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Autore: Benio Hanamura    24/07/2014    1 recensioni
[Mademoiselle Anne/Haikara-san ga toru]
“Il mio nome è Kichiji Hananoya… o meglio, questo è il mio nome dall’età di 15 anni. Fino ad allora ero Tsukiko, la sesta figlia della famiglia Yamada...”
Nel manga originale della Yamato è detto ben poco del passato della geisha Kichiji, che fa la sua prima comparsa come causa inconsapevole di gelosia della protagonista Benio nei confronti del fidanzato Shinobu, ma che poi si rivelerà essere solo una sua ottima amica e stringerà una sincera amicizia con Benio stessa, per poi segnare anche l’esistenza del padre di lei, vedovo inconsolabile da tanti anni.
Per chiarire l’equivoco e per spiegarle quale rapporto c’è davvero fra lei e Shinobu, Kichiji racconta la sua storia del suo passato a Benio, dei motivi per cui è diventata geisha, abbandonando suo malgrado il suo villaggio quando era ancora una bambina, ma soprattutto del suo unico vero amore, un amore sofferto e tormentato messo a dura prova da uno spietato destino…
Dato che questa storia è solo accennata nel manga, ma mi è piaciuta e mi ha commossa molto, ho deciso di provare ad approfondirla e di proporvela come fanfiction!
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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   Ecco, stavo finalmente per ritrovare Koji, e niente e nessuno avrebbe potuto più separarci! Mentre il sangue sempre più copiosamente macchiava il mio kimono ed i tatami del magazzino, io continuavo a chiedere mentalmente perdono a tutti, ai miei fratelli, ai miei genitori, a Kiyoko, alle altre amiche ed a tutti coloro che in qualche modo avevano provato affetto per me: avrei provocato loro dolore, ne ero consapevole, però non sarebbe stato necessario, anzi, avrebbero dovuto gioire sapendomi finalmente felice!
    Però che strano… credevo che in una situazione del genere avrei provato sempre più freddo, invece dopo i brividi iniziali sentivo sempre più caldo, ed addirittura sentivo già l’odore della sua uniforme, che mi avvolgeva e mi dava sicurezza: dunque Koji era già venuto a prendermi? Doveva essere così, perché oltre a quell’odore così familiare sentivo anche la sua voce che mi chiamava…
   Aprii gli occhi e con immensa gioia in un primo momento mi parve di scorgerlo, ma dopo qualche istante mi resi conto che il viso chino su di me non era il suo: era Shinobu!!!
   “Kichiji, per fortuna sono arrivato in tempo!”
   Qualcosa mi strinse i polsi, forse anche troppo forte, evidentemente aveva improvvisato delle bende e così mi aveva impedito di raggiungere il mio scopo. Troppo debole per parlare, gemetti per la disperazione.
   “Sei stata la donna del mio più caro amico, non lascerò che tu muoia!”
   Mi prese in braccio, avrei voluto divincolarmi e togliermi quelle maledette bende, ma non potevo. Non sentivo più il sangue che mi bagnava, l’emorragia si era arrestata del tutto; in compenso finalmente mi erano tornate le lacrime e non sentii più quel tremendo bruciore agli occhi.
   Persi nuovamente conoscenza e mi risvegliai nella mia stanza. Al mio capezzale c’era ancora Shinobu, ed oltre a lui Kiyoko.
  “Tsuki-chan, come hai potuto fare una sciocchezza simile?” mia cugina si sforzava di mostrarsi tranquilla, ma aveva gli occhi rossi: doveva aver pianto, si era spaventata sul serio.
  Io però non dissi nulla, e continuai a fissare Shinobu, in un triste e muto rimprovero.
  “E’ solo grazie a lui che non è accaduto il peggio” mi spiegò Kiyoko “Il sottotenente Ijuin era venuto qui a trovarti, perché appena ha saputo ciò che è accaduto al tenente Yamaguchi  si era subito preoccupato per te ed aveva pensato di venire a controllare come stavi… Mai idea è stata più azzeccata e tempestiva, è stato quasi un miracolo!”
   Il tenente Yamaguchi… Tenente... Quanto aveva desiderato Koji quella sua prima promozione, ma quando era riuscito finalmente ad ottenerla non aveva avuto nemmeno il tempo di rallegrarsene!
   Mia cugina si aspettava che ringraziassi Shinobu per il suo gesto, ma io me ne guardai bene: altro che ringraziarlo, provai solo un rancore sordo in quel momento, ah, quanto lo odiai!!!
  “Scusatemi, mi sento molto stanca” dissi in tono neutro, la voce ridotta a poco più che un sussurro. Voltai le spalle a Shinobu e mi sollevai la coperta fino al viso. 
  Kiyoko non mi forzò ulteriormente, e congedò Shinobu proferendosi ancora in mille ringraziamenti anche in mia vece. Lo sentii dirle, sulla soglia della mia stanza, che sarebbe tornato a trovarmi non appena mi fossi sentita meglio, ma per me avrebbe potuto benissimo farne a meno.
  Dopo di che dormii per parecchie ore, mi risvegliai solo l’indomani. Quella notte Kiyoko dormì con me, spostando provvisoriamente il suo futon nella mia stanza: avevano deciso di lasciare Miyuki ad assistere la sua collega ancora malata per tenerla lontana da me ancora un po’, perché avevano deciso di non farle sapere del mio insano gesto, dato che era già stata così emotivamente provata dalla morte di Aiko che non si poteva immaginare come l’avrebbe presa. Non era particolarmente intelligente, ma le vistose fasciature che avevo ai polsi non avrebbero potuto ingannare nemmeno lei.
  Comunque non mi avrebbero nemmeno mai lasciata sola, dopo ciò che avevo fatto, un atto disperato che avrei potuto molto facilmente ripetere: lei non era lì solo per confortarmi, ma soprattutto per sorvegliarmi, per ordine della okasan. Quanto a Kikyo-san, inutile dire che era furibonda: non era il tipo dal trattenersi dal dire ciò che pensava, nemmeno nelle peggiori circostanze, ed infatti quando mi raggiunse in tarda mattinata mi fece una delle peggiori lavate di capo che io avessi mai avuto in vita mia, e  non solo per via delle ovvie ripercussioni sulla mia attività, che avrebbe dovuto forzatamente interrompersi per chissà quanto tempo.
   Non importava, la mia oni-san poteva dirmi ciò che voleva, rimproverarmi, anche insultarmi, e questo valeva per tutti: anche se non mi era stato permesso di morire avevo totalmente perso la voglia di vivere, e tutto attorno a me, in quel mondo senza Koji, continuava a restarmi indifferente. Anche Kikyo-san se ne dovette rendere conto, visto che io non mostravo  alcun segno di reazione di alcun tipo alla sua predica, e così dopo un po’ dovette lasciarmi stare; quanto a Kiyoko, tentò invano di convincermi a mangiare qualcosa, ma neanche lei riuscì a scuotermi. Preoccupatissima e non sapendo più come prendermi, Kiyoko pensò di scrivere allo zio, che così avrebbe potuto avvisare mio padre, forse incontrarlo avrebbe potuto essere la soluzione! Ma sapeva bene che anche se la okasan avesse approvato la sua idea, ci sarebbero voluti giorni perché la notizia arrivasse a mio padre e perché lui potesse eventualmente venire qui ad incontrarmi. E poi io, quando lei me lo aveva prospettato, non avevo battuto ciglio. Intanto qualcosa doveva pur tentare, perché sicuramente se la okasan anni prima aveva salvato Miyuki per amor mio (ed innanzitutto perché compiacendo me avrebbe semplicemente garantito di più il suo investimento!), ora non era più sicuro che se la signora Shiori avesse mostrato interesse per una ragazza che era stata in precedenza una vera geisha lei le avrebbe opposto un nuovo rifiuto: chi avrebbe potuto risarcirla di tutte le spese fatte per me in tanti anni? La mia vendita ad una casa di piacere non sarebbe stata sufficiente, ma sarebbe stata molto meglio di niente!
  Kiyoko non aveva previsto che la soluzione dei miei problemi sarebbe stata molto più veloce: non aveva avuto ancora avuto modo di conoscere bene Shinobu. Quello stesso pomeriggio lui si presentò all’okiya, e sebbene non avesse un appuntamento pregò la okasan di permettergli di incontrarmi. E lei, data la riconoscenza che gli doveva per avermi trovata e salvata e comprese le sue intenzioni, glielo concesse senza nemmeno pretendere alcun pagamento.
   Non appena lo vidi sulla porta, accompagnato da Kiyoko, gli gridai di andarsene, ma ancora non sapevo quanto carattere potesse avere quel ragazzo. Non avevo avuto modo di rendermene conto prima di allora.
   “Mi dispiace, ma non me ne andrò” mi disse sorridendo, nonostante il mio sguardo ostile “Puoi gridare, insultarmi, anche tirarmi qualche cosa addosso, tutto ciò che credi possa esserti utile per sfogarti, ma sappi che non sono affatto pentito di averti impedito di morire, ed in ogni caso non ti abbandonerò” e sedendosi sul tatami rivolse uno sguardo d’intesa a mia cugina, che ci lasciò soli.
    Per un bel po’ rimanemmo così, in silenzio: io, che non avevo voluto saperne di uscire dal futon, gli voltai di nuovo le spalle e mi ostinai a guardare fuori dalla finestra. Lui invece rimaneva nella sua posizione, e quando ogni tanto mi voltavo furtivamente per studiare le sue reazioni lo vedevo che continuava ad attendere pazientemente vegliandomi con dolcezza. Così dovetti arrendermi, mi misi a sedere e gli parlai, sempre seccata ma senza aggressività:
   “Come hai fatto a trovarmi?” 
   “Non lo immagini? I geta, li avevi lasciati all’esterno del magazzino!” un sorriso, una bonaria presa in giro.
   “Già, ti ho fatto una domanda stupida…” non avevo pensato solo all’haori, ma anche a non entrare con le scarpe, eppure era solo un magazzino! Stupida usanza, stupida buona educazione che mi era stata inculcata all’okiya, eppure al villaggio mai mi sarei preoccupata di una sottigliezza simile, con tutto quello che avevamo a cui pensare!
    Con tutto quello che avevamo a cui pensare? Che vuol dire, che una volta divenuta geisha non avrei dovuto avere più preoccupazioni? Assolutamente no, direbbe chiunque, perché per chi non vi appartiene il mondo fluttuante è qualcosa di meraviglioso, perfetto come un luogo incantato… Come può una splendida geisha, ammirata e richiesta da tutti, una geisha che ha a disposizione tutti gli abiti e gli accessori che vuole ed ha anche tante doti artistiche, essere infelice e magari desiderare persino la morte? Una geisha ha tutto ciò che si può desiderare dalla vita, non può avere alcun motivo per essere infelice! Tutto falso, come la gentilezza formale della okasan quando anni fa venne nella nostra casa per comprare delle bambine innocenti come oggetti! Falso come la sua persistente giovinezza! Falso come i sentimenti espressi da una geisha in presenza dei clienti, che non potrebbero mai immaginare cosa realmente lei senta nell’animo!!!
   “Ero venuto all’okiya perché ero preoccupato per te” riprese Shinobu “Dopo la diffusione della notizia della nostra vittoria con la lista dei caduti ero sicuro che anche tu avessi saputo di Koji, e così volevo esserti in qualche modo di aiuto, di conforto, per quanto poco ti sarebbe potuto servire. Tua cugina mi ha accompagnato qui nella tua stanza e si è spaventata quando ha visto che non c’eri: mi ha raccontato come avevi saputo e come avevi reagito e così ti abbiamo cercata… Stavamo per lasciare l’okiya per cercarti anche fuori, anche se non avevamo la minima idea di dove indirizzarci, quando ho visto un paio di geta fuori da un magazzino dove non viene mai nessuno, sono entrato pensando che tu ti fossi rifugiata là semplicemente per trovare un po’ di solitudine, ed invece la situazione era molto più grave di quanto potessi immaginare…”
   “E così non hai potuto fare a meno di intervenire, di fare l’eroe…” commentai.
   Stupidi anche il senso del dovere, il codice d’onore del soldato e del samurai!
   “Non si è trattato proprio di questo…”
  “Beh, hai rispettato il tuo codice d’onore, la donna del tuo più caro amico è ancora viva, perciò puoi essere soddisfatto e fiero di te stesso, sottotenente Ijuin!” continuai, accentuando ancora di più la sfumatura ironica del mio tono.
  “Sempre se respirare, camminare e parlare bastano per poter parlare di vita!” puntualizzai. E di nuovo sentii spuntare le lacrime, che presero a bagnarmi le mani strette a pugno, nel vano tentativo di reprimerne il tremore indotto dalla rabbia.
   Vattene, vattene, lasciami in pace! Non ti rendi conto di quanto ce l’abbia con te? Hai impedito che mi ricongiungessi per sempre a Koji, e per giunta me lo ricordi troppo con quell’uniforme! La sua stessa uniforme, per questo sentivo il suo odore… Con la tua intromissione hai distrutto anche la mia ultima speranza di salvezza!!!
  Senza rendermene conto mi ritrovai finalmente a piangere a dirotto, stringendomi le ginocchia. Shinobu si avvicinò pian piano a me, mi circondò le spalle con le braccia, inizialmente con fare esitante, forse aspettandosi una mia reazione violenta, che però stranamente non vi fu. Quindi mi strinse forte a sé, per lasciarmi sfogare liberamente. Quel ragazzo, apparentemente molto più esile del mio Koji, era più forte di quanto pensassi, ed anche il suo petto ampio mi trasmetteva lo stesso calore e lo stesso senso di protezione che mi dava il mio amato.
   “Kichiji, ormai sono tanti mesi che ci conosciamo… Tu per me non sei soltanto la donna del mio migliore amico! Da quando Koji mi ha raccontato del tuo passato ho provato un grande rispetto per te, ammirazione per la devozione e lo spirito di sacrificio che fin da piccola hai dimostrato verso la tua famiglia offrendoti addirittura di andare a vivere in un okiya pur di poter essere loro di aiuto!” appena si rese conto che mi ero stancata di piangere Shinobu, tenendomi ancora fra le braccia, aveva ripreso a parlarmi con dolcezza “A quell’età io non facevo altro che a giocare, i miei nonni sono molto ricchi, la mia governante mi viziava e non ho idea di cosa sia la miseria, la visione incerta del domani, la fame… Poi col tempo ho iniziato a considerare anche te un’amica, non sono pochi coloro che non guardano con un certo senso di superiorità i miei capelli biondi, segno eclatante delle mie origini! Sei una brava ragazza, ti voglio bene, ed ho sempre sperato che tu e Koji poteste stare insieme alla luce del sole prima o poi, felici per sempre…  Anche se poi non è andata così, perché il destino non l’ha voluto…”
  Nel risentire il suo nome ebbi un nuovo sussulto. Ma non ripresi a piangere e non lo interruppi. Risollevai il viso e mi scostai piano da lui per rimettermi seduta per poterlo anche guardare in faccia, e  lui continuò, dopo aver preso le mie mani nelle sue:
  “Posso immaginare quanto dolore tu abbia provato, perciò posso capire che la vita senza di lui possa sembrarti insopportabile, ma come avrei potuto lasciarti andare fino in fondo, me lo dici? Non si tratta certo di una questione di senso del dovere: avrei forse dovuto abbandonare una mia cara amica in un lago di sangue? Te lo giuro, non ti sto dicendo che posso comprenderti tanto per dire, ti comprendo sul serio! E’ vero, non ho avuto problemi economici nella mia infanzia e per questo sono stato molto fortunato rispetto a voi due, ma anch’io ho perso una persona molto importante e per questo ho sofferto tantissimo!!! Ero solo un bambino allora, non avrei certo pensato a certe soluzioni estreme, ma fu orribile per me, ed ancora oggi se ripenso a mio padre provo dolore: anche se non rivolse un pugnale contro di sé praticamente smise di vivere quando fu separato per sempre da mia madre; poi decise di andarsene da casa per sempre e morì da solo all’estero… Avrebbe potuto restarmi vicino, avremmo potuto farci forza a vicenda per la nostra comune perdita, invece pensò solo a se stesso, e decise ad allontanarsi anche da me, colpevole di ricordargli troppo la donna che amava, e persino dai suoi genitori!”
   Shinobu continuò a parlarmi ancora a lungo in quel modo, col cuore in mano, di quella storia che in passato mi aveva solo accennato. Mi disse che non odiava suo padre: quando era bambino sua nonna gli aveva raccontato che era andato lontano perché doveva lavorare, ed una volta cresciuto, conosciuta la verità su di lui dalla stessa nonna, aveva ben compreso che Soichiro Ijuin non fosse un egoista, ma solo un uomo che era morto lontano da tutto e da tutti perché non era riuscito a reggere psicologicamente e fisicamente il troppo dolore; tuttavia riteneva anche che se invece avesse cercato il sostegno dei suoi cari avrebbe fatto del bene soprattutto a se stesso, senza contare poi la sofferenza che inconsapevolmente col suo gesto aveva provocato in coloro che aveva abbandonato, che si sarebbero sempre tormentati per non essere stati in grado di aiutarlo! Anche Shinobu si era sentito esattamente così, aveva pensato che a suo padre non era bastato l’affetto di suo figlio, e più volte si era ritrovato a fissare con disappunto il suo viso allo specchio, un viso di bell’aspetto che però tanto aveva acuito il suo dolore per via della troppa somiglianza a quello della donna che aveva amato più di qualsiasi altra cosa al mondo.
   “Pensa a tuo padre, che sente sulla propria coscienza già un grosso peso per aver mandato Aiko nel luogo dove la sua vita è stata così precocemente stroncata… Pensa a tua madre, che piangerebbe la morte di un’altra figlia… Pensa a Miyuki, che è stata già così duramente provata dalla vita e che si perderebbe definitivamente senza di te… agli altri tuoi fratelli, che anche se lontani continuano ad amarti ed a pregare per te… a Kiyoko, alle amiche che hai trovato anche qui perché sei una persona meravigliosa… Ma soprattutto pensa a Koji, che mi ha parlato tanto di te che quando ti ho conosciuta all’okiya è parso anche a me di conoscerti da sempre: ti amava così tanto e sognava sul serio di poter avere un futuro felice con te un giorno, non tanto per se stesso ma per te! Voleva solo la tua felicità, diceva sempre che avrebbe fatto in modo che tu non potessi soffrire mai più:  pensa a quanto si dispererebbe se ti vedesse in questo momento e se sapesse di aver addirittura rischiato di diventare l’involontaria causa della tua prematura morte!
  E poi pensa anche a me, che ti sono sinceramente affezionato e che condivido con te il dolore di questa perdita: aiutando te aiuterò anche me stesso, che soffro molto anche all’idea che dopo tutto ciò che Koji ha fatto per me io non ho potuto far nulla di significativo per ricambiare, nemmeno combattere al suo fianco!”
  “Tu non hai nessuna colpa verso Koji!” riuscii finalmente a dire, prendendogli una mano non appena colsi il tremito della sua voce a quell’ultima frase “E nemmeno verso di me, perdonami per le cattiverie che ti ho detto!”
  I suoi occhi si illuminarono nuovamente, mi sorrise con riconoscenza, ed io ricambiai: finalmente me n’ero resa conto: non era la morte la soluzione, ma la vita! Il mondo sarebbe continuato ad esistere anche senza Koji, ed io dovevo trovare la forza di andare avanti, per le persone che mi volevano bene, fra cui c’era anche lui, che sarebbe diventato il mio migliore amico…  Ma soprattutto dovevo farlo per me stessa.
   Si era ormai fatto buio quando Shinobu mi lasciò, non senza che io gli chiedessi di tornare di nuovo a trovarmi, non appena gli impegni glielo avessero di nuovo consentito.
   Quando più tardi Kiyoko tornò da me per controllare ancora come stavo e per invitarmi a scendere per la cena io declinai di nuovo il suo invito. Ma subito dopo mi giustificai dicendo che mi sentivo ancora troppo debole per alzarmi; e le chiesi, sorridendo timidamente e scusandomi per i problemi che avevo causato a lei ed alle altre negli ultimi giorni, se era possibile avere una porzione di brodo caldo in camera, per poter riacquistare quanto prima le forze e tornare così insieme a loro.
 



Note: 
Geta: sandali tradizionali giapponesi a metà tra gli zoccoli e le infradito. Sono un tipo di calzatura con una suola di legno rialzata da due tasselli, tenuta sul piede con una stringa che divide l'alluce dalle altre dita del piede. Vengono indossate con gli abiti tradizionali giapponesi, come gli yukata e meno frequentemente con i kimono, ma durante l'estate (in Giappone) vengono portate anche con abiti occidentali. Grazie alla suola fortemente rialzata, con la neve o la pioggia, vengono preferite ad altri sandali tradizionali come gli zori. Generalmente, i geta, vengono portati sia senza calzini che con appositi calzini chiamati tabi 

N.B. Le frasi in corsivo indicano i pensieri di Kichiji durante il colloquio con Shinobu.
  
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