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Autore: _haribooinlove    23/07/2014    14 recensioni
Ace è stata sempre per conto suo, oscurata dal suo ombetto nero e vogliosa di lasciare il suo paese.
Cameron ha un sogno: diventare un fotografo, e questo lo porterà a vivere un'avventura nella città dove niente è irrealizzabile.
Ma cosa succederà quando questi due ragazzi si scontreranno nel bel mezzo dell'aereoporto, diretti a New York, facendo nascere tra loro una profonda attrazione?
E poi, si sa, c'è gente che con un solo sguardo ti cattura, a volte per sempre. Ed Harry Styles, componente di una band famosa, ha intrigato Ace.
Ma a chi appartiene veramente il suo cuore?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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1. One.

La stanza di Ace era più buia del solito quella mattina. Le tende erano scrupolosamente mantenute oscure perché la ragazza non amava il sole, al contrario dei suoi coetanei. Infatti la pelle di Ace era candida, in profondo contrasto con i suoi capelli rossi e gli occhi tristi, tenebrosi. La sveglia echeggiò nel silenzio e fece drizzare i peli ad Ace, il gran giorno era arrivato. L’aveva aspettato per interi mesi e finalmente il conto alla rovescia era giunto a zero. Era il giorno della partenza. L’imminente e tanto attesa partenza.
Senza esitare si tolse le coperte di dosso, con un gesto grossolano della mano, e si precipitò verso la porta del bagno, sbattendosela alle spalle.
I suoi genitori erano all’oscuro della sua folle idea, ma era quella l’intenzione di Ace. Nessuno s’importava niente di lei, nessuno la notava, perciò nessuno l’avrebbe notata nemmeno questa mattina, l’ultima mattina passata a Manchester.
Erano le sette di un’umida domenica di febbraio, e i genitori di Ace non si sarebbero svegliati prima delle dieci. Perfetto, per lei.
Prese la valigia che aveva nascosto nella vasca da bagno la sera prima, per non correre rischi, e si assicurò di aver messo dentro il minimo indispensabile. Si lavò in fretta e truccò gli occhi con il solito ombretto nero, per oscurare ancora di più il viso.
Si tolse il pigiama e indossò in fretta una grande e comoda felpa ricevuta in regalo natalizio da sua zia, l’unica donna che sapeva dei piccoli dettagli impressi sul suo corpo. Infondo sua madre era troppo occupata con i suoi affari da manager per anche solo chiedere ad Ace come stesse, e suo padre era sempre in giro per i suoi sterminati campi da golf ad amministrare gli affari, invece.
Prese la sua borsa, la valigia e guardò la sua stanza per l’ultima volta, assaporando l’odore delle sue coperte per cercare d’intrappolarselo nella mente.
Poi si girò e scese le scale in silenzio, attaccò un post-it con scritto “vado a vivere la mia vita” sul frigo e, senza guardarsi indietro, uscì di casa.
“Sono libera” pensò.
 
Cameron era troppo eccitato quella mattina, e sembrava esserlo anche tutto il vicinato perché già alle nove Londra era rumorosa e affollata.
La grande mela lo aspettava, lo stage lo aspettava, il suo sogno lo aspettava. Ma tutte queste meraviglie, e soprattutto l’aereo, non l’avrebbero aspettato troppo, perciò era meglio che si desse una mossa.
Afferrò il trolley e si mise al collo la sua amata fotocamera, la sua salvezza e il suo trampolino di lancio.
Si voltò per guardare i suoi genitori. Giudith aveva una mano pressata sulle labbra e cercava di non piangere, Cyrus invece guardava il figlio pieno d’orgoglio.
-tesoro mio…- sussurrò sua madre, correndo ad abbracciarlo. Cameron sorrise e l’avvolse tra le sue braccia.
-mi mancherai tanto, mamma-
-appena arrivi all’aeroporto chiamami!- singhiozzò, staccandosi dal suo amato figlio.
-ma, mamma, l’aeroporto è a due passi da qui!- ribatté lui, ridacchiando.
Si scambiò gli ultimi saluti ai genitori e si piegò per accarezzare Body, il loro bassotto, così si diresse verso la porta, sentendosi finalmente libero.
Prese il bus e arrivò all’aeroporto in venti minuti, fece i rispettivi controlli e per le dieci meno venti era già al gate dell’imbarco, ad aspettare di prendere il famigerato aereo. 
 
Erano le nove e quaranta ed Ace correva maldestra per i corridoi del grande aeroporto di Londra, appena raggiunta con un aereo da Manchester, cercando di arrivare in fretta al suo gate, prima che il suo sogno fosse partito con l’aereo delle dieci.
Volontari di associazioni benefiche la intercettavano per darle i soliti dépliant che sarebbero volati magicamente dalla mano al cestino, ed Ace era benevola in queste cose, ma oggi era proprio il momento sbagliato per adottare un bambino a distanza.
Corse verso le scale mobili, per poi agguantare il suo trolley tra le mani, siccome finiva sempre per fare male a qualcuno, e sorpassò file di gente che si lasciava trasportare dalla felicità di fare un viaggio.
Mentre correva guardava i cartelloni indicanti i posti d’imbarco e, seguendo le indicazioni, raggiunse quello che sarebbe dovuto essere il gate per il volo Londra-New York. Solo a pensare a quella città le veniva la pelle d’oca, era troppo eccitata.
Sbadatamente inciampò nei suoi stessi piedi e andò a sbattere contro la schiena di qualcuno, che rischiò di spiaccicarsi ad una colonna di marmo.
-ma sta’ un po’ attenta!- sbottò il ragazzo, volgendole uno sguardo arrabbiato.
Se in un primo momento Ace era rimasta dispiaciuta dal comportamento prettamente maleducato del ragazzo quando vide il suo volto rimase interdetta.
Capelli castani scompigliati, una spruzzata di lentiggini e occhi verdi e brillanti. Per non parlare delle vene del collo che si riuscivano a vedere, forse furono quelle a mandare completamente in tilt il cuore della ragazza. Anzi, ne era certa. Perché erano quelle piccole cose che la colpivano.
Anche il ragazzo, dal canto suo, rimase un po’ sorpreso dal tipo di persona che si era ritrovato davanti. La bellezza di Ace è particolare, e risalta subito all’occhio. I suoi capelli rosso scuro un po’ scompigliati rendevano la sua figura ancora più impacciata e fragile. I suoi occhi erano timidi, grandi e molto tendenti al nero. E la sua bocca così carnosa e rosa. Le labbra di Ace incorniciavano il viso perfetto.
-scusami- borbottò Ace, abbassando il viso e stringendo la presa alla sua valigia. Avrebbe voluto parlare di più con quel ragazzo, ma il tempo stringeva e non poteva più perderne –ora devo andare, mi dispiace esserti arrivata addosso-
Corse verso un’assistente e le porse i documenti, per poi entrare in aereo.
 
Cameron si diresse verso il suo posto in aereo e sistemò il suo trolley nel portabagagli. Dopo essersi seduto al posto vicino al finestrino, come al solito, ripose i documenti nel taschino interno del giubbotto a vento e si mise a fissare fuori dal finestrino.
Cosa avrebbe trovato a New York? Doveva studiare fotografia, ma avrebbe dovuto anche trovarsi un lavoro decente per sopportare le spese del piccolo loft che aveva affittato, avrebbe dovuto pagarsi lo stage e sapeva che nella grande mela era tutto più caro, perché lì erano tutti più ricchi.
Non che a Londra vivessero solo barboni e le cose costassero solo poche sterline, ma aveva vissuto i suoi diciotto anni con i suoi genitori, facendosi vigilare le spese e aveva sempre la paghetta settimanale assicurata. Aveva sempre avuto un’ancora di salvataggio, ed ora che si trovava da solo era un po’ preoccupato.
Aveva portato con sé tutti i risparmi accumulati da una vita, che erano un bel bottino, ma conoscendosi e conoscendo l’etichetta di un bel paio di scarpe a New York avrebbe fatto meglio a moltiplicare la cifra che aveva gelosamente conservato.
Cameron sentì uno sbuffo al suo fianco e si girò per vedere chi aveva occupato il posto accanto al suo.
Una chioma rossa e folta le ricordò l’incontro/scontro avuto cinque minuti prima con quella bella ragazza, che aveva trattato come una pezza. Doveva rimediare.
-ciao!- la sua voce fece girare la ragazza di scatto, che sussultò.
Le sue guance assunsero una tonalità rossa, era in chiaro imbarazzo.
Cameron sorrise all’idea di averla fatta arrossire.
-sono Cameron- le porse la mano –scusami se prima ti ho dato l’idea di essere un cafone, in realtà sono un vero gentiluomo-
La ragazza ridacchiò all’affermazione ai Cameron e, lievemente, strinse la sua mano –Ace- disse solo.
Dopo che entrambi sorrisero calò il silenzio, che Cameron cercò subito di spazzare via.
-bene Ace, siccome suppongo che dovremmo passare circa sette ore insieme, perché non farci compagnia a vicenda? Cosa ti porta a New York?-
Ace esitò, non voleva dire a Cameron di essere scappata di casa, così si inventò una scusa.
-devo…- si schiarì la voce –devo cambiare aria-
Cameron annuì –e quanto rimani? Ti fai una settimana di relax?-
-rimango un po’- rispose vaga.
La cosa incupì leggermente Cameron, che però fece finta di non fare caso alla strana risposta della ragazza.
-e tu?- riprese lei, per non far calare la conversazione.
-io vado in America per uno stage- indicò la fotocamera che ora era accuratamente riposta nella sua custodia –di fotografia-
-oh- Ace sembrava colpita –notevole. E dove vai a stare?-
Cameron fece spallucce –ho trovato un loft in affitto che condividerò con un inquilino sconosciuto- ridacchiò –almeno per ora dovrò arrangiarmi. Fino a quando non troverò un lavoro fisso-
Ace sorrise comprensiva –si, so che all’inizio è dura ambientarsi-
-e tu dove andrai a stare?- le chiese Cameron.
Ace in verità non aveva trovato un appartamento, aveva solo avuto il tempo per pagarsi il biglietto solo andata. Aveva paura dell’atterraggio, forse sarebbe rimasta in un ostello per un po’, il tempo, anche lei, per trovare un’occupazione.
Stava per rispondere quando partì la voce delle assistenti di volo che invitarono a fare silenzio e ascoltare le raccomandazioni di volo, con la seguente spiegazione di come indossare i giubbotti di salvataggio e le mascherine dell’ossigeno.
L’aereo decollò e riprese la conversazione tra i due ragazzi.
Ace, caparbia, evitò di parlare della sistemazione una volta arrivata a New York, così il discorso deviò sui costi alti lì in America e ammisero entrambi che avevano un po’ paura con l’impatto con la grande mela.
Decisero poi di scambiarsi i numeri di cellulare, così, per ogni evenienza, avrebbero potuto contare l’uno sull’altro.
-Sai,- ridacchiò Cameron –sei ufficialmente la prima persona che conosco in America-
-Tecnicamente- obiettò la ragazza, sorniona –non siamo in America. Almeno non ancora-
Il tempo passò tra chiacchere e risate, Ace si trovava bene a parlare con Cameron, e cancellò subito la descrizione spocchiosa, maleducata e arrogante che si era fatta di lui.
Al contrario, Cameron sembrava un ragazzo semplice, educato e simpatico e poi aveva un nonsoché che attirava Ace.
Iniziava a fare caldo ed Ace ebbe la pessima idea di alzarsi le maniche della felpa. Le diverse cicatrici che aveva sulle braccia, anche se ormai leggere e bianchissime, si notavano e Cameron posò subito lo sguardo su una di loro.
Sfiorò il braccio di Ace e poi realizzò cosa fossero.
-Ace, che cos…- la ragazza non gli fece terminare la frase, si tirò giù subito le maniche della maglia e abbassò il capo.
-non è niente. Niente di preoccupante. Davvero-
Cameron guardò la ragazza carico di preoccupazione, ma decise di non approfondire l’argomento. Ormai tante, troppe ragazze si autolesionavano e farle sentire sottopressione per questa cosa era come incitarle a farsi di nuovo del male.
Rimasero un po’ in silenzio, dopo questa scoperta Cameron non sapeva più cosa dire, e come dirlo. Ed Ace era troppo imbarazzata per parlare.
-desiderate qualcosa da mangiare?- la voce di una hostess fece sobbalzare i due ragazzi, che tornarono con i piedi per terra.
-ehm…si,- rispose Ace –vorrei dell’insalata, per favore-
-certo, abbiamo dell’insalata con pezzetti di pollo- stava per porgerle il pasto ma la ragazza scosse la testa.
-no, scusi, sono vegetariana-
L’hostess sembrava dispiaciuta –ci scusi signorina, dobbiamo incrementare i pasti vegetariani, però oggi il menù è a base di carne-
Cameron rimase a guardare la scena senza dire niente.
-oh, non si preoccupi, non fa niente. Vorrà dire che prenderò solo una tazza di the- disse Ace, sorridente.
Quando anche Cameron ebbe ordinato un cheeseburger con doppia porzione di patatine e l’hostess se ne fu finalmente andata i due ragazzi ripresero a parlare.
-sai che devi durarci almeno fino a sta sera con quel the, vero?- ridacchiò il ragazzo.
-quando arriviamo comprerò un pezzo di pizza da qualche parte- rispose Ace, facendo spallucce.
 
L’aereo atterrò e Ace sentì una strana sensazione allo stomaco, non era paura, o almeno lo era in parte. Era eccitazione mischiata alla paura.
Prese i bagagli e, con Cameron alle spalle, raggiunse l’uscita dell’aereo e dopo, dell’aeroporto.
I due ragazzi si trovavano davanti ad una cinquantina di taxi che sfrecciavano per arrivare in centro.
-Londra sembra un mortorio rispetto a questo- commentò Cameron, allibito.
-nemmeno a Manchester c’è tutto questo casino! Oh Dio!- si lamentò Ace. Ora, nel suo stomaco, la paura stava mangiando l’eccitazione.
-sarà meglio sbrigarsi- borbottò Cameron, fermando un taxi –se non vogliamo rimanere qui fino a notte fonda-
Entrarono nel taxi e quando l’autista chiese loro la meta ebbero un momento d’esitazione. Non sapevano nulla di New York.
-ehm…- farfugliò Cameron, prendendo un fogliettino dalla tasca del suo giubbotto –ci può lasciare a Central Park, grazie-
-certo- rispose il taxista. E partirono.
-perché proprio a Central Park?- chiese Ace all’orecchio del ragazzo.
-beh,- rispose lui –suppongo che sia il centro della città, perciò credo che sia facile raggiungere la nostra casa….a proposito, poi non mi hai detto niente: dove andrai a stare?-
Accidenti! Ace arrossì leggermente.
-ehm, io…- decise di sputare il rospo –avevo in programma di cercare un ostello o qualcosa del genere una volta a New York-
Cameron alzò un sopracciglio, scettico.
-in pratica, non hai nessun posto dove alloggiare, vero?- indovinò.
Ace fece spallucce, come per togliersi da dosso la “colpa”.
-sono sicura che troverò qualcosa- ridacchiò –va bene anche un bugigattolo puzzolente, tanto sarò tutto il tempo in giro per la città sterminando i miei curriculum-
Quando arrivarono Cameron insistette per pagare lui la corsa e, dopo le numerose lamentele di Ace, scesero, trovandosi davanti al bellissimo parco.
La temperatura, lì a New York, era molto più fredda di quella di Londra o Manchester e i ragazzi si erano pentiti di vestirsi così, relativamente, leggeri.
-sembra stare in montagna- borbottò Ace, stringendosi nella sua felpa.
C’era ancora la neve, anche se accumulata agli angoli dei marciapiedi e sulle punte degli alberi. Le strade erano pulite, segno che non nevicava da circa una settimana e avevano già sgombrato le vie.
-okay- farfugliò Cameron, prendendo in mano lo stesso fogliettino di prima –qui dice che il mio appartamento si trova alla fine della 38esima strada, perciò…- si guardò attorno, accigliato.
-perciò ti serve una cartina- finì la frase Ace.
Chiesero ad un venditore di Hot Dog dove andare e s’incamminarono per la via indicata.
-non hai una foto della casa, vero?- chiese Ace, quando ormai i due ragazzi andavano avanti e indietro su una strada piena di condomini, villette a schiera e piccoli appartamenti.
-no, ma il numero civico è 75-
Controllarono tutte le case, ma non trovarono nulla. Ace, ormai scocciata di girare a vuoto, propose di svoltare l’angolo. E si scoprì che la casa si trovava proprio lì.
-eccoci, finalmente- barbugliò Cameron, scaldandosi le mani –dovrò comprare un paio di guanti-
Ace rise all’affermazione del ragazzo e concordò.
Cameron suonò al campanello.
Andò ad aprire alla porta un ragazzo alto, con il capello castano scuro, scompigliati, e gli occhi color cioccolato. All’apparenza era un ragazzo buffo, pensò Ace. Era carino, certo, ma sembrava un perfetto nerd.
-tu devi essere Cameron- disse il ragazzo, sorridendo –piacere, sono Ethan, il tuo coinquilino-
I due si strinsero la mano e poi Ethan guardò la ragazza.
-ciao- disse, cercando di fare uno sguardo misterioso e sensuale, cosa che non gli riuscì per niente –sono Ethan, e tu bellezza?-
Ace ridacchiò, scuotendo la testa.
-non interessata- rispose stringendo la mano di Ethan.
Partì una risatina da parte di Cameron e poi Ace sorrise, di nuovo.
-per gli amici Ace- rispose dopo, divertita.
Ethan fece spallucce –è già un passo avanti. Su, entra Cameron, dovremmo condividere la stanza da letto. Il loft ne ha solo una-
-non ci sono problemi- rispose Cameron, portando le valige in casa e incitando Ace ad entrare.
-Ethan,- disse al suo inquilino –Ace può rimanere qui stanotte? Non ha un posto dove stare, ancora-
-certo!- rispose gasato, il ragazzo –dormi con me, zucchero?-
La ragazza sgranò gli occhi.
-no, Cameron. Non posso già rimanere qui, è già piccolo l’appartamento. Non voglio occupare spazio, non…-
Cameron la fermò, poggiandole le mani sulle spalle e disse: -solo fino a quando non trovi un posto dove stare. E comunque non crei nessun problema-
-assolutamente nessuno!- concordò Ethan, dalla cucina.
 
Ace si vergognava un po’ a stare a casa con due maschi, ma sapeva che Cameron era un bravo ragazzo e non l’avrebbe fatta sentire a disagio. Almeno così sperava.
Si mise il pigiama di pile viola e le ciabatte, poi legò i capelli in una treccia e si struccò.
Appena entrò in cucina vide che anche i due ragazzi si erano messi il pigiama e sorrise all’idea che non l’avevano derisa perché lei l’aveva fatto.
-allora, cosa volete mangiare?- chiese Ethan, poggiandosi al piano da cucina.
La cucina era piccola e confortevole, come il resto del loft. Aveva i muri gialli e il parquet molto rovinato sui pavimenti. C’era un grande tavolo scuro ovale al centro e delle sedie di plastica. Sul lato sinistro era sistemato il bancone con i fornelli, la dispensa e il frigo.
-Ace è vegetariana- avvisò Cameron –e tutto oggi ha bevuto solo un the. Perciò qualcosa di abbondante e verde-
La ragazza ridacchiò.
Alla fine si scoprì che i proprietari di casa non erano in grado nemmeno di cuocere la pasta e perciò ordinarono della pizza.
Finirono di mangiare e si spostarono in salotto per guardare un po’ di tv, ma tutti e tre si addormentarono sul divano dopo dieci minuti.
Avevano avuto un viaggio stancante, compreso Ethan che era arrivato quella mattina da Vancouver, e non riuscirono ad arrivare alle dieci di sera.
 
Cameron venne svegliato dalla tv, allungò il braccio per spegnerla e gli cadde lo sguardo su Ace. Era bellissima, pensò. Accartocciata sulla poltrona con i capelli tutti scompigliai e le labbra semi aperte. Si chiese perché mai dovesse una ragazza così solare, bella e divertente farsi del male.
Cameron sorrise involontariamente, guardando Ace. E si promise di riuscire a farla risvegliare da quella tristezza che incombeva su quel viso così bello e pulito.
 
 
 
 
 
 *MY CORNER*

Ciao ragazze! Benvenute in questa nuova avventura!
Come già anticipato ad alcune di voi, questa è la nuova storia tanto attesa|
So che vi avevo detto di pubblicarla ad agosto, ma, insomma, oggi è un giorno importante
e volevo festeggiarlo assieme a voi!

#fouryearsofonedirection
Spero che questa nuova fanfic vi piaccia.
Diciamo che è un po' diversa dalle altre, qui, vi assicuro, non sarà tutto "rose e fiori" dal primo capitolo.
Anche se Cameron ha fatto un commento sulla bellezza di Ace vi assicuro che non li ritroverete sul letto a pomiciarsi nel prossimo capitolo:')
Ah, vi devo informare di una cosa: i ragazzi non entreranno subito in campo. 
Ora vi spiego. Leggo così tante storie in cui i one direction incontrano questa ragazza e improvvisamente nasce un grande amore tra un membro e lei.
-NO-
In questa storia le cose non andranno proprio così. Voglio dare un filo di verità, o almeno non voglio far si che la storia sia il sogno che le directioners fanno ogni notte, compresa me naturalmente xD
In questa storia i ragazzi non vivono nella stessa casa.
Louis non chiama tutti carotini/carotine.
Harry non fa il puttaniere e Liam la suora di turno.
Ah, e non descriverò Niall come un porco che mangia la colazione, il pranzo e la cena dell'intera America :'D

So che questo capitolo non è molto movimentato, perchè è una specie di prologo, serve a spiegare un po' i personaggi.
Ma vi assicuro che i prossimi saranno migliori!:)

Spero veramente tantissimo che questa nuova storia vi piaccia, ci sto mettendo l'anima per scriverla meglio delle altre.
Vi chiedo solo una cosa: lasciatemi un commento con il vostro parere, giusto per capire se l'idea vi piaccia o no:*
Scusate per il papiro che ho scritto, ma dovevo puntualizzare alcune cose(:

Vi lascio con una gif, ancora non ci credo che sono passati quattro anni!

 
"e su quelle scale rimbombano ancora le risate di quei cinque ragazzi"
   
 
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