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Autore: lilyhachi    24/07/2014    4 recensioni
(Post terza stagione; nessun collegamento con la quarta stagione)
Madison era rotta, come un oggetto di vetro, i cui pezzi erano sparsi chissà dove, eppure Derek non sembrava da meno, solo che nessuno dei due era in grado di vedere le rispettive incrinature.
Derek Hale era spezzato. Tutto il suo dolore era accompagnato da una bellezza suggestiva in grado di annullare tutte quelle scosse che sembravano martoriare il suo sguardo rigido. Tutta la sua sofferenza era perfettamente modellata, come fosse creta, per far in modo che non ci fossero crepe, così da impedire al più flebile spiraglio di luce di entrare. Tutti i suoi tormenti erano pericolosamente allineati come le tessere del domino, e anche il minimo fruscio avrebbe potuto segnare una reazione a catena irreversibile. Da lontano, sembrava tutto in ordine, ma bastava avvicinarsi per riconoscere quelle piccole imperfezioni che lo rendevano rotto…splendidamente rotto.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XI


Half broken
 
“How many special people change? How many lives are living strange?
Where were you when we were getting high?
Slowly walking down the hall, faster than a cannon ball.
Where were you while we were getting high?
Some day you will find me, caught beneath the landslide.
In a champagne supernova in the sky”.
(Oasis – Champagne Supernova)
 
Un dolore pungente alla fronte riscosse Stiles dallo stordimento leggero in cui era caduto.
Aprì gli occhi a fatica, sentendo un rivolo di sangue caldo a livello del sopracciglio destro e strinse i denti per il fastidio, voltandosi poi verso Cora sempre priva di sensi al suo fianco. Il suo corpo era ancora tutto intero per miracolo ma ogni parte di esso sembrava addormentata e dolente per ciò che gli era stato fatto. Rammentò i colpi inferti da Blake e le grida di Cora mentre Gwen faceva in modo che tutte quelle scosse elettriche si propagassero lungo il suo corpo esile.
Rabbrividì a quel ricordo ancora impresso a fuoco sulla pelle diafana.
Un’ombra non molto lontana da lui lo fece sussultare, in preda al pensiero che qualcun altro fosse corso lì per torturarli ancora, come aveva fatto la licantropa dai capelli rossi. Tuttavia, quello che Stiles vide non aveva nulla a che fare con sangue o torture.
Un uomo gli si avvicinò: i capelli castani e leggermente spettinati ornavano il viso spigoloso ma rassicurante, completamente diverso da quello del suo alpha Julian.
Gli occhi chiari erano fissi nei suoi e lo guardavano senza odio alcuno: sembrava completamente diverso da Julian e gli trasmetteva sicurezza, un conforto quasi paterno. Stiles osservò con attenzione ogni suo movimento, mentre quello faceva qualche passo verso di lui con una borraccia tra le mani.
“Chi sei?”, domandò Stiles, rizzando la schiena e squadrandolo con sospetto.
L’altro non rispose e avanzò verso Cora, provocando uno scatto in Stiles che cercò inutilmente di spingersi nella sua direzione come per fermarlo, e regalandogli un’espressione truce. Ridley, tuttavia, lo ignorò e adagiò la borraccia sulle labbra di Cora, permettendole di prendere un sorso di acqua mentre il ragazzo lo fissava incredulo e abbastanza confuso da quel gesto.
La ragazza si ridestò leggermente, abbandonandosi a profondi respiri affaticati.
Dopodiché, Ridley ruotò il busto verso Stiles e sollevò la mano con la borraccia, come per chiedergli il permesso, che gli venne concesso dal silenzio del ragazzo.
Stiles bevve qualche sorso d’acqua e aspettò che Ridley si fosse allontanato abbastanza per riprendere a parlare, non prima di aver rivolto uno sguardo a Cora.
“Chi sei?”, ripeté ancora lui. “Sei qui per torturarci?”.
Ridley sorrise, ma il suo sorriso non mostrava alcuna nota di divertimento: era spento e amaro, come una luce che si affievoliva sempre di più, fino a spegnersi.
“Non è nei miei programmi”, esclamò semplicemente, voltandosi poi verso la porta, come attirato da un rumore, per poi avvicinarsi a Stiles e allentare la presa della catena sui polsi. Fece la stessa cosa con Cora, permettendo ad entrambi di muoversi con più facilità.
“Credo che i vostri amici stiano per arrivare…sento il loro odore in lontananza”.
“E lo dici così?”, gli chiese Stiles con un sorrisetto, macchiato dal taglio sul labbro superiore.
“Perché sei qui?”, intervenne Cora, pronunciando debolmente quella domanda.
“Non vi riguarda”, ribatté Ridley, lasciando brillare i suoi occhi da beta.
Stiles ghignò. “Un beta che disobbedisce al suo alpha?”.
Un altro rumore non diede modo a Ridley di rispondere, costringendolo a voltarsi verso l’entrata, pronto a ricevere uno del branco e sperando vivamente che non si trattasse di Julian. Ridley odiava discutere con qualcuno del branco che non fosse Bastian, e soprattutto odiava confrontarsi con Julian, non soltanto perché fosse il suo alpha. C’era una specie di obbligo morale che lo teneva vincolato a Julian, una catena avvolta attorno ai suoi polsi, e creata esclusivamente dalla sua mente: doveva la vita a Julian, doveva restare fedele al suo alpha, doveva obbedire ai suoi ordini e smettere di ribellarsi.
Ridley doveva ripagare quel torto, doveva lavare via quella macchia nera che si estendeva a dismisura sul suo cuore, doveva impedire che consumasse il suo cuore già marcio. Fece un respiro profondo, preparandosi al peggio, quando Bastian entrò nella cripta.
“Mi hai fatto prendere un colpo”, lo rimproverò Ridley, chiudendo gli occhi.
“Scusa”, esclamò l’altro, mortificato. “Li hanno trovati, Julian ordina di andare via”.
Ridley rivolse un ultimo sguardo verso i due ragazzi, mentre Stiles non riusciva a volgere lo sguardo stanco e confuso verso una direzione diversa, chiedendosi cosa fosse appena successo.
“Perché l’hai fatto?”, domandò Stiles senza staccare gli occhi dal licantropo.
Ridley non rispose e gli diede le spalle, facendo segno a Bastian di seguirlo, mentre anche quest’ultimo dedicava un’ultima occhiata ai due prigionieri per poi correre fuori.
Stiles rimase lì con mille domande che vorticavano nella sua testa, con quel gesto di bontà proveniente non da uno ma da ben due membri del branco di Julian.
Perché Ridley e Bastian sembravano non avere nulla in comune con il loro alpha?
Perché Ridley si era preoccupato del loro stato, quando nessun altro lo aveva fatto?
Si perse per un tempo così indefinito in tutte quelle questioni irrisolte, che quasi non si accorse del tonfo contro la porta e dell’arrivo di Scott, affiancato da Lydia e da suo padre. Non appena vide i loro volti, Stiles si lasciò andare ad un sorriso prima di perdere i sensi.
 
Il cellulare di Derek era suonato giusto in tempo.
Uno squillo improvviso aveva messo fine a quella disputa silenziosa che si stava svolgendo tra Madison e Derek, impedendo al licantropo di ferire ulteriormente la ragazza. Uno squillo improvviso e Derek si era catapultato fuori casa, ordinando a Madison di non muoversi da lì, ma nelle sue parole non c’era conforto, solo ordini dettati con leggero astio.
Derek andò incontro a Peter che teneva Cora tra le sue braccia, e la sfilò dalla presa di suo zio per portarla in casa, ignorando tutto il mondo circostante e concentrandosi su sua sorella. Derek la strinse come se ne andasse della sua stessa vita, come se Cora fosse un tesoro prezioso che andava protetto da ogni tipo di agente esterno pronto a farle del male. Nel momento esatto in cui la pelle di Cora sfiorò le mani di Derek, l’espressione di lui cambiò radicalmente, mentre il senso di frustrazione e protezione si faceva strada nel suo petto.
Madison rimase immobile con il capo chino sul pavimento, sentendo la presenza di Peter accanto.
Derek adagiò Cora sul divano e le passò una mano sulla fronte con fare apprensivo.
Cora riaprì lentamente gli occhi, respirando profondamente e riprendendo possesso del suo corpo, nonostante il dolore subito le circolasse ancora nelle vene.
Derek le strinse forte una mano, portandosela alle labbra e Madison si sentiva sempre più andare in pezzi per ciò che sarebbe potuto accadere: Cora e Stiles avevano rischiato la vita per causa sua.
Un rumore attirò l’attenzione di tutti loro, che si voltarono, scorgendo Isaac che scendeva le scale ancora barcollante e con una mano sul fianco in via di guarigione. Il ragazzo osservò Cora, sgranando gli occhi chiari che sembrarono farsi ancora più grandi e luminosi di quanto non fossero già, mentre si avvicinava al divano sotto lo sguardo indagatore e lievemente infastidito di Derek, appena entrato in modalità “fratello maggiore”.
Cora mise la mano libera sulla spalla di Derek, mentre cercava di rimettersi a sedere, seppur a fatica, e rivolgendo a suo fratello uno sguardo sereno, come per rassicurarlo. Isaac si sedette ai piedi del divano, notando la pelle estremamente pallida della ragazza e la sua fronte sudata, mentre il corpo sembrava ancora sconvolto da quella elettricità assassina.
“Stai bene?”, domandò lui, pentendosene subito e strizzando gli occhi, come per scusarsi della domanda stupida.
“Starò bene”, rispose Cora con voce flebile e rivolgendo un sorriso ad Isaac che Derek fece finta di non notare, come fece finta di non notare gli sguardi che i due di scambiavano.
Sembrava una complicità silenziosa quella di Cora e Isaac, e per quanto Derek fosse tentato dal ringhiare, intimando ad Isaac di tenere le zampe lontano da sua sorella, evitò almeno per quella sera.
Derek si accorse del leggero dolore che aveva ripreso posto fra le membra di Cora e portò un braccio attorno alla vita mentre l’altro si stringeva sotto le sue ginocchia, per sollevarla di peso.
Isaac li seguì silenziosamente, senza perdere di vista il volto di Cora che sorrise dolcemente prima a lui e poi a Madison che era rimasta lontana dal divano per tutto il tempo senza dire nulla.
Era possibile sentirsi di troppo nella sua stessa casa? Madison aveva desiderato avvicinarsi per assicurarsi che Cora stesse bene ma sembrava ci fosse una barriera attorno a loro che le negava l’accesso. Si era sentita semplicemente di troppo in quella scena, e soprattutto colpevole.
“Sento la tua preoccupazione, tesoro”, esclamò Peter, richiamandola con la sua voce melliflua.
Madison gli scoccò un’occhiataccia, ignorando quel commento e stringendosi le braccia al petto, come per chiudersi in quel senso di inadeguatezza che si faceva sempre più vivo, come la voglia di scappare e consegnarsi per mettere fine ad ogni cosa.
 
Stiles non voleva aprire gli occhi.
Stava così bene in quel torpore che riaprire gli occhi gli sembrava il gesto più gretto e insano che avrebbe potuto compiere: voleva rimanere con gli occhi chiusi a bearsi di quel calore. Non sentiva più il dolore che aveva percepito diverse ora fa, il suo corpo era ancora parecchio intorpidito ma in condizioni diverse, come se qualcuno lo avesse curato amorevolmente. Si vide costretto ad incontrare la luce della lampada sul comodino della sua camera, seppur controvoglia, e così lascio che i suoi occhi si beassero della luce che non aveva visto durante tutta quella notte infernale che aveva trascorso chiuso in una specie di cripta insieme a Cora.
Una lieve pressione al livello del fianco lo costrinse a cercare di sedersi, ma Stiles si bloccò non appena vide di cosa si trattava, o meglio, di chi: Lydia dormiva con la testa poggiata sul materasso e una mano abbandonata accanto alla sua, come a volerla sfiorare.
Il ragazzo sorrise dolcemente, carezzando le sue dita e facendo attenzione a non svegliarla ma quel tocco appena accennato bastò ad allontanare dal sonno Lydia, la quale rizzò subito il capo. Si voltò verso Stiles con gli occhi ancora stanchi e l’espressione allarmata che si rilassò immediatamente, vedendolo sano e salvo nel letto di casa sua. Lydia sospirò e poggiò il capo sulle braccia conserte, lasciando i capelli rossi sparsi sulla coperta, sorridendo tranquilla, sotto gli occhi curiosi e vispi di Stiles che inclinò il capo, guardandola.
“Cosa c’è?”, chiese Stiles, non riuscendo a nascondere l’ombra di un sorriso.
“Stai bene”, disse semplicemente lei, portando una mano dietro il collo. “Ti ho trovato”.
“Come?”, domandò ancora lui, sempre più stupito dalle abilità di Lydia.
“Ho avuto un piccolo aiutino”, confessò lei senza dire altro ma lanciando a Stiles uno sguardo abbastanza eloquente. “Non credevo di farcela”.
A quelle parole, Stiles vide chiaramente un lampo di sconforto nei suoi occhi ed ebbe quasi un flash di come si fosse sentita Lydia durante quelle ore insopportabili passate a cercare lui e Cora. Riuscì a vederla mentre si portava le mani alle tempie, cercando disperatamente di udire qualcosa: un suono, un sibilo, un bisbiglio, un segno qualsiasi che la portasse esattamente da lui.
Allora Stiles adagiò la mano sulla sua e la strinse forte. “Mi hai trovato, mi troverai sempre”.
Lydia sorrise come non gli aveva mai sorriso e ricambiò quella stretta che valeva più di mille parole.
Avrebbe sempre trovato Stiles, come lui avrebbe sempre trovato lei, ad ogni costo.
“Dovresti dormire”, continuò lui, accorgendosi di quelle occhiaie che martoriavano il suo sguardo sempre limpido e luminoso.
Lydia sembrò esitare, perché se lui non voleva aprire gli occhi, lei non voleva chiuderli di nuovo, per paura che fosse tutto un sogno: non voleva chiudere gli occhi e sognare ancora di Stiles in pericolo, senza riuscire a capire la differenza tra sogno e realtà. Voleva rimanere sveglia a guardare Stiles solo per constatare che stesse bene, che non ci fosse nessun lupo o demone a portarlo via da lei.
Stiles non fece fatica ad accorgersi della sua incertezza e, preso da un moto di coraggio che prima non avrebbe mai mostrato, si sedette alla ben meglio sul letto, facendole spazio. Lydia spostò gli occhi stanchi e lucidi dal suo viso al posto liberto accanto a Stiles che le sorrise, indicandole di sedersi con un cenno del capo e tendendole la mano per essere più chiaro. Non aveva paura di risultare troppo diretto, non aveva paura di intimorirla, perché Stiles non aveva più paura, o forse non ne aveva mai avuta, invece Lydia era terrorizzata e lui si sentiva in dovere di rassicurarla, di farla avvicinare solo per farle capire che non sarebbe andato via.
Lydia prese posto accanto a lui, sentendosi un po’ goffa perché Lydia Martin non poteva avere le gambe molli come una tredicenne.
“Puoi dormire, Lydia”, le sussurrò lui dolcemente ad un palmo dal suo viso. “Sono qui”.
Lydia si accoccolò accanto a Stiles, adagiando il viso sul suo petto, mentre le braccia di lui si stringevano attorno al suo corpo che sembrò farsi ancora più fragile.
Stiles immerse il volto nei suoi capelli che profumavano di shampoo alla fragola e chiuse gli occhi, cullando Lydia e lasciandosi cullare a sua volta dal calore che emanava il suo corpo. La ragazza si strinse ancora di più a Stiles, afferrandogli la maglietta con le dita.
Stiles sorrise e senza muoversi troppo, prese il bordo della coperta con la mano, adagiandola su entrambi, e osservando il volto rilassato di Lydia che dormiva tra le sue braccia. Erano al sicuro, almeno per quel momento, ed erano insieme.
 
Madison scelse quella notte come sua complice, poggiando i piedi sul pavimento freddo e facendo attenzione a non svegliare nessuno, nonostante in casa sua ci fossero soltanto licantropi. La telefonata di Scott l’aveva rassicurata, così come la voce di Lydia mentre le diceva che stavano bene e soprattutto che Stiles stava bene. Lydia l’aveva ringraziata, dicendo che senza il suo aiuto non ce l’avrebbe fatta…e Madison sarebbe scoppiata volentieri in lacrime, solo per liberarsi.
Si mosse piano per la sua stanza, infilando la giacca beige e le fidate converse, prima di recarsi al piano di sotto sempre nel massimo silenzio. Era abbastanza certa che Cora e Isaac non avrebbero fatto caso ai quei rumori non udibili ad occhio umano, ma Derek e Peter potevano essere un problema.
Tuttavia, doveva tentare di sgattaiolare via, non le importava come.
Quando scese in cucina, trovandola avvolta nel buio più totale, Madison credette davvero di avercela fatta e allungò la mano verso la maniglia della porta di casa, scontrandosi con l’aria fredda della notte. Respirò a pieni polmoni, soddisfatta e sorpresa di essere uscita di casa con facilità ma non appena mosse un passo verso gli scalini del portico di quella casa scarna e silenziosa, una presa salda sul braccio la costrinse a voltarsi immediatamente verso la fonte di quella pressione.
Derek la guardava con gli occhi verdi ridotti a due fessure ed un’espressione traboccante di rimprovero: magari l’avrebbe accusata di essere uscita per fare chissà cosa, quando Madison, in realtà, voleva soltanto mettere fine a tutto quello che aveva indirettamente causato.
“Vai da qualche parte?”, domandò Derek con una voce così dura e fredda che le fece chiedere se fosse davvero Derek ad essere lì oppure un blocco di marmo senza anima.
Madison strattonò via la sua mano, arretrando di un passo.
“Via”, rispose lei quasi sibilando, formulando quella risposta come fosse un’accusa. “Vado via da qui e da te, vado a mettere fine a tutto questo".
Le sopracciglia di Derek si arcuarono, rivelando una delle sue solite espressioni corrucciate e confuse, che poi divenne ancora più accigliata quando capì.
“Vuoi andare da loro?”, domandò con la voce ridotta ad un debole sussurro e sgranando gli occhi, come se non ci credesse nemmeno lui a quelle parole assurde.
Madison strinse le labbra ed evitò il suo sguardo che sembrava volerle scavare dentro, con il solo ed unico scopo di leggere i pensieri che teneva più nascosti e Madison odiava quel modo di fare. Odiava permettere che qualcuno la guardasse a quel modo, facendola sentire debole e mandando all’aria ogni proposito che aveva costruito e ideato con tanta intraprendenza. Odiava il fatto che Derek avesse tutto quell’ascendente su di lei.
Fece per dargli le spalle ma Derek la fermò ancora una volta, prendendola per le spalle e voltandola verso di lui in un’unica mossa. Madison sentiva le sue mani che sembravano fiamme pronte a bruciarla sul tessuto della giacca e ancora una volta sgusciò via dal suo tocco.
“Sei impazzita?”, le chiese Derek, guardandola davvero come se fosse fuori di testa.
“No, sono perfettamente sana”, rispose lei con sarcasmo. “I miei nonni mi hanno fatta controllare”.
Derek indurì ancora di più il suo sguardo. “Non c’è nulla su cui scherzare”.
“No, non c’è”, gli ricordò Madison, guardandolo con leggero disprezzo e ordinando a sé stessa di non scoppiare a piangere come una bambina, nonostante i suoi occhi non fossero d’accordo.
“Stiles e Cora potevano morire”, continuò Madison, stanca di resistere a tutto quel vento che tentava continuamente di abbatterla. “Per colpa mia. Julian vuole farvi del male, solo per me, allora perché continuare quando potrei facilitargli il compito? Questa storia finisce qui”.
“Ti rendi conto di quello che stai dicendo?”.
“Me ne rendo conto!”, Madison aveva quasi urlato per l’esasperazione. “Mi rendo conto che tu mi hai portata qui quando avresti preferito lasciarmi direttamente a loro. Mi rendo conto che tu, Derek, vedi soltanto ciò che vuoi vedere...vedi solo i danni, non vedi quanto mi senta responsabile. I miei nonni sono morti per mano di Julian. La mia vita non mi appartiene più. Delle persone innocenti hanno rischiato la vita per causa mia ed io potrei mettere fine a tutto, così forse la smetteresti di guardarmi come se volessi farmi a pezzi. Il mio fidanzato stava con me solo per consegnarmi ad un alpha psicopatico che sembra essere mio padre. Mi ha ingannata e tu dovresti sapere meglio di chiunque altro come ci si sente, per colpa di Kate”.
Madison si portò una mano alla bocca, spalancando gli occhi e rendendosi conto di ciò che aveva appena detto: aveva fatto un riferimento a Kate, senza volerlo e temeva davvero di aver acceso in Derek quella miccia che non doveva essere neanche lontanamente sfiorata.
Derek, tuttavia, dopo una sorpresa iniziale, non reagì male a quella confessione ma si sentì un vero e proprio verme, soprattutto quando gli occhi di Madison divennero lucidi. Lacrime silenziose cominciarono a rigarle le guance, ma Madison cercò di spingerle via, abbassando il capo e asciugandole con la manica della giacca, cercando di non fare caso agli occhi di Derek.
Derek era stato ingannato così tante volte da qualcuno di cui aveva avuto fiducia che avrebbe dovuto sapere come si sentiva Madison, ma non lo aveva fatto, perché accusarla era stato più facile. Aveva preferito vedere un male che non c’era, invece della ragazza forte che si stava rompendo in mille pezzi proprio davanti ai suoi occhi, sfiancata dai colpi che le erano stati inferti.
Quando Madison tentò di asciugarsi un’altra lacrima, Derek fermò quella mano tremante con la sua e senza dire nulla, riportò la ragazza in casa, tenendo la mano stretta nella sua. Madison si lasciò trascinare, come fosse un automa, sentendo chiaramente le forze che iniziavano a venirle meno, nonostante non avesse fatto nulla per stancarsi. Forse aveva portato dentro di sé così tanti pesi che adesso era bastata una piccola spinta per farla cadere, mentre tutti quei pesi si schiantavano al suolo, liberandola e permettendole di sentire quella stanchezza repressa, che Derek sembrava voler cancellare in qualche modo.
Era rotta, come un oggetto di vetro, i cui pezzi erano sparsi chissà dove, eppure Derek non sembrava da meno, solo che nessuno dei due era sembrato intento a vedere le rispettive incrinature.
Derek Hale era spezzato. Tutto il suo dolore era accompagnato da una bellezza suggestiva in grado di annullare tutte quelle scosse che sembravano martoriare il suo sguardo rigido. Tutta la sua sofferenza era perfettamente modellata, come fosse creta, per far in modo che non ci fossero crepe, così da impedire al più flebile spiraglio di luce di entrare. Tutti i suoi tormenti erano pericolosamente allineati come le tessere del domino, e anche il minimo fruscio avrebbe potuto segnare una reazione a catena irreversibile. Da lontano, sembrava tutto in ordine, ma bastava avvicinarsi per riconoscere quelle piccole imperfezioni che lo rendevano rotto…splendidamente rotto.
Una volta entrati in casa, Derek condusse lentamente Madison al divano, lasciando che si sedesse e prendendo posto al suo fianco per poi accendere la televisione in modo da riempire il silenzio. La ragazza non disse nulla, troppo spossata per parlare.
“Dovrei sapere come ti senti e non solo per Kate”, confessò improvvisamente Derek, attirando l’attenzione di Madison che volse lievemente il capo nella sua direzione. “La mia ultima fidanzata si è rivelata un mostro che se ne andava in giro a fare sacrifici umani sotto il nostro naso”.
“Hai un ottimo gusto in fatto di donne”, esclamò Madison, fissando la tv accesa su una puntata del telefilm Sherlock e sentendo subito gli occhi di Derek su di sé.
Gli occhi di Madison si chiusero subito dopo aver sussurrato quella frase pronunciata all’improvviso: la collera e la frustrazione erano sparite all’improvviso, come per magia. Derek non si mosse da lì ma rimase al suo fianco, guardandola cadere in un sonno profondo e vegliando su di lei, per assicurarsi che non scappasse.
 
Ridley cominciò a camminare nervosamente per il salotto di quella casa dismessa e abbandonata che avevano scelto come base, perché ben lontana dal centro di Beacon Hills. Stava aspettando l’arrivo di Julian e Gwen, insieme a Bastian, Blake e Keith, i quali se ne stavano in silenzio e a debita distanza, fatta eccezione per Blake che era rimasto accanto a Bastian. Non avrebbe mai capito il motivo che spingeva Blake a comportarsi in quel modo, mostrando due personalità completamente diverse a seconda della persona che aveva dinanzi. Ma, in fin dei conti, erano tutti sottoposti di un alpha a cui dovevano la vita, e non sembrava esserci spazio per la verità o per i sentimenti, di quelli puri e colmi di speranza.
Non c’era spazio per la verità, come non c’era spazio per l’amore…lui aveva tentato di far prevalere quei sentimenti, di metterli al primo posto ma non aveva avuto molto successo. Infatti, si ritrovava lì, ad obbedire senza possibilità di replica.
Quando Julian arrivò, accompagnato da Gwen che sembrava l’unica pronta a seguirlo anche fino in capo al mondo, Bastian si voltò verso l’uomo con un’espressione eloquente.
“Li hanno trovati”, esclamò Blake, guardando il suo alpha, in attesa del prossimo ordine. “Come la mettiamo adesso? Credi che Madison si sarà convinta?”.
“Credo abbia bisogno di un’altra piccola spinta”, convenne Julian, scrutando con i suoi occhi di ghiaccio le figure attorno a lui. “Presto li attaccheremo direttamente, e voglio che facciate quanti più danni possibili, senza distinzioni fra umani, banshee, licantropi o kitsune”.
Persino Keith mostrò una lieve incertezza a quell’intenzione, sussultando.
“Non credo che il ragazzo e la banshee possano darci qualche problema”, esclamò il cacciatore. “Perché non ci occupiamo solo dei licantropi? I gemelli possono essere fastidiosi, in quanto alpha”.
Gwen trattenne un risolino a quella frase, passando una mano nei capelli rosso fuoco che le cadevano sulla spalla e a nessuno dei presenti sfuggì quel gesto fin troppo eloquente. Keith spostò lo sguardo da lei a Julian, aspettando una risposta.
“Dubito che i gemelli siano fastidiosi”, convenne Julian, incrociando le mani dietro la schiena e facendo un passo verso Keith, seduto sul bracciolo del divano. “Uno è morto, tanto per cominciare, mentre l’altro…deve essere andato via chissà dove e chissà con chi”.
L’espressione di Keith divenne una tavolozza di colori tutti mischiati insieme: nessuna emozione era ben definita, ma erano tutte lì, presenti sotto forma di macchie irregolari che prima si espandevano e poi venivano sovrastate da macchie di colore diverso.
Keith non sapeva esattamente cosa dire ma riusciva a sentirsi semplicemente confuso e ingannato.
Possibile che Julian gli avesse mentito per tutto quel tempo?
Possibile che avesse ricevuto lo stesso trattamento che aveva riservato a Madison?
Si scagliò semplicemente verso Julian, guidato da una rabbia cieca e dalla realizzazione di tutto ciò che aveva fatto, di tutti i sentimenti che aveva rinnegato per lasciare spazio ad una vendetta che non avrebbe mai visto la sua realizzazione e che non gli era mai sembrata così inutile come allora.
Julian lo afferrò per la gola, allontanandolo da lui, senza il minimo segno di sconvolgimento su quel volto caratterizzato da una calma serafica e assassina, per poi scagliarlo sul divano impolverato.
“I due gemelli non sono qui?”, chiese Ridley incredulo per ciò che aveva udito.
Gwen scosse il capo in segno di diniego mentre Julian circuiva ancora Keith.
Per un attimo, Ridley desiderò saltare alla gola del suo alpha, perché mai avrebbe ritenuto Julian capace di un simile gesto, aveva sempre tenuto fede ad un accordo ma era evidente che li rispettava più nel modo convenzionale. Aveva segnato la vita di Keith Donovan, assoldandolo per ingannare Madison con il semplice intento di portarla da lui e ci era riuscito, nonostante avesse iniziato a provare qualcosa di profondo per la ragazza. Ridley non aveva tardato a capirlo.
Adesso Keith non aveva più nulla: non aveva amore, amicizia, famiglia o una vendetta su cui concentrare tutte le sue energie.
Aveva perso ogni cosa, per colpa di Julian.
“Domani notte ci muoveremo”, esclamò il licantropo, girandosi per andare via.
“Perché ci giri tanto intorno?”, domandò Ridley, lievemente spazientito. “Potresti portare qui Madison da un momento all’altro, perché perdere tempo?".
“Rischierei di togliermi tutto il divertimento”, disse lui con tono pacato e scrollando le spalle.
Ridley inclinò il capo. “E’ così che vuoi ricongiungerti a tua figlia?”.
Julian non rispose ma si limitò a sfoggiare uno sguardo minaccioso, lasciando scintillare i suoi occhi rossi proprio in direzione di Ridley. “Stai mettendo in discussione i miei ordini?”.
L’altro cercò di trattenere il ringhio che voleva squarciare il suo petto per uscire e abbassò il capo, sottostando per l’ennesima volta agli ordini di quell’alpha a cui doveva ogni cosa.
Eppure, a volte Ridley si chiedeva se ne valesse davvero la pena, se obbedire a Julian come un cagnolino da guardia fosse abbastanza per farlo sentire meno colpevole e riscattato.
Julian andò via insieme a Gwen, lasciando i tre beta da soli insieme a Keith che era ancora immobile sul divano con i pugni serrati e gli occhi colmi di rabbia.
Bastian scattò in piedi, fissando i suoi occhi scuri in quelli di Blake, mostrando una determinazione che nessuno di loro gli aveva mai visto prima di allora.
“Io non voglio più far parte di questo gioco assurdo”, esclamò con tono risentito e quando Blake fece per parlare, l’altro lo sovrastò con la sua voce. “Non dire nulla. Avete visto cosa ha fatto? Avete visto cosa ha intenzione di fare? Per quale barbaro motivo lo seguiamo? Nadia non vorrebbe questo, non vorrebbe che a sua figlia venisse fatto questo. Ma non vedete che a Julian non gliene importa nulla di Madison? Come diavolo fate ad ignorare tutto questo?”.
“Bastian, calmati”, esalò Blake, portandosi una mano tra i capelli biondi.
“No!”, abbaiò il ragazzo, spingendo via l’altro. “Come posso calmarmi? Nadia non sarebbe orgogliosa di noi, sarebbe disgustata…e tu Ridley, proprio tu dovresti opporti a questa carneficina”.
Ridley incurvò leggermente la schiena, stringendo spasmodicamente la manica della sua giacca, e fissando lo sguardo sul legno rovinato del pavimento, soffermandosi su qualche crepa sparsa un po’ ovunque e su tutta la polvere che faceva da contorno.
“Io me ne vado”, concluse Bastian, uscendo a grandi passi dalla stanza per poi inoltrarsi nella boscaglia che si ergeva dietro la loro casa. 
Ridley osservò Bastian andare via e il peso che portava a livello del petto diventava sempre più opprimente, come un vero e proprio macigno, rischiando quasi di togliergli il respiro. Nulla di ciò che stava facendo aveva senso. Nulla di ciò che stavano facendo era giusto.
Lui, Ridley Allen, era soltanto un illuso che credeva di poter trovare una redenzione che non sarebbe mai arrivata. Non avrebbe mai trovato alcun riscatto, solo altro dolore.

 
 
Quando Derek aprì gli occhi, sentì il bisogno di prendersi ancora qualche minuto per realizzare dove fosse, con chi fosse, e quali ricordi avesse della sera precedente. Gli sembrava di aver dormito per mesi e ora il risveglio poteva essere paragonato ad uno sforzo indicibile che non riusciva a compiere, semplicemente perché era stato troppo bene in quel calore. La coperta blu copriva solo una parte del suo corpo, avvolto ancora nei vestiti della sera prima, mentre la restante parte era quasi completamente adagiata su Madison che dormiva al suo fianco.
Derek la osservò in silenzio, senza il coraggio di svegliarla, ricordando con maggiore chiarezza il modo in cui avevano passato la sera precedente.
Ricordò la sfumatura che avevano assunto i suoi occhi, così simili ai suoi solo nel colore, ma che nascondevano paure del tutto differenti, quando Derek li aveva fissati come se non fosse in grado di guardare altrove. I suoi occhi gli erano sembrati un faro nel bel mezzo della notte.
Dietro gli occhi di Derek c’era il fuoco, quello che aveva bruciato la sua famiglia e la sua casa, mentre le sue spire partivano dalla figura di Kate che lo fissava con il solito ghigno compiaciuto.
Dietro gli occhi di Derek c’era tutta la responsabilità che gli era crollata addosso, come il legno bruciato e distrutto della sua vecchia casa nel bosco, sovrastandolo con violenza.
Dietro gli occhi di Derek c’era il dolore di un cuore frantumato troppe volte.
Invece, dietro gli occhi di Madison c’era tutt’altro: sicuramente dolore, abbandono ma anche speranza, la voglia di rialzarsi dopo ogni sofferenza patita, la forza di lasciarsi il passato alle spalle e prendere fra le mani la propria vita, dimostrando di poterla plasmare a proprio piacimento.
Gli occhi di Madison erano luminosi e Derek sarebbe stato per ore a guardarli, lasciandosi rischiarare e scaldare dal tepore che emanavano, come il sole in pieno inverno.
Derek aveva condotto Madison sul divano di quella casa che era diventata una semplice scatola fredda, con al suo interno ricordi di una vita felice, svanita come sabbia tra le dita. Prima le si era seduto accanto, prestando attenzione a ciò che la ragazza stava vedendo prima di dormire e poi si era alzato per sistemare la coperta blu su di lei. Infine, si era addormentato accanto a Madison, preso dalla stanchezza, prima di scoprire se Sherlock avesse ingerito la pillola (1).
Troppo sopraffatto da quella sensazione di benessere che aveva iniziato a fare capolino dentro di lui, permettendo a quel lieve calore si irradiarsi anche nel suo petto, Derek fece per alzarsi dal divano ma un mugolio emesso da Madison lo costrinse a rimanere al suo posto, vedendola svegliarsi.
Madison aprì gli occhi e lo osservò, sbattendo le ciglia un paio di volte con fare incredulo, come se fosse convinta di trovarsi ancora nel mondo dei sogni, e quando capì di essere sveglia, Derek sentì perfettamente il suo cuore saltare un battito. Era certo che non si aspettava di trovarlo ancora lì.
Eppure, Derek era esattamente accanto a lei e non avrebbe saputo spiegarne il motivo.
Aveva solo sentito di dover restare su quel divano verde e troppo grande per una sola persona, perché Madison vi si era sempre seduta con qualcuno accanto: con i suoi nonni, magari con Lana quando frequentavano il liceo mentre in quel momento occupava un angolino del divano, da sola.
“Ciao”, lo salutò Madison con la voce ancora impastata dal sonno e portando uno sguardo alla tv accesa, per poi soffermarsi su Derek. “Hai dormito qui?”.
“Già”, rispose semplicemente lui, rendendosi conto della veridicità delle sue parole. “Stavo guardando Sherlock e poi mi sono addormentato di colpo”.
Madison si sistemò meglio sul divano, guardandolo meglio e trovando quella frase come la peggiore delle scuse, poiché una parte di lei voleva credere che Derek avesse deciso di starle vicino.
Tuttavia, accantonò il pensiero quasi subito, considerando il soggetto con cui aveva a che fare.
“E’ una bella serie”, continuò Madison, stringendosi nelle spalle e carezzando la coperta con la mano, accorgendosi di non averla presa la sera prima.
“Questa che ci fa qui?”.
Non c’era alcuna allusione nella sua domanda, solo una reale confusione e Derek preferì evitare di guardarla in viso, poiché non si era mai sentito così a disagio prima di allora. Madison si voltò a guardarlo, mentre aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e le dita intrecciate che lo rendevano perfettamente immobile nel suo silenzio, come fosse una statua.
“Sai, a volte mi domando...”, cominciò Madison bloccandosi quasi subito, titubante, mentre Derek si voltava verso di lei, attirato da quel mezzo sorriso. “Se io non fossi stata la ricercata figlia di un licantropo che vuole trasformarmi, ma solo la ragazza tamponata che lavora ad una caffetteria e che ha frequentato il tuo stesso liceo, mentre tu un ragazzo scorbutico che beve solo caffè espresso”.
Fece una pausa, rendendosi conto delle sue stesse parole e Derek trattenne il respiro, lasciandosi travolgere da un’orda di immagini su come sarebbero state le loro vite se Keith non avesse portato Madison in un magazzino per consegnarla a Julian. Forse avrebbe concentrato tutte le sue energie per non vederla, per far sì che il fato non li facesse incontrare di nuovo ma Peter vi avrebbe messo sicuramente lo zampino, e probabilmente si sarebbero visti ancora una volta.
Avrebbe cercato di ritrovare il suo numero di telefono, giustificandosi con Cora e Peter dicendo che aveva perso un documento importante e loro si sarebbero guardati, ghignando divertiti. Peter gli avrebbe consegnato il numero di Madison, sgraffignato in qualche modo da Lana, e gli avrebbe fatto l’occhiolino, invogliandolo a chiamarla ma Derek non l’avrebbe fatto, no. Derek avrebbe evitato di telefonarle, limitandosi ad osservare così insistentemente quei numeri fino a ricordarli a memoria. Avrebbe potuto comporli subito ma avrebbe esitato ugualmente.
Derek avrebbe schivato quella possibilità, fino a ritrovarsi casualmente nella caffetteria dove lavorava per chiedere un espresso.
“Forse io e te ci saremmo odiati meno”, continuò lei, congiungendo le mani sulle gambe e guardando le sue dita che si intrecciavano, giocherellando solo per non concentrare la attenzione su altro. “Magari saremmo anche stati amici”.
“Madison, non-“, la interruppe lui, sentendosi strano, come mortificato al pensiero che Madison credesse addirittura di essere odiata da lui ma la ragazza lo fermò con un gesto della mano.
“Non mentire, Derek. Non è necessario”, gli disse con un sorriso amaro, privo di risentimento o rancore ma sincero, seppur un po’ malinconico. “Forse capisco la tua avversione”.
Derek la guardò in silenzio, mentre una parte di lui continuava a perdersi in quell’ipotetica versione della loro conoscenza, in quella dimensione parallela senza lupi, senza soprannaturale, senza niente che potesse ostacolare la nascita di un sentimento vero e nuovo.
Madison gli avrebbe sorriso, vedendolo lì e lo avrebbe costretto a provare qualcosa di diverso dal caffè espresso, consigliandogli di prendere il latte con cannella, panna e crema di nocciole. Derek lo avrebbe provato e lei avrebbe riso di gusto, notando un ciuffo di panna rimasto sul suo labbro superiore ma non glielo avrebbe fatto notare, solo per vedere quel Derek così buffo da annullare l’aria rigida che si era costruito attorno. Da allora, ogni cosa sarebbe venuta da sé.
Ci sarebbero stati altri incontri, uno dopo l’altro, innocenti e fatti solo di bevande calde e chiacchiere a fior di labbra, fingendo che fosse tutto casuale. Ci sarebbero stati altri sguardi complici, permettendo a quegli occhi della stessa tonalità ma con diverse sfumature di studiarsi più a fondo, cogliendo ogni cambiamento. Ci sarebbero stati milioni di sorrisi, sia da parte di Derek, mentre la osservava al bancone della caffetteria che si gustava la sua pausa con un libro tra le mani; sia da parte di Madison, mentre si concentrava sul suo libro per impedirgli di distrarla, con scarsi risultati. Ci sarebbero stati dei debolissimi sfioramenti fra le loro mani che si sarebbero ritirate incerte, come se si fossero scottate; sfioramenti che sarebbero diventati pian piano più consistenti, più reali, fino a lasciare che le loro dita si intrecciassero una buona volta per tutte, senza timori. Derek non l’avrebbe mai vista come una minaccia al pari di Kate o Jennifer. Certo, sarebbe stato ugualmente impaurito dall’idea di soffrire ancora una volta e in maniera sempre peggiore rispetto alle precedenti, ma mai come aveva avuto paura realmente. L’avrebbe guardata con devozione, chiedendosi cosa avesse fatto per meritarsi qualcosa di così bello e prezioso. Si sarebbe fatto abbracciare, sbuffando divertito ogni volta che Madison gli avrebbe stretto le braccia al collo, inspirando il suo profumo e sfiorando il naso sul suo collo con fare giocoso.
Derek l’avrebbe baciata continuamente: le avrebbe baciato la fronte, gli occhi, il naso e gli zigomi, facendola sorridere, per poi arrivare alle labbra dischiuse e perdersi in lei con la certezza di potersi abbandonare perché Madison non lo avrebbe fatto cadere, mai.
“So di non averti ispirato molta fiducia”, sussurrò Madison, ricordando il modo in cui Derek l’aveva sempre trattata, ritenendola un pericolo per chiunque. “Ma…io non potrei mai fare quello che hanno fatto altri. Non potrei mai mettere in pericolo te, Scott o Stiles, voi mi avete aiutata e lo state facendo ancora, nonostante il pericolo che correte ogni giorno che passa”.
Nella parola “altri”, sussurrata con voce più bassa e incerta, c’era quello che Madison aveva udito la sera prima ma che fingeva di non sapere. Gli altri non erano che Kate e Jennifer. Derek lesse qualcosa di nuovo nei suoi occhi, qualcosa che c’era sempre stato ma che lui non aveva mai voluto vedere perché non credeva potesse esserci: sincerità. Madison non era un serpente nascosto sotto un fiore, non era un mostro nascosto dietro un viso niveo e dolce, non era una cacciatrice affamata di sangue nascosta dietro una ragazza qualsiasi.
Madison era reale, a differenza delle donne che aveva incontrato nel corso della sua vita.
“In un’altra vita, forse avremmo discusso solo per il tuo stupido caffè espresso”.
Derek sorrise, accorgendosi solo dopo di come avessero fatto entrambi lo stesso pensiero, ma non glielo comunicò, semplicemente perché il fatto che fossero quasi sulla stessa lunghezza d’onda non faceva che rendere ogni cosa sempre più grande e soprattutto reale.
“Magari avremmo litigato anche per quale telefilm guardare”, aggiunse Derek, senza riflettere su cosa avesse detto realmente e rendendosene conto solo dopo, quando Madison stava già ridendo.
“Io avrei optato per C’era Una Volta”, disse Madison con tono fiero, beccandosi uno sguardo truce da parte di Derek. “Avresti lanciato popcorn contro il televisore per esprimere il tuo odio verso Biancaneve e Azzurro anche se in fondo avresti amato la loro storia, o magari verso Henry, ma la versione di Cappuccetto Rosso ti sarebbe piaciuta”.
“Probabile”, ribatté Derek, incrociando le braccia al petto. “Io avrei scelto Doctor Who”.
“Beh, questo lo avrei guardato”, ammise Madison, facendo un cenno con il capo e portando una mano fra i capelli fluenti che Derek avrebbe desiderato sfiorare per tastarne la morbidezza.
“Davvero?”, le chiese Derek, aggrottando un sopracciglio in risposta.
“Certo!”, rispose lei, permettendo a Derek di scorgere un lato nerd che proprio non conosceva.
Derek rise di una risata così vera che Madison avrebbe voluto urlare al miracolo perché non credeva di poter assistere ad un evento del genere. Insomma, era risaputo che vedere Derek Hale ridere era un evento a dir poco raro, e sia Scott che Stiles non avevano esitato a ricordarglielo.
Eppure, Derek stava ridendo, accanto a lei, e Madison pensò davvero che avrebbe dovuto ridere molto più spesso: il suo sorriso stringeva il cuore, era qualcosa di nuovo in grado di infondere calore, perché quando Derek rideva era come se quel sorriso gli scoppiasse nel petto.
Era come una supernova, una vera e propria esplosione stellare.
Quando le loro risa cessarono, calò quel silenzio imbarazzante che entrambi sembravano temere e continuarono a trovare il pavimento della casa più interessante.
Madison unì le proprie mani e si strinse nelle spalle, pensando di alzarsi dal divano ma la voce di Derek la fermò, costringendola a restare immobile.
“Io mi fido di te”, dichiarò lui, guardandola dritto negli occhi e per nulla intenzionato a distogliere lo sguardo, come se Madison in quel modo potesse leggere la verità nei suoi occhi.
Madison gli sorrise grata e quando afferrò la sua mano lo fece in maniera così naturale che non si accorse del sussulto che quel gesto aveva provocato in Derek, il quale si irrigidì, portando lo sguardo su quelle dita lunghe e affusolate sulle sue, creando un’immagine perfetta.
Madison si accorse di quel cambiamento repentino e fece per togliere la mano ma Derek l’afferrò giusto in tempo, invitandola a lasciarla lì sopra la sua, senza modificare quella combinazione, quell’incastro perfetto dato dalle loro mani congiunte.
Poi furono solo labbra.
 
 
Angolo dell’autrice
 
- (1) riferimento alla puntata di Sherlock "Uno studio in rosa".

Il nuovo capitolo è arrivato!
Chiedo immensamente scusa per il ritardo ma purtroppo ho avuto tanti di quegli impegni che non sono riuscita mai a mettermi seriamente al pc per scrivere il nuovo capitolo. Tra ieri ed oggi sono riuscita magicamente a scriverlo e vi invito a farmi presente qualche strafalcione, perché ho fatto giusto una rilettura veloce prima di pubblicarlo. Mi scuso anche per la sua lunghezza, perché è un po’ più corposo rispetto agli altri ma spero non sia pesante da leggere.
Non ci sono moltissime precisazioni di fare su questo capitolo: vi dico semplicemente che niente è come sembra, quindi fate un po’ voi u.u
Spero che vi piaccia e fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va. Ringrazio di vero cuore le persone che hanno recensito (in particolare Marti, Helena e Clare che mi hanno lasciato tre poemi come recensioni *.*), letto e messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate…grazie a tutti <3
Al prossimo capitolo, un abbraccio!
   
 
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