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Autore: Gaia Loire    05/09/2008    4 recensioni
La bottiglia di gin era nell’angolo, e non era riuscita a raggiungerla con così tanta facilità. Ci aveva messo ore intere, forse addirittura dei giorni, tanti piccoli movimenti frammentati ed esitanti prima di richiudere le mani ferite sul collo della bottiglia. Si era trascinata verso un bicchiere sbreccato, in quell’angolo da non più di otto giorni, e, puntellandosi con i gomiti per terra, l’aveva riempito attentamente.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Pansy Parkinson
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Appena rimaneggiata, provo a riproporla. Poco più lunga di una drabble :) Le recensioni sono, come al solito, gradite.


Non sapeva bene quando avesse smesso di essere una ragazza ed era diventata una donna.
Era stato un processo graduale, talmente lento da risultare quasi esasperato. Toccò lo specchio con la punta delle dita, tracciando una linea circolare che partiva dagli occhi del suo riflesso e che terminava all‘altezza del ventre.
Si schiarì la gola con un colpo di tosse quando sentì che stava diventando troppo secca, e annaspò nel tentativo di cercare aria, la stessa di cui i suoi polmoni sembravano essere privati.
E non era mai abbastanza.
Come se avesse un buco all’altezza della trachea, come se tutta l’aria fluisse lontano prima di raggiungere i polmoni.
Non si accorse che la sua presa sul vetro si era fatta più forte fino a che quello non le si spezzò fra le mani, incrinato sotto il suo tocco. La Ragazza Nello Specchio si frantumò insieme a quello, il riflesso distorto che cadeva a pezzi, slittando sulla superficie liscia del legno del cassettone fino a toccare terra, distruggendosi ancora.
Le schegge di vetro schizzarono in tutte le direzioni, senza risparmiare i suoi piedi.
Mille aghi ghiacciati che le penetravano nella carne, e non era ancora abbastanza per riscuotere il suo corpo dal torpore che stava lentamente calando su di lei.
Ancora.
Per un attimo, un breve istante sospeso fra il dolore e l’incomprensione, si sentì viva di nuovo. Ritirò le mani, attraversate da sottili strisce rosse. Deglutì a vuoto scoprendo di non avere più saliva e guardò quello che restava del suo riflesso, scomposto sullo specchio screziato.
Quand’è che i suoi fianchi erano diventati così tondi e i suoi lunghi capelli avevano assunto quel tono così opaco?
Chiuse gli occhi per un’istante, il tempo di un battito di ciglia, ma il riflesso non se n’era andato. La Ragazza Nello Specchio le rivolse un’occhiata da sotto le ciglia socchiuse, e sembrava quasi che le stesse dicendo non credere che basti fare finta che io non esista, perché ti vedo, ti vedo, ti vedo e non passerà molto tempo prima che sia tu a rimanere intrappolata al mio posto - non penserai sul serio di essere più reale di me?
Pansy trattenne un singhiozzo fra le labbra serrate.
Poi colpì lo specchio di nuovo.

***

Non era certa dopo quanto tempo avesse aperto di nuovo gli occhi. Ad un certo punto aveva anche creduto di essere morta, lo aveva creduto sul serio. Forse aveva perso tanto sangue, troppo.
Sicuramente non avrebbe mai più potuto alzarsi o aprire gli occhi, no?
Dopo, ad un certo punto, ci aveva provato.
Per indolenza.
Aveva sollevato lentamente la palpebra sinistra e il pavimento di legno dalle assi scomposte era diventato reale sotto il peso del suo corpo disteso.
La bottiglia di gin era nell’angolo, e non era riuscita a raggiungerla con così tanta facilità. Ci aveva messo ore intere, forse addirittura dei giorni, tanti piccoli movimenti frammentati ed esitanti prima di richiudere le mani ferite sul collo della bottiglia. Si era trascinata verso un bicchiere sbreccato, in quell’angolo da non più di otto giorni, e, puntellandosi con i gomiti per terra, l’aveva riempito attentamente.
Forse un po’ troppo, considerò quando il liquido trasparente superò gli argini del bicchiere, spalmandosi sul pavimento polveroso. Ma non si fermò, non subito, quasi incapace di riuscire a staccare gli occhi dal gin che si infilava nelle fessure fra le assi.
Il primo sorso fu amaro. Per il secondo trattenne il fiato, il terzo fu accettabile e del quarto non sentì il sapore. Al quinto la sua testa smise di girare.
Sei.
Draco. Il suo migliore amico, l’infatuazione dell’adolescenza. Non avrebbe mai dimenticato il sorriso che aveva stampato sul viso mentre beveva dal calice di cristallo nella mano del suo carnefice. I lunghi capelli biondi cadevano dritti ai lati del suo viso, nascondendo gli occhi alla vista di Pansy. L’espressione divertita ed ironica sul suo volto.
Era morto senza dire una parola.
Sette.
I lunghi graffi sulla schiena di Blaise erano il ricordo più vivido che aveva della cella polverosa dove aveva trascorso quarantatre stanghette incise sul muro con un temperino nascosto nella scarpa. Ricordava con precisione che l’unico colore diverso dal grigio delle sbarre e delle pareti era il rosso del sangue ardente dell’amico, che scorreva rovente. Piccoli grumi color rosso scuro sul pavimento, la sua carne che bruciava.
Gli occhi del ragazzo, che un tempo erano stati di un meraviglioso colore sui toni del blu, erano rotolati ai suoi piedi, simili a palline di vetro vuote, e si era appoggiata al muro per non cadere. Si era imposta di non guardare le orbite vuote scavate sul suo teschio, ed aveva trattenuto il conato di vomito nel momento in cui non ce l’aveva semplicemente più fatta a non alzare la testa verso di lui, il corpo avvolto dalle fiamme, il viso sconvolto in una maschera di carne e sangue.
Otto.
La vanità di Daphne strappata da lei insieme alla sua lingua. Nemmeno lei aveva parlato prima di morire, ma aveva protestato. Si era ribellata, aveva pianto, promesso, implorato, urlato. L’avevano sbattuta con forza contro il muro del casolare di campagna, ed aveva puntato i suoi grandi occhi azzurri in quelli di Pansy l’istante precedente al primo strattone della corda.
Aveva guardato il suo viso perdere gradualmente colore mentre il cappio si stringeva attorno al suo collo, il corpo che penzolava, sbattendo sulla parete ad ogni movimento del vento.
Non avevano neanche chiuso la porta.
Nove, dieci, undici, dodici. Tredici, diciotto, ventisette. Ad un certo punto la bottiglia sfuggì dalla sua mano, rotolando sul legno per alcuni metri prima di infrangersi contro la parete annerita.
Le sue palpebre diventarono pesanti e non capì se stesse annegando davvero.
L’unica cosa che percepì prima di cadere in una dolorsa stasi, le sue costole che sembravano volerle trafiggere il petto, fu la porta dell’ingresso che sbatteva e passi rumorosi nella sua direzione.
E’ troppo tardi, pensò.
L’acqua di quel panico intollerabile si richiuse sopra di lei

***

Quando aprì gli occhi di nuovo, non c’era più acqua.
Era il fuoco che aveva preso il suo posto, danzando sulla chioma della ragazza china su di lei. Fiamme che incorniciavano la sua testa, intrappolata in lunghi fili ramati che davano un’impressione di incosistenza ancora più del colore della sua pelle, così simile alla porcellana, un bianco tanto abbagliante da risultare quasi doloroso per i suoi occhi che per così tanto tempo non avevano visto altro che buio.
- Sei una testa di cazzo. - disse la ragazza, la voce spezzata da un singhiozzo che non era riuscita a fermare in tempo.
Pansy sbattè le palpebre due volte, ma il dolore non se n’era andato.
Sorrise. - Buon Natale, Weasley.



  
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