rapida in camera della mia migliore amica, attenta a non farmi notare, recuperai la divisa da assassina di Egypt e la chiave di quella porta dal cassetto della scrivania e la introdussi nella serratura, così da sigillare la stanza dall’interno.
Mentre giravo quella chiave argentata e di media grandezza nella toppa, sogghignai.
Egypt stava andando da Nightmare? E io sarei andata da Egypt.
Avreste dovuto provarci, adesso, a fermare questo demone risoluto. Avreste dovuto provarci, perché non ci sareste riusciti, non senza uccidermi, perlomeno.
Ricacciai indietro il pensiero. Non era adatto, perché non mi avrebbero trovata. Io sono un jinn, io posso nascondermi con la mia stessa pelle.
E fu quello che feci proprio in quel preciso istante, per dare il via a quell’operazione insubordinata e degna di una testa calda, ma in fondo intelligente, come quella della sottoscritta.
Dunque mi trasformai in ragno e fuggii dalla sede, dalla mia casa, attraverso uno spiraglio della finestra lasciata leggermente aperta.

Egypt
Ormai era da una mezzoretta che tentavo di non farmi notare in giro, lottando con gli sguardi indiscreti come contro il vento dei primi di marzo. Effettivamente non avevo pensato al fatto che quello fosse il mio quartiere e che io, tecnicamente, ero stata uccisa assieme ai miei genitori. Da quanto tempo che non pensavo a loro...
Ma nemmeno il tempo era riuscito a cancellare quel profondo, rabbioso, inspiegabile odio nei loro confronti.
Vicino a me, galleggiava pigramente il giovane spirito, che non sembrava minimamente turbato da tutta quell’aria.
Però appariva pallida, sciupata, impaurita. Provai uno strano impulso, che definirei materno. L’impulso di abbracciarla, consolarla, dirle che sarebbe andato tutto bene.
“Egypt... penso che il mio tempo stia per scadere.” Mi sussurrò all’improvviso. Io continuai a camminare guardando dritta davanti a me.
‘Perché lo pensi?’ le chiesi dolcemente usando la telepatia, altro potere che non sapevo di avere fino a pochi giorni prima.
“Sono da quasi cinque anni in questo stato. Da cinque anni tento di colmare il vuoto che mi impedisce di riposare in pace, per sempre.” Continuò lei in un tono più disperato.
‘C’è un limite di tempo? Non me l’avevi detto.’ risposi con la mente, mentre continuavo a guardare davanti a me. Stava anche cominciando a piovere. Ma io andavo avanti, un passo dopo l’altro. Non volevo arrendermi.
“Beh... il limite è la nostra speranza. E io la sto perdendo. Dopo un po’ tutti la perdono,e, anche se i vivi possono recuperarla, noi non possiamo farlo, e precipitiamo nell’Abisso, dove la speranza è bandita.”
Restammo entrambe in silenzio, mentre imboccavamo un vicolo deserto e sporco, uno di quelli dove ci si addentra in fretta, circospetti, per buttare la pattumiera nei cassonetti già straripanti. Quando la tua immondizia raggiunge il cumulo, qualcosa cade sempre fuori, e allora gatti e cani randagi vengono a leccare i miseri avanzi, se questi si salvano dai topi.
Sotto gli sguardi di quegli animali affamati e dimenticati dal mondo, calpestavo le pozzanghere schizzandomi gli stivaletti e i leggins, purtroppo bianchi.
Mancava poco, troppo poco, ormai... e io non avevo un piano. Purtroppo avevo fretta, non volevo che l’assassino dai capelli neri morisse, soprattutto se per colpa della mia lentezza.
Avevo contato troppo sulla cosiddetta “lampadina”, che purtroppo non era arrivata, e se era arrivata, non si era accesa.
Quindi io camminavo, un passo dopo l’altro,macchiandomi di fango e di acqua sporca i vestiti (Ahimè!), verso... qualcosa.
Esatto, non sapevo, nemmeno lontanamente, quello che stavo andando ad affrontare.
Cielo, si poteva essere più cretini di così? Bah... ormai era inutile. Dovevo proseguire.
Un passo alla volta, sarei arrivata. E avrei agito secondo l’istinto e le esigenze del momento.
Mentre seguivo Louise, tante emozioni si mescolavano dentro di me. Paura, angoscia, eccitazione e... speranza.
Poi qualcosa di freddo, duro e insistente mi strinse lo stomaco in una morsa di ferro. Allo stesso tempo, lo spiritello faceva passare lo sguardo da me al fondo del vicolo.
“Chi non muore si rivede, vero?” borbottò una voce conosciuta, ma più flebile di quello che ricordassi.
“Direi che è la frase corretta per il momento” ribattei con voce piatta e delicata. Intanto, il mio cuore batteva a mille, e la mia mente lavorava in fretta, talmente in fretta che pensavo che Louise potesse sentire le rotelle del mio cervello girare con uno strano ronzio metallico.
Dovevo liberarmi di lei* alla svelta.

Louise
Ok, qualcuno doveva spiegarmi cosa stava succedendo. Egypt si era messa a chiacchierare, tutt’altro che allegra, con una ragazza che penso di aver già visto.
La mia memoria perdeva colpi, ora che ero vicina allo sparire. Avevo la vista offuscata e un dolore sordo che mi procurava delle fitte ogni tanto. Fitte che diventavano sempre più frequenti.
Mi preoccupavo per Nightmare quando io stessa stavo per finire nell’Abisso... non ero molto coerente.
Dopo l’ennesima fitta, che mi aveva fatto bruciare gli occhi chiusi di lacrime non intenzionate a cadere, prestai nuovamente attenzione alla scena nel vicolo. Più precisamente verso la nuova arrivata.
Capelli mori lunghi e raccolti in due strane code; vestita poco, con un top e dei pantaloncini, guanti e stivali lunghi (Non ero l’unica incoerente, qui), il tutto rigorosamente e completamente nero; occhi scurissimi, grandi e espressivi.
Al momento erano esitanti, ma speranzosi.
I suoni mi arrivavano attutiti, ma dopo un po’ riuscii a capire i loro discorsi.
“Cosa ci fai qui, Valkyria?” stava chiedendo Egypt.
Oh, ecco chi era... Valkyria. L’assassina – demone. Come avevo fatto a non riconoscerla? Un brivido freddo mi percorse la schiena. Seguito dall’immancabile fitta. Ero davvero agli sgoccioli e pensare al dolore che provavo aggravava la situazione. Provai nuovamente a distrarmi osservando la disputa tra le due assassine.
In quel momento parlava Valkyria, mentre metteva in mostra un piccolo pacco.
“Sono venuta per scusarmi. Ero accecata. Ma ci ho pensato e ora ho capito: tu e Nightmare non siete traditori. Quindi sono venuta ad aiutarti ad aiutarlo... perdona il gioco di parole.” Si fermò imbarazzata, poi fece scivolare lo sguardo sul pacco, e si riscosse.
“Ah, ecco... ti ho portato questa, ma non ho trovato le tue armi...”
Egypt, seppur esitante per qualche secondo, si avvicinò cautamente e prese il pacco, con all’interno la sua divisa. La bionda la osservò per qualche istante poi rialzò il capo lentamente, fino a volgersi al cielo piovoso, gli occhi chiusi.
Rimase così per qualche secondo, e in quei secondi l’aria sembrava diventata immobile e il silenzio palpabile.
“Le armi le ho qui con me.” Sospirò infine, tornando a guardare Valkyria. Poi sorrise, mentre gli occhi dell’altra si riempivano di lacrime.
Poi questa si scaraventò addosso ad Egypt, rischiando di farle fare un capitombolo.
“Scusaaa! Mi dispiace, davvero, sono stata una vera idiota, ci stavo malissimo, ti ho cercata per giorni! Si può sapere dov’eri?”
Valkyria aveva bombardato di parole Egypt, tanto da lasciarla perplessa, figuratevi la sottoscritta che a fatica capiva una frase per volta.
La bionda, dopo quegli attimi di stand – by, ridacchiò, anche lei con gli occhi lucidi.
“Sono stata nella mia vecchia casa...” spiegò, lasciando di stucco la mora.
“Come ho fato a non pensarci?” si chiese quest’ultima con voce vacua.
Egypt, con un risolino, si nascose dietro ad un cassonetto, cambiandosi ad una velocità pazzesca.
Inoltre, sembrava avesse fatto un cambio di volto, perché ora appariva serissima e decisa.
“Andiamo” disse soltanto.
Percorremmo gli ultimi isolati in silenzio.
La tensione si percepiva quasi quanto la pioggia sulla pelle. O almeno, per quanto riguardava le due ragazze, perché io, la pioggia, non la sento.
Anche Egypt non era molto vestita. Più di Valkyria, almeno. Anche lei aveva un top, sembrava fatto con un foglio bianco ingiallito dal tempo, presentava solo la spallina destra e arrivava pochi centimetri sopra l’ombelico, dove poco sotto partiva la gonna dal taglio diagonale e strappato dello stesso tessuto del top.
Poi, la ragazza bionda aveva ancora un tratto di quella strana stoffa che partiva dall’orecchio sinistro e le arrivava dietro la nuca. Sul davanti, sempre a sinistra, aveva delle bende. Tutto questo era fissato su un cerchio dorato che le racchiudeva la testa passando sopra le orecchie e sovrapponendosi all’attaccatura dei capelli biondo grano. Proprio in prossimità del centro della fronte, spuntava una testa di cobra dagli occhi di lapislazzulo.
Le bende poi le ricoprivano mani e piedi, e punti casuali su braccia e gambe, e una persino in vita.
Con le armi a forma di scettro e frustino, Egypt sembrava proprio una mummia.
Beh in effetti... Egypt. Egitto. Ora tutto si spiegava.
Mentre facevo le mie considerazioni su questa “mummia”, eravamo arrivate. Sul tetto.
“Ok... vedo due guardie... una ragazzo e una ragazza. Propongo di metterli al tappeto e prendere le loro uniformi. Però... non dobbiamo schizzarle di sangue” Valkyria alzò lo sguardo dalla finestra da dove stava guardando. “Che facciamo?”
Egypt fece spallucce.
“Li impicchiamo, ovvio.” disse lei, facendo oscillare lentamente il frustino davanti agli occhi di Valkyria. Quella annuì.
“Ottimo.” Ribatté tirando fuori anche la sua, di frusta. “Al tre?” chiese poi.
Egypt annuì. “Uno...”
Valkyria si posizionò. “Due...”
E insieme saltarono. “Tre!”
La finestra su ruppe e le due, che chissà quando avevano realizzato un cappio, in due minuti si ritrovarono con due cadaveri in canotta, mutande e il volto viola; e due uniformi.
Valkyria sorrise ad Egypt.
“Che dici... l’uomo lo faccio io?”
L’altra annuì ridendo di gusto. La mora le fece l’occhiolino e si trasfigurò.. nella sua controparte maschile. Infine, erano due guardie perfette, e insospettabili. Soprattutto la mora, o meglio, il moro.
“Andiamo, Valkyrio” ridacchiò Egypt.


*la voce conosciuta, non Louise
Angolino nascosto nell’ombra:
Questo capitolo l’ho scritto in due giorni, mi sento potentissima. E tra l’altro è il più lungo, per AA.
Ok, bene. Il “Valkyrio” alla fine non è un errore, sappia telo.
Bene. (?)
Allora... AA avrà 14 capitoli e l’epilogo. La storia sta per giungere al termine. Beh, in realtà mi manca un quinto quarto (?).
Pace, tanto scommetto che voi non vediate l’ora della fine di questa panzana x’D
Perfetto! (?) Vi ringrazio per chi mi ha seguito fin qui! E anche chi è morto! (Drachen...)
Vi saluto e mi scuso per gli errori che ci sono in ogni capitolo, quindi sicuramente anche in questo. Anche se ho riletto, Ele xD
Ah, un’altra cosa! L’HTML per GoL. Che voi ci crediate o meno, il codice del corsivo l’ho aperto e chiuso sulla frase finale, ma a quanto pare non ha recepito il messaggio. Lascerò solo il grassetto, d’ora in poi.
Perfetto. Vi lascio andare in pace. Amen! (?)

  
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