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Autore: Vala    06/09/2008    2 recensioni
beh, la storia la conoscete. prendendo spunto dalle vicende narrate nel manga e nell'anime ne ho create altre basandomi sulla stessa falsariga. sono tre capitoli perchè tre sono le coppie presentate da quella che è diventata una delle mie opere preferite.
FINITO! ^^
se è di vostro gradimento, fatemelo sapere.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[Scusate l’attesa, ma la realizzazione della seconda parte dedicata alla coppia egoist (Hiro-san, ti addorrrrro!) è stata più difficoltosa del previsto. Sperando di aver fatto comunque un lavoro decente e di non avervi deluso…Buona lettura!]

I suoi passi risuonavano nella strada affollata di gente come se fosse solo. Le vetrine illuminavano i suoi capelli castani chiari colorandoli di riflessi al neon mentre procedeva con calma. Era ampiamente in anticipo, come sempre del resto. L’ansia lo attanagliava quando doveva vederlo, non arrivava mai tardi, sempre con mezz’ora buona di anticipo. Del resto, come si ripeteva sempre, lui detestava chi non era puntuale, perder tempo era una seccatura inutile.
I suoi passi rallentarono fino a fermarsi al segnale rosso del semaforo. Era quasi arrivato. Guardò nervoso l’orologio da polso ed il quadrante illuminato dal neon viola della vetrina alla sua sinistra: le sei e mezza passate da quattro minuti. Aveva tutto il tempo. Eppure non era tranquillo. Probabile che quello stupido di Nowaki fosse già ad aspettarlo sapendo che arrivava prima. A che serviva darsi un’ora se poi non la si rispettava mai?
Come sempre la sua fronte si corrugò per l’irritazione. Gli succedeva molto spesso quando pensava a lui, lo amava eppure non poteva fare a meno di imbestialirsi ogni volta che gli veniva in mente il suo viso. Gettò uno sguardo distratto alla vetrina alla sua sinistra, il viola lampeggiante gli disturbò gli occhi mentre guardava i completi esposti. I manichini erano della sua altezza, misura giapponese standard. Giusto, lui non era basso, era Nowaki che era troppo alto. Nell’ultimo anno era cresciuto ancora. Odiava sentirsi un tappo, il suo orgoglio ribolliva ogni volta che lo vedeva abbassarsi per baciarlo.
“Maledetto gigante!!” bofonchiò mentre continuava a camminare sotto il rassicurante neon verde del semaforo pedonale. L’avrebbe di nuovo guardato dall’alto in basso, gli avrebbe sorriso con quel suo fare irritante e gli avrebbe detto che era carino. Lui odiava quando gli diceva che era carino. Accidenti a Nowaki, da quando lo aveva conosciuto non si riconosceva più! Ma adesso basta, era ora di finirla, lui era assistente di un professore universitario, non era carino!
Gli venne voglia di sollevare di nuovo il polso per controllare l’ora, ma non ce n’era bisogno: davanti ai suoi occhi apparve l’alto palo dell’orologio sotto il quale si davano abitualmente appuntamento, davanti al loro solito ristorante per famiglie. E accanto al palo, inequivocabile, l’alta figura del suo ragazzo attirava il suo sguardo come una calamita. Se fosse cresciuto ogni anno come l’ultimo, ben presto avrebbe potuto raggiungere il grande orologio circolare. Sghignazzò all’idea…per poi irritarsi ancora mentre le sopracciglia si toccavano inesorabilmente. Lo sapeva, era di nuovo in anticipo, e stavolta era perfino arrivato prima di lui!
Improvvisamente, vide le spalle dell’alto ragazzo dai capelli scuri irrigidirsi ed il suo capo voltarsi come indirizzato dall’ago di una bussola. Aveva avvertito la sua presenza. Lo faceva sempre. Non riusciva mai a sorprenderlo alle spalle, in qualche modo sapeva quando lui c’era. A volte aveva il sospetto che lo fiutasse. Ed ecco, il sorriso risplendente di Nowaki rilassò il suo corpo e la sua mente sgombrandola da ogni pensiero. Era lì per lui. Solo per lui. Quel tifone non voleva altro dalla vita che stargli accanto. Che idiota.
“Hiro-san!!” lo salutò Nowaki correndogli incontro, le lunghe gambe che si flettevano per raggiungerlo il prima possibile, per allungare anche di poche manciate di secondi il loro tempo insieme.
“Nowaki! Sta’ attento a come ti muovi, stupido gigante!!” lo riprese Hiroki avendo notato che nella fretta il suo ragazzo aveva quasi urtato una coppia di ragazze che parlavano senza guardare davanti a loro.
Le ragazze in questione si voltarono a guardare l’alta sagoma di Nowaki che sfrecciava per poi arrestarsi di colpo davanti al più basso e minuto uomo dai lineamenti delicati. Le due giovani si portarono le mani alla bocca per commentare tra di loro qualcosa, ma anche senza far leggere il labiale, i loro occhi la dicevano lunga mentre esploravano la muscolatura della schiena di Nowaki, vagamente curva verso il compagno in un modo del tutto automatico, non ricercato. Hiroki si accorse degli sguardi e si irritò ulteriormente.
“Avevamo detto alle sette! Che ci fai già qui?!” brontolò pungolando Nowaki con l’indice sugli addominali.
“Sapevo che Hiro-san arriva sempre con largo anticipo e non volevo farlo aspettare!” ribatté allegro l’altro scompigliandogli appena i capelli. Ecco, ora l’avrebbe detto. Stava per dirlo. Hiroki affondò ulteriormente l’indice per impedirgli di dire quella parola irritante.
“Andiamo!” comandò seccato, e Nowaki lo seguì come un cagnolino, con il suo solito sorriso.
Accidenti a lui, era davvero bello. E rassicurante. Anche se si irritava sempre quando lo pensava, nel momento in cui lo vedeva si tranquillizzava e tutte le preoccupazioni diventavano nulla. Era un idiota peggiore del ragazzo più giovane di quattro anni.
“Cos’hai fatto oggi all’università?” domandò il più naturalmente possibile, per non lasciare che il silenzio si impossessasse della sua mente ancora a lungo.
Nowaki sembrò sorpreso, quasi deluso dalla domanda in un primo momento. Come se non se l’aspettasse. Eppure si chiedevano sempre cosa avevano fatto durante le rispettive giornate nei loro appuntamenti. Era una sorta di rituale ormai: si trovavano alla stessa ora davanti allo stesso ristorante per famiglie, mangiavano quasi sempre le stesse cose, parlavano di cosa avevano fatto, e poi tornavano a casa, verso la stazione. Per la strada più lunga.
“Oggi ero in laboratorio, per il tirocinio…” cominciò Nowaki a parlare. Parlava sempre lui finché non arrivavano al ristorante. Dentro a tavola toccava a Hiroki rispondere, a monosillabi solitamente.
“Ah sì, era interessante?” commentò Hiroki ricordando vagamente qualcosa, probabilmente gli aveva accennato che quel giorno sarebbe stato in laboratorio. Beh, non poteva ricordarsi tutto.
Eppure non riusciva a togliersi dalla testa lo sguardo allarmato che gli aveva lanciato alla sua domanda. Nowaki continuava a parlare come se nulla fosse, ma quello sguardo era ancora presente nella mente di Hiroki, lo tormentava. Davvero gli aveva già parlato di quel tirocinio? E se gliene aveva parlato, perché non vi aveva prestato attenzione? Non ricordava nulla in particolare di quel dato, ma sentiva che avrebbe dovuto ricordarsene.
I dubbi e le incertezze lo abbandonarono ben presto quando arrivarono al loro tavolo. Come al solito, presero posto ed immediatamente la cameriera si fece avanti per le ordinazioni. Era carina, giovane e simpatica. Faceva spesso battute sull’altezza di Nowaki e salutava lui come “prof”. Non ricordava di averla mai avuta in classe tuttavia. Anche quella sera non fece eccezioni.
“Buonasera e grazie di essere tornati! Cosa porto oggi al prof?” domandò con la sua voce squillante, il taccuino per gli appunti già pronto, la penna in sospeso sulla carta linda.
Nowaki le sorrise e le orecchie della ragazza divennero di un rosso acceso. Gli piaceva. Certo, come poteva non piacerle? In fondo lui era sempre gentile, rispondeva alle sue battute, la guardava perfino a differenza degli altri ospiti del locale che difficilmente rivolgevano più di uno sguardo distratto al personale. E le sopracciglia di Hiroki si riavvicinarono pericolosamente.
“Il solito, grazie!” rispose secco giocherellando con le cinghie della cartelletta che portava sempre con sé, per estrarre il pc. Non viveva senza quella tecnologia a portata di mano. Nowaki sorrise ancora alla cameriera, ed il pc sbatté sul tavolo.
“Anche per me, grazie Yuri-san!” confermò come sempre Nowaki senza smettere di sorridere. Le dita di Hiroki presero a pigiare furiosamente sui tasti e continuarono anche mentre la ragazza si allontanava saltellando quasi. Cominciava a pensare che forse sarebbe stato meglio cambiare ristorante ogni tanto, se non altro per non vedere Yuri-san scodinzolare.
“Hiro-san!” lo stava chiamando. Smise di battere a macchina per alzare appena lo sguardo verso il volto ancora sorridente di Nowaki. Accidenti a lui, gli stava sorridendo come faceva con la cameriera?!
“Nowaki…?” rispose come sempre, oramai le battute anche se non segnate, regolari uscivano dalle sue labbra.
“Hiro-san, cosa ha fatto oggi?”.
“Nulla di particolare, continuo a lavorare per quello schiavista del prof Miyagi…” mormorò Hiroki mentre le dita riprendevano il loro lavoro silenzioso a parte quel ticchettio dato dai tasti in movimento.
“Ah, Hiro-san dà sempre il meglio a lavoro! Non ci si può aspettare niente di meno da Hiro-san!” commentò Nowaki.
Lo stava prendendo in giro? Hiroki alzò lo sguardo per controllare, ma il compagno aveva sempre la stessa espressione felice quando era con lui, e sorrideva ora apertamente con quel suo modo di fare incoraggiante. No, non aveva mai sorriso così alla cameriera. Uno a zero per lui, ben ti sta Yuri-san.
La voce di Nowaki riprese ma la sua mente ormai era già concentrata su altro. Non poteva fare a meno di concentrarsi per scrivere, o avrebbe rischiato di commettere un errore dietro l’altro, e questo non poteva permetterselo se voleva diventare professore associato il prima possibile. Doveva sul serio dare il meglio di sé. Era contento di avere al suo fianco qualcosa come Nowaki che lo sosteneva e consigliava, che gli dava il suo appoggio incondizionato, che gioiva con lui di ogni piccolo traguardo facendolo sembrare un trionfo anche quando lui minimizzava. Era modesto, gli diceva. No, non si sentiva modesto. Semplicemente non gli sembrava di stare facendo abbastanza.
“Ah! Ho sbagliato!!” brontolò mentre rileggendo vedeva l’errore come una macchia sullo schermo colmo di caratteri.
Le bibite erano arrivate. Staccò una mano dal pc, afferrò il suo bicchiere e lo scontrò brevemente con quello del suo ragazzo prima di prendere un lungo sorso del liquido freddo che li rischiarò le idee. Doveva correggere quell’errore, non ammetteva sviste simili. Non era da lui sbagliare in modo così madornale. L’indice premette canc con sicurezza e fatalità cancellando la riga sbagliata. Nowaki lo guardava lavorare in silenzio, assorto e tranquillo. Ma anche se avesse parlato non avrebbe fatto differenza. Quando lavorava non esisteva nessuno a parte il suo lavoro ovviamente.
“Ecco qui! Buon appetito!” era di nuovo Yuri-san. Era arrivato il cibo. Doveva smettere di scrivere almeno mentre mangiavano…se non altro per i primi cinque minuti. Ma quando alzò lo sguardo verso il piatto pieno, vide di nuovo quel sorriso sul volto di Nowaki e la reazione della ragazza, e si imbestialì. Riprese a pigiare sui tasti con rinnovato vigore. Il suo ragazzo non sembrava essersene accorto.
“Itadakimasu!”.
“I-ta-da-ki-ma-su…” scandì Hiroki lentamente per non scriverlo sul suo lavoro.
Nowaki lo guardò perplesso ma fece finta di nulla e iniziò a mangiare. Non valeva la pena arrabbiarsi con Hiro-san per la sua freddezza o per quei suoi scatti strani, era fatto così ed era quella la persona che amava con tutto se stesso. Di nuovo il sorriso gli affiorò alle labbra, ma stavolta Hiroki non lo vide, impegnato com’era a battere a macchina il suo lavoro. A volte Nowaki aveva l’impressione che se fosse sparito non se ne sarebbe reso conto se non alla fine del paragrafo.
La cena proseguì più o meno allo stesso modo abituale: Hiroki scriveva sul suo computer, Nowaki parlava senza sapere se era davvero ascoltato. La routine quotidiana che non pesava a nessuno dei due, ma non soddisfava appieno nessuno dei due. Forse il più soddisfatto in quel senso era Nowaki: a lui bastava passare più tempo possibile accanto al suo Hiro-san per essere felice.
“Grazie, tornate a trovarci!” li salutò Yuri mentre stringeva nervosa il suo grembiule.
Hiroki uscì in fretta dal locale e venne seguito a ruota da uno scodinzolante Nowaki. Quella ragazzina poteva provarci quanto voleva, lui era suo!
“Hiro-san! Oggi, mentre tornavo da…” Nowaki riprese la sua parlantina per non lasciare un silenzio imbarazzante tra loro. Era logico, non voleva metterlo a disagio. Per un secondo gli sorrise ed il volto dell’alto ragazzo si illuminò come il cielo sotto i fuochi d’artificio. E l’artefice di tutto era lui, si sentiva un po’ strano al pensiero.
“Ehi, guarda!”.
“Com’è alto…”.
“E che bello!!”.
“Dai, andiamo a chiedere…”.
Avevano passato un gruppo di ragazze. Ovviamente Nowaki non vi aveva fatto caso mentre continuava a parlare, ma Hiroki le aveva sentite benissimo e stava ribollendo. Ecco, lo sapeva! Non sarebbe dovuto uscire, non avrebbero dovuto fare quella strada! Gettò uno sguardo infuocato dietro di loro per vedere se quelle streghe li stavano seguendo. Sì, due di loro continuavano a venire dietro. E Nowaki faceva finta di nulla. Impossibile non notare quelle galline, starnazzavano in modo impressionante!
Nowaki attirava sempre gli sguardi, di tutti e soprattutto tutte. Era alto, bello e prestante. Qualunque ragazza l’avrebbe trovato attraente e probabilmente anche un sacco di ragazzi. Hiroki si scoprì a guardarsi in giro alla ricerca di possibili maschi che attentassero al suo ragazzo e vide altre persone voltarsi al passaggio del gigante che sorrideva beato continuando a parlare all’amico più basso e vecchio.
Ecco, lo aveva pensato di nuovo, lui era vecchio. In qualunque modo la rigirava, lui aveva quattro anni più di Nowaki, e non era una differenza da poco che si poteva appianare in un soffio. Erano differenti, lo sarebbero sempre stati. E la loro relazione era strana. In qualunque modo la rigirava, la loro relazione era davvero strana.
Il suo ragazzo smise di parlare fissandolo intensamente, preoccupato. Aveva notato, come sempre del resto, che qualcosa non andava. Era sempre così attento a lui…
“Hiro-san?”.
Hiroki non rispose, continuò a camminare come se nulla fosse, ma sul volto aveva ancora tracce di quell’amarezza che l’aveva attraversato prima. Quanto tempo ci avrebbe messo il suo alto amico a rendersi conto che poteva avere ben di meglio? Che lui era un peso? Che la loro era una relazione che non poteva durare a lungo?
Alzò lo sguardo e lesse negli occhi di Nowaki una preoccupazione sincera. Quanto a lungo avrebbe continuato ad amarlo? Aveva un carattere impossibile, prima o poi si sarebbe stancato di lui, del suo modo di fare, e avrebbe cercato altrove qualcuno più adatto da amare, qualcuno…ma il solo pensiero di Nowaki con un altro o con un’altra lo faceva star male. Accidenti a quel ragazzo, era colpa sua se la sua vita stava andando a rotoli!
“Hiro-san?” lo chiamava ancora e ancora, con tono sempre più allarmato. Basta, non ce la faceva più.
“Nowaki…” cominciò a parlare addolorato, senza sapere bene cosa dire, ma proprio in quella una risatina nervosa alle sue spalle lo fece voltare di scatto, intenzionato a mordere chiunque si fosse avvicinato al suo ragazzo. Si trovò davanti le due ragazze di prima. Erano carine, ben vestite e dall’aria innocente. Forse quella era l’occasione buona per lasciarlo andare, per permettergli di abbandonarlo e buttarselo alle spalle…
Stava già per voltarsi in modo da andarsene e lasciarlo da solo con quelle ragazze, quando la mano fresca e timida di una delle due gli sfiorò esitante la camicia.
“Mi scusi…” mormorò, la voce insicura la giovane donna che gli stava davanti, buttando fuori tutto il coraggio che aveva “…ma noi…ecco…è da qualche sera che la vediamo e…volevamo chiederle se possibile…il suo nome…per piacere…!”.
Le due ragazze si inchinarono fino a terra, in un atto di totale deferenza. E Hiroki restò allibito. Non puntavano Nowaki dunque? Ma…ma…lui era…vecchio e...il suo carattere…e…e…
“Scusate, ma Hiro-san è già impegnato!” parlò per lui Nowaki mentre sentiva una mano grande e calda afferrarlo per un braccio e trascinarlo via, via dalla strada principale, verso il percorso più lungo per la stazione, verso la loro solita routine.
“Ehi! Nowaki! Aspetta!!”.
Ma non sentiva ragioni, il suo alto gigante, continuava a trascinarlo come se nulla fosse, macinava metri e metri e lui con le gambe considerevolmente più corte faceva fatica a stargli dietro. Alternava passi veloci ad una vera e propria corsa nel tentativo di non venire trascinato via totalmente di peso. Finalmente, Nowaki si fermò e si voltò a fronteggiarlo. Niente sorriso per lui, solo un’espressione frustrata.
“Hiro-san!! Non lo accetto!!”.
“…eh?”.
I due si guardarono negli occhi per qualche minuto, infuriato e quasi spaventato Nowaki, perplesso e imbambolato Hiroki. Qualcosa non quadrava, perché era così arrabbiato? E perché quelle ragazze si erano rivolte a lui invece che al compagno? Ma soprattutto, perché sentiva strisciante una sensazione come di soddisfazione?
“Hiro-san! Fin da quando siamo usciti dal ristorante, eri strano! Da quando quelle ragazze ti seguivano! Se ti piacevano, perché non me l’hai detto, perché non…?”.
“Ohi, Nowaki! Guarda che…!” parlò incerto per calmarlo.
“Hiro-san! Non lo accetto!!” quasi urlò rabbioso il suo ragazzo afferrandolo per le spalle.
“Nowaki, ti dico che…!”.
“Hiro-san!!” gli occhi di Nowaki erano incredibilmente tristi, ed era tutta colpa sua. Hiroki si sentì morire per aver causato con il suo comportamento l’infelicità della persona a lui più cara.
“Nowaki! Pensavo-puntassero-te!!” sputò di colpo sovrastando la voce dell’alto gigante che gli lasciò andare le spalle doloranti per la stretta.
E adesso? Era terribilmente imbarazzato. La sensazione di soddisfazione provata perché lo avevano preferito nonostante gli anni e la scarsa altezza, svanita del tutto, aveva lasciato posto all’amarezza e al fastidio, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato…o lui fosse sbagliato. Non era capace di esternare quello che provava facilmente, ma ogni volta che Nowaki faceva quella faccia così triste e sapeva che era colpa sua, l’unico modo per fargliela passare era rassicurarlo. Rassicurare lui e rassicurare se stesso ripetendosi che stavano insieme, che andava tutto bene, che non poteva stare senza di lui…
“Nowaki!” riuscì a dire, rosso in volto ma alzando gli occhi a incontrare quelli spalancati del suo amore “Io pensavo che quelle ragazze seguissero te…e che se io mi fossi fatto da parte, se ti avessi lasciato andare…abbiamo quattro anni di differenza, tu ti stai impegnando così tanto per il tuo sogno e io non voglio essere un peso in nessun caso, quindi se vuoi…” spiegazione patetica, tentativo patetico, risultato per nulla patetico anche se scontato in un certo senso.
Il volto di Nowaki si abbassò rapido sul suo per posare un bacio sincero di affetto sulle sue labbra socchiuse, chiudendo la questione. No, non lo avrebbe lasciato per nessun motivo. No, non aveva alcuna intenzione di fargli pesare l’età. No, era lui l’idiota perché aveva pensato tutte quelle cose senza renderlo partecipe dei suoi dubbi.
Il volto di Hiroki era soffuso di un rossore piacevole mentre si abbandonava al petto forte del suo ragazzo, sentendo i loro cuori battere rapidi allo stesso ritmo e pian piano calmarsi man mano che la paura se ne andava, che l’imbarazzo svaniva lasciando il posto alla tenerezza. Nessuno in giro a testimoniare il loro diverbio, le loro insicurezze. Sarebbe stato un segreto che ben presto avrebbero cancellato.
“Hiro-san! È logico che quelle ragazze si siano avvicinate a Hiro-san, perché Hiro-san è davvero…carino!”.
Ecco, lo aveva detto.
“Nowaki…!!”.
Hiroki si staccò dal petto solido del suo ragazzo, fece un passo indietro, e mentre ancora il capo di Nowaki era a portata della sua altezza, la sua fronte scattò implacabile a colpirlo. Centro perfetto. Adesso la testa gli pulsava dolorosamente e di certo avrebbe avuto un bozzo una volta tornato a casa, ma lo stesso avrebbe avuto anche Nowaki che ora si massaggiava la fronte nel punto esatto in cui avevano cozzato. Stava già diventando di un bel rosso acceso, ma il proprietario della parte lesa sorrideva indulgente, felice. Tutto a posto. Se lui era felice, anche Hiroki lo era. Magari era burbero, scontroso, irritabile, insoddisfatto, distratto, egoista, testardo, incapace di un gesto romantico, ma se Nowaki era felice, a lui non serviva altro.
La grande mano di Nowaki si posò sulla sua testa a scompigliargli appena i capelli e le sopracciglia di Hiroki si ricongiunsero nel solito cipiglio a metà tra il seccato e l’imbarazzato.
“Andiamo, scemo!”.
“Sì, Hiro-san!!”.
E mentre il passo delle lunghe gambe di Nowaki si adattava al suo, la mano salì a raggiungere quella del compagno in cima alla sua testa per poterla stringere, per sentire il suo calore raggiungerlo ancora e sempre. Davvero, finché quella mano fosse rimasta alla sua portata, non voleva altro.

[Per aka_z (grazie per l’ottima recensione ^^)
Itadakimasu = è una frase fatta, che in effetti in italiano viene tradotta con “buon appetito”. Tuttavia il significato a mio parere non è comparabile, in quanto la trovo segnata sotto i verbi di “prendere” o “ricevere”. Provando a tradurre in italiano, suonerebbe malissimo, quindi meglio lasciarla “originale”.
Scusa per eventuali dubbi, si tratta di una mia opinione che ho trovato verificata anche in alcune traduzioni in inglese.]
  
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