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Autore: _Arika_    05/09/2008    1 recensioni
-Conosci i Sayan?
Lektar sembrava leggere i miei pensieri. Mi scrutava in attesa che dentro di me prendessi una decisione.
Decisi di mantenere una linea il più corretta possibile.
-Non credo di poterti dire davvero come li conosco- dissi –Però vengo da talmente avanti nel tempo che non credo di poter essere un pericolo per voi. Io non sono una Sayan, se questo può tranquillizzarti, ma sono sicura che l’avessi già capito. E’ anche vero quanto ho detto prima, e cioè che la mia razza è molto debole, quindi non credo di poter essere un pericolo. E in ogni caso io NON VOGLIO, essere un pericolo.
Lektar si avvicinò di nuovo e si risedette sul cubo bianco.
–Quindi li conosci da vicino, se dici che è per via del divario temporale che non puoi essere un pericolo.
Anuii lentamente. –Li conosco bene. Ma nel mio mondo credo che loro siano molto diversi da come credo siano nel vostro.
-Sono esseri crudeli e sanguinari?
-No.
-Allora sì, sono molto diversi.
Genere: Drammatico, Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Nuovo personaggio, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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PARTE UNDICESIMA: IL VILLAGGIO DEI SAYAN

Mentre l'oscurità della notte lasciava il posto alla semioscurità del giorno, nel villaggio dei Sayan, in una capanna riparata dalle rocce, Talora passò lo straccio imbevuto d'acqua sulla fronte ardente di Vegeta.
Al contatto del tessuto freddo il ragazzo non reagì.
Talora prese il polso di Vegeta tra l'indice e il pollice per sentirne il battito. Era lento e regolare, un buon segno, dato che per tutta la notte il ragazzo aveva avuto tachicardie improvvise che l'avevano quasi ucciso.
Talora lasciò il polso e si grattò la testa pensieroso. Fare una stima dei danni che il corpo di Vegeta aveva riportato non era semplice, e non riusciva a rendersi conto di quanto tempo ci sarebbe voluto prima che si riprendesse.
Talora aveva ventisette anni, era ancora un ragazzo, e benchè fosse il medico ufficiale della comunità non conosceva molte cose della medicina avanzata.
Il suo compito era principalmente curare influenze portate dal freddo, tagli e lividi da combattimento, qualche frattura. Ma non gli era mai capitato per le mani una vittima degli Skatos che fosse ancora viva dopo la tortura.
Una vittima che non si poteva permettere di far morire, per giunta.
Talora guardò la pasta di gesso che aveva applicato su parte del petto di Vegeta per immobilizzare la spalla, e sperò che durante la giornata la capanna non diventasse troppo calda, perchè se così fosse stato avrebbe dovuto toglierla rischiando di aggravare le fratture.
Vegeta aveva la febbre molto alta, e Talora era stato titubante all'idea di applicargli il gesso, perchè sapeva quanto caldo tenesse quella sostanza. All'altezza del petto, poi, rendeva anche difficile respirare.
Quando si erano trovati lui e suo padre di fronte alle ferite pulite e le fasciature applicate, con il gesso sciolto pronto per essere passato sulle fasce, Talora aveva fissato Spartack con un' espressione dubbiosa.
-Io non credo che dovremmo farlo- aveva detto -Di sicuro quando starà meglio abbastanza da muoversi glielo dovremmo togliere perchè non riuscirebbe a mettersi in piedi immobilizzato in questo modo. In più adesso di giorno fa caldo. Non vorrei che stesse peggio per colpa delle nostre cure.
Suo padre aveva fissato Vegeta con un'espressione pensierosa, le braccia conserte al petto. Talora l'aveva visto percorrere con lo sguardo ogni depressione, ogni cicatrice, ogni benda, fino a giungere al volto sudato di Vegeta contratto come in preda a terribili incubi.
-Mettigli il gesso- aveva detto Spartack.
Talora stava per replicare quando suo padre si era voltato ed era uscito dalla tenda, dicendo un: -Conoscendo il ragazzo se non lo immobilizzi appena si sveglierà si alzerà forandosi un polmone con le sue stesse ossa. Quindi meglio tenerlo fermo, se possiamo.- secco e autoritario.
E quindi adesso il mattino stava arrivando, e Talora era reduce da una notte insonne passata a controllare il ragazzo e pregare che il giorno dopo non facesse caldo.
Doveva essere passata una mezz'ora dall'arrivo dell'alba, nonostante che con il cielo oscurato fosse ancora quasi notte, così Talora decise di andare a prendere qualcosa da mangiare prima di iniziare una nuova giornata di lavoro ordinario e cure a Vegeta.
Nella capanna Celia dormiva appoggiata malamente alla parete, con un polso fasciato e le coda arrotolata tra la testa e il fango compresso. Talora le aveva detto di andare a dormire nella propria caverna, e che se Vegeta fosse stato meglio l'avrebbe chiamata, ma lei si era messa nell'unico posto del locale in cui non avrebbe potuto dare fastidio a nessuno e aveva detto che sarebbe rimasta lì, senza far rumore.
Talora si avvicinò alla sorella e la scosse con decisione.
-Svegliati ragazzina, io vado a prendere da mangiare.
La coda di Celia scivolò da sotto il volto e gli sferzò debolmente una gamba con un cenno di fastidio.
-Celia!-Talora la scosse di nuovo.
La ragazzina ancora non si svegliò.
Talora sferzò la coda in aria e si rimise in posizione eretta. Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa con cui svegliarla nel modo più veloce possibile.
Quando individuò quello che cercava, Talora si avvicinò alla mensola dove era poggiato un recipiente di terracotta pieno di acqua ghiacciata per dare sollievo ai febbricitanti.
Ce n'era un altro apposta per Vegeta, di recipiente, così Talora pensò che svegliare sua sorella fosse una giusta causa per consumare quell'acqua.
La ragazza si svegliò di colpo ed emise un grido di sorpresa quando l'acqua gelida le cadde addosso.
-Ah! Ma che diavolo...
Talora posò il secchio e fissò l'espressione prima confusa poi furibonda della sorella.
-Bel modo che hai per stare a vegliare Vegeta, mocciosa- Talora si diresse versò l'uscita e sulla soglia si voltò di nuovo. -Io vado a prendere da mangiare. Vedi di non riaddormentarti.
Uscendo dalla capanna, Talora immaginò Celia sul punto di urlargli dietro la sua solita trafila di insulti, salvo poi ripensarci vedendo Vegeta addormentato e in preda alla febbre alta.
Allora guardò il villaggio ancora semi addormentato e si diresse verso lo spiazzo tra le costruzioni dove vedeva le braci del fuoco ardere ancora debolmente sotto la cenere.
In giro non c'era nessuno, soltanto alcune capanne lasciate aperte indicavano che il gruppo della caccia era già partito per tornare carico con il pranzo.
Le donne dormivano ancora tutte. Persino di suo padre non vi era traccia.
Talora guardò le capanne arroccate accanto alle rocce e le pelli strappate dei Sayan che si erano trasformati durante l'attacco della notte prima. Il cielo si stava tingendo del solito grigio scuro di tutti i giorni, mentre dietro l'altura argillosa davanti a lui sapeva trovarsi il cielo limpido della città di quegli insulsi esseri dagli occhi bianchi.
Talora sferzò la coda al vento e sentii uno fastidioso formicolio all'altezza del ginocchio destro, dove gli Skatos anni prima gli avevano reciso la gamba dalla rotula fino al piede, e dove da allora il suo peso era sostenuto da una brutta protesi di legno intagliato male.
Era diventato medico quando aveva visto di non poter più combattere.
E da anni il suo sogno era diventare abbastanza bravo da poter fare agli Skatos quello che loro avevano fatto a lui. Solo con dei tagli molto  più precisi, e che fossero il più possibile dolorosi.
Talora prese un attizzatoio di legno bagnato e riavvivò il fuoco scoperchiando le braci ardenti. Nel fare ciò si diede cura di tenersi il più possibile lontano dalle scintille. Erano ormai due anni che aveva per protesi quel pezzo di legno malandato, ed era sicuro fosse diventata secca al punto giusto per sorreggerlo perfettamente, ma anche per bruciare in poco meno di mezz'ora.
Il fuoco si ravvivò velocemente e in poco meno di dieci minuti la fiamma era già alta e i picchetti per metterci la carne già incandescenti e pronti all'uso.
Talora si diresse quindi verso la capanna in cui tenevano le provviste, e in quel momento vide dalla capanna accanto sbucare la chioma azzurra della donna rapita da Vegeta.

Quando mi trovai di fronte il giovane Sayan con la protesi al posto della gamba mi resi conto di essere stata avventata ed imprudente.
Mi ero svegliata prima dell'alba, ancora piena di tutto il sonno forzato fatto nella base degli Skatos, e quando mi ero resa conto che nessuno mi aveva nè dato dei vestiti puliti nè portato nulla da mangiare, ero uscita dalla capanna senza curarmi minimante di guardare che non ci fosse nessuno in giro.
Riconobbi subito il Sayan che avevo davanti, e dal modo in cui lui interruppe quello che stava facendo e mi fissò per lui dovette essere la stessa cosa.
Certo, io ero una terrestre rapita dalla tana dei loro più acerrimi nemici e lui uno dei tanti sayan che avevo visto la sera prima, quindi non era ben più facile che lui si ricordasse di me che non io di lui, ma in quel momento anche se po' spaventata all'idea di aver subito incontrato qualcuno, mi resi conto che incontrare lui tra tutti i sayan era stata una fortuna.
Era un ragazzo giovane, dall'aspetto di poco più vecchio del Vegeta di quel mondo.
-Presto, caricatelo qui, e state attenti a non muovergli le spalle, ha l'osso fratturato!
La voce del ragazzo mi tornò in mente insieme alla scena di lui e Spartack che arrivavano per primi. E di lui che dava tutti gli ordini necessari per non ferire ulteriormente Vegeta.
Probabilmente era il medico del villaggio, e dato che fisicamente non sembrava più cagionevole degli altri, pensai che potesse essere per via della gamba che gli era stato assegnato quel ruolo.
Era alto e di corportura robusta, decisamente più alto degli altri Sayan che avevo visto, e il volto aveva un'espressione dura ma non violenta. Portava i capelli lunghi, legati dietro la nuca con un laccio, e il modo in cui stava camminando nell'istante in cui ero uscita lasciava pensare che fossero anni che utilizzava quella protesi.
Aveva perso la gamba per un incidente o combattendo, non per una malattia. Sembrava troppo robusto e in saluta per avere un qualche problema simile all'osteoporosi.
Vedendo che mi fissava con aria inespressiva ma comunque non ostile, decisi di avvicinarmi.
-Ciao- dissi, facendogli un cenno con la mano -Non riuscivo più a dormire e così mi sono alzata...
Mi avvicinai diretta verso il fuoco cercando di sembrare naturale. Non mi sentivo così a disagio come con gli Skatos, in ogni caso.
Il ragazzo mi fissò come se stesse cercando di studiarmi. -La stuoia era troppo dura?
-No, anzi. Solo che dov'ero prima mi hanno fatta dormire per dei secoli e non avevo sonno.
A quel mio "dov'ero prima" vidi il ragazzo cambiare espressione. Anche se con un atteggiamento incerto, lo vidi irrigidirsi e sferzare la coda nervosamente.
I Sayan erano esseri impulsivi, questa era una delle prime cose che avevo imparato in quegli anni con Vegeta, e da come il ragazzo mi stava fissando pensai che con gli Skatos potevo anche fare i miei giochetti, quel Sayan mi avrebbe tagliato la testa al minimo accenno di pericolo.
Mi stava guardando come un leone intento a esaminare uno gnu che sembra troppo grosso per essere catturato.
-Non sono una di Loro. Se è questo che stai pensando
Il ragazzo continuò a fissarmi.
-Sono arrivata qua per sbaglio. Questo non è il mio pianeta. So che ti potrà sembrare assurdo ma sono finita qui per sbaglio, e non so neanche di preciso dove sono rispetto a casa mia. Mi sono persa nell'universo e sono finita sul vostro pianeta, e non hai idea di quanto non vorrei tornare a casa. Quindi fammi il favore di smetterla di guardarmi come se fossi un mostro a due teste, ok?
Il ragazzo che mi fissava assomigliava molto a Vegeta, come atteggiamento. Stava lì con quell'espressione imperscrutabile quando tentavi di spiegargli qualche cosa, come se stesse decidendo di saltarti al collo o ascoltare cosa dicevi.
Un'espressione assolutamente irritante.
Stavo per sbraitare qualcosa in aggiunta, quando improvvisamente il ragazzo si voltò dandomi le spalle, e come se niente fosse sparì all'interno di una capanna.
Cominciavo a pensare che stare in quel villaggio sarebbe stato meno facile del previsto, e cercando di capire cosa fare mi portai le braccia al petto e rimasi ferma accanto al fuoco.
Dalla capanna provenne una serie di rumori e acciottolii, come se stesse scoperchiando dei vasi e cercando qualcosa su delle mensole, poi dopo pochi istanti vidi il ragazzo ricomparire con quella che sembrava della carne in mano.
Si incamminò verso di me diretto verso il fuoco alle mie spalle, il passo quasi perfetto nonostante la protesi. Mentre camminava continuava a guardare la fiamma dietro di me.
-Bhe, allora?-dissi.
Il ragazzo si avvicinò ancora. Era a neanche un metro e mezzo di distanza quando lo vidi fermarsi guardando il fuoco.
-Mi passi quel pezzo di legno vicino ai tuoi piedi?
Guardai accanto al mio piede destro e vidi un bastone di legno umido lasciato in terra. Lo raccolsi e glielo passai con aria ostile.
Lui si servì di quell'arnese per staccare degli spilli di metallo da accanto al fuoco e prenderli per infilarsi la carne a mo' di spiedino, e poi rimetterli piantati nel terreno.
Facendo questo io continuavo ad osservarlo, finchè lui sistemando l'ultimo spiedino non disse: -Non mi guardare con quella faccia. Non ho nessuna intenzione di ucciderti e non so se ce l'abbia Vegeta. Quindi finchè stai con me rilassati, non mordo.
Il ragazzo si sedette, a cinque metri di distanza dalla fiamma viva del focolaio.
-Comunque io sono Talora. Sono il medico del villaggio.
Non capivo se mi stesse prendendo in giro o peggio aspettando il momento per aggredirmi. In quel momento il suo atteggiamento mi confondeva, e forse perchè era stranamente calmo rispetto a come mi ero immaginata i Sayan circa settecento anni prima della nascita di Goku.
Quel ragazzo mi spiazzava.
Mi sedetti accanto a lui e incrociai le gambe nei pantaloncini ormai luridi di sporcizia. -Io mi chiamo Bulma. E non sono una Skatos.
Il ragazzo rise. -Neanche per sbaglio ti si potrebbe prendere per una Skatos.
Anche io risi leggermente di quella considerazione. In effetti lurida com'ero potevo sembrare qualunque cosa tranne che uno di quegli splendidi esseri dagli occhi bianchi.
Con il passare dei secondi continuai a fissare il fuoco domandandomi cosa avrei fatto durante quella giornata. Sentivo la pelle appiccicaticcia e i capelli peini di sporcizia. In quel momento desiderai davvero di poter tornare a casa.
Il volto pieno di tristezza di Lektar mi tornò in mente senza preavviso. All'improvviso mi resi conto che mi dispiaceva averlo lasciato così, e che il vedere quel giovane Vegeta ridotto in quello stato aveva reso ai miei occhi gli Skatos solo dei mostri.
Pensai al "mi dispiace" mormorato di Lektar mentre il pannello dell'allarme lampeggiava al suo fianco.
Lektar aveva lo stesso sguardo che aveva l'altro Trunks, lo sguardo di una persona intrappolata in una vita che non ha scelto.
Chissà cosa stava facendo Lektar e se stava bene?
In quel momento provai tutto lo sconforto che la frenesia delle ore prima non mi aveva permesso di provare.
Gli Skatos avevano la mia macchina, e anche se ero più tranquilla con i Sayan che con quella razza sconosciuta, sapevo che adesso tornare a casa non sarebbe stato più tanto facile.
Pensai a Trunks e a Vegeta e mi domandai se si fossero già accorti della mia sparizione.
Con in testa l'immagine di Vegeta intento a cercarmi in giro per la casa, non mi resi conto che una lacrima mi era scivolata giù da una guancia.
-Mettiti più lontano dal fuoco se il fumo ti dà fastidio agli occhi.
La voce di Talora interruppe i miei pensieri e per un attimo lo guardai senza capire. Poi, quando mi accorsi della traccia umida sulla guancia, con il dorso di una mano asciugai via la lacrima.
-No, va bene così-dissi, grata che Talora avesse fatto finta di non capire.
Il ragazzo controllava la cottura della carne spiandomi di tanto in tanto con la coda dell'occhio.
Aveva un'espressione intelligente, come un barlume negli occhi, e la cosa mi stupì. Gli altri Sayan che avevo visto arrivando al villaggio non facevano altro che urlare e dimernarsi attorno alla barella. Lui e Spartack invece erano perfettamete controllati.
Ora che ci pensavo questo ragazzo somigliava molto al capo del villaggio. Stessi lineamenti squadrati del volto, stessa statura. Persino lo stesso modo di comportarsi.
-Posso chiederti una cosa?
Il ragazzo si voltò. -Mmm?
-Tu sei figlio di Spartack?
Il ragazzo non parve colpito dalla domanda. Di sicuro doveva aver parlato con il padre  per decidere come curare Vegeta, e già solo il fatto mi trovassi lì significava che in qualche modo Spartack me ne aveva dato il permesso, però ebbi l'impressione che quella domanda fu come la riprova di ciò che già pensava. E cioè che anche se ero fisicamente debole il mio cervello funzionava eccome.
-Sì, Spartack è mio padre. -Scacciò un insetto dalla protesi, poi aggiunse: -E la ragazza che era con Vegeta ieri è mia sorella Celia.
In quel momento dalla pianura davanti allo spiazzo cominciò a sentirsi un vociare confuso ed eccitato che pian piano si avvicinava.
Talora immediatamente alzò lo sguardo e strizzò gli occhi. Con uno scatto si alzò in piedi ma anche da lì sembrava non riuscire a scorgere quello che cercava.
-Non ti muovere.
Lo vidi alzarsi in volo di qualche metro e sostare un attimo dieci metri sopra la mia testa, poi ridiscendere facendo ben attenzione a poggiare bene la protesi al momento dell'atterraggio.
Anche se lui fece questi gesti con naturale noncuranza, non potei fare a meno di pensare a quanto doveva essergli costato imparare tutte quelle cautele dopo la perdita della gamba.
Talora si avvicinò a pochi centimetri da me e mi prese con violenza per un braccio.
-Forza, alzati. Il gruppo di caccia sta tornando.
Mi sentii sollevare come se ciò non gli costasse alcuna fatica, e quando fui in piedi vidi in lontanaza un gruppo di uomini avvicinarsi con in spalle delle grosse carcasse di animali.
Erano sei, tutti più vecchi di Talora, e parlavano la mia stessa lingua ma con una cadenza che la rendeva quasi irriconoscibile. Sembravano quasi sputare fuori le parole, come se esse fossero dei grumi in gola.
La stretta di Talora sul mio braccio era tanto forte da farmi male.
-Ahia!
Il ragazzo mi fissò per un attimo, poi resosi conto che mi stava ancora tenendo, mi lasciò andare e disse un -Scusa- sbrigativo.
La sua attenzione era concentrata sul gruppo di uomini, e la sua espressione era dura come la postura del corpo.
-Non parlare e non ti muovere per nessun motivo dal mio fianco, capito?- sussurrò, continuando a fissare i sei Sayan.
Non ebbi tempo di rispondere. Mentre facevo di sì con la testa mi accorsi che i sei erano ormai abbastanza vicino da poter vedere sia me che Talora.
Rimasi stordita dal vedere i loro volti. O meglio, dal vedere il volto di UNO dei sei Sayan.
A camminare verso la capanna alle mie spalle c'era un uomo quasi indentico al nostro Goku, con gli stessi lineamenti e gli stessi capelli assurdi, solo più coperto di cicatrici ed escoriazioni.
La somiglianza era talmente impressionante quanto era spaventosa l'impressione che quell'individuo riusciva a darmi.
Mentre i sei si avvicinavano, tutti uomini grandi e grossi carichi di animali morti il cui sangue gocciolava ancora sulle loro spalle, mi resi conto che Talora era soltanto un'eccezione a come erano i Sayan. 
Quando mi videro, quegli individui mi guardarono con un'espressione che mi fece rimpiangere di non essere restata nella base degli Skatos.
Un gruppo di lupi davanti a una bistecca.
-Hey, Talora! Vedo che sei andato a cercar compagnia e non ci hai detto nulla!-disse il Sayan che somigliava a Goku. Fermo a pochi metri da me e voltato di tre quarti, vidi il Sayan sorridere con aria maliziosa. - Vedi almeno di lasciarcene un po' anche per noi di questo bocconcino.
Se non avessi avuto l'assoluta certezza che non stesse scherzando l'avrei mandato al diavolo. Ma faticavo persino a respirare con quegli occhi puntati addosso.
Vidi Talora avvicinarsi a me e passarmi un braccio attorno alle spalle. -Questa donna è proprietà di Vegeta, ed è mio padre in persona a occuparsi della sua custodia. Quindi vatti a cercare un'altra femmina, Bardack.
Bardack?
Quel nome non mi era nuovo.
Bardack, Bardack...
Niente, non mi veniva in mente dove potevo averlo sentito.
Forse me ne aveva parlato Vegeta in una qualche occasione, ma non ricordavo di preciso di chi stesse parlando e cosa mi stesse raccontando.
Ad ogni modo, a sentire pronunciare il nome "Vegeta", il sayan si irrigidì, e anche se il barlume ferino nei suoi occhi non sparì le risatine del gruppo e la sua aria così sfrontata sparirono all'istante.
Non sapevo se quello che aveva detto Talora fosse vero, ma in ogni caso aveva sortito l'effetto che speravamo.
Bardack guardò Talora cercando di capire se stesse mentendo poi rinunciò nella sua impresa. -Ok, Talora. Tieniti pure la tua bella aliena. Ma poi vogliamo sapere anche noi dove Vegeta è andata a prenderla.
Detto questo i sei entrarono nella capanna che ormai avevo capito essere la dispensa, depositarono gli animali e uscirono in silenzio ricominciando a vociare solo quando furono lontani.
Talora non staccò lo sguardo dalle loro schiene finchè non li vide sparire in una curva del villaggio.
Quando fu sicuro che si fossero allontanati, Talora tolse il braccio da attorno alle mie spalle e sferzò la coda con violenza.
-Hai detto che ti chiami Bulma?-domandò, tornando a fissarmi.
-Sì...-risposi, mentre ancora stavo guardando il punto in cui il gruppo era sparito.
Talora mi prese per un polso e strinse per attirare la mia attenzione. Quando mi voltai a fissarlo vidi che l'espressione autoritaria di prima non era sparita dal suo volto.
-Allora stammi bene a sentire Bulma, perchè qua c'è bisogno che tu sappia un paio di cose, se non vuoi finire nelle mani delle luride terze classi che hai appena visto, e io sono sicuro che non ti piacerebbe finire nelle loro mani.
Il villaggio stava cominciando a svegliarsi, dalle capanne provenivano rumori di gente appena alzata, acqua presa da recipienti per lavarsi e voci assonnate.
Talora si guardò intornò per essere certo che nessuno fosse ancora uscito. Poi tornò a guardare me.
-Io non so come funzionano le cose nel posto da dove vieni, ma qua se sei una femmina devi stare attenta, e per attenta intendo non andare MAI in giro da sola. 
Si fermò attendendo un mio cenno. Feci di sì con la testa.
-Parlo di non essere sola in nessun caso. Quando vai a mangiare, quando vai a dormire, persino quando vai a lavarti non devi essere da sola. Questa notte hai dormito tranquilla perchè buona parte delle terze classi ieri non sono venute a soccorrere Vegeta e quindi non sanno ancora della tua presenza. Ma in questo posto ci sono 300 uomini, di cui 280 terze classi, e io posso sperare che si sparga la voce che sei di proprietà di Vegeta per dissuaderli, ma non posso contare su questa cosa. 
Vidi Talora togliersi il laccio dai capelli  e porgerlo a me. 
-D'ora in poi indossa sempre questo ben in vista, così almeno sapranno che hai a che fare con me e FORSE alcuni desisteranno dal farti del male.
Talora  mi guardò mentre mi legavo il laccio al polso. -In ogni caso da adesso in avanti starai sempre con me, o con Spartack o con Celia. Non abbiamo capito perchè Vegeta ti ha rapito e appena si riprenderà vedremo di capirci di più. Per ora la priorità e mantenerti viva e tutta intera, perchè quelle bestie ti farebbero ripiangere di essere morta se ti prendessero. Ci siamo capiti?
Vedendo lo sguardo serio ma preoccupato di Talora, mi resi conto che stare tra i Sayan non sarebbe stato facile. Non lo sarebbe stato per nulla, facile.
Mentre a poco a poco decine di occhi curiosi cominciavano a sbucare dagli uscii delle capanne, feci debolmente di sì con la testa e Talora parve rilassarsi.
Poi si voltò a fissare il fuoco e sferzò violentemente la coda in aria.
-Merda!
Mi voltai verso il fuoco con il cuore in gola al pensiero che qualche altro Sayan potesse avermi messo gli occhi addosso.
-Cosa c'e?
Talora prese il ramo umido che aveva usato prima e toccò una cosa nera infilzata vicino al fuoco.
-Sì è bruciata la carne- imprecò.

Bardack e i compagni di caccia si allontanarono in direzione delle rispettive capanne. Il puzzo del sague rappreso di quelle bestie sulla pelle era quanto di più nauseabondo avessero sentito negli ultimi anni.
-Ma sei sicuro che quegli xhari non fossero malati?- disse Satora, il più grosso di loro e quindi quello che aveva trasportato l'animale più grosso, odoradosi la spalla con una smorfia di disgusto.
-Ma certo che erano sani!-ribattè Rasia. -E poi a noi che ce ne importa? Quelle sono le bestie per le femmine, mica per noi.
-Non ce ne importa niente, ricordati questa cosa per quando le femmine avranno tirato le cuoia e verremo a divertirci con te.
-Non tireranno le cuoia. Al massimo staranno abbastanza male da smettere di urlare in continuo, il che non mi dispiacerebbe.
Bardack lasciava vociare i compagni continuando a pensare allla femmina appena visto con lo zoppo.
-Questa donna è proprietà di Vegeta...
Dannazione. 
Vegeta gli avrebbe tagliato la testa se avesse anche solo osato toccarla.
Bardack pensò al volto sanguinario del ragazzo durante gli allenamenti, e a come Vegeta riusciva da solo a mettere al tappeto dieci di loro tutti assieme.
Però ....
Bardack lasciò i compagni ed entrò nella propria capanna. La femmina che aveva lasciato il mattino presto e di cui non ricordava nemmeno il nome dormiva ancora in posizione scomposta come una bestia sporca e piena di zecche.
I capelli ricadevano dalla stuoia sulla terra piena di ogni sporcizia, ma quei capelli non davano l'idea di essere più puliti della terra su cui poggiavano.
Bardack con un calcio svegliò la femmina pensando a quell'aliena dai capelli chiari. 
La femmina emise un mugugnio di disappunto e si girò dall'altra parte probabilmente sperando di riuscire a fingersi addormentata.
-Smettila di fare finta, lo vedo che sei sveglia.
Bardack lanciò un nuovo calcio al costato della donna, e questa volta colpì più forte tanto per ribadire che non amava essere preso per il culo.
Mentre la donna cercava di divincolarsi e lui tenendola ferma con il proprio peso la possedeva con la forza, Bardack pensò a quell'aliena dall'aria dura e combattiva.
Non gli sarebbe spiaciuto farle passare quella smorfia di superiorità dal bel faccino liscio e pulito.
E in fin dei conti Vegeta era malato.
Spartack e lo zoppo non potevano tenerla con loro all'infinito.

L'impressione della somiglianza fra Talora e Spartack che avevo notato vicino al fuoco ebbe una veloce conferma quando vidi comparire Spartack nella capanna.
Mi ero seduta su una specie di sacco, e Talora stava controllando con attenzione le vesciche di cui erano coperti i miei piedi sporchi. La notte prima ero stata troppo stanca e stordita per rendermene conto, ma dall'altura al villaggio avevo percorso alcuni chilometri senza scarpe e su un terreno tutt'altro che liscio.
Talora mi aveva già medicato le sbucciature su mani e braccia di quando ero caduta con Vegeta giù dal pendio, e mi stava fasciando il secondo piede quando sentimmo dei passi decisi avvicinarsi e poi Spartack varcare l'uscio del locale.
-Sei qui, bene - disse, con tono serio per dissimulare il fatto che con ogni probabilità temeva di non trovarmi e che fossi sparita.
Talora lasciò un attimo la mia fascia e cambiò il panno umido sulla fronte di Vegeta. -Vicino al fuoco abbiamo incontrato Bardack e quelli che sono andati a caccia. Non mi fidavo a lasciarla là fuori da sola
-Hai fatto bene- disse Spartack. Subito dopo lanciò uno sguardo a Celia che stava appoggiata alla parete addormentata come un sasso. -Problemi con il polso?
Talora si voltò a guardare la sorella e scrollò le spalle. -Nessun problema. Ha solo perso molto sangue e ha bisogno di riprendersi. Ho provato a svegliarla prima ma quando sono tornato dormiva di nuovo.  Le ho detto di andare nella sua capanna ma non ne ha voluto sapere. Ha paura che Vegeta si svegli quando lei non c'è.
Vidi padre e figlio scambiarsi un'occhiata che definire eloquente era riduttivo. Osservandò il volto della ragazza addormentata, i suoi lineamenti dura ma attraenti, la posizione con cui stava appoggiata alla parete come pronta a svegliarsi in ogni momento, non mi stupì il fatto che a salvare Vegeta avessero mandato proprio lei.
Era indubbiamente una ragazza forte e di cui loro si fidavano, e in più si sarebbe fatta ammazzare piuttosto che tornare senza Vegeta.
Anche lei era coperta di cicatrici.
Rendendomi conto che in quella stanza c'erano tre ragazzi giovani di cui uno senza una gamba, una con una mano quasi mozzata e uno mezzo morto, pensai che non mi importava della bontà di Lektar e della buona fede della sua razza.
Nella loro base non avevo visto nessuno nelle condizioni di quei ragazzi, e gli Skatos se ne stavano nella loro città illuminata a giorno mentre i Sayan vivevano tra gli stenti come animali.
Non era giusto che gli Skatos avessero tutto, nemmeno se il pianeta era loro da prima dei Sayan.
Possibile che in un globo così grande non ci fosse posto per tutti quanti?
Talora controllò per l'ultima volta la fasciatura al mio piede e si alzò finalmente in piedi, sgranchendosi la gamba sana e la schiena.
-Dobbiamo trovarle qualcosa da mettere ai piedi- disse Talora a Spartack -Se no le fasciature non faranno altro che trattenere la sporcizia.
Spartack annuì e per un attimo parve pensare ad una possibile soluzione.
-Chiederò alle femmine di fargli un paio di calzature su misura. Dalla dispensa ho sentito arrivare un tanfo terribile, quindi il gruppo di Bardack come suo solito non ha fatto altro che cacciare bestie malate. Dirò di fare alla donna delle scarpe usando quelle pelli.
Talora annuì convinto e per un attimo padre e figlio rimasero a guardarsi.
Poi, Spartack puntò la sua attenzione su di me.
-Allora, Burma...
-Bulma- lo corressi.
-Bulma- ripetè Spartack, mentre Talora pareva stupito della decisione con cui avevo corretto la pronuncia. -Cominciamo dicendo che non ho la più pallida idea del perchè il ragazzo abbia deciso di portarti qui, e non ho neanche la più pallida idea di chi tu sia dato che non sei una Skatos e non sei una Sayan. Per tua sfortuna, o fortuna a seconda dei punti di vista, hai già avuto modo di vedere con che gente avrai a che fare, e Talora dovrebbe averti dato dei consigli su come comportarti.
-Sì, mi ha detto di non restare sola.
-Non restare sola, appunto, e anche quando non sei da sola usa molta cautela, perchè le terze classi hanno paura di me e mio figlio, ma l'uomo è uomo e l'istinto rende irrazionali, se capisci cosa intendo.
-Credo di capire.
-Sono sicura che capisci.
Spartack estrasse dalla tasca cucita nella pelle che usava come indumento una specie di pillola e si voltò verso Talora.
-Dai questa al ragazzo. Sua madre mi disse di usarle per le emergenze, e questa è un'emergenza.
Spartack diede la pillola a Talora, che la guardò con aria interrogativa.
-E' una delle "loro" medicine?- chiese il ragazzo, come se in mano stesse tenendo un oggetto leggendario.
Bardack scrollò le spalle. -Sulla confezione c'è scritto "per guarire", e non credo che gli Skatos divertano a fare etichette diverse dal loro contenuto.
Io osservavo quella scena senza capire.
Quella pillola sembrava una specie di aspirina, eppure Talora lo fissava come se fosse la pietra filosofale.
Spartack notò la mia espressione incuriosita. -Anni fa la madre del ragazzo riuscii a portar via degli oggetti da una base degli Skatos. E una confezione di queste pillole faceva parte del bottino.
La madre del ragazzo?
Stavo cominciando a collegare i pezzi che avevo di quella storia, quando Talora prese la pillola e la mise sotto la lingua di Vegeta. Il ragazzo la ingoiò e l'effetto che essa ebbe fu molto simile a quello dei Senzu.
La madre del ragazzo era la donna che era entrata nella base degli Skatos perchè il figlio stava male. Molto probabilmente quel figlio era Vegeta stesso.
Ecco perchè Lektar era rimasto stordito dal vedere il ragazzo ferito nel corridoio.
Il predecessore di Lektar, Falen, aveva accolto la donna e Vegeta, salvo poi che lei e il figlio erano scappati portando via della refurtiva.
Lektar conosceva già Vegeta, e anche Jasper che del ricordo di Falen aveva ereditato la parte del tradimento. 
Era stato Jasper a fare del male a Vegeta, e era del ragazzo il sangue che lo Skatos aveva sulla manica. 
Ancora mi sfuggiva il motivo di tanto accanimento, ma poco per volta vedevo che i frammenti di quella storia cominciavano a ricomporsi.
Non sapevo nemmeno come si era sviluppata la fase del tradimento, ma era molto probabile che la donna avesse già avuto in mente l'idea di impietosire i nemici scienziati, e che Falen fosse cascato nel piano.
Guardai il volto del ragazzo tornare di un colore bronzeo naturale e la coda alzarsi debolmente fino a sventolare sempre più forte.
Era ancora immobilizzato dal gesso sulla clavicola, ma quando aprì gli occhi vidi Spartack sorridere e Talora fissare Vegeta con un'espressione di assoluto stupore.
Il ragazzo parve confuso. Guardò Talora, poi Spartack.
Solo quando ebbe guardato tutta la stanza, e per puro caso si voltò in mia direzione, dove evidentemente si tenevano i medicinali e di solito non c'era mai nessuno, che il suo volto divenne serio.
-Come fai a conoscermi?-disse Vegeta, con un filo di voce così familiare che mi sembrò di aver davanti il mio Vegeta venti anni più giovane.
 
  
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