Ho
avuto l’ispirazione
improvvisa e ho deciso di iniziare questa storia. Spero che vi
piaccia!!
Recensite numerosi per
sapere i vostri pareri!!!!
Buona lettura=)
1_Risveglio
Quel
5 luglio uscì di casa con l’intenzione di passare
una giornata di sano shopping
con le sue amiche. Erano secoli che non passava un po’ di
tempo tra ragazze.
Alla
fine del vialetto infilò la mano sinistra nella borsetta e
ne estrasse le
chiavi della Mercedes cabriolet blu parcheggiata sul ciglio della
strada.
Quello era uno dei suoi gioielli più preziosi. Un regalo che
i suoi parenti e
il nuovo marito di sua madre, soprattutto, avevano pensato di farle per
compleanno.
Aprì
lo sportello e si mise al volante. Guidò fino in centro,
quando si accorse che
il traffico era stato deviato su una strada particolarmente trafficata
per via
dei lavori in corso davanti a una gioielleria.
-Così
arriverò in ritardo!- imprecò tra sé.
Restò
in attesa davanti ad un semaforo per parecchi minuti, quando il segnale
di
verde le diede via libera.
Premette
l’acceleratore per avanzare. Era esattamente al centro
dell’incrocio che
un’altra auto, proveniente dalla corsia opposta le stava
venendo addosso.
Fece
in tempo solo a notare che si trattava di un’utilitaria viola
melanzana.
Orrenda. Del resto dell’incidente non ricordava niente.
Sentiva
un profumo strano.
Un
odore che lei odiava.
Medicine.
Era in un ospedale.
Non
aveva le forze di aprire gli occhi, non ne aveva neanche la voglia a
dire la
verità.
Non
sentiva rumori. Alle sue orecchie giungeva solo il cupo rimbombo del
suo cuore.
Battito dopo battito. Con quel rumore nella testa si
addormentò o forse perse i
sensi. Non lo sapeva.
Recuperò
la lucidità che le sembrava passato un secolo. Continuava a
sentire l’odore di
medicine e il suo cuore battere. Poi… sentì
un’altra cosa. Una fitta. Ma non
riusciva a comprendere bene da quale parte del suo corpo venisse.
Si
ostinava a non aprire gli occhi. Come se volesse continuare a dormire.
E
anche il suo cuore continuava imperterrito a tamburellarle nel petto.
Un
grido disperato le salì però alla gola. Aveva
smesso. Non lo sentiva più. Non
batteva più. Lei però continuò a
pensare. Di certo non era morta. Ma il suo
cuore non batteva più.
Improvvisamente
come a dimostrarle che era davvero così sentì un
nuovo suono. Un campanello di
richiamo per le infermiere.
Quel
grido era ancora lì, lo percepiva. Non lo espresse. E che
motivo c’era? Di cosa
aver paura?
Non
poteva di certo essere morta se continuava a parlare nella sua testa e
se
continuava a respirare!
Con
questa certezza si addormentò di nuovo.
Eppure
quel gesto le apparve da subito superfluo, quasi come se non ne avesse
realmente bisogno.
Si
alzò seduta e stavolta il grido che aveva trattenuto tanto
in gola ebbe voce.
Fu
un grido di paura, di terrore.
In
fondo chiunque urlerebbe spaventato se si trovasse steso su un tavolino
metallico circondato di lenzuola bianche da cui si intravedono arti
umani
pallidi.
Era
confusa oltre ogni dire, non sapeva che pensare, magari stava sognando.
Un
dolore non indifferente al collo le fece immediatamente cambiare
opinione.
Si
toccò la pelle al lato destro del collo e sentì
distintamente dei segni.
Si
alzò, instabile sulle gambe e con un giracapo terribile.
Tutta al stanza girava
e se non si fosse aggrappata al tavolino metallico sarebbe crollata a
terra.
Fece trascorrere qualche minuto, cercando di capire che cosa le era
successo e
dove si trovava. L’ultimo ricordo che aveva era
un’auto viola che le veniva
addosso all’incrocio principale di Alden Road. E
poi… un flash che le fece male
alla testa. Ricordava il suono dell’ambulanza… un
ragazzo che le teneva il capo
appoggiato alle sue gambe per non farle male…
infermieri… infine più
niente.
Come
il mal di testa era venuto, svanì con i ricordi.
Si
sentì più stabile e decise di voler almeno uscire
da quel posto, per iniziare.
Raggiunse
la porta a vetri ma sul punto di aprirla, un giovane con il camice
bianco e lo
stetoscopio al collo la precedette dall’esterno. Trovandosela
di fronte si
spaventò non poco.
-Mi
scusi signorina, ma lei cosa ci fa qui?- le chiese corrugando le
sopracciglia.
-Io…
ecco, non dovrei essere qui in effetti…- rispose incerta e
abbassò lo sguardo
smarrita.
-Capisco,
a volte non è facile perdere un caro a cui si teneva molto.-
la consolò
premuroso -Venga, esca da qui, non fa bene a una ragazza giovane come
lei stare
in un obitorio.-
A
quella parole quasi non svenne. Un obitorio. Si era svegliata in un
obitorio.
Non
era possibile, lei era viva. Camminava, pensava, aveva addirittura
parlato con
un medico!
Forse
si era sbagliata e dopo essersi svegliata aveva iniziato a vagare per
l’ospedale fin lì. sì, doveva essere
così, si convinse.
Il
medico le tenne la porta aperta per lasciarla passare e le
consigliò di
riposarsi, non aveva una bella cera.
Percorse
tutti i corridoi per trovare la reception. Stava per uscire dalle porte
scorrevoli ma un dettaglio scioccante la bloccò al bancone
d’ingresso, con lo
sguardo fisso alla parete. O meglio, al calendario.
Il
29 agosto.
Ok.
Poteva essere stata in osservazione per un po’ di tempo. Un
incidente stradale
di quelle proporzioni non era una passeggiata.
2016.
Qui
sì che c’era davvero qualcosa che non andava.
-Scusi-
si rivolse alla segretaria -quel calendario è fallato.-
La
donnina che con tranquillità stava leggendo una rivista di
gossip alzò lo
sguardo su di lei squadrandola per un
attimo -Come prego? Cara dovresti farti controllare, sei
molto pallida
sai?-
-Grazie,
ma sto bene. Dicevo che il calendario lì dietro segna
l’anno sbagliato. Indica
ben otto anni di troppo.-
La
segretaria si voltò alle spalle guardando
l’oggetto, poi ridacchiando si voltò
di nuovo.
-Oh
no, questo calendario va benissimo! È vero che tutti
vorrebbero che il tempo
non passasse ma…-
Non
si sprecò neanche a sentirla blaterare.
Non
era possibile! No, non poteva esserlo! Se erano nell’anno
2016 significava che
lei era stata in ospedale tutto quel tempo. Ma com’era
possibile? Lei credeva
che non fosse passato neanche un mese! Si svegliava ogni tanto. Certo
non lo dimostrava
perché teneva sempre gli occhi chiusi ma lei si svegliava!
Che
fine aveva fatto la sua vita? Perché le sembrava che tutto
intorno a lei non
fosse più lo stesso? Che cosa era successo?
Sapeva
che l’ospedale distava soli venti minuti da casa sua e
percorse tutta la strada
di corsa. Almeno la sua famiglia doveva sapere che era viva, che non
stava più
male.
Si
ritrovò davanti alla villetta bianca e al giardino tagliato
da poco. Almeno la
sua casa non era cambiata!
Mosse
qualche passo sul vialetto d’accesso fino a fermarsi a
metà. Una consapevolezza
raccapricciante che si faceva strada insinuandosi dentro di lei. Aveva
corso
tanto ma non aveva il fiatone.
E
il cuore. Non batteva. Non aveva battuto più dal momento in
cui nel sogno
l’aveva sentito fermarsi.
Ma
poi, era davvero un sogno?
Che
cosa le era successo? Come per risposta un nuovo flash le
tornò in mente.
Il
ragazzo che le teneva fermo il capo dopo l’incidente era
piegato su di lei. E
le sussurrava qualcosa. Non ricordava tutto ma alcune parti del
discorso le
erano rimaste come impresse a fuoco nel profondo della mente.
-…Mia
vampira, quando
sarai pronta per risorgere ci reincontreremo…-
Cadde
in ginocchio sull’erba fresca tenendosi una mano al collo e
l’altra ad
asciugarsi le lacrime che scorrevano copiose sulle sue guance.
Il
segno sul collo, il cuore, l’obitorio,
l’anno… tutto prese un senso davanti ai
suoi ricordi frammentati dell’incidente.
La
sua vita era finita. Era stata trasformata in un vampiro.
E
a questo non c’era via d’uscita.
Guardò
un’ultima volta la sua casa poi voltò le spalle e
fuggì.
Dalla
sua famiglia che stava affrontando il suo lutto.
Dai
suoi amici che non avrebbe più rivisto.
Dalla
sua vita, ormai conclusa.
Da
se stessa.
Ormai
Emilie Sherrington
era morta.