Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Astrea_    24/07/2014    1 recensioni
[Dal primo capitolo]
Sapevano che erano esattamente come tante piccole mine vaganti, senza passato né futuro, anime che si affannavano per sopravvivere, che si sbracciavano per rimanere a galla nell’oceano increspato della vita. Si sforzavano di cercare contatti, di trovare stabilità, amore ed affetto. Fingevano di comprendersi, di esserci l’uno per l’altro, di essere uniti, ma in realtà sapevano di essere terribilmente soli. Non erano un gruppo, ma solo l’unione di individualità problematiche, di adolescenti troppo presi ad affrontare le difficoltà del piccolo mondo nel quale si rinchiudevano. Erano fragili, talmente tanto che sarebbe bastata una sola folata di vento per raderli al suolo, ridurli a brandelli. Erano forti, tanto forti da mascherare le loro più grandi paure, l’incolmabile vuoto che sentivano nei loro petti e nelle loro menti.
STORIA ISPIRATA ALLA SERIE TELEVISIVA "SKINS".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
g

AUDREY

Uno, come il numero di volte che aveva fatto sesso nei suoi diciassette anni di vita. Due, i ragazzi che aveva avuto e che puntualmente l'avevano lasciata a causa del suo estremo cinismo. Tre, i pianti che ricordava. Quattro, i dolci preferiti da sua madre che aveva più volte cercato di cucinare, senza mai ottenere risultati quantomeno accettabili. Cinque, le ricorrenti insufficienze nella sua pagella intermedia. Sei, le fughe notturne da casa di cui mai nessuno si era accorto. Sette, le volte in cui aveva rubato in un negozio per un valore totale di poco più di due centinaia di sterline. Otto, le peggiori imprecazioni indirizzate a suo fratello senza neppure una reale e valida motivazione. Nove, come le occhiate rivolte al letto vuoto della camera di Millie appena qualche sera prima. Dieci, le volte in cui aveva pensato di andarla a riprendere, le volte in cui aveva tremato, spaventata, le volte in cui la consapevolezza della drammaticità delle condizioni in cui verteva la sua famiglia l'aveva travolta.
Audrey scosse lievemente il capo, sforzandosi di focalizzare nuovamente la sua attenzione sul foglio ancora bianco destinato al breve saggio in lingua francese che avrebbe dovuto scrivere nel giro di un'oretta. I suoi compagni di classe avevano tutti la testa china sul banco, intenti a buttar giù chissà quali originali idee sul commento di un libro che avevano dovuto leggere durante la scorsa settimana, mentre lei continuava a mordicchiarsi il labbro inferiore con lo sguardo vacuo fermo sul vetro della finestra.
Avrebbe improvvisato un breve e succinto commento durante gli ultimi venti minuti, potendo contare sulla sua impeccabile conoscenza della grammatica francese e di una vasta gamma di vocaboli da cui attingere.
Si chiese se fosse il caso di informare suo padre dello strano periodo che Millie stava affrontando, magari solo per avere il parere di una presunta persona adulta e responsabile, ma subito fu dissuasa da quell'idea che di certo non avrebbe beneficiato a sua sorella. Al massimo, conoscendo suo padre, lui l'avrebbe fatta seguire da qualche psicologo di sua conoscenza e l'avrebbe obbligata a frequentare qualche corso di chissà cosa in cui non avrebbe imparato nulla.
Sospirò sommessamente, poi passò una mano tra i capelli lunghi e mossi. Solo in quel momento si accorse della presenza di un ragazzo, a qualche metro dalla finestra, per metà nascosto dietro un muretto. Audrey sorrise quando lo vide sbracciarsi per assicurarsi di aver catturato la sua attenzione. Dalla chioma riccia e scomposta riconobbe immediatamente Harry. Per un attimo si domandò se stesse cercando proprio lei o qualcun altro, così indugiò per qualche istante sui volti dei suoi compagni di corso, pensando a chi di loro potesse conoscere Harry, ma la sua ricerca terminò senza aver prodotto alcun risultato. Tornò con lo sguardo sul ragazzo che ora le faceva segno di raggiungerla, con le labbra piegate in un sorriso impacciato che Audrey non riuscì a non ricambiare. Si alzò di scatto, afferrando il figlio bianco della verifica, e con passo deciso si rivolse verso la cattedra. Gli occhi inquisitori del professore la puntarono all'istante, ma Audrey non si fece scalfire affatto. Era sicura di quello che si accingeva a fare. Lasciò cadere il foglio sul tavolo di legno e sorrise con aria compiaciuta. Senza attendere neppure un attimo, si avviò verso la porta.
“Signorina Wood, il suo compito non è svolto”, commentò con tono sorpreso l'uomo, nel tentativo di fermare la ragazza che ormai aveva già poggiato la mano sulla maniglia.
“Pazienza”, borbottò in risposta, lasciando definitivamente l'aula con sguardo fiero e fiammeggiante.
Era sempre così. Ogni volta che si decideva a fare qualcosa che la ragione le sconsigliasse vivamente, sentiva l'adrenalina scorrere nelle sue vene e la pelle elettrizzarsi. Era un po' come tornare indietro nel tempo e ricordare quella sensazione che l'avvolgeva tutte le volte che preparava qualche stupido scherzetto a Duncan. Quei sorrisetti malefici, il passo felpato, la paura mista all'eccitazione. Scrollò le spalle, lasciando che quei ricordi le liberassero la mente. Aveva consegnato un'esercitazione di francese, l'unica materia in cui ancora poteva vantare degli ottimi voti, completamente in bianco. Non aveva scritto nulla su quel foglio protocollo, non si era neppure preoccupata di copiare la traccia o di scrivere qualche frase introduttiva e generica con la quale simulare un iniziale tentativo di svolgere il compito assegnatole. Non ne aveva voglia, non quel giorno perlomeno.
Era insensato e da incoscienti, ma abbandonare la classe nel mezzo dell'ora di lezione era tutto ciò che sentiva di fare in quel momento.
“Ciao”, salutò con un cenno della mano quando ebbe raggiunto Harry.
Il riccio le sorrise, uscendo allo scoperto dal muretto dietro il quale si era rintanato.
“Ciao”, ricambiò portando la mano destra tra i capelli per afferrarne alcune ciocche.
“Allora?”, domandò Audrey incrociando le braccia al petto, mentre i suoi occhi si poggiavano curiosi sulla figura di Harry.
Lui forzò un sorriso eccessivo, cercando di mascherare il disagio che pervadeva il suo corpo. Aveva agito d'impulso, non soffermandosi per neppure un istante su ciò che stava per fare. Sapeva che riflettendoci si sarebbe di certo convinto dell'assurdità di quel gesto. Era in aula, al corso di matematica, quando quella malsana idea gli era balenata in testa. Era d'un tratto giunto alla ovvia ed inequivocabile conclusione di gradire la compagnia di Audrey molto più di quella di qualsiasi altra ragazza, così aveva pensato di invitarla a trascorrere del tempo con lui, non gli interessava per quale precisa occasione. Solo in quel momento, tuttavia, aveva riscoperto l'imbarazzo che quella situazione implicava. Si trattava pur sempre di Audrey, la ragazza scorbutica con la risposta pronta a raggelare i più entusiasti spiriti, con lo sguardo truce ed impassibile ed Harry non aveva la più pallida idea di come fronteggiarla.
Il riccio non rispose, infilò distrattamente le mani nelle tasche dei jeans scuri e larghi che indossava. Audrey sollevò un sopracciglio con aria scettica, mentre un leggero ghigno prendeva forma sulle sue labbra. Trovava divertente e allo stesso tempo estremamente tenera l'espressione disarmata che spiccava dal volto di Harry.
“Non dici nulla?”, la sua domanda retorica suonava quasi come una banale e deludente constatazione.
Lei aveva pur sempre lasciato la classe per raggiungerlo.
Certo, magari aveva approfittato della situazione per evadere, ma aveva comunque deciso di dirigersi proprio da lui. Harry prese un profondo e lungo respiro, quasi parlare gli costasse uno sforzo soprannaturale. Il suo unico desiderio era quello di riuscire ad esprimere i suoi pensieri senza tuttavia risultare infantile o banale.
“Io mi chiedevo…”, iniziò, tentennando con la voce. “Ecco, mi chiedevo…”, riprovò, ma ancora una volta le parole gli morirono in gola.
Audrey corrugò la fronte, squadrandolo attentamente per cercare di cogliere quante più informazioni dall’atteggiamento sospetto del ragazzo. Poggiò le spalle al muro e con un gesto lento estrasse una sigaretta dal pacchetto del largo cardigan scuro che aveva indosso. Harry la guardava quasi ammaliato mentre prendeva l’accendino, con quel piccolo cilindretto incastonato tra le labbra.
“Harry, parla”, gli orinò quasi, facendo un primo tiro. “Non ti mangio mica”, aggiunse ironica mentre una piccola nuvola di fumo grigiastro fuoriusciva dalla sua bocca.
Il riccio deglutì, muovendo un unico e deciso passo in direzione di Audrey.
“Vuoi uscire con me?”, domandò tutto d’un fiato, correndo su ogni singola lettera, come se la velocità potesse lenire il disagio causato da quel semplice invito.
Audrey sgranò gli occhi, evidentemente sorpresa. Rimase immobile, con il fiato sospeso per un tempo indefinito. Aveva le labbra leggermente socchiuse e la mano destra immobile attorno alla sigaretta, sulla cui estremità continuava ad accumularsi della cenere. Le parole di Harry le erano pervenute chiare, nonostante la voce impetuosa e frettolosa del ragazzo. Le aveva appena chiesto l’opportunità di vedersi al di fuori del contesto scolastico e dal giro di amicizie che si era creato e ciò non faceva altro che terrorizzarla. Audrey era sempre stata brava a difendersi, racchiusa nella sua impenetrabile corazza, soprattutto perché nessuno aveva mai provato ad avvicinarsi tanto a lei, la cinica ragazza menefreghista che aveva perso la madre ed il fratello maggiore.
“Cosa hai detto?”, chiese in replica quando finalmente riuscì a ritrovare la capacità di proferir parola.
Harry sorrise, nonostante si stesse mentalmente maledicendo per non aver riflettuto per neppure un istante su quella decisione. Se ne avesse avuto la possibilità, sarebbe tornato indietro nel tempo ed avrebbe assolutamente evitato quella patetica ed imbarazzante scenetta che al momento lo vedeva tra i protagonisti.
“Io volevo solo…”, balbettò, ma il tono deciso ed autoritario di Audrey lo costrinse a fermarsi.
“Io non esco con nessuno, quantomeno con i ragazzini che adottano le stesse tattiche con tutte le ragazze”, sbottò quasi rabbiosa, alludendo chiaramente a quando, mesi prima, aveva trovato Harry che spiava Margaret dalla finestra.
Audrey non ne era gelosa, aveva solo cercato il primo appiglio a cui potersi aggrappare per respingerlo. La verità, invece, era che aveva paura, una fottuta paura di non essere all’altezza, di non essere capace di amare, di pensare a qualcuno, un ragazzo, in maniera totalizzante.
“Io non volevo offenderti. È solo che in queste cose non sono molto bravo e credo che tu mi piaccia davvero”, ammise con il viso piegato in una timida smorfia.
Il cuore di Audrey perse un battito, la sigaretta le cadde dalle mani. Gli occhi verdi e sinceri di Harry erano puntati nei suoi, tanto da riuscire a destabilizzarla, provocandole una certa sensazione di disagio dovuta essenzialmente all’intensità dello sguardo. Due fossette appena scavate incorniciavano le labbra sottili del riccio, mentre i suoi capelli ricoprivano in parte la fronte. Harry era troppo per una come lei, Harry era troppo per Audrey. Harry significava serietà, sentimento, sincerità, sorriso. Significava aprirsi a qualcuno, fidarsi, legarsi ed Audrey aveva troppa paura per concedersi un simile rischio. Sapeva cosa significasse perdere una persona cara, forse era per quel motivo che teneva tutti lontani, che si ostinava a mostrarsi tanto indifferente al resto del mondo. In pochi istanti fece la sua scelta. Con un repentino scatto corse in direzione della porta, poi la varcò con sicurezza, non concedendosi neppure un ultimo sguardo ad Harry.
Era scappata via, fuggita.
“Non puoi esserti scolata due bottiglie a colazione”, la voce disgustata di Charlie era un chiaro rimprovero all’assurdo e poco razionale comportamento di Margaret.
L’altra fece spallucce, non curandosi neppure di rispondere, mentre procedeva a passo deciso lungo il corridoio.
“Ti farà male, rischi di esagerare”, la ammonì la bionda, cercando di metterla in guardia da eventuali spiacevoli conseguenze.
Non sapeva fino a che punto Margaret fosse disposta a spingersi, in realtà Charlotte non conosceva neppure il motivo che l’aveva portata ad iniziare, ma aveva visto le sue precarie condizioni a casa di Zayn. Margaret aveva preferito non raccontare a nessuno dei problemi che attanagliavano la sua famiglia e non solo perché era stato l’avvocato che suo padre aveva ingaggiato ad ordinarglielo. Semplicemente si vergognava di tutta quella situazione, non voleva ammettere neppure a se stessa gli errori commessi da suo padre. Lo aveva sempre stimato per il suo lavoro, per il modo in cui era riuscito ad affermarsi e far carriera all’interno di una società tanto spietata, ambiziosa ed arrivista. Invece, ora aveva la sensazione di non conoscere affatto l’uomo a cui per anni aveva affibbiato l’appellativo papà.
“Smettila di bere”, le ordinò infine Charlie, ridestando Margaret dal fiume di pensieri che l’aveva sommersa in quei pochi secondi.
“Non è così grave, l’ho fatto solo da Zayn”, ribatté allora.
Charlie scosse il capo, fermandosi a pochi metri dall’ingresso dell’aula dove si sarebbe tenuta la sua prossima lezione.
“So che lo fai spesso, il tuo alito puzza alle nove del mattino esattamente come alle cinque del pomeriggio”, sentenziò decisa a non cedere alle piccole bugie dell’amica.
Margaret storse il labbro, quasi innervosita dalla veridicità di cui sapeva quelle parole fossero ricolme.
“Va bene”, concesse senza troppa convinzione.
Charlie, tuttavia, per il momento fu costretta ad accontentarsi di quelle due parole quasi sbuffate, pronunciate con tono esasperato, a causa dell’interruzione provocata dal fastidioso suono della campanella.
“Bree, vola qui!”, la prese in giro un ragazzo alto e nerboruto, mentre giocherellava con l’agenda della ragazza, sventolandola alta in aria, così da renderle impossibile recuperarla.
Bree puntò gli occhi ridotti a due piccole fessure sui tre ragazzi che si erano disposti a triangolo intono a lei.
“Vieni a prenderla, se ci tieni tanto”, esclamò sornione un altro, afferrando l’agenda che il primo gli aveva appena lanciato con mira magistrale.
La rossa si fermò al centro, respirando lentamente per recuperare fiato nel tentativo di regolarizzare il battito accelerato e frenetico del suo cuore.
“Dai, Luke, leggi cosa c’è scritto”, lo incitò uno, sghignazzando sguaiatamente.
Questo non se lo fece ripetere due volte e, sorridendo, fece scorrere il dito tra l’elastico e la copertina, per poi liberarla da quella specie di sigillo.
“Smettetela”, si lamentò Bree, accorrendo in direzione del ragazzo che teneva la sua agendina tra le mani.
Voleva assolutamente riprenderla, desiderava che tutta quella umiliante situazione terminasse all’istante. Si fiondò letteralmente su Luke, ma lui fu molto più veloce di lei nel passare l’agenda al ragazzo rossiccio alla sua destra, Roger.
Bree li odiava, li odiava profondamente. Luke, Roger e Tom erano sempre lì, pronti a giocarle uno scherzetto davvero poco piacevole senza mai preoccuparsi di come lei potesse reagire a quelle loro invadenti iniziative. Una volta aveva provato a spiegar loro quanto mortificante fosse per Bree essere trattata in quel modo, ma quei ragazzi le avevano semplicemente riso in faccia, incapaci di comprenderla.
“Audrey di qui, Audrey di lì: praticamente passate ogni attimo insieme”, la prese in giro Roger, sfogliando distrattamente le pagine dove erano appuntate tutte le attività di Bree.
Era stata la sua analista a consegnarle di fare ordine nella sua vita, di cercare di mantenere ogni cosa sotto il suo controllo, per evitare di essere travolta dal caos. Un'altra fragorosa risata fece socchiudere gli occhi di Bree, avvilita e scoraggiata.
“E non dimentichiamoci della signora A, che poi tutti sappiamo che è quella dove vai per farti curare”, continuò Tom, deridendola, mentre sulle labbra del ragazzo si disegnava un’espressione vittoriosa.
Le prime volte Bree aveva pianto, sfogando così tutta la frustrazione accumulata, la rabbia repressa e l’impossibilità di contrastare quei tre ragazzi. Con il tempo, tuttavia, aveva imparato a trattenere le lacrime. Vederli ancora la rendeva estremamente fragile e vulnerabile, ma almeno ora poteva contare su una reazione pressoché minima. Era lì, ferma al centro, che si voltava seguendo il passaggio dell’agenda che avveniva tra i tre, i quali ne leggevano qualche pagina solo per utilizzarla come arma contro di lei.
“Louis, Liam, da quando hai così tante conoscenze?”, la provocò Tom, ghignando scettico.
Bree sospirò sommessamente, spostando lo sguardo di lato nel tentativo di concentrare altrove la sua attenzione e fu proprio in quell’istante che notò la presenza di Liam, fermo nei pressi del muretto, circondato da un gruppetto di appena un cinque persone. Lo sguardo del castano era puntato in direzione di Bree, tanto che lei si chiese da quanto tempo li stesse già osservando. Bree percepì un crescente imbarazzo montare in lei all’idea che lui l’avesse vista in simili condizioni, mentre si sbracciava o veniva derisa da un gruppo di tre ragazzini vigliacchi e codardi. Era una cosa che Bree, solitamente, teneva per sé, evitando di raccontarla persino ad Audrey. Detestava il fatto che altri potessero sapere del modo in cui quei tre si divertivano a scherzare con lei, era deprimente e degradante. Diffondere quell’informazione sarebbe stato esattamente come ammettere le sue debolezze, la sua incapacità di difendersi e Bree non era assolutamente pronta a ciò.
“Ma guardate!”, la richiamò ironico Luke, per attirare la sua attenzione. “Spera che lui intervenga!”, bofonchiò ridendo poco dopo.
Bree abbassò il capo, conficcando forte i denti nel labbro inferiore. No, sapeva che Liam non sarebbe venuto, l’aveva letto nei suoi occhi, sul suo viso. Liam non si sarebbe mai esposto tanto solo per quella che si poteva considerare una nuova ed inutile conoscenza. Lui progettava, pianificava e nei suoi programmi non c’era spazio per Bree, non ce n’era mai stato. Le volte in cui si erano parlati, erano state del tutto casuali e Liam non sapeva neppure spiegarsi il perché di quegli accaduti.
Per qualche attimo aveva preso in seria considerazione l’idea di piombare da quei tre tipi e intimorirli con qualche frase ad effetto ed uno sguardo truce, ma poi era stato costretto a ripensarci. Bree continuava a dimenarsi dal primo al secondo, poi al terzo per riprendere il circolo vizioso. Era lì, piccola ed indifesa, con il broncio sulle labbra ed un’espressione affranta che aspettava che quei ragazzi la smettessero di giocare con lei e la sua agenda. Il cuore di Liam si strinse in una dolorosa morsa. Bree non aveva esitato neppure un istante prima di avvicinarsi a lui quando era solo, Liam, invece, aveva preferito ignorarla bellamente nel momento del bisogno.
“Ho deciso”, affermò con aria sicura Zayn, sedendosi sul muretto del piccolo cortile durante la pausa lunga della giornata.
Louis lo guardò interrogativo, corrugando la fronte, mentre lo affiancava.
“Parlerò con quei tizi. Questa storia non può continuare”, decretò con gli occhi puntati su un qualcosa di impreciso davanti a lui.
Louis trattenne il fiato a quelle parole. Non aveva ancora ben chiari i progetti di Zayn, ma se le sue intuizioni erano esatte, allora non c’era nulla per cui essere tranquilli.
“Che intendi?”, chiese con un filo di voce, quasi temendo un’eventuale risposta.
Zayn annuì poco convinto. Era sicuro di ciò che stava per fare, non lo era, invece, delle ripercussioni che ci sarebbero state.
“Voglio dire a quegli stronzi che mi hanno già incasinato troppo la vita e che io non voglio far parte della loro merda”, borbottò stringendo forte la mano destra in un pugno all’altezza della coscia.
Zayn non aveva la più pallida idea di cosa si celasse dietro quell’uomo che puntualmente incontrava. Una volta aveva visto una donna, certo, ma non poteva certo giudicare da appena qualche membro le proporzioni e la grandezza del gruppo. Non sapeva chi lo comandasse, né quanti ne fossero e neppure poteva immaginare quale fosse il trattamento riservato a chi, come lui, aveva intenzione di abbandonare definitivamente il giro.
“E loro cosa diranno?”, domandò Louis.
Zayn era l’unica persona che da sempre gli era rimasta accanto, era in un certo senso quasi la sua famiglia, un punto di riferimento, colui a cui sapeva di potersi rivolgere in ogni momento per qualsiasi motivo. Pensare di poterlo perdere era la prospettiva che più lo terrorizzava. Louis non poteva permettersi di perdere l’unica persona che gli era rimasta, quella che davvero lo accettava e lo amava per ciò che era.
“Non lo so”, sussurrò sommessamente il moro, con un sospiro rassegnato.
Millie quasi correva per i corridoi, decisamente in ritardo per la lezione che era ormai iniziata da qualche minuto. Teneva i libri stretti al petto e la borsa sulla spalla destra, mentre con la testa bassa procedeva sicura nella sua direzione. Neppure aveva notato la presenza di un ragazzo che veniva proprio verso di lei. In un attimo la sua spalla si scontrò bruscamente con quella di un biondo, tanto che Millie d’istinto liberò i libri dalla presa, facendoli cadere a terra.
“Ahi”, si lamentò massaggiandosi il punto indolenzito.
“Scusa, non ti ho vista”, si giustificò lui, affrettandosi a prendere quei pochi volumi sparsi sul pavimento.
“Niall”, constatò sorpresa Millie quando i loro occhi si incrociarono.
“Millie”, replicò allora il biondo, porgendole la piccola pila che teneva tra le mani.
Millie sorrise appena, riconoscente per quel gesto. C’era del palpabile imbarazzo tra di loro. Lo si leggeva dagli occhi di Millie fermi sul viso di Niall, alla ricerca di un qualcosa da dire, dalle sue mani tremanti nascoste tra i libri, dall’espressione incerta del ragazzo e dal silenzio che era stranamente piombato in quell’istante.
“Grazie”, quasi balbettò Millie, cercando di camuffare il suo momentaneo disagio.
Niall le sorrise semplicemente, non ritenendo opportuno aggiungere altro. Quell’incontro, per lui, poteva anche terminare all’istante. Non sarebbe stato in grado di sostenere una conversazione con Millie esattamente come avrebbe fatto mesi prima. Erano cambiati, lo erano entrambi e lo erano troppo.
“Ah”, lo richiamò Millie, mentre lui già stava per superarla. “Ho saputo di te e Charlie, sono contenta per voi”, affermò con un sorriso sincero, lo stesso che Niall non vedeva da troppo tempo ormai.

---














Angolo Autrice
    Buonasera a tutti!:D Okay, stavolta ci ho messo un po' di più, ma ecco il nuovo capitolo! :D
Partiamo da Audrey e scopriamo come lei, invece di accettare l'invito di Harry, scappa via.
Quella ragazza è davvero incorreggibile!!!-.-"
Anyway, altre cose interessanti (?) sono la reazione di Liam alla piccola "disavventura" di Bree,
Millie che pare essere stranamente amichevole con Niall e Margaret che sembra sempre più assente.
Non sottovaluterei affatto la chiacchierata tra Louis e Zayn, ma non dico nulla in proposito!;)
Okay, stasera sono piuttosto di poche parole, quindi niente, volevo solo ringraziare chi legge, segue, ricorda e preferisce.
E poi ci tenevo a ricordare che se vi va di lasciare un commento o un suggerimento, sarei ben lieta di leggerlo!:D
Alla prossima!;)
                                                                      Astrea_

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Astrea_