AUDREY
Uno,
come il numero di volte che aveva fatto sesso nei suoi diciassette anni
di
vita. Due, i ragazzi che aveva avuto e che puntualmente l'avevano
lasciata a
causa del suo estremo cinismo. Tre, i pianti che ricordava. Quattro, i
dolci
preferiti da sua madre che aveva più volte cercato di
cucinare, senza mai
ottenere risultati quantomeno accettabili. Cinque, le ricorrenti
insufficienze
nella sua pagella intermedia. Sei, le fughe notturne da casa di cui mai
nessuno
si era accorto. Sette, le volte in cui aveva rubato in un negozio per
un valore
totale di poco più di due centinaia di sterline. Otto, le
peggiori imprecazioni
indirizzate a suo fratello senza neppure una reale e valida
motivazione. Nove,
come le occhiate rivolte al letto vuoto della camera di Millie appena
qualche
sera prima. Dieci, le volte in cui aveva pensato di andarla a
riprendere, le
volte in cui aveva tremato, spaventata, le volte in cui la
consapevolezza della
drammaticità delle condizioni in cui verteva la sua famiglia
l'aveva travolta.
Audrey
scosse lievemente il capo, sforzandosi di focalizzare nuovamente la sua
attenzione sul foglio ancora bianco destinato al breve saggio in lingua
francese che avrebbe dovuto scrivere nel giro di un'oretta. I suoi
compagni di
classe avevano tutti la testa china sul banco, intenti a buttar
giù chissà
quali originali idee sul commento di un libro che avevano dovuto
leggere
durante la scorsa settimana, mentre lei continuava a mordicchiarsi il
labbro
inferiore con lo sguardo vacuo fermo sul vetro della finestra.
Avrebbe
improvvisato un breve e succinto commento durante gli ultimi venti
minuti,
potendo contare sulla sua impeccabile conoscenza della grammatica
francese e di
una vasta gamma di vocaboli da cui attingere.
Si
chiese se fosse il caso di informare suo padre dello strano periodo che
Millie
stava affrontando, magari solo per avere il parere di una presunta
persona
adulta e responsabile, ma subito fu dissuasa da quell'idea che di certo
non
avrebbe beneficiato a sua sorella. Al massimo, conoscendo suo padre,
lui
l'avrebbe fatta seguire da qualche psicologo di sua conoscenza e
l'avrebbe
obbligata a frequentare qualche corso di chissà cosa in cui
non avrebbe
imparato nulla.
Sospirò
sommessamente, poi passò una mano tra i capelli lunghi e
mossi. Solo in quel
momento si accorse della presenza di un ragazzo, a qualche metro dalla
finestra, per metà nascosto dietro un muretto. Audrey
sorrise quando lo vide
sbracciarsi per assicurarsi di aver catturato la sua attenzione. Dalla
chioma
riccia e scomposta riconobbe immediatamente Harry. Per un attimo si
domandò se
stesse cercando proprio lei o qualcun altro, così
indugiò per qualche istante
sui volti dei suoi compagni di corso, pensando a chi di loro potesse
conoscere
Harry, ma la sua ricerca terminò senza aver prodotto alcun
risultato. Tornò con
lo sguardo sul ragazzo che ora le faceva segno di raggiungerla, con le
labbra
piegate in un sorriso impacciato che Audrey non riuscì a non
ricambiare. Si
alzò di scatto, afferrando il figlio bianco della verifica,
e con passo deciso
si rivolse verso la cattedra. Gli occhi inquisitori del professore la
puntarono
all'istante, ma Audrey non si fece scalfire affatto. Era sicura di
quello che si
accingeva a fare. Lasciò cadere il foglio sul tavolo di
legno e sorrise con
aria compiaciuta. Senza attendere neppure un attimo, si
avviò verso la porta.
“Signorina
Wood, il suo compito non è svolto”,
commentò con tono sorpreso l'uomo, nel
tentativo di fermare la ragazza che ormai aveva già poggiato
la mano sulla
maniglia.
“Pazienza”,
borbottò in risposta, lasciando definitivamente l'aula con
sguardo fiero e fiammeggiante.
Era
sempre così. Ogni volta che si decideva a fare qualcosa che
la ragione le
sconsigliasse vivamente, sentiva l'adrenalina scorrere nelle sue vene e
la
pelle elettrizzarsi. Era un po' come tornare indietro nel tempo e
ricordare
quella sensazione che l'avvolgeva tutte le volte che preparava qualche
stupido
scherzetto a Duncan. Quei sorrisetti malefici, il passo felpato, la
paura mista
all'eccitazione. Scrollò le spalle, lasciando che quei
ricordi le liberassero
la mente. Aveva consegnato un'esercitazione di francese, l'unica
materia in cui
ancora poteva vantare degli ottimi voti, completamente in bianco. Non
aveva
scritto nulla su quel foglio protocollo, non si era neppure preoccupata
di
copiare la traccia o di scrivere qualche frase introduttiva e generica
con la
quale simulare un iniziale tentativo di svolgere il compito
assegnatole. Non ne
aveva voglia, non quel giorno perlomeno.
Era
insensato e da incoscienti, ma abbandonare la classe nel mezzo dell'ora
di
lezione era tutto ciò che sentiva di fare in quel momento.
“Ciao”,
salutò con un cenno della mano quando ebbe raggiunto Harry.
Il
riccio le sorrise, uscendo allo scoperto dal muretto dietro il quale si
era
rintanato.
“Ciao”,
ricambiò portando la mano destra tra i capelli per
afferrarne alcune ciocche.
“Allora?”,
domandò Audrey incrociando le braccia al petto, mentre i
suoi occhi si
poggiavano curiosi sulla figura di Harry.
Lui
forzò un sorriso eccessivo, cercando di mascherare il
disagio che pervadeva il
suo corpo. Aveva agito d'impulso, non soffermandosi per neppure un
istante su
ciò che stava per fare. Sapeva che riflettendoci si sarebbe
di certo convinto
dell'assurdità di quel gesto. Era in aula, al corso di
matematica, quando
quella malsana idea gli era balenata in testa. Era d'un tratto giunto
alla
ovvia ed inequivocabile conclusione di gradire la compagnia di Audrey
molto più
di quella di qualsiasi altra ragazza, così aveva pensato di
invitarla a
trascorrere del tempo con lui, non gli interessava per quale precisa
occasione.
Solo in quel momento, tuttavia, aveva riscoperto l'imbarazzo che quella
situazione implicava. Si trattava pur sempre di Audrey, la ragazza
scorbutica
con la risposta pronta a raggelare i più entusiasti spiriti,
con lo sguardo
truce ed impassibile ed Harry non aveva la più pallida idea
di come
fronteggiarla.
Il
riccio non rispose, infilò distrattamente le mani nelle
tasche dei jeans scuri
e larghi che indossava. Audrey sollevò un sopracciglio con
aria scettica,
mentre un leggero ghigno prendeva forma sulle sue labbra. Trovava
divertente e
allo stesso tempo estremamente tenera l'espressione disarmata che
spiccava dal
volto di Harry.
“Non
dici nulla?”, la sua domanda retorica suonava quasi come una
banale e deludente
constatazione.
Lei
aveva pur sempre lasciato la classe per raggiungerlo.
Certo,
magari aveva approfittato della situazione per evadere, ma aveva
comunque
deciso di dirigersi proprio da lui. Harry prese un profondo e lungo
respiro,
quasi parlare gli costasse uno sforzo soprannaturale. Il suo unico
desiderio
era quello di riuscire ad esprimere i suoi pensieri senza tuttavia
risultare
infantile o banale.
“Io
mi chiedevo…”, iniziò, tentennando con
la voce. “Ecco, mi chiedevo…”,
riprovò,
ma ancora una volta le parole gli morirono in gola.
Audrey
corrugò la fronte, squadrandolo attentamente per cercare di
cogliere quante più
informazioni dall’atteggiamento sospetto del ragazzo.
Poggiò le spalle al muro
e con un gesto lento estrasse una sigaretta dal pacchetto del largo
cardigan
scuro che aveva indosso. Harry la guardava quasi ammaliato mentre
prendeva
l’accendino, con quel piccolo cilindretto incastonato tra le
labbra.
“Harry,
parla”, gli orinò quasi, facendo un primo tiro.
“Non ti mangio mica”, aggiunse
ironica mentre una piccola nuvola di fumo grigiastro fuoriusciva dalla
sua
bocca.
Il
riccio deglutì, muovendo un unico e deciso passo in
direzione di Audrey.
“Vuoi
uscire con me?”, domandò tutto d’un
fiato, correndo su ogni singola lettera,
come se la velocità potesse lenire il disagio causato da
quel semplice invito.
Audrey
sgranò gli occhi, evidentemente sorpresa. Rimase immobile,
con il fiato sospeso
per un tempo indefinito. Aveva le labbra leggermente socchiuse e la
mano destra
immobile attorno alla sigaretta, sulla cui estremità
continuava ad accumularsi
della cenere. Le parole di Harry le erano pervenute chiare, nonostante
la voce
impetuosa e frettolosa del ragazzo. Le aveva appena chiesto
l’opportunità di
vedersi al di fuori del contesto scolastico e dal giro di amicizie che
si era
creato e ciò non faceva altro che terrorizzarla. Audrey era
sempre stata brava
a difendersi, racchiusa nella sua impenetrabile corazza, soprattutto
perché
nessuno aveva mai provato ad avvicinarsi tanto a lei, la cinica ragazza
menefreghista che aveva perso la madre ed il fratello maggiore.
“Cosa
hai detto?”, chiese in replica quando finalmente
riuscì a ritrovare la capacità
di proferir parola.
Harry
sorrise, nonostante si stesse mentalmente maledicendo per non aver
riflettuto
per neppure un istante su quella decisione. Se ne avesse avuto la
possibilità,
sarebbe tornato indietro nel tempo ed avrebbe assolutamente evitato
quella
patetica ed imbarazzante scenetta che al momento lo vedeva tra i
protagonisti.
“Io
volevo solo…”, balbettò, ma il tono
deciso ed autoritario di Audrey lo
costrinse a fermarsi.
“Io
non esco con nessuno, quantomeno con i ragazzini che adottano le stesse
tattiche con tutte le ragazze”, sbottò quasi
rabbiosa, alludendo chiaramente a
quando, mesi prima, aveva trovato Harry che spiava Margaret dalla
finestra.
Audrey
non ne era gelosa, aveva solo cercato il primo appiglio a cui potersi
aggrappare per respingerlo. La verità, invece, era che aveva
paura, una fottuta
paura di non essere all’altezza, di non essere capace di
amare, di pensare a
qualcuno, un ragazzo, in maniera totalizzante.
“Io
non volevo offenderti. È solo che in queste cose non sono
molto bravo e credo
che tu mi piaccia davvero”, ammise con il viso piegato in una
timida smorfia.
Il
cuore di Audrey perse un battito, la sigaretta le cadde dalle mani. Gli
occhi
verdi e sinceri di Harry erano puntati nei suoi, tanto da riuscire a
destabilizzarla, provocandole una certa sensazione di disagio dovuta
essenzialmente all’intensità dello sguardo. Due
fossette appena scavate
incorniciavano le labbra sottili del riccio, mentre i suoi capelli
ricoprivano
in parte la fronte. Harry era troppo per una come lei, Harry era troppo
per
Audrey. Harry significava serietà, sentimento,
sincerità, sorriso. Significava
aprirsi a qualcuno, fidarsi, legarsi ed Audrey aveva troppa paura per
concedersi un simile rischio. Sapeva cosa significasse perdere una
persona
cara, forse era per quel motivo che teneva tutti lontani, che si
ostinava a
mostrarsi tanto indifferente al resto del mondo. In pochi istanti fece
la sua
scelta. Con un repentino scatto corse in direzione della porta, poi la
varcò
con sicurezza, non concedendosi neppure un ultimo sguardo ad Harry.
Era
scappata via, fuggita.
“Non
puoi esserti scolata due bottiglie a colazione”, la voce
disgustata di Charlie
era un chiaro rimprovero all’assurdo e poco razionale
comportamento di
Margaret.
L’altra
fece spallucce, non curandosi neppure di rispondere, mentre procedeva a
passo
deciso lungo il corridoio.
“Ti
farà male, rischi di esagerare”, la
ammonì la bionda, cercando di metterla in
guardia da eventuali spiacevoli conseguenze.
Non
sapeva fino a che punto Margaret fosse disposta a spingersi, in
realtà
Charlotte non conosceva neppure il motivo che l’aveva portata
ad iniziare, ma
aveva visto le sue precarie condizioni a casa di Zayn. Margaret aveva
preferito
non raccontare a nessuno dei problemi che attanagliavano la sua
famiglia e non
solo perché era stato l’avvocato che suo padre
aveva ingaggiato ad ordinarglielo.
Semplicemente si vergognava di tutta quella situazione, non voleva
ammettere
neppure a se stessa gli errori commessi da suo padre. Lo aveva sempre
stimato
per il suo lavoro, per il modo in cui era riuscito ad affermarsi e far
carriera
all’interno di una società tanto spietata,
ambiziosa ed arrivista. Invece, ora
aveva la sensazione di non conoscere affatto l’uomo a cui per
anni aveva
affibbiato l’appellativo papà.
“Smettila
di bere”, le ordinò infine Charlie, ridestando
Margaret dal fiume di pensieri
che l’aveva sommersa in quei pochi secondi.
“Non
è così grave, l’ho fatto solo da
Zayn”, ribatté allora.
Charlie
scosse il capo, fermandosi a pochi metri dall’ingresso
dell’aula dove si
sarebbe tenuta la sua prossima lezione.
“So
che lo fai spesso, il tuo alito puzza alle nove del mattino esattamente
come
alle cinque del pomeriggio”, sentenziò decisa a
non cedere alle piccole bugie
dell’amica.
Margaret
storse il labbro, quasi innervosita dalla veridicità di cui
sapeva quelle
parole fossero ricolme.
“Va
bene”, concesse senza troppa convinzione.
Charlie,
tuttavia, per il momento fu costretta ad accontentarsi di quelle due
parole
quasi sbuffate, pronunciate con tono esasperato, a causa
dell’interruzione
provocata dal fastidioso suono della campanella.
“Bree,
vola qui!”, la prese in giro un ragazzo alto e nerboruto,
mentre giocherellava
con l’agenda della ragazza, sventolandola alta in aria,
così da renderle
impossibile recuperarla.
Bree
puntò gli occhi ridotti a due piccole fessure sui tre
ragazzi che si erano disposti
a triangolo intono a lei.
“Vieni
a prenderla, se ci tieni tanto”, esclamò sornione
un altro, afferrando l’agenda
che il primo gli aveva appena lanciato con mira magistrale.
La
rossa si fermò al centro, respirando lentamente per
recuperare fiato nel tentativo
di regolarizzare il battito accelerato e frenetico del suo cuore.
“Dai,
Luke, leggi cosa c’è scritto”, lo
incitò uno, sghignazzando sguaiatamente.
Questo
non se lo fece ripetere due volte e, sorridendo, fece scorrere il dito
tra
l’elastico e la copertina, per poi liberarla da quella specie
di sigillo.
“Smettetela”,
si lamentò Bree, accorrendo in direzione del ragazzo che
teneva la sua agendina
tra le mani.
Voleva
assolutamente riprenderla, desiderava che tutta quella umiliante
situazione
terminasse all’istante. Si fiondò letteralmente su
Luke, ma lui fu molto più
veloce di lei nel passare l’agenda al ragazzo rossiccio alla
sua destra, Roger.
Bree
li odiava, li odiava profondamente. Luke, Roger e Tom erano sempre
lì, pronti a
giocarle uno scherzetto davvero poco piacevole senza mai preoccuparsi
di come
lei potesse reagire a quelle loro invadenti iniziative. Una volta aveva
provato
a spiegar loro quanto mortificante fosse per Bree essere trattata in
quel modo,
ma quei ragazzi le avevano semplicemente riso in faccia, incapaci di
comprenderla.
“Audrey
di qui, Audrey di lì: praticamente passate ogni attimo
insieme”, la prese in
giro Roger, sfogliando distrattamente le pagine dove erano appuntate
tutte le
attività di Bree.
Era
stata la sua analista a consegnarle di fare ordine nella sua vita, di
cercare di
mantenere ogni cosa sotto il suo controllo, per evitare di essere
travolta dal
caos. Un'altra fragorosa risata fece socchiudere gli occhi di Bree,
avvilita e
scoraggiata.
“E
non dimentichiamoci della signora A, che poi tutti sappiamo che
è quella dove
vai per farti curare”, continuò Tom, deridendola,
mentre sulle labbra del
ragazzo si disegnava un’espressione vittoriosa.
Le
prime volte Bree aveva pianto, sfogando così tutta la
frustrazione accumulata,
la rabbia repressa e l’impossibilità di
contrastare quei tre ragazzi. Con il
tempo, tuttavia, aveva imparato a trattenere le lacrime. Vederli ancora
la
rendeva estremamente fragile e vulnerabile, ma almeno ora poteva
contare su una
reazione pressoché minima. Era lì, ferma al
centro, che si voltava seguendo il
passaggio dell’agenda che avveniva tra i tre, i quali ne
leggevano qualche
pagina solo per utilizzarla come arma contro di lei.
“Louis,
Liam, da quando hai così tante conoscenze?”, la
provocò Tom, ghignando scettico.
Bree
sospirò sommessamente, spostando lo sguardo di lato nel
tentativo di
concentrare altrove la sua attenzione e fu proprio in
quell’istante che notò la
presenza di Liam, fermo nei pressi del muretto, circondato da un
gruppetto di
appena un cinque persone. Lo sguardo del castano era puntato in
direzione di
Bree, tanto che lei si chiese da quanto tempo li stesse già
osservando. Bree
percepì un crescente imbarazzo montare in lei
all’idea che lui l’avesse vista
in simili condizioni, mentre si sbracciava o veniva derisa da un gruppo
di tre
ragazzini vigliacchi e codardi. Era una cosa che Bree, solitamente,
teneva per
sé, evitando di raccontarla persino ad Audrey. Detestava il
fatto che altri
potessero sapere del modo in cui quei tre si divertivano a scherzare
con lei,
era deprimente e degradante. Diffondere quell’informazione
sarebbe stato
esattamente come ammettere le sue debolezze, la sua
incapacità di difendersi e
Bree non era assolutamente pronta a ciò.
“Ma
guardate!”, la richiamò ironico Luke, per attirare
la sua attenzione. “Spera
che lui intervenga!”, bofonchiò ridendo poco dopo.
Bree
abbassò il capo, conficcando forte i denti nel labbro
inferiore. No, sapeva che
Liam non sarebbe venuto, l’aveva letto nei suoi occhi, sul
suo viso. Liam non
si sarebbe mai esposto tanto solo per quella che si poteva considerare
una
nuova ed inutile conoscenza. Lui progettava, pianificava e nei suoi
programmi
non c’era spazio per Bree, non ce n’era mai stato.
Le volte in cui si erano
parlati, erano state del tutto casuali e Liam non sapeva neppure
spiegarsi il
perché di quegli accaduti.
Per
qualche attimo aveva preso in seria considerazione l’idea di
piombare da quei
tre tipi e intimorirli con qualche frase ad effetto ed uno sguardo
truce, ma
poi era stato costretto a ripensarci. Bree continuava a dimenarsi dal
primo al
secondo, poi al terzo per riprendere il circolo vizioso. Era
lì, piccola ed
indifesa, con il broncio sulle labbra ed un’espressione
affranta che aspettava
che quei ragazzi la smettessero di giocare con lei e la sua agenda. Il
cuore di
Liam si strinse in una dolorosa morsa. Bree non aveva esitato neppure
un
istante prima di avvicinarsi a lui quando era solo, Liam, invece, aveva
preferito ignorarla bellamente nel momento del bisogno.
“Ho
deciso”, affermò con aria sicura Zayn, sedendosi
sul muretto del piccolo
cortile durante la pausa lunga della giornata.
Louis
lo guardò interrogativo, corrugando la fronte, mentre lo
affiancava.
“Parlerò
con quei tizi. Questa storia non può continuare”,
decretò con gli occhi puntati
su un qualcosa di impreciso davanti a lui.
Louis
trattenne il fiato a quelle parole. Non aveva ancora ben chiari i
progetti di
Zayn, ma se le sue intuizioni erano esatte, allora non c’era
nulla per cui
essere tranquilli.
“Che
intendi?”, chiese con un filo di voce, quasi temendo
un’eventuale risposta.
Zayn
annuì poco convinto. Era sicuro di ciò che stava
per fare, non lo era, invece,
delle ripercussioni che ci sarebbero state.
“Voglio
dire a quegli stronzi che mi hanno già incasinato troppo la
vita e che io non
voglio far parte della loro merda”, borbottò
stringendo forte la mano destra in
un pugno all’altezza della coscia.
Zayn
non aveva la più pallida idea di cosa si celasse dietro
quell’uomo che
puntualmente incontrava. Una volta aveva visto una donna, certo, ma non
poteva
certo giudicare da appena qualche membro le proporzioni e la grandezza
del
gruppo. Non sapeva chi lo comandasse, né quanti ne fossero e
neppure poteva
immaginare quale fosse il trattamento riservato a chi, come lui, aveva
intenzione
di abbandonare definitivamente il giro.
“E
loro cosa diranno?”, domandò Louis.
Zayn
era l’unica persona che da sempre gli era rimasta accanto,
era in un certo
senso quasi la sua famiglia, un punto di riferimento, colui a cui
sapeva di
potersi rivolgere in ogni momento per qualsiasi motivo. Pensare di
poterlo
perdere era la prospettiva che più lo terrorizzava. Louis
non poteva
permettersi di perdere l’unica persona che gli era rimasta,
quella che davvero
lo accettava e lo amava per ciò che era.
“Non
lo so”, sussurrò sommessamente il moro, con un
sospiro rassegnato.
Millie
quasi correva per i corridoi, decisamente in ritardo per la lezione che
era
ormai iniziata da qualche minuto. Teneva i libri stretti al petto e la
borsa
sulla spalla destra, mentre con la testa bassa procedeva sicura nella
sua
direzione. Neppure aveva notato la presenza di un ragazzo che veniva
proprio
verso di lei. In un attimo la sua spalla si scontrò
bruscamente con quella di
un biondo, tanto che Millie d’istinto liberò i
libri dalla presa, facendoli
cadere a terra.
“Ahi”,
si lamentò massaggiandosi il punto indolenzito.
“Scusa,
non ti ho vista”, si giustificò lui, affrettandosi
a prendere quei pochi volumi
sparsi sul pavimento.
“Niall”,
constatò sorpresa Millie quando i loro occhi si incrociarono.
“Millie”,
replicò allora il biondo, porgendole la piccola pila che
teneva tra le mani.
Millie
sorrise appena, riconoscente per quel gesto. C’era del
palpabile imbarazzo tra
di loro. Lo si leggeva dagli occhi di Millie fermi sul viso di Niall,
alla
ricerca di un qualcosa da dire, dalle sue mani tremanti nascoste tra i
libri,
dall’espressione incerta del ragazzo e dal silenzio che era
stranamente
piombato in quell’istante.
“Grazie”,
quasi balbettò Millie, cercando di camuffare il suo
momentaneo disagio.
Niall
le sorrise semplicemente, non ritenendo opportuno aggiungere altro.
Quell’incontro, per lui, poteva anche terminare
all’istante. Non sarebbe stato
in grado di sostenere una conversazione con Millie esattamente come
avrebbe
fatto mesi prima. Erano cambiati, lo erano entrambi e lo erano troppo.
“Ah”,
lo richiamò Millie, mentre lui già stava per
superarla. “Ho saputo di te e
Charlie, sono contenta per voi”, affermò con un
sorriso sincero, lo stesso che
Niall non vedeva da troppo tempo ormai.
Angolo Autrice
Buonasera a tutti!:D Okay, stavolta ci ho messo un po' di più, ma ecco il nuovo capitolo! :D
Partiamo da Audrey e scopriamo come lei, invece di accettare l'invito di Harry, scappa via.
Quella ragazza è davvero incorreggibile!!!-.-"
Anyway, altre cose interessanti (?) sono la reazione di Liam alla piccola "disavventura" di Bree,
Millie che pare essere stranamente amichevole con Niall e Margaret che sembra sempre più assente.
Non sottovaluterei affatto la chiacchierata tra Louis e Zayn, ma non dico nulla in proposito!;)
Okay, stasera sono piuttosto di poche parole, quindi niente, volevo solo ringraziare chi legge, segue, ricorda e preferisce.
E poi ci tenevo a ricordare che se vi va di lasciare un commento o un suggerimento, sarei ben lieta di leggerlo!:D
Alla prossima!;)
Astrea_