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Autore: Lelaiah    26/07/2014    2 recensioni
Da diversi anni il genere umano è entrato in contatto con il mondo soprannaturale e la convivenza, nonostante alcuni alti e bassi, sembra essere tranquilla. L'arrivo del branco MacGregor a New York ha creato un grande scompiglio tra gli altri gruppi di licantropi e stuzzicato la curiosità della stampa.
Tutto quello che vuole Evan, figlio dell'Alfa del clan appena arrivato da oltreoceano, è poter vivere la propria vita in pace. Possibilmente evitando la maggior parte dei contatti col padre e ignorando le richieste egoiste della bella ed algida Crystal, sua moglie.
Nella stessa città vive anche Amanda, giovane assistente che condivide l'appartamento con la sorella Frances e il fidanzato di lei, Andrew. La loro vita scorre tranquilla, lontana da qualsiasi coinvolgimento col soprannaturale... almeno fino a quando tutti loro non si ritroveranno nel bel mezzo di un attacco perpetuato da alcuni licantropi di un clan locale.
L'inaspettata trasformazione di Drew porterà questi due mondi ad entrare in collisione. Far collimare stili di vita dissimili sembrerà ancora più difficile quando la città verrà sconvolta da una serie di omicidi, questa volta ai danni della comunità soprannaturale.
Umani e licantropi riusciranno a collaborare? E magari anche ad innamorarsi?
Buona lettura!
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 15 Azione e reazione
Attesa leggermente più corta della precedente, ma mi scuso comunque per l'incostanza degli aggiornamenti :( Oltre a dover finire gli esami, sto avendo qualche problema di caratterizzazione dei personaggi... non riesco a farli esprimere al meglio.
Quindi, vi chiedo di avere pazienza... arriverò a capo di questo blocco!
Per quanto riguarda i nostri protagonisti, direi che qualcuno vedrà rosso nel corso del capitolo...
Buona lettura ;)




Cap. 15 Azione e reazione


  Fece per lanciare il telefono, ma si trattenne e si limitò a stringerlo febbrilmente tra le mani.
Cercò di prendere dei respiri profondi, di calmarsi, ma sembrava tutto inutile.
La telefonata era stata l’ennesima conferma della sua incapacità di adattamento. Una parte di lei, una parte sempre più debole, continuava a dirle di farsi forza e accettare tutto quanto mentre l’altra, quella più forte, urlava a gran voce di scappare.
  Non sapeva più che fare, si sentiva impotente e senza opzioni.
Desiderava con tutta se stessa poter avere la fede incrollabile che stava dimostrando Amanda, ma le era impossibile arrivare a patti con la propria coscienza.
Aveva ragionato a lungo durante le notti insonni passate a guardare fuori dalla finestra. E i suoi ragionamenti l’avevano condotta ad una conclusione: amava ancora Drew, ma aveva paura della bestia che c’era in lui. Dell’influsso che poteva avere sulla sua personalità.
Probabilmente era stupido o da codardi, ma non riusciva ad andare oltre quella consapevolezza. Si sentiva come un cade che si morde la coda.
“Vorrei poter credere che tutto possa andar bene, proprio come Amanda.”, si disse. Chiuse anche gli occhi, cercando di scacciare la rabbia ed appropriarsi di quella visione delle cose che non le apparteneva.
Mentre cercava di venire a patti con se stessa, Gregory uscì in veranda per dirle che il pranzo era in tavola. Quando vide la sua espressione, però, si fece perplesso e le si avvicinò. –Ehi, Fran, tutto bene?- chiese.
La ragazza si voltò di scatto, colta di sorpresa. –G-Greg… sì… tutto bene…- farfugliò, la voce tremante. La rabbia se n’era andata, sciogliendosi come neve al sole ed ora era arrivato quel senso d’impotenza capace di farla scoppiare in lacrime.
In quel caso nemmeno un intero pomeriggio con la sua adorata macchina fotografica avrebbe potuto risollevarle lo spirito.
Cercò con tutte le forze di trattenersi, ma finì con il singhiozzare. Senza pensare gettò le braccia al collo del fratello e lasciò libero sfogo alle lacrime.
-Ehi, ehi! Calmati! Cos’è successo?- cercò di capire. Provò a scostarla da sé per guardarla in viso, ma lei non glielo permise. Allora le lasciò il tempo per sfogarsi, stringendola a sé con fare protettivo, come faceva quando era piccola e aveva paura durante i temporali.
Frances versò fino all’ultima lacrima e solo quando sentì gli occhi aridi e pesti si scostò dal petto del fratello e tentò di darsi un contegno, imbarazzata. –Scusa…- mormorò.
-Oh, non è con me che devi scusarti: Sarah sarà nera.- commentò Greg.
Al che lei lo fissò confusa poi, realizzata la battuta, ridacchiò senza allegria. –Già, avremmo fatto freddare la pasta.- mormorò.
Gregory la fissò pensieroso e la condusse gentilmente sul dondolo accanto alla porta.  Una volta seduti si voltò verso di lei e domandò:-Hai parlato con Mandy?
Frances pensò di negare, ma alla fine optò per la verità. Annuì stancamente, confermando le supposizioni del suo interlocutore. –Non è andata bene… ed è colpa mia. Per l’ennesima volta.- confessò.
-Cosa ti hanno detto?
Fran si passò una mano tra i capelli, nervosa. –Che Andrew se la sta cavando bene, ma che il branco di MacGregor sta avendo dei problemi.- spiegò.
Greg si accigliò. –Problemi di che tipo?- chiese, cercando di capire.
-A quanto pare la lupa che avevano accolto è una spia, ma è stata obbligata con la forza ad assumere quel ruolo. Se non ho capito male vogliono aiutarla, ma questo significa avere grane col suo branco d’origine.- continuò.
-E in tutto questo, Amanda non ha ancora perso la testa? Cavoli, quella ragazza ha le palle.- commentò ammirato. Al che sua sorella lo guardò malissimo, ricordandogli che stava parlando proprio con una che, di palle, non sembrava averne abbastanza. –Ehm… scusami, non volevo offenderti.- s’affrettò a dire.
Lei abbassò lo sguardo. –Non mi hai offesa: hai detto la verità, in fondo.
La strinse a sé, premuroso e un po’ rude. I suoi abbracci avevano la stessa potenza di una carezza ricevuta da un grizzly ma, a differenza degli orsi, lui lo faceva con le più nobili intenzioni.
-Il problema è un altro, però…- riprese Frances. L’altro sollevò le sopracciglia, in attesa di una spiegazione. –Il branco si sta per trasferire nel palazzo in cui vivo con Drew e Mandy.- confessò, sollevando la testa in attesa di un parere.
Restò a fissare Gregory in silenzio, temendo che le dicesse di sbrigarsela da sola o peggio.
Dopo parecchi minuti, in cui si sentirono alcuni rimproveri di Sarah provenire dall’interno, Greg si decise finalmente a parlare. –Sinceramente, non vedo dove stia il problema.- ammise, fissandola coi suoi occhi verdi come germogli.
Al che sua sorella non poté fare a meno di boccheggiare, senza parole. –Ma… mi hai ascoltata?!- sbottò.
Lui annuì. –Certo, non sono sordo. E ho anni di esperienza alle spalle, ricordi?- le fece notare.
Quella risposta la fece indisporre ancora di più. Balzò in piedi e strinse i pugni, irritata. –Gregory, è una questione seria! Non so cosa fare!
Anche lui si alzò, fronteggiandola senza problemi. Essere alti un metro e novanta e avere spalle larghe aiutava sempre, soprattutto in casi come quello.
“Se fossi più piccolo mi prenderebbe a sberle, ne sono sicuro.”, ragionò l’uomo. Fran era sempre stata la più impulsiva, tra i tre. Anche lui aveva avuto i suoi colpi di testa, ma il più delle volte aiutato da una bella sbronza.
-So che è una questione seria, ma non capisco perché tu ti sia fasciata la testa prima di rompertela.- commentò.
-Che significa?- fece lei, allentando leggermente la tensione.
-Sei scappata non appena successo il fattaccio e non hai nemmeno provato a vivere con Andrew, dopo la trasformazione. Posso capire la tua paura: anche io sarei stato terrorizzato, all’inizio. Ma è normale, le cose nuove ci spaventano sempre.- disse. In quel momento era sicuro di essere molto simile al padre, quando si sedeva e faceva loro la predica.
-No, tu non capisci… non…!- iniziò lei.
Suo fratello la bloccò. –No, sei tu che non capisci. Hai dato per scontato che non ci saresti riuscita, che sarebbe andata male e sarebbe successo il peggio. Tutte le telefonate e i messaggi di Amanda non sono serviti ad aprirti gli occhi.- continuò.
-A cosa dovevano servire? Farmi sentire una stupida?- abbaiò, dandogli le spalle. –Io non sono perfettina come lei.
-Non è questione di essere una perfettina. È questione di sapere cosa si vuole.- replicò calmo.
-Io so cosa voglio!- scattò la giovane.
Lui allora sollevò un sopracciglio, diffidente. –Davvero?
-Sì, io…- ma s’interruppe. “Io… cosa voglio, veramente? Perché sono scappata?”, si ritrovò a chiedersi.
-Vedi? Non ti sei posta le giuste domande.- le fece notare.
Al che Fran si lasciò cadere nuovamente sul dondolo, subito imitata dal fratello. –E quali sarebbero?
-Ami veramente Drew? Devi solo capire questo. Se il tuo amore per lui è abbastanza forte, allora potrai tornare e dargli una mano.- mormorò, sfiorandole una guancia. Lei si voltò a guardarlo e nei suoi occhi c’era solo una gran confusione.
-Come faccio a quantificare l’amore?- domandò con voce rotta. Stava per rimettersi a piangere, nuovamente. “Non voglio piangere.”, si disse, tirando su col naso.
-Devi capirlo da sola. Non posso dirtelo io: ognuno ha modi diversi per farlo…- replicò.
Gli lanciò un’occhiata. –Lo dici come se ci fossi già passato.- osservò.
Gregory si adombrò, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e unendo le dita. –Ci sono passato, cinque anni fa.- rivelò.
“Come? Quando?”, si chiese Frances. –Non… non capisco…
Suo fratello sollevò un angolo della bocca, il ricordo era ancora amaro per lui. –Ricordi quando Sarah ha avuto quel brutto incidente?- iniziò.
La ragazza annuì. –Sì, quando è stata investita da quel SUV… ma non capisco…- rispose.
Greg puntò lo sguardo davanti a sé, fissando un punto imprecisato. –Non l’ho detto a nessuno, nemmeno a lei.- ammise. –Quando l’hanno portata in sala operatoria hanno scoperto che una scheggia le aveva perforato una vertebra. Sistemarono tutte le altre ferite, ma quella… non sapevano cosa sarebbe successo.- continuò.
-Oddio, vuoi dire che…?
-Sì, c’era la reale possibilità che rimanesse paralizzata dalla vita in giù.- confermò con voce leggermente instabile. “E’ stato il giorno più brutto della mia vita.”, pensò, cercando di non riportare a galla quelle ore di puro terrore.
-E’ stato allora che hai dovuto quantificare il tuo amore, vero?- chiese conferma Frances. –Come… come hai fatto?
Le lanciò un’occhiata e poi si raddrizzò, appoggiando la schiena al dondolo. –Be’… sono andato a fare una lunga passeggiata. Ho ragionato e ragionato, fino a sentire il cervello fondersi. Mi sono chiesto se potevo sopportare tutto quello che ne sarebbe derivato, se l’avrei amata come l’amavo in quel momento e se sarei riuscito a farla sentire amata.- le disse, stringendosi nelle spalle. –Dopo quattro ore passate a girovagare senza una meta, ho capito che non avrei potuto fare a meno di lei e che l’avrei aiutata a superare anche quella prova.- concluse dopo una breve pausa.
Senza poterselo impedire, una piccola lacrima le scese lungo la guancia. –Sei una persona stupenda, Greg. Sarah è fortunata.- gli sorrise, toccata dal dolore che aveva percepito nella voce del fratello.
-No, sono io quello fortunato.- replicò lui, alzandosi in piedi. –Io avrei un certo languorino, tu?- chiese, massaggiandosi lo stomaco.
Fran scosse la testa. –Preferisco andare a fare quella famosa passeggiata.- rispose, ora più calma. Lui sembrò capire e si limitò ad annuire. –Ci vediamo più tardi.- gli disse, alzandosi ed imboccando le scale.
-Prenditi il tuo tempo.- le suggerì.

  Si strinse la sciarpa al collo e si avviò lungo le strada apparentemente infinite del quartiere in cui viveva Gregory. Era una zona residenziale a bassa densità abitativa, tappezzata da tante villette indipendenti con giardino, in pieno stile americano.
Lanciò un’occhiata distratta ad alcuni bambini impegnati a rincorrersi e lasciò vagare i propri pensieri. Li lasciò liberi, lasciando che fossero guidati dal cuore e non dalla testa.
Senza rendersene conto si ritrovò a pensare al passato, a quando lei ed Andrew si erano conosciuti.
  Erano gli anni dell’università: Frances era la fotografa del giornale universitario, mentre Drew uno dei nuotatori della squadra del campus. Le avevano assegnato il servizio sulla recente vittoria nel campionato studentesco, ma lei aveva tentato di rifiutare sino all’ultimo.
Ricordava ancora l’odio profondo che aveva per gli sportivi che si credevano i re del mondo e il pensiero la fece sorridere.
“Ero ancora più testarda di come sono ora…”, pensò, continuando silenziosamente la propria passeggiata. Era andata nell’edificio che ospitava le piscine con un diavolo per capello, maldisposta verso ogni essere appartenente al gruppo di tritoni provetti, come li aveva mentalmente ribattezzati.
  Invece si era ritrovata ad osservare una grande vasca d’acqua praticamente vuota.
Era rimasta lì, ferma come un’allocca fino a quando non si era sentita apostrofare. Ricordava ancora il movimento repentino e disarticolato con cui si era voltata ed era finita in acqua.
“L’unico problema era che non sapevo nuotare.”, ricordò, fermandosi ad un incrocio per controllare che non arrivassero auto. “Gregory non riusciva a capacitarsi del perché.”, si concesse un risolino, divertita.
Fortunatamente Drew era lì, pronto a salvarla dall’affogamento. Si era tuffato e l’aveva raggiunta. Lei non finiva più di agitarsi e maledirlo, accusandolo di averle fatto danneggiare la preziosa Reflex.
Alla fine, tra una bracciata ed un insulto, erano riemersi ed Andrew l’aveva invitata fuori per sdebitarsi ed accordarsi sulla modalità di pagamento dei danni.
“Ci siamo incontrati la sera dopo… e quella dopo ancora. Così per una settimana.”, il pensiero la fece nuovamente sorridere, scaldandole il cuore.
Non sapeva bene perché, ma i pensieri la stavano guidando attraverso gli attimi più belli della sua storia con Andrew. E lei si stava lasciando trascinare, assaporando ogni singolo attivo, ogni singola risata.
  Fino a quando la verità non le ripiombò addosso e si ritrovò a rivivere il giorno dell’attacco.
Frammenti confusi si affastellarono nella sua mente, fornendole dolorosi fermo immagini di attimi che avrebbe voluto dimenticare per sempre.
Rivisse la paura, sentì le urla e vide Drew, steso a terra in una pozza di sangue.
Si sentì improvvisamente mancare il fiato e dovette appoggiarsi al tronco di un albero. Si portò una mano alla gola e tentò di prendere dei respiri profondi.
Il suo cervello continuava a scorrere come impazzito tra i suoi ricordi, ripescando le litigate avute con Amanda e i primi momenti della nuova vita di Andrew.
Quella nuova vita che la terrorizzava, ma che sembrava non avesse piegato lui.
Tentò di raddrizzarsi e calmare il battito del proprio cuore, ma sembrava non avere alcun controllo sul proprio corpo.
“Calmati, devi stare calma.”, si disse. Lentamente, a fatica, riportò la situazione sotto controllo. Prese alcuni respiri belli profondi e poi iniziò ad analizzare lentamente i ricordi più recenti che riguardavano lei e Drew.
Fin da subito lui aveva cercato di tirare le fila del discorso, di capire da dove partire e come poter controllare quella nuova ed estranea parte di sé.  
E lei… lei credeva di poterlo guarire, come se avesse contagiato una stupida malattia infettiva.
“Ma Drew non è malato. È cambiato, è diventato qualcosa di più di un semplice umano.”, ragionò. Avrebbe potuto fare molte più cose rispetto a quando era solo un uomo: correre alla stessa velocità di un’auto, cacciare come un vero lupo… uccidere con la semplicità di un pensiero.
Uccidere…
Una nuova consapevolezza si fece strada nella mente di Frances e la ragazza si portò le mani alla bocca, sconvolta.
Quello che la spaventava non era il nuovo Drew, ma le cose che avrebbe potuto fare se la sua parte bestiale avesse preso il sopravvento. Temeva di non potersi più fidare di lui, di dover misurare ogni singola parola per non farlo irritare. Temeva di poter essere uccisa dall’uomo che amava.
-Non è un problema di amore, è un problema di fiducia!- esclamò. La verità la lasciò contemporaneamente felice e sconvolta. Ma in quel momento non importava: sapeva cosa doveva fare.


“Sei uno stupido.”, gli pareva quasi di poter sentire la sua parte animale ripeterlo nella sua testa. Dopo la disastrosa telefonata avuta con Frances si era allontanato di corsa, confuso più che mai. Era stanco di sentirsi ingiustamente rifiutato dalla donna che amava, stanco di vedersi rinfacciare la sua nuova condizione soprannaturale.
  Non l’aveva chiesta lui, dannazione!
Ma Frances sembrava non volerlo capire: non gli aveva nemmeno concesso una chance e si era messa ad urlare come un’ossessa.
“Non mi accetterà mai… non come ha fatto Amanda.”, realizzò. E quella considerazione, oltre a fargli male, lo fece arrabbiare tantissimo. Se fosse stato un approfittatore, se non avesse amato veramente Fran, si sarebbe sicuramente assicurato di avere Mandy accanto a sé.
  Nei suoi occhi non aveva letto il disgusto o il terrore, solo tanta voglia di comprenderlo ed aiutarlo. A lui sarebbe bastato vedere quei sentimenti anche negli occhi della sua amata, ma iniziava a capire che quello era un sogno irrealizzabile.
Il lupo dentro di lui ringhiò, irritato.
Andrew tentò di ignorarlo e continuò a correre, diretto verso una meta imprecisata. Sentiva la rabbia e la frustrazione crescere dentro di sé ed iniziava a temere di non poterle controllare.
Chiuse gli occhi, lasciandosi guidare dai sensi e tentando di mettere a tacere la voce che gli diceva di lasciarsi andare ed arrabbiarsi.
Non poteva farlo, non in mezzo alla città. Avrebbe potuto ferire delle persone e quello avrebbe confermato le paure di Frances.
“Sono più forte del lupo. Sono più forte della luna.”, iniziò a ripetere mentalmente, come se fosse un incantesimo di protezione.
Ma più cercava di concentrarsi su altro, più gli tornavano alla mente gli ultimi tempi e le notti vuote, passate senza la sua compagna. Tutto perché lei non aveva nemmeno voluto dargli una possibilità, il beneficio del dubbio.
Era scappata e basta.
“E probabilmente non tornerà.”, gli disse la sua coscienza, in quel momento troppo simile alla voce della bestia. Scosse ripetutamente la testa, cercando di snebbiarsi la mente ma sembrò non sortire nessun effetto.
Si era tanto vantato di non aver avuto problemi nonostante la vicinanza del plenilunio, invece sembrava aver cantato troppo presto. Gli serviva solo il giusto incentivo per perdere il controllo e pareva averlo trovato.
Un rantolo animalesco gli salì alla gola e fu costretto ad appoggiarsi pesantemente al muro di un’abitazione. Si guardò intorno, cercando di rimettere il lupo al suo posto e capire dove si trovasse.
  La creatura dentro di lui si ribellò con forza, graffiando e ringhiando come solo un animale in gabbia può fare. Andrew sentì il sangue arrivargli al cervello e temette di potersi trasformare da un momento all’altro.
-No… smettila…- sibilò a denti stretti, artigliandosi il petto. Non poteva, non doveva trasformarsi.
“Alastair ha detto di trovare delle valvole di sfogo, in questi casi…”, ragionò. Alzò di scatto la testa ed iniziò a scandagliare ogni centimetro quadro attorno a lui, alla disperata ricerca di una via d’uscita.
L’importante era non ferire nessuno. Se anche si fosse fatto del male, aveva dalla sua una capacità rigenerativa di gran lunga superiore alla norma.
Mentre cercava in tutti i modi di rimanere presente a se stesso, trovò la sua valvola di sfogo.
Rialzò lentamente la testa ed inspirò a fondo. Dentro di lui la bestia gorgogliò, soddisfatta.
Distrarsi non bastava più, quindi avrebbe fatto qualcosa di avventato. Se ne sarebbe sicuramente pentito, ma era convinto che fosse un buon modo per sfogare la rabbia che l’aveva colmato.
  Presa la decisione si riassestò la giacca e si mise a correre verso Staten Island.


-Bene, come ci organizziamo? Tu li distrai ed io scappo?- chiese David, finendo di impilare gli scatoloni nel centro esatto del loro appartamento. Avevano impacchettato tutto ciò che poteva essere piegato o contenuto da una scatola e si erano preparati a spostare tutte le loro cose e quelle di Emily.
-Vado a fare una rapida ricognizione: se Emily ha fatto bene il suo lavoro, dovrebbero esserci al massimo due licantropi rimasti a guardia dell’edificio.- rispose, lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla. –Tu aspetta il camion.
Dave si accigliò, perplesso. –Camion?- ripetè.
-Dei traslochi.- specificò l’amico, sollevando un sopracciglio per sottolineare l’ovvietà.
L’altro annuì. –Già, è vero. Ma ancora non so come farai a guadagnare così tanto tempo. Insomma, per quanto io sia rapido, l’autista del camion non lo sarà altrettanto.- osservò.
-Non ti preoccupare.- disse solo Evan. Indossò la giacca ed infilò la porta, avviandosi lungo le scale. Mentre scendeva scandagliò con i sensi tutti i paraggi e non ci mise molto ad individuare il lupo rimasto.
Forse fu un colpo di fortuna, fatto sta che l’Alfa dei Blacks aveva lasciato sguarnito il corpo di guardia. Meglio per loro e tanto peggio per lui.
Uscì in strada e puntò lo sguardo nella direzione del suo osservatore. Simon, dal canto suo, si mise sull’attenti, pronto ad ogni evenienza.
  Aveva intuito che i lupi avevano un piano, uno che comprendeva un trasloco, ma aveva ragione di credere che la questione non fosse così semplice.
Con la fuga di Emily, Jared aveva dato di matto ed ordinato a quasi tutto il branco di correrle dietro. Essere tradito dalla donna che credeva di avere in pugno non doveva essere stata una cosa piacevole.
Mentre ragionava sugli ultimi avvenimenti, Evan gli si avvicinò. Ritenendo inutile nascondersi, si alzò in piedi e divaricò le gambe, saggiando il terreno. Era pronto ad accoglierlo e a combattere, se necessario.
“Non mi farò sconfiggere come quella mammoletta di Kennet.”, si disse, contraendo le dita delle mani.
Van, dal canto suo, non poté fare a meno di notare la presenza di troppe persone all’interno del parco giochi antistante il palazzo. Non voleva coinvolgere dei civili, soprattutto se umani.
-Tu dovresti essere il Gamma dei Blacks… o sbaglio?- esordì lo scozzese.
Simon ghignò. –E tu sei l’ex Campione dei MacGregor. O sbaglio?- lo provocò. Voleva farlo irritare e fargli perdere quella facciata impassibile.
-Perdere quella carica non mi ha tolto il sonno.- replicò serafico. –A te disturberebbe perdere la tua?
Mentre parlavano, David stava continuando ad impilare scatoloni. Ovviamente aveva un orecchio sintonizzato sulla conversazione che stava avendo luogo di sotto.
“Non so cosa tu abbia in mente, Van, ma spero vivamente che funzioni.”, si augurò. Recuperò l’ultima scatola e poi si affacciò alla finestra, facendo scorrere lo sguardo fino ai primi alberi del parco, dove l’amico si era fermato a discorrere del più e del meno col loro recente compagno di giornate.
Evan percepì su di sé lo sguardo di Dave, ma si impose di non alzare gli occhi. Nello stesso istante il suo fine udito captò il rumore di alcuni passi sconosciuti, ma troppo familiari per essere scambiati per quelli di un gruppo di umani.
“Finalmente.”, pensò. Voltò lentamente la testa nella direzione dei nuovi arrivati e scambiò una rapida occhiata col tenente Simmons. Lei gli fece un cenno col capo e continuò a camminare, decisa.
Simon s’irrigidì, presagendo grane. Come diavolo aveva fatto la polizia ad arrivare a loro? Tra l’altro, quelli non erano semplici piedi piatti, ma membri della squadra speciale.
-Cosa… come…- indietreggiò, di colpo spaventato.
Van voltò la testa, mentre diversi metri più in alto David si lasciava scappare un’espressione d’esultanza. –Mai sottovalutare i lupi più vecchi: sono pieni di sorprese… soprattutto se sono scozzesi.- rispose il lupo. Nel profondo sentì la necessità di corredare il tutto con un ghigno di derisione, ma si limitò alle parole.
La sua corazza non si era indebolita al punto da farsi scappare esternazioni di quel tipo.
-Simmons, è questo il lupo che ha tentato di uccidere un membro del mio branco.- disse ad un certo punto Evan.
La sua sottoposta annuì brevemente e poi si avvicinò al sospettato. –Eviterei colpi di testa: quattro licantropi sono più veloci di uno solo.- gli consigliò, estraendo le manette.
-Voi non avete prove… non potete arrestarmi!- protestò l’uomo. “Era una trappola!”, realizzò, senza parole. Era stato gabbato, peggio di Kennet.
-Vero. Infatti vogliamo interrogarla.- la donna gli diede ragione, mentre gli altri membri del gruppo si disponevano a ventaglio dietro di lei. Per qualsiasi evenienza.
Il Gamma tentò di ribellarsi, ma alla fine si vide costretto a farsi ammanettare, sotto lo sguardo sbigottito di tutti gli umani presenti.
Mentre lo stavano portando verso le volanti, scoccò un’occhiata omicida ad Evan. –Aspetterò la tua vendetta. Non vedo l’ora.- lo provocò lui. –E ricordati che, in ogni caso, attaccare un umano è un reato punibile con la prigione.- aggiunse subito dopo, giusto per chiarire le cose ed assicurarsi che il messaggio arrivasse all’interno branco.
Simon ringhiò, ma non poté fare molto altro, circondato com’era da agenti.
Il tenente lasciò che ad occuparsi del licantropo fossero i suoi colleghi e rimase indietro per parlare col suo superiore. -Grazie…- le disse Evan.
-Non c’è problema. Dopo che mi ha raccontato cos’è successo, mi è salito leggermente il sangue al cervello.- replicò la lupa. –Non si feriscono le compagne altrui.
Lo scozzese fece per correggerla, ma lei non gli diede il tempo, allontanandosi a passo rapido. “Non ho una compagna…”, pensò.
Poi alzò lo sguardo alle finestre dell’appartamento che lui e gli altri avevano preso in affitto e fece per chiamare David, quando quello si presentò davanti al portone d’ingresso, quattro scatole tra le braccia.  –Spero che il camion stia per arrivare.- esordì, fingendo di lagnarsi per l’eccessivo peso trasportato.
Van scosse la testa, divertito dal suo modo di fare. –Un paio di minuti e sarà qui.- confermò.
-Hai preparato un bello scherzetto a quel lupo. Tutto pianificato nei minimi dettagli, eh?- lo canzonò l’amico.
-Sai che ho una mente militare.- fece spallucce l’altro.
-No… hai una mente diabolica.- precisò l’inglese, fingendo che la cosa lo spaventasse. –Fortuna che sto dalla tua parte.
Van alzò gli occhi al cielo. -Sono innocuo, Dave.
-Come un lupo al momento del banchetto.- ironizzò il suo migliore amico, ridacchiando subito dopo all’espressione di Van.
-Terminiamo di portare giù gli scatoloni, su.- disse, inoltrandosi all’interno dell’androne.
David ci aveva scherzato su, ma era più che convinto della forza dell’amico. Se fosse arrivato il momento di lottare con le unghie e con i denti, era più che certo che Evan avrebbe venduto cara la pelle. Soprattutto nel caso in cui avesse avuto qualcosa da proteggere, proprio come un vero Alfa.
“Non ho fatto la scelta sbagliata.”, si disse, orgoglioso.


  Il telefono vibrò, spostandosi leggermente lungo il ripiano su cui era stato appoggiato.
Emily voltò la testa di scatto, maledicendosi per aver lasciata attiva la vibrazione. Restò accucciata dietro il bancale della finestra, i nervi tesi e a fior di pelle. Nei paraggi dell’edificio c’erano due lupi del branco e la stavano cercando usando al massimo tutti i loro sensi.
Per seminarli aveva attraversato l’Hudson a nuoto, riemergendo nella zona portuale di Hoboken. Da lì aveva raggiunto uno dei rifugi che aveva iniziato ad usare da quando era entrata a far parte dei Blacks.
  Spesso aveva dovuto allontanarsi per un po’, inventandosi una scusa qualunque per non destare sospetti. Soprattutto da quando era diventata la compagna di Jared, ruolo che mai avrebbe voluto ricoprire.
Ed ora se ne stava in attesa, sperando di aver coperto bene le proprie tracce.
Senza rendersene conto si ritrovò a trattenere disperatamente il respiro, in attesa di essere scoperta o di tirare un sospiro di sollievo per avercela fatta.
-Io non sento nessun dannatissimo odore!- brontolò uno dei due, Lex se non aveva preso un granchio. Non si era mai presa la briga d’imparare i nomi di tutti, dato che aveva sempre desiderato andarsene.
  Era stata Evelyn a convincerla ad unirsi ai Blacks e solo perché si era innamorata di Jared. Non aveva mai capito cosa ci trovasse in lui e la cosa era ancora più strana se si considerava il fatto che, tra le due, lei era quella più posata e riflessiva. L’Alfa non era sicuramente l’uomo adatto a lei.
“Se solo non avessi seguito il tuo cuore, Eve…”, pensò, facendosi improvvisamente triste. Quanto le mancava… c’erano giorni in cui le sembrava di non poter respirare senza la sorella al fianco. “Devo tener duro, lo devo a Blake.”, si disse subito dopo, recuperando il suo spirito combattivo.
Non si era resa conto che, mentre era persa nei propri pensieri, i licantropi aveva ampiamente superato il suo nascondiglio. Stupita, si rialzò lentamente e sbirciò attraverso il vetro impolverato, cercandoli con gli occhi. A quanto pareva era una Sentinella coi fiocchi, in grado di far perdere le sue tracce in modo efficace.
Orgogliosa di se stessa, si avvicinò al tavolo e prese il cellulare. Nella schermata lampeggiava l’icona di un messaggio, proveniente da David.
-Stiamo ufficialmente traslocando. La nostra guardia del corpo personale sarà occupata per un po’. Tu segui il piano, come stabilito. A presto.- lesse ad alta voce. –Bene… a quanto pare ho trovato un branco composto da persone intelligenti.- si lasciò sfuggire un sorriso, sollevata.


  Quando varcò il confine del Wolf’s Pond aveva ormai assunto le sembianze di un lupo color cannella. Atterrò sulle possenti zampe e continuò a correre, diretto verso il lupanare del branco di cui era entrato a far parte.
Branco che detestava con tutto se stesso, ad eccezione di Alastair.
Inspirò a fondo l’aria attorno a sé, cercando di capire se era già stato avvistato ma non percepì variazioni negli odori delle Sentinelle.
A quanto pareva non avevano intuito le sue intenzioni bellicose.
“Tanto peggio per loro.”, pensò, scartando un tronco e saltando oltre alcuni bassi cespugli. I suoi riflessi si erano acuiti al punto che avrebbe potuto rivaleggiare con Edward Cullen e vincere la gara di “schiva l’albero”.
Liberò la mente dai pensieri futili e lasciò che la bestia s’impossessasse di lui: avrebbe avuto bisogno di tutta la sua forza per mettere in atto il suo piano.
“Un piano sconsiderato, Drew.”, gli fece notare la sua coscienza. Si prese un attimo per valutare la considerazione, ma poi zittì la parte razionale di sé e lasciò che l’influsso lunare desse forza al lupo.
Ora che aveva preso la decisione non c’era nulla che potesse fermarlo. Doveva dare sfogo alla propria rabbia e seguire il suo nuovo istinto avrebbe potuto aiutarlo.
Quando avvistò l’enorme villa del branco, si mise a scrutare l’intorno con gli occhi e le orecchie. Ignorò le essenze dei licantropi che non gli interessavano e continuò a scandagliare l’edificio fino a quando non trovò quello che voleva.
  Deviò il proprio percorso piegando leggermente a sinistra e proseguì verso il lago più piccolo presente all’interno del parco. S’inoltrò tra gli alberi, evitando i percorsi per i visitatori e gli sportivi e in poco raggiunse lo specchio d’acqua.
Si fermò di colpo, trovandosi davanti due lupi. Perplesso, si fermò dietro alcuni bassi cespugli e cercò di controllare il battito del proprio cuore per non farsi scoprire.
Si era posizionato controvento, quindi non avrebbero dovuto fiutare il suo odore, ma avrebbero potuto sentirlo se non si fosse calmato.
Mentre riprendeva lentamente il controllo del proprio corpo, con grande disappunto della bestia, uno dei due lupi si ritrasformò, rivelandosi essere Crystal. Ancora più confuso, Andrew la guardò allontanarsi rapidamente, sul viso un’espressione chiaramente contrariata.
“Stryker e Crystal…? Cosa sta succedendo, qui?”, si chiese, perplesso. Sicuramente ad Evan non avrebbe fatto piacere saperlo. O forse non gliene sarebbe importato nulla, fatto sta che si sarebbe tenuto la cosa per sé.
Un rumore di gola attirò la sua attenzione e tornò a puntare gli occhi su Stryker, messosi a girare in circolo. Drew avrebbe voluto restare a ragionare su quello che aveva visto, ma la bestia dentro di lui fremeva e lo spingeva ad agire.
  Tentò di combatterla per un po’, recuperando momentaneamente il controllo sulle proprie emozioni, ma poi non riuscì più a contenerla e si ritrovò ad uscire dal proprio nascondiglio.
Il mondo attorno a lui aveva assunto una sfumatura rossastra e il sangue gli rimbombava nelle orecchie. L’odore del suo avversario lo colpiva come un magno, portando la sua salivazione a livelli estremi.
Scrollò vigorosamente il capo, provando a non venire investito dalle informazioni raccolte dai propri sensi, ma ormai ne era completamente impregnato. Non riuscendo a calmare quel bombardamento d’informazioni, scattò in avanti.
  Coprì parecchi metri in poco tempo ed annullò la distanza tra sé e il proprio obiettivo con un balzo, che lo portò ad atterrare esattamente sulla schiena di Stryker.
Lo scozzese ruzzolò a terra, colto di sorpresa, ma si rialzò immediatamente. Snudò le zanne contro il nuovo arrivato e si stupì nel trovarsi davanti il nuovo affiliato.
“Pivello, vuoi farti uccidere?”, grugnì, infastidito. “Non sono in vena di giocare.”
Andrew non rispose e ringhiò, arricciando il labbro superiore per mostrare le zanne. Sentiva il sapore metallico del sangue in bocca e un sordo brontolio salirgli lungo la gola: alla bestia non piaceva esser sottovalutata.
Vedendo che l’altro non sembrava intenzionato a ritirarsi, Stryker assunse la posizione di combattimento.
  I due si scrutarono per pochi millesimi di secondo e poi si attaccarono ferocemente.
Si scontrarono con forza, facendo cozzare i propri corpi. Ben presto si ritrovarono ad usare tutta la parte superiore del corpo, in equilibrio sulle zampe posteriori.
Sia Andrew che Stryker misero a segno diversi colpi e ben presto le loro pellicce si riempirono di chiazze di sangue, lì dove artigli e denti erano penetrati.
Si allontanarono per riprendere fiato, ma non si risparmiarono occhiate e ringhi sommessi. Nessuno dei due voleva perdere.
“A quanto pare ti sei allenato. È stato Evan ad insegnarti come combattere?”, lo provocò l’uomo.
Drew non rispose subito, concentrato com’era ad elaborare le mosse successive. Si stava facendo guidare dall’istinto, ma sapeva che doveva raziocinare e cercare di prevedere le mosse dell’avversario, se no sarebbe finita male. Forse peggio della volta precedente.
Per quanto la bestia dentro di lui fosse forte e smaniosa di combattere, lui non possedeva la forza fisica di Stryker.
  Analizzò ciò che aveva davanti e, all’improvviso, gli tornarono in mente i suggerimenti di Evan.
Spostò lo sguardo sul lato destro del proprio avversario e notò la leggera variazione di sfumatura nell’iride, lì dov’era stata colpita dal veleno.
Si piegò lentamente sulle zampe anteriori, mentre Stryker faceva lo stesso. Saggiarono entrambi il terreno con le unghie, poi si lanciarono in avanti. Drew finse di puntare al fianco sinistro, in modo da obbligarlo a scoprirsi su quello destro.
Lo scozzese sembrò abboccare, ma proprio quando l’altro stava per deviare la traiettoria dell’attacco, intuì la sua strategia e lo azzannò con forza alla spalla sinistra.
Guaendo, Andrew tentò di divincolarsi e nel farlo trascinò a terra con sé il suo contendente. Rotolarono nell’erba, continuando a lottare furiosamente.
In un impeto di rabbia il giovane riuscì a ferirlo con una zampata a livello dello stomaco e questo lo costrinse a mollare la presa ed allontanarsi.
  Infastidito, ringhiò il proprio disappunto.
Andrew ne approfittò per controllare i danni alla propria spalla: la ritrovò completamente intrisa di sangue e con gli evidenti segni del morso. La vista del liquido rossastro mandò la bestia su di giri e Drew si ritrovò a balzare in avanti, pronto ad attaccare.
La situazione gli stava sfuggendo di mano, ma non riusciva a riprendere il controllo delle proprie azioni.
Il dolore che sentiva alla parte ferita non faceva altro che aizzare maggiormente il suo lato animale e a renderlo più aggressivo, al pari di un cane con la rabbia. Si avventò contro Stryker e lui si difese azzannandolo nuovamente alla spalla.
Questa volta la pelle si lacerò a tal punto da scoprire in parte il muscolo. Lo shock fece rinsavire Drew, che lanciò diversi uggiolii di protesta.
Lo scozzese lo costrinse a terra, bloccandolo col proprio peso e continuando ad affondare i denti.
“Mi staccherà il braccio di questo passo!”, pensò con terrore il giovane. Ora che la paura era più forte della rabbia, la sua parte razionale era riuscita a riprendere il controllo. Doveva pensare in fretta, se no sarebbe finita molto male.
Con uno sforzo non indifferente riuscì a capovolgersi e far perno con le tre zampe libere, scrollandosi di dosso l’altro licantropo. Stryker si avvitò in aria ed atterrò poco più in là, il muso e la gorgiera completamente sporchi di sangue.
“Non vuoi ancora arrenderti, pivello?”, lo provocò, snudando le zanne.
Andrew avrebbe voluto farlo, ma ecco che la bestia tornò a far capolino. Lo spinse a rimettersi in piedi e ad attaccare nuovamente. Puntò all’occhio destro, ma l’altro non lo lasciò colpire e lo afferrò saldamente per la collottola.
Strinse con forza e poi lo scrollò diverse volte prima di lanciarlo lontano da sé. Drew non glielo permise e gli morse il muso, stringendolo tra le fauci fino a sentire lo scricchiolio delle ossa.
Il suo avversario si mise a grugnire, tentando di liberarsi e lui ne approfittò per graffiarlo in profondità sul lato destro.
A quel punto Stryker si liberò con un poderoso scatto, usando i possenti muscoli del collo e delle zampe. I due contendenti si staccarono e finirono a terra, sanguinanti.
I loro corpi stavano iniziando a tremare per lo sforzo e la potenza dei colpi, ma nessuno voleva darsi per vinto.
Si rimisero faticosamente in piedi e si scrutarono in cagnesco, pronti ad un altro round. Stavano per scontrarsi quando un grosso licantropo con gli occhi tendenti all’ambra si frappose tra di loro.
I due si fermarono, riconoscendo immediatamente il proprio Alfa. Andrew non l’aveva mai visto in forma di lupo, ma era più che certo che fosse Dearan.
“Fermatevi, imbecilli!”, ordinò.
La bestia di Drew tentò di ribellarsi all’ordine, ma venne ben presto messa a tacere dall’autorità del capobranco. Stryker, dal canto suo, ringhiò il proprio disappunto e si disse innocente.
Dearan allora si volse verso Andrew, mentre alle sue spalle sopraggiungevano Alastair e il resto dei lupi presenti in quel momento. “Non tollero che nel mio branco ci siano lupi indisciplinati.”, sentenziò, avvicinandosi minaccioso.
“Questa cosa non la riguarda… è una questione tra me e Stryker.”, rispose l’americano.
“Non è concesso sfidare liberamente il Campione: c’è un protocollo.”, gli ricordò l’altro, iniziando ad alterarsi.
Drew arricciò il labbro superiore, mentre il lupo dentro di lui gridava il proprio disappunto. “Anche rendere il nuovo arrivato l’Omega di turno dipende dal protocollo?”, chiese.
Al che Dearan s’irrigidì e lanciò un’occhiata al suo secondo in comando. “C’è sempre un Omega nel branco.”, sentenziò.
“Non sarò io.”, tagliò corto. Spostò lo sguardo su Alst e si scusò mentalmente con lui, ringraziandolo per tutto quello che aveva fatto. “Me ne vado.”
“Non puoi!”, l’Alfa balzò verso di lui, pronto a colpirlo. “Nessuno lascia il mio branco.”, aggiunse, ringhiandogli contro e tentando di dominarlo.
Andrew resistette caparbiamente, impedendo a se stesso di sdraiarsi e mostrare la pancia in segno di sottomissione. Anzi, rispose iniziando a ringhiare con forza contro quello che avrebbe dovuto essere il suo capobranco.
Quella reazione indispose ancora di più Dearan, che assunse una posizione molto più rigida, sollevando il muso e la coda. “Non osare sfidarmi, Faolàn.”, avvertì.
Il giovane assunse una posizione simile, mantenendo la coda lievemente più bassa e il corpo in tensione. "Ti sto sfidando. Non riconosco la tua autorità e non voglio rimanere in questo branco.”, replicò, cercando di suonare il più minaccioso possibile.
Negli occhi di Dearan lesse la rabbia, la volontà di rimetterlo al proprio posto. Ora avrebbe potuto realmente essere ammazzato, ma in quel momento sembrava che al suo cervello non importasse.
Alle spalle dei tre contendenti, il branco si stava agitando, presagendo guai.
Vedendo che l’Alfa era intenzionato ad ucciderlo (o per lo meno a dargli una lezione coi fiocchi), Stryker si fece avanti. “Lui è mio, Dearan. Non puoi ucciderlo.”, protestò.
Il lupo voltò la testa di scatto e mostrò i canini, arricciando quasi completamente il labbro superiore. Non voleva intromissioni.
“Dearan.”, questa volta fu Alst a farsi avanti. Nuovamente l’altro si girò con un movimento repentino. “Lascia andare il ragazzo. Non è soddisfatto e non farà altro che creare problemi, se lo obbligherai a restare.”, cercò di persuaderlo.
“Ha sfidato la mia autorità.”, sibilò.
Il licantropo annuì pacatamente col muso rossiccio. “Vero. Ma vuoi che la stampa venga a sapere che hai ucciso un lupo per semplice insubordinazione? O peggio, che nel tuo branco c’è spazio per l’insubordinazione?”, proseguì. Stava tentando di toccare i punti giusti, puntando sull’orgoglio del cugino.
Lo scozzese dilatò gli occhi, colto di sorpresa. No, non poteva permettere che i lupi del suo branco denigrassero la sua autorità. Era fuori discussione.
Si voltò lentamente verso Andrew. “Non voglio lupi che hanno voglia di fare i gradassi all’interno del mio branco. Ti do mezz’ora per andartene, poi consentirò a Stryker di farti fuori, nel caso tu fossi ancora sul mio territorio.”, sentenziò.
A quella risposta Drew avrebbe voluto protestare, ma un’occhiata da parte di Alst lo convinse a non farlo. Lentamente, con attenzione, diede le spalle al branco MacGregor.
La bestia dentro di lui protestò, raschiando e ringhiando. Chiuse gli occhi, trovando la forza per metterla a tacere prima che potesse riprendere le forze con l’arrivo della notte.
Prese un respiro profondo e poi si avviò al trotto, iniziando a correre dopo alcuni metri. La ferita alla spalla faceva un male cane, ma avrebbe dovuto allontanarsi in fretta.
“Evan mi spellerà vivo.”, pensò con una punta di panico. Ma una parte di lui, non tanto piccola, era orgogliosa di quello che era successo e di come aveva attaccato sia Stryker che Dearan.
Sarebbe stato un vero supplizio sopravvivere al plenilunio e, se ci fosse riuscito senza ammazzare qualcuno, forse avrebbe sviluppato una particolare forma di bipolarismo che gli sarebbe valsa una camicia di forza.


  Afferrò saldamente gli ultimi scatoloni e li appoggiò sul vialetto d’ingresso che conduceva alla loro nuova residenza. -Grazie mille per l’aiuto e la celerità.- ringraziò David, consegnando quanto pattuito ai due ragazzi che li avevano aiutati col trasloco.
-Grazie a voi. Se doveste aver bisogno di qualcos’altro, basta telefonare.- disse il più anziano dei due.
-Lo faremo. Arrivederci.
Dopo essersi congedato, Dave raggiunse Evan e prese la sua parte di scatoloni. Poi alzò la testa verso le finestre degli ultimi piani e sospirò. –Iniziamo questa nuova avventura.- disse a mezza voce.
Van gli lanciò un’occhiata mentre saliva la prima rampa di scale. Con l’ascensore ci avrebbero messo troppo tempo e poi odiava star chiuso in scatole di latta. –Dave, ti ricordo che hai acquistato il duplex che si trova sullo stesso pianerottolo dell’appartamento di Amanda. Possiamo farcela, non credi?- gli fece presente.
-Sì, ma… Dio, questo tipo di architettura è così limitante!- si lamentò.
L’altro sollevò un sopracciglio. –Limitante?
Annuì. –Sì, poche possibilità per sistemare gli spazi, ambienti poco illuminati, camere di dimensioni ridotte e…- iniziò ad elencare.
-Ho capito, fermati. Abbiamo acquistato un duplex proprio perché così avrai più possibilità di modifica. So che sei capace di fare miracoli, quando si tratta di ristrutturazioni.- lo bloccò l’amico.
-Non cercare di adularmi.- l’inglese gli lanciò un’occhiataccia e poi lo superò lungo le scale, accelerando il passo. Evan scosse la testa, divertito: David brontolava spesso e volentieri, ma alla fine sapeva fare magie col computer e la propria fantasia.
Arrivarono al piano e, dopo aver armeggiato un po’ con la serratura, entrarono nell’appartamento. Quando Van lo vide, si mise le mani sui fianchi e guardò eloquentemente l’amico. –E questo ti pare uno spazio limitante?- domandò.
-Certo. Mi servirebbero minimo centocinquanta metri quadri per esprimere il mio estro! Questo è a malapena centoventi.- replicò con finto tono saccente.
Lo scozzese scosse la testa, lasciandolo continuare con le sue critiche alla loro nuova casa.
Tornò sul pianerottolo ed iniziò a portare all’interno le prime scatole. Finite quelle sul piano, avvertì Dave dicendogli che scendeva a recuperarne altre.
  L’amico era già impegnato a disporre le loro cose e sembrò non averlo nemmeno sentito.
Quando arrivò al piano terra, un odore familiare stuzzicò le sue narici. Facendosi perplesso si voltò nella direzione da cui proveniva e si stupì di vedere Amanda.
Quando la ragazza si accorse della sua presenza si bloccò e, senza sapere bene perché, arrossì fino alla punta dei capelli, portandosi subito dopo la mano alla gamba ferita.
Van lo notò. –Problemi con la gamba?- le chiese. Avvertiva l’odore del suo sangue, ma era abbastanza lieve. Lei si agitò immediatamente, tentando inutilmente di camuffare l’odore. –Riesco comunque a sentirlo.- le fece presente, annullando i suoi sforzi.
-Si è… riaperta. Leggermente.- mormorò Mandy. –Non voglio causare problemi. Più tardi la sistemerò. Siete appena arrivati?- cercò di cambiare argomento, indicando le scatole che reggeva tra le mani.
-Sì. Dopo posso controllarla, se vuoi.- le rispose.
Lei scosse la testa. –Non c’è bisogno, veramente.- rifiutò gentilmente.
Mentre stavano parlando, il giovane MacGregor percepì un altro odore conosciuto. Puntò lo sguardo oltre Amanda e vide comparire Eric, il nuovo membro del branco. La cosa che lo lasciò basito, però, non fu la sua presenza ma il suo aspetto.
A giudicare dalle ferite e dai lividi, era reduce da una bella scazzottata sovrannaturale.
“Fantastico. Non vedevo l’ora di avere un individuo indisciplinato nel gruppo.”, pensò, alzando gli occhi al cielo.
-Capitano…- mormorò il giovane, la testa bassa nel tentativo di rifuggire il suo sguardo.
-Vai di sopra, muoviti. Non vorrei che qualcuno si spaventasse, vedendoti così.- gli disse con tono deciso.
L’europeo fece per obbedire, ma si fermò alla vista di un altro lupo. –Ehm… capo…
Van si voltò, pronto a sbottare qualcos’altro, quando incontrò lo sguardo di Andrew. I loro occhi s’incontrarono per un istante, poi prese nota del fatto che era in forma animale, aveva una spalla lacerata e numerose ferite sul resto del corpo.
“Sento l’odore di Stryker.”, constatò, infastidito. Con la coda dell’occhio vide Amanda già pronta a precipitarsi dall’amico, ma la fermò con un gesto perentorio del braccio. –Salite tutti di sopra. Immediatamente.- ordinò con un tono di voce che non ammetteva repliche.
Era solo il primo giorno e le cose avevano già preso la piega sbagliata.
  
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