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Autore: Emily Doe    08/01/2005    19 recensioni
I tempi di Hogwarts per i nostri eroi sono terminati, la guerra infuria ed un particolare incontro tra Hermione e qualcuno che non vedeva da molto, molto tempo, potrebbe cambiare le sorti di tutti. Perché nessuno ha mai capito... e non potrà mai esserci qualcosa di più difficile.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Capitolo 5° “Le parole che non so dirti”

I lie down and blind myself with laughter
A quick fix of hope is what I'm needing


I suoi enigmatici occhi grigi sembravano essersi impadroniti di quelli della ragazza che, in assoluto silenzio, lo osservava come se da quella mancanza di dialogo potesse scaturire un qualcosa di speciale che lei riusciva in un qualche modo ad intuire, a comprendere. Hermione Granger voleva veramente parlare ancora con Draco Malfoy, voleva così intensamente rimediare agli errori del passato e capire come tutto potesse essere andato storto. Rimproverandosi mentalmente di non essersi mai soffermata a pensare sulla situazione del ragazzo e senza riuscire a distogliere lo sguardo da quegli occhi, lo sentì parlare con calma e precisione.
“Devo dire che ormai avevo perso tutte le speranze, Granger.”
Hermione si accigliò leggermente con perplessità.
“Che intendi dire?” domandò cautamente.
Il ragazzo sorrise brevemente senza smettere di fissarla negli occhi: quello sguardo era così penetrante da risultare persino indisponente, gliel’avevano detto spesso, ne era perfettamente cosciente.
Indisponente in una situazione qualsiasi e con una persona qualsiasi… molto spesso mi è capitato di sentirmi dire che il mio sguardo mette a disagio, eppure Granger non sembra provare questa sensazione…
“Non credevo più che qualcuno potesse anche semplicemente voler provare a capire.” Rispose con voce bassa, ma sempre imperturbabile.
E d’un tratto Hermione capì la natura di quello sguardo che a Hogwarts - e non solo, immaginava - aveva suscitato tanti sospiri, sì, ma anche tante lamentele: per tutti si era sempre trattato di uno sguardo provocatorio, aggressivo ma nel contempo freddo e distaccato, estremamente indagatore ed indisponente. Ma adesso Hermione ne capiva la vera natura: era uno sguardo di rimprovero. Rimprovero verso tutti, verso tutti quelli che non avevano neppure mai tentato di capire, che si erano fermati alle apparenze, che l’avevano lasciato scivolare giù, sempre più giù, in quel baratro senza fondo che odorava terribilmente di tenebra. Ancora una volta la ragazza avvertì una stretta all’altezza dello stomaco: senso di colpa. Quello era senso di colpa.
“Io lo voglio.” Disse, sforzandosi di non manifestare più di tanto quella sensazione di ansia che la attanagliava.
Draco si sistemò una ciocca di capelli biondi che gli era scivolata davanti agli occhi e respirò profondamente, sempre con la solita calma, quasi esasperante per Hermione che si sentiva così piena, così carica di emozioni contrastanti. Un’altra occhiata di quelle sue solite, travolgenti, piene di emozioni. Erano particolari: non erano solamente piene di emozioni proprie di Draco Malfoy, ma erano anche piene di quella stranissima ed a volte scioccante capacità di far nascere emozioni così terribilmente forti e prepotenti nell’anima di chi riceveva tale sguardo.
“Non sia mai che sprechi un così esplicito gesto di buona volontà.” Replicò con quella calma invidiabile.
Ci fu una pausa silenziosa, una lunga pausa silenziosa in cui i due giovani rimasero ad osservarsi negli occhi senza produrre il minimo rumore; gli unici suoni presenti erano il placido scoppiettare del fuoco nel camino, il ticchettio della pioggia sui vetri delle finestre che, persino all’orecchio di Draco, sembrava essere ormai dolce e non più freddo e terrificante, e quello dei loro respiri: quello un po’ pesante di Draco, affaticato dalla lotta appena sostenuta e dalle ferite da poco medicate (tant’è che Hermione, in un lampo di lucidità mentale, si stupì di come riuscisse ancora a rimanere padrone dei propri sensi e non perdere conoscenza), quello leggermente accelerato di Hermione, sempre più nervosa. Ma in quella pausa c’era un qualcosa di accomodante, avrebbero giurato i due ragazzi, qualcosa di rassicurante e persino tranquillizzante: nessun imbarazzo, nessuna sensazione di disagio, nessuna assurda convinzione di dover dire a tutti i costi qualcosa, finendo poi col dire cose estremamente sciocche. No, niente di tutto questo: era come se una vecchia coppia di amici si fosse finalmente ritrovata dopo tanto, tantissimo tempo; due amici che si conoscevano, si capivano, due amici per i quali le parole erano gingilli superflui, quasi fastidiosi, da utilizzare solo in caso di estrema necessità… e, Dio, quant’era semplice e bello poter rimanere così in silenzio senza sentirsi imbarazzati, anzi, persino con la sensazione di essere stranamente compresi e di comprendere a propria volta. Non una comprensione superficiale, un qualcosa di profondo, qualcosa che senti dentro il cuore, dentro l’anima, qualcosa che se esaminata bene ti fa venire i brividi e la pelle d’oca: com’è possibile? Tutti si chiederebbero come possa essere concepibile – e soprattutto possibile - che qualcuno a questo mondo riesca a provare i nostri stessi sentimenti. E questo era esattamente ciò che stavano pensando entrambi. Com’era possibile che da quei pochi, e per di più insoliti, incontri l’uno potesse aver compreso l’altra? E come poteva essere possibile riuscire a trasmettere tutto ciò tramite un semplice sguardo?
In un pianeta così vasto, in un mare di persone così differenti tra loro… io ho incontrato qualcuno che prova i miei stessi sentimenti anche se in termini diversi, quasi le mie stesse paure…
Hermione scosse la testa con decisione a quel pensiero.
“No…” Mormorò inconsciamente.
Draco inarcò un sopracciglio, gesto tipico della sua personalità dalle mille sfaccettature delle quali Hermione riusciva ad intravederne appena qualcuna: quanto poteva essere complesso un essere umano? E quante persone diverse poteva saper essere Draco Malfoy? Fino a quanto e fino a quando avrebbe seguitato a sorprenderla in tal modo? Quel tono di voce usato fino a poco prima… quegli sguardi… quell’atteggiamento in sé e per sé… non erano assolutamente quelli che Hermione aveva avuto modo di conoscere e disprezzare lungamente ai tempi di Hogwarts. Draco si era dimostrato un ragazzo coraggioso ed in un certo senso altruista (anche se Hermione si sentiva ancora strana al pensiero di associare le parole ‘Draco Malfoy’ e ‘altruista’, pur sapendo di sbagliare… ormai era questione di intuito), ma era stato anche freddo, duro e cinico; quella sera, ancora, aveva mostrato (anche se sfuggevolmente) il suo lato insicuro (Hermione l’avrebbe giurato: in quel mare di amarezza si nascondeva un’anima molto insicura), triste, addolorato… ed ora questo qui. Questo Draco comprensivo, conciliante. Con quel tono di voce caldo, profondo, che sfiorava terribilmente il dolce, in un miscuglio dal complessivo retrogusto agrodolce. Da dove spuntava fuori?
Chi sei veramente, Draco Malfoy?
“No?” La voce del ragazzo interruppe con una certa delicatezza il flusso disordinato dei pensieri di Hermione che distolse in fretta lo sguardo. “Mi sfugge il senso di quel ‘no’…” Continuò Draco, senza però sembrare innervosito o alterato, anzi: sembrava terribilmente a suo agio.
“Era solo la fine, l’epilogo di un pensiero formulato tra me e me che è venuto alla luce.” Rispose Hermione, soppesando le parole senza alcun motivo apparente.
“L’epilogo di un pensiero…” Rifletté lui, alzando lo sguardo verso il soffitto. La ragazza seguitava a starsene seduta in ginocchio davanti a lui. “Che genere di epilogo?”
Hermione abbozzò un mezzo sorriso.
Incertezza.
“Decisamente scoordinato e fastidiosamente enigmatico.” Rispose.
Incertezza. Esattamente lo stesso, per me.
Queste poche parole attraversarono la mente del ragazzo biondo in quella manciata di secondi che gli ci volle per registrare il discorso della sua interlocutrice.
“Ed anche piuttosto indisponente, giusto?” Domandò con un sorriso ironico. Lei tornò ad osservarlo e stavolta si sentì misteriosamente più leggera. E sorrise.
“Esattamente.”
Anche tu hai sorriso, adesso.
E non era uno di quei sorrisi con i quali erano stati soliti schermarsi negli anni passati. Dopo di lui, dopo che Draco aveva abbandonato quell’ombra di sorriso per adottarne uno in piena regola, anche Hermione Granger si scioglieva in un semplice e casto sorriso. Draco aveva molto intuito, l’aveva sempre avuto: sotto quella veste di ragazza intelligente e iper razionale si nascondeva qualcosa, qualcos’altro, qualcosa che la tormentava e probabilmente l’aveva sempre tormentata, qualcosa che, prima o poi, sarebbe venuto alla luce e se Hermione Granger non avesse imparato a controllarla ed a fare qualcosa per se stessa, questo qualcosa avrebbe potuto avere conseguenze a dir poco disastrose sia su lei, in primis, sia sul rapporto che aveva con le altre persone. Anche a scuola la personalità apparentemente ‘semplice’ di Hermione Granger (che tutti consideravano una le cui priorità erano lo studio, i voti, le regole) l’aveva sempre incuriosito, non che l’avesse mai dato a vedere, figuriamoci!, eppure dietro quei libroni polverosi, dietro quella parlantina dalla velocità pressappoco insostenibile, lui percepiva che si dovesse nascondere qualcosa. Ancora quel qualcosa che forse era proprio lei a voler nascondere.
Vivere con le orecchie tappate, gli occhi chiusi, non voler sentire né vedere, specialmente i nostri punti deboli. Precisamente quello che faccio io.
“Questa dev’essere la giornata delle sorprese: io e te siamo sulla stessa frequenza d’onda.” Aggiunse Draco, cercando di sondare l’eventuale reazione della ragazza, reazione che non tardò ad arrivare.
Lei non arrossì, né trasalì a quel pensiero. Semplicemente sorrise ancora, con aria distratta, come se quello, il fatto che Hermione Granger e Draco Malfoy si trovassero d’accordo in tutto e per tutto su di un argomento, fosse una cosa ormai logica, appurata, quasi scontata.
“Eh già. La stessa frequenza d’onda…” Ripeté lei, immersa nei propri pensieri. “E pensare che abbiamo passato sette anni sotto lo stesso tetto, senza mai renderci conto di questo.” Un sorriso amaro e dolce allo stesso tempo. “Che spreco.”
Forse è questo ciò che la gente chiama ‘fato’, forse è per questo che la gente non si capisce e arriviamo al punto di pensare che nessuno possa capirci, arriviamo a quel doloroso punto di rottura e cominciamo a non credere più in nulla.
“Tutte quelle liti saranno state uno spreco?” La domanda di lei lo prese in contropiede.
“Uno spreco?” I suoi occhi si soffermarono sulle proprie mani. “No. Non credo. A qualcosa sono serviti.”
La ragazza inclinò leggermente il capo a sinistra.
Sì. Sono serviti a farci intuire tutto questo e quanto tutto quello fosse sbagliato.
“Concordo.” Replicò Hermione senza battere ciglio. “Ancora una volta.”
“La cosa comincia a farsi sospetta, Granger.” Ironizzò lui, appoggiando la testa all’indietro sullo schienale del divano dove ancora si trovava.
Fu allora che Hermione realizzò e registrò con stupore il fatto: Draco Malfoy non l’aveva ancora chiamata ‘Mezzosangue’ e, sinceramente, non sembrava intenzionato a farlo (non che da lui non ci si potesse aspettare un repentino e sconvolgente cambio d’umore, come quando, dopo il salvataggio dal molestatore ubriaco, avevano incontrato Ron). Non c’era stato qualcosa che le aveva fatto scattare la molla, la scintilla nella testa, non c’era stato nulla che le aveva fatto collegare l’attuale situazione a quella passata, in cui lui le rivolgeva sempre parole piene di disgusto, e lo stesso faceva lei. Semplicemente le aveva catturato l’attenzione.

*** *** ***

Quel silenzio imbarazzato che aveva tanto temuto era sceso su di loro e Ginevra Weasley si trovava a camminare dietro il ragazzo nell’agitazione più completa. Il silenzio non le piaceva. Ovvero, le piaceva, ma non in quella situazione, non con quella persona!
Sentiva come la strana necessità di parlare… e sapeva bene perché. Oh, eccome se lo sapeva! Sentiva la necessità di parlare per il semplice fatto che era perfettamente conscia di non essere riuscita a dire o fare nulla che gli facesse capire quali ancora fossero i suoi reali sentimenti. Ora che ci pensava, non l’aveva neppure ringraziato. Non aveva fatto nulla.
Che razza di pappamolle…
E così si limitava a camminare leggermente più indietro rispetto a lui che seguitava ad andare, con le mani in tasca, sembrando imperturbabilmente calmo. Poi Harry si voltò di profilo per vedere dove fosse la ragazza e lei poté intravedere ancora quello sguardo, quella luce nei suoi occhi smeraldini. Fu allora che Ginny si rese conto di quanto invece potesse essere bello quel silenzio.
Camminare insieme senza l’obbligo di dirsi nulla, eludendo la paura di dire qualcosa di strano o di sbagliato che avrebbe potuto incrinare se non addirittura rompere definitivamente la magia di quel momento, limitarsi a concentrare le proprie attenzioni sui propri pensieri, sui propri sentimenti, niente di più. Perché in fondo la cosa importante era stare insieme. E Ginny sorrise, rendendosi conto di essere in un certo senso cresciuta: non si sentiva più a disagio con Harry, si sentiva semplicemente agitata, ma agitata in modo felice, quando lui le era vicino, e quel batticuore inarrestabile, quel nodo alla gola, quella sensazione di leggerezza e di tranquillità nel senso più profondo del termine… era semplicemente il frutto dell’amore che provava per lui. E, sì, decisamente poteva accettarlo. Fino al giorno in cui non avrebbe trovato il coraggio di dichiarargli tutto l’amore che provava, avrebbe assaporato questa magica sensazione che sentiva tutta sua, esclusivamente sua, sognando il momento in cui, finalmente, il suo cuore si sarebbe aperto e tutto sarebbe venuto alla calda luce del sole.
Per ora va bene così, va bene così… io e lui, niente di più. Ancora per un po’ posso custodire per me le parole che non so dirti.
Accelerando di poco il passo si accostò al ragazzo che si voltò nuovamente ad osservarla. Inutile dire che Harry si sentì caldamente gratificato quando la vide voltarsi a sua volta e regalargli uno splendido sorriso. Un sorriso timido, okay, sempre con quel suo tipico rossore in viso, ma un sorriso interamente per lui.
Rispose al sorriso e rimase a godersi il silenzio e l’intimità di quegli attimi.
Le parole che non so dirti.

*** *** ***

Un passo dopo l’altro, mossi con una decisione dettata dal freddo, dalla grande voglia di tornare a casa, in quella casa così calda ed accogliente; Ron Weasley stava tornando a casa dopo una dura giornata ‘di lavoro’. In realtà era stato convocato dal suo superiore per parlare di una questione particolare, di strani avvenimenti che si stavano verificando in città, nel loro stesso quartiere, stranamente nei pressi del parco dove, qualche tempo prima, aveva trovato Hermione in compagnia di Malfoy: si diceva che da quel luogo ogni tanto, di notte, provenissero suoni sinistri e luci innaturali, anche se flebili, e che qualche volta la gente scomparisse, entrandovi. Certo, non si poteva fare totalmente affidamento sulle testimonianze dei pochi passanti (perlopiù barboni, spesso e volentieri brilli) dato che lì attorno, nelle più immediate vicinanze, non c’erano case, eppure Ron sentiva che ci doveva essere qualcosa di strano.
Poteva chiamarlo intuito, poteva chiamarlo sesto senso, ma percepiva chiaramente quella particolare sensazione che si percepisce quando si sa, in un certo modo, che qualcosa sta andando storto. Ron aveva quasi diciannove anni e non poteva vantarsi di un’adolescenza all’insegna della perspicacia e della prontezza; tutti ancora lo ricordavano come il Ron ingenuo, semplice e proprio per questo simpatico, dei tempi di Hogwarts, ma dentro di lui era cambiato qualcosa di importante: da quando era scoppiata la guerra, aveva preso sulle proprie spalle molte incombenze. Non che gli fosse stato chiesto ciò, ma si sentiva in dovere di farlo. Di fare cosa? Di proteggere sua sorella minore, di vivere autonomamente senza pesare inutilmente sui propri genitori, di proteggere i suoi stessi genitori (ed era per quello che non passava giorno senza che li sentisse, che non passava settimana senza che li andasse a trovare) e da qualche tempo si era aggiunto il nuovo sentimento di proteggere ed aiutare anche un’altra persona, forse la più importante della sua vita.
Se lei avesse sentito questi miei pensieri anche solo due anni fa, sono sicuro sarebbe scoppiata a ridere.
Un sorriso distratto si distese sulle sue labbra, pallide per il freddo. Non si sentiva obbligato a proteggerla, non obbligato da qualcosa: lui voleva con tutto se stesso riuscire ad esserle accanto, ad essere sempre presente qualora lei ne avesse voluto bisogno; Ron voleva con ogni fibra del suo essere riuscire a diventare un punto fermo per lei, una persona su cui contare, con cui potersi sfogare… voleva riuscire a ripagare Hermione per tutti quegli anni di errori e di amicizia mal ricambiata.
Voleva che Hermione contasse su di lui, in tutto e per tutto.
“So che è una pretesa egoista…” Mormorò tra sé e sé immerso nei suoi pensieri. “… però mi piacerebbe che mi considerasse speciale, diverso da tutti gli altri.” Si fermò sospirando, ancora quella sensazione. “… Vorrei essere l’unico, per lei.”
Quella sensazione strana che si impossessava di lui ogni qualvolta pensava a Hermione la conosceva, ormai, fin troppo bene e l’amava e la detestava al tempo stesso perché quella stessa sensazione nascondeva in sé la solita paura, facendo crollare tutte le sue speranze, tutti i suoi buoni propositi di farsi coraggio come un fragile castello di carte. Non temeva l’amicizia tra Harry e la ragazza, né qualsiasi altra amicizia, ma aveva paura che qualcuna di esse potesse diventare più di quel che era… allora si diceva sempre: forza e coraggio, Ronald, fatti avanti!
“Deficiente.” Si disse.
Erano almeno tre anni che si ripeteva quella frase eppure… eppure quando lei gli era vicino, c’era sempre qualcosa a bloccarlo: poteva essere il suo sguardo, poteva essere il suo profumo, poteva essere anche il semplice suono della sua voce. Aveva paura, sì, esattamente. Paura di rovinare tutto. Hermione era una ragazza fantastica e lui… lui cos’era? A scuola non era mai stato una cima, anzi; con le ragazze non aveva avuto molte esperienze, qualche semplice avventura, sì, ma mai niente di serio perché il pensiero di Hermione aveva sempre aleggiato nella sua anima, e lui non era mai riuscito a dimenticarla, perché non avrebbe mai voluto farlo… in più era sempre stato un ragazzo immaturo e pasticcione. Questo era stato uno dei motivi che l’aveva spinto ad intraprendere il duro apprendimento da Auror, l’aveva fatto anche perché voleva dimostrare a lei - e non solo - che non era poi così inutile. C’erano stati dei miglioramenti, ma la situazione con Hermione era rimasta sempre la stessa: lui stravedeva per lei, avrebbe fatto qualsiasi cosa per farla sorridere eppure riusciva solo a litigarci. Farla arrabbiare, farla innervosire, farla scocciare, farla stancare: tutto ciò che gli riusciva. E Ron ci stava tremendamente male, ma quando c’era lei si sentiva sempre stranamente impacciato, non all’altezza della situazione e finiva sempre per comportarsi come un ragazzino di quattordici anni, finiva sempre col farsi riprendere da lei, dalla quale chiedeva solo un’occhiata di ammirazione.
Non è il momento di crogiolarsi nell’autocommiserazione, Ron. Non ti eri impegnato a diventare un punto fermo e stabile per lei? Il suo punto di riferimento? Avanti, fatti forza… almeno per una volta, vedi di raggiungere i tuoi obiettivi. Va’ da lei.
“Andiamo a casa.” Si ripeté, ritrovando un sorriso.
Custodirò con cura le parole che non posso ancora dirti, finché, quel giorno, potrò scandirle pienamente ad alta voce.

*** *** ***

Era strano vedere su quel viso un sorriso che non fosse quello abituale di scherno, in sette anni non aveva visto altro e si era quasi auto-convinta che quell’individuo non potesse concepire un qualcosa di diverso da ciò che gli era sempre stato insegnato.
Che sciocca… come se non si potesse cambiare…
“Malfoy…” Disse ad un tratto, con una leggera esitazione.
… come se non ci si potesse pentire …

Il ragazzo fece una smorfia quasi impercettibile al suono del proprio cognome: tutto ciò che gli aveva rubato la vita, un’adolescenza ed un’infanzia mai vissute.
“Hn?”
… come se una persona potesse nascere marcia, macchiata, contaminata.
“Perché?” La sua voce ebbe un fremito, sentiva improvvisamente freddo: non riusciva a capacitarsi di come avesse potuto portare avanti quella ‘scena’ per quasi diciannove anni. Com’era umanamente possibile?
“Perché cosa?”
Come se non si potesse decidere della propria vita. Non è un nome o un’idea… è quello che deciderai di fare di te stesso, dei tuoi sentimenti, che decide l’individuo che sarai. Ed a volte può non essere così facile come sembra. Mai giudicare.
… che sciocca…
Io che per prima mi arrabbiavo con chi mi giudicava senza conoscermi o senza cognizione di causa, proprio io…
Sono nauseante.

“Perché hai deciso proprio ora di ribellarti?”
Draco si voltò osservando il fuoco nel caminetto acceso, il riflesso rossastro delle fiamme giocherellava sfavillante nei suoi occhi grigi madreperlacei, e questa volta Hermione avvertì ancora più freddo. Quella era paura. Negli occhi di Draco Malfoy, nonostante il sorriso malinconico che ostentava guardando lontano, aleggiava il terrore, un’irrequietezza che, evidentemente, ancora non l’aveva lasciato in pace.
Non avrei dovuto domandarlo…
Era come se un vento gelido si fosse insinuato nel locale.
“Scu-scusa, io…”
Allora lui si voltò prendendo un profondo respiro.
“Non farmi domande a cui ora non so rispondere.” Disse, adottando un tono di voce così profondo e carico di emozione repressa che la ragazza se ne sentì totalmente avvolta. “Non pormi domande alle quali, adesso, non riesco a rispondere.”
Sono penoso.
Erano passati anni, anni che erano sembrati un’eternità dalla prima volta che aveva provato quella sensazione, eppure non aveva ancora imparato ad ignorarla; non c’era stato nulla da fare, tutte le volte, a quel pensiero, a quella sua paura, il suo grande punto debole, il suo tallone d’Achille, sentiva il gelo stringersi attorno a lui e l’aria venire a mancare, lo scoppio di quella devastante sensazione di sensi di colpa – ma perché, poi? -, di quell'asfissiante disgusto per se stessi e di quella congelante consapevolezza di non avere nessuno al mondo e di non esistere per nessuno… gli impediva di ragionare a mente lucida, cosa che era sempre in grado di fare. E ciò non poteva che innervosirlo e farlo arrabbiare con se stesso.
Dio, sono patetico oltre ogni limite.
“Va… va bene, mi dispiace, scusa. Io non volevo… avrei dovuto pensarci, sono stata una stupida.”
Lui le si avvicinò con una rapidità resa incredibile dalla morbidezza dei suoi lineari e perfetti movimenti, quasi come li avesse perfettamente calcolati tutti, la luce nei suoi occhi non si era tuttavia spenta.
Forse sapendo che non sono solo, forse…
E per l’ennesima volta Hermione rimase paralizzata, persa in quell’oceano di dolore, malinconia, dolcezza, orgoglio… in quell’oceano di sentimenti che quegli occhi potevano trasmettere. Quegli occhi, quel corpo, quella vicinanza, quel respiro, quell’essere presente – in senso metafisico -, quell’esistenza.
Sta diventando un’abitudine… non dovrei, no…
Eppure non riusciva ad interrompere quel contatto, semplicemente perché non poteva. La comprensione andava oltre gli umani limiti, e la comprensione tra due esseri umani che per anni erano stati fraintesi sembrava una cosa così sensazionale, così profonda che riuscire a spezzare il sottile filo dorato tra i due sembrava fisicamente impossibile.
Qualcuno così simile a lui, qualcuno così simile a lei, nel contempo così diversi tra loro… era come se, trovato un semplice puntino in comune, avessero scoperto di averne miliardi da condividere, ormai radicati nel profondo di loro stessi.
“Arriverà il giorno in cui potrò spiegarti le parole che, al momento, non so dirti.”
“Io sarò pronta ad ascoltarle.” Rispose lei, intuendo inconsciamente la ricerca spasmodica del ragazzo di trovare un punto di riferimento esterno, esterno al suo mondo interiore.
Forse, forse.
Si ripeté con un altro sorriso il ragazzo, meravigliandosi e godendo assieme a lei della profondità di quel contatto fino a che un rumore non fece trasalire entrambi.
“Herm?”
La ragazza in questione trasalì balzando in piedi, sbiancata totalmente in volto.
“Oh Dio… Ron!” Sibilò spaesata, il suo sguardo cadde su Draco, seduto lì vicino. “Devi nasconderti!”
Il ragazzo fece una smorfia.
“Lo so, lo so, me ne vado.”
Così dicendo si alzò e fece per dirigersi verso la finestra quando, improvvisamente, Hermione lo afferrò saldamente per un braccio tirandolo indietro con forza.
“Herm, ci sei?” Fece ancora la voce al piano inferiore.
“Non ci pensare nemmeno!” Sibilò Hermione, stringendo le mani sul mantello che Draco si era buttato sulle spalle frettolosamente. “Dove hai intenzione di andare, conciato così?”
Gli occhi di Draco avevano assunto un’altra luce, una luce calamitante che Hermione non aveva ancora sperimentato in lui, ma solo in un’altra persona, persona che in quel momento avrebbe dovuto essere in tutti i posti possibili del mondo tranne che in quello.
“E cosa vorresti fare? Farmi dormire in camera tua?” Mormorò in tono malizioso, sembrava divertirsi nel metterla a disagio in quel senso.
Difatti quando la ragazza arrossì, alzò con aria eloquente un sopracciglio.
“Malfoy, smettila di provocarmi se non vuoi trovarti Schiantato tre isolati più in là. Non è questo il momento di litigare come due ragazzini!” Borbottò osservando ansiosamente la porta chiusa e ringraziando il cielo per aver scelto di materializzarsi al piano superiore della casa piuttosto che a quello inferiore.
Il ragazzo sorrise.
“Mi scusi, signorina Granger, avevo dimenticato: lei non sopporta, anzi, detesta l’ironia, specialmente se fuori luogo.”
“Mi stai prendendo in giro?” Si accigliò.
“Fai un po’ te…” Seguitava ad ostentare quel fastidioso sorrisetto.
“E comunque io odio l’ironia solo se fuori luogo.” Puntualizzò poco prima di lasciare il suo braccio. “Aspettami qui! Mi raccomando, aspettami qui, non ti muovere, non fare gesti avventati, okay?” Fece una breve pausa. “Me lo giuri solennemente sul tuo onore di uomo, vero?”
Senza attendere risposta di alcun tipo, si precipitò al piano inferiore. Draco Malfoy respirò lentamente per qualche secondo, dopodiché cercò la propria bacchetta e rimase in silenzio, come pensando a cosa fare. Poi la puntò, svogliatamente, verso l’alto, tenendola all’altezza degli occhi, e si Smaterializzò nel silenzio interrotto dal parlottio ovattato dei due ragazzi al piano inferiore.

A quick fix of hope is what I'm needing

*** *** ***

La squadrò perplesso con cipiglio: era zuppa dalla testa ai piedi, era pallida e tremante e persino i suoi vestiti non sembravano, anzi, non erano nella migliore delle condizioni. Che cos’era successo?
“Ron?” Fece ancora lei, dopo essersi scapicollata al piano inferiore. “Oh… Ron!”
Il ragazzo alzò entrambe le sopracciglia.
“Ehm… sì?”
Solo allora Hermione sembrò svegliarsi da un qualche strano torpore che l’aveva avvolta.
“Oh, sì, Ron!” Esclamò.
“Herm, stai bene? Che ti è successo?”
Fece un passo verso di lei.
“Cosa? Ah, no, niente! Non ti preoccupare… sono… sono semplicemente scivolata mentre tornavo a casa… vedi? I pantaloni si sono anche strappati.” Rispose lei con un sorriso che aveva un che di forzato, di teso. “Scusa se non ho risposto subito, ma mi ero addormentata di sopra.”
Ron continuava ad osservarla indeciso: c’era qualcosa che non andava, decisamente qualcosa che non andava, qualcosa fuori dall’ordinario svolgersi delle loro giornate.
“Sei sicura che sia tutto okay?”
Lei scosse una mano con fare svelto.
“Sì, stai tranquillo Ron.” Si strizzò i capelli bagnati cercando di guadagnare tempo e sperando che Draco, al piano di sopra, trovasse un nascondiglio adeguato “Ehm… Harry?”
“Non è ancora tornato? Si sarà fermato per strada. Sai com’è, sono stato trattenuto e gli ho detto di precedermi. Piuttosto… Ginny dov’è?”
Oh mio Dio, Ginny! L’ho lasciata lì da sola, in mezzo alla strada… mi era proprio passato di mente!!
“Ehm… stavamo tornando insieme, poi però mi sono ricordata di una cosa e ci siamo separate…”
Ron sgranò gli occhi azzurri.
“L’hai lasciata sola?”
Hermione socchiuse gli occhi, pronta al ripetersi della scena che si svolgeva abitualmente da quando Ginny si era trasferita lì da loro. Ron cominciava già ad agitarsi, parlottava freneticamente tra sé e sé e, dopo essersi nuovamente infilato il cappotto che aveva lasciato sull’attaccapanni all’ingresso, fece per uscire.
“Ron, Ginny non è più una bambina, ha quasi diciotto anni!”
“Hermione, è mia sorella.”
“Non ricominciare con quella storia, eh!” Sbottò lei, innervosita dal fatto che Ron non lasciasse mai sufficiente spazio alla sorella minore. “Sarà anche tua sorella, ma ciò non significa che sia una sprovveduta ragazzina! Sa cavarsela anche da sola, non puoi starle sempre col fiato sul collo! Questa situazione non giova né a te, né a lei.”
Il ragazzo si voltò incupito in viso.
“E allora che dovrei fare? Lasciarla sola per strada, aspettando che qualche Mangiamorte la rapisca per minacciare Harry?”
Anche Hermione cominciava ad accigliarsi.
“Ti assicuro, Ron, che i Mangiamorte non attaccherebbero Ginny nella via principale della città, proprio dietro la caserma dove vi allenate, che sanno essere sorvegliata da una trentina di Auror esperti, rischiando la cattura o, peggio, la vita. Sai che Silente ha fatto disporre adeguati sistemi di sicurezza in città, credimi, non avrei mai abbandonato Ginny nel pericolo! Per chi mi hai presa?”
“Ed allora com’è che avete visto una truppa di Mangiamorte nel bosco del parco?” Cominciava a farsi rosso in zona orecchie.
“Ma cosa c’entra? Quello è successo a me perché mi sono, lo ammetto, inoltrata in una zona sospetta, ma Ginny in quella via è praticamente circondata da Auror! E poi, diamine, vuoi lasciarle un minimo di autonomia? Okay, d’accordo le misure di sicurezza e tutto il resto, ma non possiamo vivere segregati in casa. Siamo in una fase calma della guerra, la gente sta lentamente riprendendo ad uscire liberamente e… dove stai andando?”
Afferrando la maniglia della porta, egli rispose velocemente:
“A prendere mia sorella.”
Hermione sbuffò e corse verso la porta, vedendolo sparire nella pioggia.
“Sei proprio uno stupido, Ronald Weasley…”
Forse… forse non avrei dovuto lasciarla sola, però non l’avrei fatto se non fossi stata sicura.
Alzò lo sguardo nella direzione in cui si era avviato l’amico e sospirò stancamente.
Non riuscirò mai a dirti quelle parole che da tanto aspetto di poterti dire…


   
 
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