Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |       
Autore: Aelian    26/07/2014    2 recensioni
John faceva di tutto per evitare di pensare alle leggende che si sussurravano al villaggio, ma quelle continuavano a ronzargli in testa, insistenti; l’Albero aveva un guardiano unico nel suo genere, una creatura solitaria che aveva votato la sua esistenza immortale alla protezione di quell'albero, probabilmente antico quanto lui.
* * *
«Intendi dire che dovrò rimanere qui per sempre?» mormorò, la gola secca ed il cuore che perdeva un battito.
Fawnlock tirò su col naso, inclinando la testa da una parte.
«Oh no, certo che no, non per sempre;» rispose infine. «solo fino alla tua morte.»
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Furry
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I.

The Wood

 

Fade far away, dissolve, and quite forget
What thou among the leaves hast never known,
The weariness, the fever, and the fret
Here, where men sit and hear each other groan;
Where palsy shakes a few, sad, last gray hairs,
Where youth grows pale, and spectre-thin, and dies;
Where but to think is to be full of sorrow
And leaden-eyed despairs,
Where Beauty cannot keep her lustrous eyes,
Or new Love pine at them beyond to-morrow.

 

 

John era l’unico a non credere alle leggende, nel piccolo paesino dimenticato tra i monti.

Ma in quel momento, solo nel bel mezzo della Foresta la notte di venerdì diciassette, stava cominciando a ricredersi. La mano con cui reggeva la lanterna sudava copiosamente nonostante il vento freddo che gli si infilava maligno sotto il maglione mentre correva su un sentiero appena accennato, probabilmente una vecchia pista dei boscaioli che ora non osavano più addentrarsi nella Foresta.

Continuava a sentirsi osservato, ad avvertire un paio d’occhi puntati su di lui che sembravano seguirlo dal folto degli alberi, dal buio più profondo. John si arrestò, le suole consumate delle scarpe che scivolavano sul fango; era davanti ad un bivio, e si guardò intorno nel panico, il sangue che gli rombava nelle orecchie.

La Foresta pareva spiarlo in silenzio, solo le cicale continuavano imperterrite a frinire. 

C’erano due cartelli di fronte a lui, ma la vernice era troppo scrostata ed il legno talmente coperto di muschio che erano del tutto inutili. John provò comunque ad avvicinarsi, la lanterna sollevata sopra la testa, e strabuzzò gli occhi nel tentativo di decifrare almeno uno dei due cartelli. Per pochi minuti si era dimenticato della sensazione di essere spiato, ma in quel momento una risata beffarda gli giunse alle orecchie; pareva il gorgogliare di un fiume rabbioso, e John non riuscì a trattenere un grido.

«Chi è là?» domandò alzando la lanterna il più possibile, ma il cerchio di luce era sufficiente appena ad illuminargli i piedi, e la foresta intorno al sentiero rimase irrimediabilmente immersa in un’oscurità liquida.

La risata si ripeté, alle sue spalle questa volta. John si voltò di scatto, il cuore che gli martellava in gola e la lanterna che tremava nella sua mano.

Non c’era nessuno.

Poi i suoi piedi si misero in moto, quasi contro la sua volontà, e John si ritrovò ai margini dello stretto sentiero a guardare dritto nell’oscurità profonda. Ancora nessuno.

Nicholas aveva ragione, anche lui ora era terrorizzato da quella Foresta che pareva prendersi gioco di lui; ma non voleva dargliela vinta, e soprattutto non voleva che Sally lo ritenesse un pavido. Si fece coraggio, spostando la lanterna nell’altra mano e pulendosi quella sudata sulla coscia, e decise di dimenticare quella risata che probabilmente aveva solo immaginato.

Tornò lentamente al centro del sentiero, il cuore che si era finalmente calmato, e lanciò un’ultima occhiata al cartello prima di imboccare la strada a sinistra.

E per la terza volta, la risata simile al rombo di un fiume risuonò tra gli alberi silenziosi, ma John era troppo lontano per udirla.

 

Il ragazzo stava canticchiando a fior di labbra per tentare di riempire il silenzio innaturale che avvolgeva ogni cosa quando qualcosa gli si parò davanti, come sputato dal sottobosco nel bel mezzo del sentiero. John si immobilizzò, un rivolo di sudore gelido che gli scendeva lungo la curva della spina dorsale.

Fissava la figura ferma tra gli aghi di pino che formavano un tappeto sul sentiero, e quella ricambiò il suo sguardo; il ragazzo tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che era solo una lepre, che dopo averlo osservato con i baffi che fremevano si buttò nuovamente tra gli alberi, lasciandolo solo.

L’aria si era fatta più fredda, doveva ormai essere notte fonda, ma sotto la cupola formata dai rami contorti degli alberi secolari il tempo pareva essersi bloccato, giorno e notte si confondevano.

John riprese ad inoltrarsi nella Foresta: secondo la scommessa con Nicholas sarebbe dovuto uscire dal confine opposto rispetto a quello da cui era entrato, passando quindi per il centro della Foresta.

Le leggende che circolavano al villaggio narravano di un enorme albero dalla corteccia bianca come neve, al centro esatto della Foresta, e dalle foglie color blu notte; la leggenda continuava parlando anche dei frutti dell’albero, grandi pomi neri dall’interno scarlatto che avrebbero donato poteri straordinari a chiunque si fosse bagnato col loro succo.

Ma John continuava a non crederci, si era detto che l’unica cosa che poteva osservarlo di notte nella Foresta era un gufo, e che la risata doveva essere stata solo frutto della sua mente in balia del panico.

Il buio si faceva sempre più fitto intorno a lui, e allungava le sue dita all’interno del cerchio di luce che circondava John. Il ragazzo allungò lo stoppino della lanterna.

Gli alberi illuminati a tratti ai confini del sentiero si facevano sempre più fitti, ed i flebili suoni che avevano fino ad allora accompagnato John –il frinire delle cicale, gli occasionali bubolii dei gufi- erano scomparsi. Anche le foglie erano immobili, e John avanzava nel silenzio quasi totale, rotto solo dal suono ovattato dei suoi passi.

La Foresta pareva trattenere il respiro, come in attesa.

John faceva di tutto per evitare di pensare alle leggende che si sussurravano al villaggio, ma quelle continuavano a ronzargli in testa, insistenti; l’Albero aveva un guardiano unico nel suo genere, una creatura solitaria che aveva votato la sua esistenza immortale alla protezione di quell’albero, probabilmente antico quanto lui. Nessuno l’aveva mai realmente visto, ma si raccontava che fosse simile ad un dio dei boschi: aveva l’aspetto di un uomo alto, ma i suoi lineamenti si fondevano con quelli di un cervo; secondo chi l’aveva intravisto corna di cervo spuntavano dal suo cranio, il corpo era coperto da pelliccia chiara, maculata, e si muoveva senza far rumore nella Foresta, su piedi umani ma silenziosi come quelli di un cervo.

John deglutì, sentendo in gola il sapore acido della bile; sempre secondo le leggende il guardiano era una creatura crudele, priva dei sentimenti comuni agli uomini quali la compassione, e non mostrava pietà alcuna per chi sconfinava nel suo territorio e non era una creatura della Foresta. Uomini valorosi erano scomparsi nelle viscere della Foresta senza più fare ritorno, e anche se non c’erano prove tutti al villaggio erano intimamente convinti che fosse opera del guardiano.

John era perso nei suoi pensieri, e non aveva prestato attenzione a dove lo portavano i suoi piedi; si fermò, guardandosi attorno: gli alberi ai margini del sentiero si erano fatti via via sempre più imponenti, sempre più contorti, i rami protesi sul sentiero all’altezza della fronte di John, che si guardava intorno terrorizzato, la pozza di luce appena sufficiente ad illuminare in modo soffuso i tronchi tanto larghi che tre uomini non sarebbero riusciti a circondarli con le braccia.

Ma il particolare più grottesco di quegli alberi non era il loro tronco spropositato o i rami che si protendevano come dita adunche verso John quasi volessero straziargli la carne, ma il loro colore: la corteggia solcata da profonde scanalature era cinerea, e emanava un fioco calore lattiginoso nella luce calda della lanterna. Parevano organismi vivi, come le strane creature che si aggirano sul fondo dell’oceano e non hanno mai visto la luce del solo.

John si sentì all’improvviso incredibilmente solo, ed infreddolito, come se gli fossero stati strappati i vestiti da dosso. Eppure il suo maglione, la sua camicia, i suoi pantaloni erano ancora lì, così come le scarpe infangate. Ma lui aveva freddo, un freddo tremendo che pareva esserglisi insinuato fino alle ossa; prese a battere i denti, e posò in terra la lanterna per circondarsi con le braccia nel tentativo di scaldarsi. Aveva i muscoli stranamente indolenziti. Provò a battere i piedi in terra, con insistenza, ma niente: il freddo restava, e si faceva più intenso ogni momento.

Gli alberi di quel bianco così innaturale sembravano piegarsi su di lui, chiudere i loro rami attorno al ragazzo. Entrarono nel cerchio di luce della lanterna invadendo lo spazio che fino ad allora a John aveva considerato sicuro, impenetrabile.

Poi, la fiamma si spense con un guizzo.

John lanciò un grido, un soffio gelido che gli sfiorava la nuca, e si buttò alla cieca in mezzo agli alberi, cercando di farsi strada.

I rami lo graffiavano, l’oscurità riempiva gli occhi sgranati e il fango tentava di risucchiargli le scarpe.

Non vedeva nulla, correva alla cieca nella Foresta la notte di venerdì diciassette.

Poi tornò la risata, il gorgogliare del fiume impetuoso, e qualcosa prese ad inseguirlo: le fronde frusciavano al suo passaggio, i rami scricchiolavano sotto i suoi passi troppo veloci. Il ragazzo giurò di aver sentito qualcosa di morbido sfiorargli un orecchio, e la risata farsi onnipresente, diventando insopportabile; la sentiva rimbombarli in testa.

Era dietro di lui, John poteva ancora distanziarlo, ma un attimo dopo il ragazzo se lo trovò accanto: due occhi gelidi brillarono nel buio, e John scartò all’improvviso verso sinistra lanciando un urlo che rimbalzò furioso tra gli alberi, l’animo traboccante di terrore.

I rami si impigliavano al suo maglione pesante, ma John continuava a correre spinto dalla paura, i muscoli delle gambe in fiamme, la gola corrosa dalla bile; poi, all’improvviso, mise un piede in fallo, qualcosa si spezzò e sentì solo un colpo terribile alla nuca prima che il buio si facesse strada nei suoi occhi dilatati dal terrore.

 

Note dell'autrice 

La prima cosa che devo fare è ringraziare Sorting Hat che mi ha sopportato come una santa fin dall'inizio della mia ossessione per Fawnlock e che fa sempre da beta ad ogni cosa che scrivo, sia pure la lista della spesa. Grazie, davvero, per tutto e perché mi impedisci di bruciare nazioni innocenti. 

In origine quella che si è trasformata nella mia prima long era nata come OS dettata dalla follia di fangirl che lo scoprire Fawnlock aveva portato con sé (che, tra l'altro, è un'idea della geniale p a u la  che ringrazierò a vita, anche se non conosco), e questo non è che il primo capitolo...

Nient'altro da dire, per ora, grazie di nuovo e per sempre a Sorting Hat, sempre pronto a leggere i miei 200 messaggi su WhatsApp.


P.S.  La citazione ad inizio capitolo è presa da Ode to a Nightingale, di John Keats 

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Aelian