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Autore: _haribooinlove    10/08/2014    5 recensioni
Ace è stata sempre per conto suo, oscurata dal suo ombetto nero e vogliosa di lasciare il suo paese.
Cameron ha un sogno: diventare un fotografo, e questo lo porterà a vivere un'avventura nella città dove niente è irrealizzabile.
Ma cosa succederà quando questi due ragazzi si scontreranno nel bel mezzo dell'aereoporto, diretti a New York, facendo nascere tra loro una profonda attrazione?
E poi, si sa, c'è gente che con un solo sguardo ti cattura, a volte per sempre. Ed Harry Styles, componente di una band famosa, ha intrigato Ace.
Ma a chi appartiene veramente il suo cuore?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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2. Two.


Ace si svegliò un po’ stordita quella mattina, aveva un forte dolore al collo e la schiena e scoprì subito la causa: aveva dormito tutta la notte accartocciata su una poltrona. Che giochi fa la stanchezza!
Sbadigliò e si strofinò gli occhi, ancora mezzi chiusi. Ethan e Cameron dormivano ancora e decise di andare a preparare la colazione.
Controllò l’orologio: erano le otto e mezza. Oggi avrebbe dovuto girare in cerca di un lavoro, doveva iniziare a darsi da fare.
Riscaldò del latte e lo bevve in pochi sorsi. A Manchester tutti mangiavano bacon e uova a colazione, ma il profumo dei biscotti la mattina le faceva iniziare meglio la giornata, soprattutto quelle invernali.
Preparò comunque pancetta e frittelle per i ragazzi, lasciandole sul tavolo.
Si vestì in fretta, indossando un paio di jeans scuri e gli stivaletti con la pelliccia all’interno. Si mise una maglia a maniche corta, bianca e di sopra una felpa blu con la scritta stampata di bianco “I really, really, really don’t give a shit”.
Non aveva portato da casa cappelli, sciarpe o guanti, perciò dovette accontentarsi del cappuccio della felpa.
Prese il giubbotto e la borsa e tornò in salotto.
Scosse Cameron per la spalla più volte, ma non voleva proprio svegliarsi. Provò con Ethan e anche lui era ancora nel sonno profondo.
Decise allora di non svegliarli. Prese un biglietto e scrisse: “vado a conoscere la città e dare a qualcuno il curriculum. Grazie dell’ospitalità!”
Uscì e una ventata fredda la travolse in pieno. Si accorse subito che quella notte aveva nevicato, perché le strade erano velate da un leggero e candido strato di neve.
Proprio dall’altra parte della strada c’era uno Starbucks, perfetto per iniziare e chiedere indicazioni.
-buongiorno- disse appena entrata.
In quella caffetteria c’era l’odore di cioccolata calda e caramello, se fosse per Ace resterebbe lì tutta una vita.
Una donna bassina, con i capelli castani legati in una coda alta e gli occhiali leggermente calati sul naso, le sorrise.
-posso esserti d’aiuto?- chiese, formale.
Ace si avvicinò al bancone. –cerco lavoro, avete bisogno di qualche dipendente? Ecco il mio curriculum- le porse il foglio.
-oh, cara, mi dispiace. In questo momento siamo al completo-
Ace alzò le mani –non fa niente- sorrise –mi sapresti dire come arrivare in centro? Sono arrivata ieri e non so praticamente nulla di New York-
La cameriera sorrise –posso fare di meglio- prese un dépliant e glielo porse –sappiamo che vengono molti turisti e ci siamo riforniti di cartine, spero che ti possa essere utile-
“Proprio quello che ci vuole” penso Ace.
-oh, grazie!- disse alla cameriera –le auguro una buona giornata!-
Si allontanò, con la cartina stretta nella mano.
Uscì dalla caffetteria e aprì la piantina. Ieri si era accorta che intorno a Central Park c’erano molte pizzerie e negozi vari, perfetto.
Individuò dove si trovava e distinse la strada da fare per arrivare al grande parco.
Con una cartina in mano era piuttosto semplice, pensò la ragazza camminando per le strade.
Si guardò davanti a se: percorreva la fifth avenue, sterminata di negozi come Prada, Gucci e Versace. Non si azzardò nemmeno ad entrare, non l’avrebbero mai presa.
 Intravide un piccolo market e sorrise. Non aveva mai lavorato in un supermercato, perché non iniziare a New York?
Entrò e dopo cinque minuti era già fuori. Nulla. Il personale abbondava anche lì.
Girò per vari negozi, disseminò curriculm fino a China Town, fino a quando non aveva perso le speranze.
Così decise di prendere quella famosa pizza che auspicava di mangiare dal giorno prima.
Entrò da “Slices”, una rosticceria all’angolo tra la Madison Avenue e la 40esima strada.
Si sedette su un alto sgabello vicino al bancone e ordinò un trancio di pizza ai quattro formaggi. Intanto che aspettava, Ace prese il suo cellulare, scaraventato nella borsa quella mattina.
Diciassette messaggi e venti chiamate perse. Wow, che record. Quando era a Manchester non era mai così contattata, anzi, era raro che il cellulare le squillasse, non aveva nessun amico con cui sentirsi e i genitori non la contattavano mai, tanto sapevano che era al “sicuro” con la governante della grande villa che possedevano.
La metà dei messaggi e delle chiamate erano da parte di Cameron, sorrise quando lesse il suo nome. Era bello che qualcuno si preoccupasse per lei.
L’altra metà era da parte di Maria, la governante, e solo due o tre messaggi erano da parte dei suoi genitori.
Decise di richiamare Cameron, tanto lui era l’unico che si era veramente preoccupato per lei.
-ciao Cameron- disse una volta che il ragazzo ebbe risposto.
-oh, Ace, finalmente! E’ tutta la mattina che ti cerco, tutto bene?-
-si,- rispose lei –ora sono in una pizzeria, faccio una pausa tra un negozio e un altro-
-trovato niente?- domandò Cameron, curioso.
-in tutto questo tempo sono solo riuscita ad accaparrarmi una cartina stradale e sono anche scivolata sul ghiaccio…quindi direi che non è stata la prima mattina perfetta a New York che avevo in mente-
Cameron, dall’altra parte della cornetta, ridacchiò.
-tu?- chiese poi la ragazza, con un sorriso stampato in viso.
-ho fatto il primo giorno d’orientamento, allo stage. E’ tutto bellissimo, l’istituto è grande e presenta tantissimi studi di fotografia. Inoltre abbiamo l’opportunità di vincere il concorso, che ci darà l’onore di essere un fotografo per un giorno!- Cameron era molto eccitato, si sentiva dal tono della sua voce.
-ossia? Di che si tratta?-
-è un concorso, dobbiamo fare scatti alla città e quelli migliori vinceranno l’opportunità di fare un servizio fotografico, con conseguenti guadagni. A chi però non si sa, dicono che è una sorpresa! Domani mi metto subito a lavoro, sarebbe un vero e proprio trampolino di lancio!-
-wow!- esclamò Ace –questa sì che è un’occasione da non perdere! Potrei farti da assistente- ridacchiò.
-potresti, sì! Così le persone ci scambierebbero per due semplicissimi turisti!-
Ace rise di nuovo e lo fece anche Cameron.
Una cameriera le passò accanto con in mano un vassoio con la sua pizza e Ace fece un cenno di ringraziamento con la testa.
-ora devo andare, è arrivata la mia pizza!-
Ace, sorridente, poggiò il telefono sul tavolo e ringraziò nuovamente la cameriera, che ora era dietro al bancone e lavava un boccale di birra.
-scusa, non ho potuto fare a meno di ascoltare. Primo giorno qui a New York?- chiese la cameriera, volgendole un sorriso.
-oh- Ace sorrise, impacciata –si nota tanto?-
Quella ragazza era molto graziosa, aveva i capelli biondi e gli occhi celesti, era acqua e sapone. Aveva la maglietta con il nome della rosticceria e un cappellino in testa, che le incorniciava il bel visino.
-un po’- rise –dall’eccitazione soprattutto. E’ tutto così…grande-
Ace concordò –molto, incredibilmente grande. Ed io dovrei essere abituata alle metropoli, perché sono di Manchester, che però, in confronto New York è un batuffolo di polvere!- sorrise –comunque io sono Ace-
-Becka, piacere- rispose la ragazza da dietro il bancone, con un sorriso in viso.
-tu sei sempre vissuta qui, invece?- le chiese Ace, felice di aver conosciuto la prima vera persona lì a New York, oltre a Ethan.
-sono nata a Brooklyn, immagina un po’. E ti assicuro che vivere diciannove interi anni nella stessa città non è bellissimo-
Ace diede un morso alla sua pizza.
-wow- rispose, pulendosi le labbra con un tovagliolo –notevole. Insomma, un’intera vita qui nella grande mela. Se è per questo ti posso rassicurare dicendo che passare l’infanzia passando da un paese all’altro non è altrettanto bello- ammise.
-ci compensiamo a vicenda- ridacchiò Becka –tu quanti anni hai?-
-diciassette, diciotto fra due settimane. Non vedo l’ora di essere definitivamente indipendente-
Ace non vedeva l’ora di prendere la macchina e viaggiare per conto suo, potendo dire finalmente: “sono maggiorenne, e nessuno mi può comandare ormai”
Diede una scorsa ai muri della pizzeria, tappezzati di foto incorniciate dei Beatles e Rolling Stones, band inglesi.
-vedo che a voi però piace la Gran Bretagna- commentò divertita Ace, indicando una delle foto.
Becka seguì dove indicava il suo dito e poi ridacchiò –si, beh, mio padre è un fan sfegatato delle band inglesi-
-oh, ristorante di famiglia?-
Becka annuì.
Ad Ace squillò il cellulare, era sua madre, decise di non rispondere.
Becka, che sentiva la suoneria squillare ed Ace che faceva finta di niente, si accigliò –ehm, ti squilla il cellulare-
-sì, non è nulla di importante-
Becka sorrire –rispondi dai-
A malavoglia la ragazza alzò la cornetta del cellulare.
-sì?- borbottò.
-Ace, finalmente rispondi! Ma dove sei finita? Maria è tutto il giorno che ti cerca e dice che sei come scomparsa nel nulla, la smetti di fare la bambina, per favore? Se sei a casa dei tuoi amici potevi anche avvisare la governante!-
Ace si alzò piano dallo sgabello e si allontanò dal bancone, verso la porta d’entrata. I nervi le salirono a fior di pelle quando sentì l’acuta e stizzita voce di sua madre.
-la governante- ripeté, con le lacrime che si insinuavano agli angoli degli occhi. Non poteva piangere, non doveva farlo –la governante, mamma. Tu ti accorgi della mia assenza solo quando te lo viene a dire Maria! Non potevi cercarmi tu? Ah, no certo che no. Che stupida che sono, pensavo che tua figlia, almeno una volta nella tua fottuta testa c’entrasse. Ma mi sbagliavo-
Ci fu qualche secondo d’attesa, poi, Barbara, la mamma di Ace, si schiarì la gola.
Era nel suo ufficio, aveva una riunione in attesa e non poteva perdere altro tempo, così decise di tagliare la corda.
-sei sempre nei miei… nei pensieri miei e di tuo padre, non preoc…- ma Ace non la fece parlare.
-oh piantala, allora dov’è papà ora? Probabilmente con la sua puttana di turno, a fare una vacanza in Florida o in Italia-
-Ace, smettila di…- un altro sbuffo da parte della figlia.
-sai- biasciò a denti stretti, per cercare di non piangere –preferirei uccidermi che tornare in quella prigione che voi chiamate casa-
Barbara alzò gli occhi al cielo –tesoro se sono più svaghi che vuoi ti posso aumentare la paghetta, ti rifornisco la carta di credito e vai con Maria a fare shopping, o con i tuoi amici. Dove sei ora? Così Maria ti viene a prendere-
Ace chiuse gli occhi, per mantenere la calma, e strinse i pugni –via, mamma. In America. E non ti aspettare che torni-
-in Amer…-
Barbara sentì la chiamata interrompersi. Ace le aveva chiuso in faccia. Ma come si permetteva?
E cosa aveva detto, poi, in America?
La sua assistente bussò alla porta di vetro che divideva il suo studio dal resto della redazione e, con l’indice pressato all’auricolare all’orecchio, la informò che la riunione doveva essere portata a termine entro venti minuti.
Mandò un messaggio a Maria per dirle di richiamare Ace e capirci qualcosa di questa storia, poi si alzò e, sistemandosi la gonna, avanzò verso la sala riunioni.
Perché i figli sono così complicati? Pensò.
 
Ace chiuse il cellulare e lo strinse così forte che pensò potesse rompersi da un momento all’altro. Si era resa conto che era uscita dal ristorante e aveva ricominciato a nevicare. Tra i capelli le si erano intrappolati piccoli fiocchi di neve.
Scosse la testa e rientrò, facendo trillare lo scacciapensieri tintinnante attaccato alla porta, e si rimise al suo posto.
Becka le stava riservando uno sguardo curioso, ma distante. La cameriera non voleva sembrare invadente, ma, nello stesso tempo, voleva sapere per quale motivo quella telefonata era riuscita a far arrossare le guance di Ace.
-tutto okay?- chiese, cercando di mantenere il tono più neutro e disinvolto possibile.
Ace, che era stranamente silenziosa, ingoiò un boccone e annuì –benissimo-
Becka prese il piatto vuoto di Ace e lo sistemò sotto il bancone, insieme agli altri da lavare.
Vide che la ragazza cacciava cinque dollari, poggiandoli sul bancone.
-tieni la mancia- le sorrise debolmente –e grazie per la chiacchierata. Spero di rivederti presto-
Ace a quel punto si alzò e si diresse di nuovo verso la porta, con il viso scuro e triste. Becka pensò che potesse scoppiare a piangere da un momento all’altro.
Esitò giusto il tempo di formulare la frase mentalmente e poi gettò lo straccio, con il quale stava pulendo un bicchiere, sul bancone. Aprì la teca contenente cupcakes e pasticcini appena sfornati e prese un dolcetto con la glassa rosa e le stelline gialle di pasta di zucchero.
-ehi!- esclamò –Ace, aspetta!-
Ace si voltò e la guardò, poi passò gli occhi sul cucpcake che la cameriera aveva in mano e camuffò un sorriso.
-un omaggio della casa- le passò il dolce ed Ace lo prese.
-amo i cupcake- commentò, tornando sullo sgabello.
Diede un morso al dolcetto e sorrise.
Becka, sentendosi orgogliosa, si mise vicino a lei.
-quindi…- la incalzò –sei inglese?-
Ace, che cercava di mangiucchiare le stelline, annuì –Manchester, ci sei mai stata?-
Becka s’incupì leggermente, ma durò solo un attimo, tornò subito in se –no- rispose.
Ace sembrò non fare caso all’improvvisa ondata di tristezza passare sul viso di Becka, e fece spallucce –beh, dovresti andarci. E’ proprio una città carina. Fatta eccezione per i trogloditi che ci abitano, naturalmente- osservò.
La ragazza al fianco di Ace rise ampiamente e annuì –ti assicuro che i trogloditi ci sono anche qui, basta guardare mio fratello!-
Indicò un ragazzo, dall’altra parte del locale, che al posto di servire un cliente che stava aspettando, aveva le cuffiette nelle orecchie e si contorceva stranamente cantando le note della canzone che ascoltava. Quel ragazzo avrà avuto si e no venticinque anni.
-ma sta…- Ace inclinò la testa da un lato, confusa.
-ballando, pare- continuò la frase Becka, scuotendo la testa –scusami un attimo-
Con questa frase Becka, furiosa, si avvicinò al fratello e gli diede uno schiaffo in fronte, facendolo “svegliare” dalla sua trance.
-che c’è?- borbottò il fratello, con una voce prettamente sconvolta, levandosi una cuffia.
-smettila di fare il frocio rimbambito e vai a servire quel cliente, razza di cretino!-
Che finezza, pensò Ace ridacchiando.
-ora li fai scappare i clienti con quella voce da toro posseduto- rispose lui a tono. Entrando in cucina.
Becka scosse la testa, ripetendo scocciata le parole del fratello,  e rivolse un sorriso di scuse al cliente che aspettava seduto la sua comanda da circa dieci minuti.
Poi ritornò verso Ace, alzando gli occhi al cielo.
-scusa, è solo che quando vedo quella faccia da culo mi salgono i nervi. Sta tutto il giorno, tutti i giorni, sulle sue, sembra di un altro pianeta!-
Ace, come se quell’accusa fosse indirettamente rivolta anche a lei, abbassò la testa.
-forse si è costruito un mondo migliore di questo, dentro la sua testa- sussurrò, più a se stessa che a Becka.
Becka, a quelle parole, aggrottò la fronte e trasalì leggermente. Sentiva che Ace era una ragazza particolare, con una famiglia particolare e una vita particolare. Aveva intenzione di scoprire più di lei, perché la incuriosivano molto quegli occhi spenti e apparentemente così tristi.
Schiarendosi la voce, Becka, con un gesto della mano, si sistemò lo strofinaccio su una spalla e scrutò Ace, che finiva di mangiare il suo cupcake.
-ehi, Ace, io fra dieci minuti stacco, devo solo finire di pulire questi ultimi bicchieri. Se ti va ci facciamo un giro e poi ti accompagno a casa-
Ace drizzò la schiena, e si ricordò che non aveva una casa. Sarebbe dovuta tornare da Cameron? O dormire sotto un ponte come i barboni di Bronx? Io non mi metto il pigiama con gli scoiattoli che mi fissano, pensò socchiudendo gli occhi.
Si rese conto che Becka la fissava, in attesa di una risposta, e annuì in fretta.
-certo, mi andrebbe proprio bene una guida turistica- cacciò dalla borsa la piantina, ormai ridotta ad un cartoccio e con i bordi bagnati, che aveva preso dallo Starbucks –questa povera guida mi ha lasciata quando ho fatto la scivolata sul ghiaccio. Penso che adesso mi sia uscito un livido grande quanto entrambe le chiappe- piagnucolò.
Becka ridacchiò mentre finiva di pulire un boccale di birra e lo riponeva su uno strofinaccio pulito.
-non pensavo che New York fosse così fredda, non ero attrezzata per il gelo!- continuò la ragazza, pulendosi le briciole che aveva all’angolo della bocca –comunque complimenti, dolcetto ottimo-
-grazie, dei dolci si occupa mia nonna. Si nota che è una pasticcera, con tutta …la glassa che ha accumulato negli anni- rise, indicando la pancia.
Ripulì in fretta gli ultimi bicchieri e andò sul retro, per recuperare la sua roba e togliersi il camice da lavoro. Varcò la soglia della cucina e fece un segno a suo padre, intento a lavorare un impasto di pizza, per avvisarlo che stava uscendo.
-pronta?- chiese ad Ace.
La ragazza si alzò e si sistemò bene il cappuccio della felpa in testa –prontissima, ma…caschi?- domandò, notando i caschi che teneva tra le mani.
-non c’è miglior modo di visitare New York se non in motorino! Forza, andiamo-
 
 
 
 
 
 *MY CORNER*
 
 Ciao ragazze! Ecco a voi il secondo capitolo di "sulla via delle stelle"
Spero veramente che vi piaccia!
Oggi avvete conosciuto meglio Ace, la sua situazione familiare e i suoi problemi, 
inoltre ho introdotto un nuovo personaggio: Becka. Cosa pensate di lei?
Io l'ho immaginata come Lucy Fry, e voi?

Ho avuto un po' di problemi a trovare il prestavolto di Ace, è una ragazza particolare, con diverse assottigliatezze
e singolarità che nessuna ragazza ha e che ho immaginato dettagliatamente, perciò l'immagine che vi farò vedere
sarà molto approssimata, perchè Ace è Ace e non ho trovato nessuna che potesse prendere i suoi panni.
Dunque, seecondo me l'attrice che assomiglia di più a lei (seppure vagamente) è Alice Englert. Ecco le foto:

Voi che ne dite? Chi avreste immaginato?
Poi, per Ethan ho pensato a Nat Wolff:

Ora, anche per Cameron ho avuto un sacco di dubbi perchè, ripeto, me li ero immaginati 
senza seguire nessuna linea e quando ho dovuto trovare i prestavolti mi sono letteralmente messa le mani nei capelli.
Anche per Cam ho girato a vuoto, perciò vi proporrò il "meno peggio".
L'ho pensato (a grandi, grandissime linee) come Daniel Sharman:

Sono sicura che ora state sbavando eheh, stessa reazione io:'D
Figone eh? Però, devo essere sincera: l'immagine l'ho un po' modificata, lui in realtà ha gli occhi blu e niente lentiggini.
Ho cercato di farlo assomigliare un po' più a Cameron attraverso photoshop:')
Che ne dite?

Okaaaay, ora che questo spazio d'autrice chilometrico è giunto a termine vi saluto, spero che il capitolo vi sia piaciuto 
e fatemi sapere che ne pensate, anche dei prestavolto ^^
Un bacione xx
 
 
   
 
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