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Autore: Vala    21/08/2008    2 recensioni
beh, la storia la conoscete. prendendo spunto dalle vicende narrate nel manga e nell'anime ne ho create altre basandomi sulla stessa falsariga. sono tre capitoli perchè tre sono le coppie presentate da quella che è diventata una delle mie opere preferite.
FINITO! ^^
se è di vostro gradimento, fatemelo sapere.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Allora…questo va qui…quest’altro va nella mensola sopra…e questo…”.
Giornata tranquilla di ferie estive. Giornata di pace in solitudine. Giornata noiosa. E cosa c’è di meglio da fare in una giornata noiosa se non spolverare?
Aveva organizzato tutto con precisione di chirurgo. Non doveva fare nient’altro che avvicinarsi allo scaffale colmo di manga, riviste e libri. Doveva solo toccarli, prenderli in mano uno alla volta, posarli a terra in ordine, e rimetterli a posto esattamente com’erano. Nulla di più facile.
“…questo…questo…questo…”.
Misaki guardò la copertina del volumetto che aveva in mano e rabbrividì. Era l’ultima opera di Akikawa Yayoi. Aveva preso posto sullo scaffale meno di una settimana prima, ma era la prima volta che lui aveva avuto il coraggio di prenderla in mano. Tremante, l’indice sfiorò la carta della copertina per poi scendere a far frusciare i fogli candidi sul lato del libro. Era solo un libro, non doveva aver paura di una cosa così semplice. Eppure gli bastava leggere lo pseudonimo dell’autore per provare un sacro terrore che gli faceva battere i denti. Coraggio!
L’indice sempre più incerto giocherellò per qualche secondo con la copertina più spessa finché non si decise ad aprire a caso una delle prime pagine. I caratteri gli parvero bruciare gli occhi. Non avrebbe dovuto farlo.
Akihiko scostò con dolcezza una ciocca di capelli bagnata di sudore dagli occhi del suo amante che lo ringraziò con un sorriso stentato mentre cercava di contenere le emozioni nel suo corpo risvegliato, ora in trepidante attesa. Le mani si strinsero alla ricerca di conforto, di ulteriore contatto, e mentre Akihiko si lasciava andare dentro di lui, il sorriso di Misaki si allargò fino a scomparire, nascosto dalla spalla tremante del compagno.
“Misaki…non devi nasconderti mai più…penserò io a te…”.
Il grido di piacere salì spontaneo alle labbra di Misaki, troppo a lungo trattenuto.
“Ti amo…” sussurrò alla spalla ora più salda del compagno mentre vi premeva un bacio carico di desiderio, di fiducia.
Le mani di Akihiko gli carezzarono il volto segnato da dolci lacrime e le loro labbra si incontrarono nuovamente, una necessità che il ragazzo sentiva di non poter più celare, un’urgenza di essere amato che lo spaventava, una voglia che…
Le ginocchia di Misaki toccarono il pavimento pulito con un tonfo incredulo. Ce l’aveva fatta, aveva letto un intero brano. Ma gli era costata cara.
“Quel pervertito di Usagi, me la pagherà cara!!” l’urlo risuonò per tutta la casa deserta, senza risposta, e per un istante si sentì soddisfatto di non avere addosso lo sguardo oltre che le mani del padrone del lussuoso appartamento, con quel suo modo di fare che lo irritava tanto.
Il ragazzo richiuse il libro di scatto, non poteva lasciargli capire che lo aveva letto, non doveva permettere che si preparasse alla vendetta terribile che gli sarebbe piovuta addosso dal cielo, la punizione divina che finalmente avrebbe colto quell’idiota di Usagi. Furibondo, macchinando la sua atroce vendetta ai danni dell’autore, sbatté il volume in cima a tutti gli altri sul pavimento prima di riprendere il delicato lavoro di pulizia.
“Vedrai baka-Usagi, non avrai scampo!”.
Mentre la risata maligna riempiva la stanza, Misaki urtò la pila di libri porno in precario equilibrio facendola rovinare a terra. Nel disperato tentativo di non scivolare e cadere lui stesso, la sua mano si artigliò alla mensola dando un violento scossone alla libreria, facendo cadere alcuni libri a caso che sbatterono di malagrazia a terra mentre lui impacciato li guardava cadere con espressione costernata. La preparazione della vendetta avrebbe dovuto attendere ancora qualche tempo.
“Allora…questo andava…”.

“…sono a casa...” mormorò per la seconda volta. Nessuna risposta.
Usami Akihiko si lasciò andare sul suo divano accanto a Suzuki-san mentre con una mano si allentava la cravatta. Dov’era Misaki? Si guardò attorno ma non vide nulla che potesse fargli intuire la presenza del ragazzo con il quale divideva l’immenso attico lussuoso.
“Misaki!” chiamò, la voce roca per le sigarette o per l’astinenza da esse durante quel noioso colloquio alla casa editrice. Nessuna risposta.
Si alzò, pensieroso, per andare a controllare di persona, quando ecco che finalmente Misaki comparve in cima alle scale, un coltello affilato in mano. Aveva l’aria minacciosa con quello strumento di morte tra le dita serrate in una morsa d’acciaio, ma lui come al solito si barricò dietro la sua facciata da adulto attendendo, tranquillo, lasciandosi di nuovo cadere sul divano.
“Sono a casa!” esclamò togliendosi la giacca con un gesto deliberato, senza guardare il giovane che scendeva le scale.
“Bentornato!” rispose Misaki, un sorriso sulle labbra rosee, gli occhi che brillavano “Com’è andata la riunione? Preferisci lavarti? O vuoi prima mangiare?”.
Usami guardò il suo giovane coinquilino e scartò per una volta l’idea di stuzzicarlo con qualche frase buttata apparentemente a caso. Meglio non dire nulla sulla macchia di sugo che aveva sul grembiule in corrispondenza di una certa parte anatomica, meglio non sottolineare che aveva le labbra più colorate del solito, probabilmente perché se l’era scottate, meglio non abbracciarlo e lasciar vagare le mani sul suo corpo…anche perché aveva un coltello da macellaio in mano. Non dubitava affatto della sua capacità di sfilarglielo prima che potesse produrre danni seri, così come non credeva che Misaki sarebbe stato in grado di rivoltarglielo contro…non senza provocazione notevole.
“È già tardi, mangiamo…al bagno ci pensiamo dopo…” si limitò a dire con quella sua voce quasi sospirata che fece correre un brivido freddo lungo la schiena del cuoco, al quale non era sfuggito quel plurale.
Misaki si accostò al piano cucina ove posò con noncuranza il coltello affilato. Il suo piano stava funzionando, Usagi non sospettava nulla. Con un sorriso maligno diede un’ultima mescolata alla zuppa ristretta che aveva preparato per cena, poi con l’ausilio di un mestolo apposito la versò nei piatti, in parti uguali. Sarebbe stata dura, ma avrebbe vinto quella sfida. Il riso nelle ciotole era già disposto, così anche la verdura. Perfetto.
Portò il tutto in tavola, si sedette e giunse le mani nella solita formula di ringraziamento, come fece immediatamente anche il padrone di casa.
“Itadakimasu!”. [n.a. formula giapponese che precede i pasti, non sapendo come tradurla correttamente in italiano, preferisco lasciarla “originale”]
“Itadakimasu…!” rispose Misaki, e le sue dita strinsero con più forza le bacchette di legno mentre aspettava spiando da sotto le ciglia i movimenti dell’uomo che gli sedeva di fronte.
Le bacchette di Usami si abbassarono, raccolsero del riso, e lo portarono alle labbra. Poi si abbassarono ancora, raccolsero un pezzo di carne della zuppa, e lo portarono alle labbra. Poi ancora al piatto delle verdure, e di nuovo al riso. Azioni meccaniche che si compivano ogni giorno, nulla di anormale. Misaki non resistette all’impulso, doveva verificare.
“Ehm…ecco…Usagi-san…” mormorò confusamente mettendo giù le bacchette, non aveva ancora toccato cibo.
“mmm?” rispose Usagi, altro riso misto a carne in bocca, masticava lentamente, senza fretta. Il suo sguardo pareva stupito dall’interruzione.
“…insomma…non è…troppo saporito…?” tentò di accennare casualmente Misaki guardando i piatti come se fossero pronti a saltargli addosso da un momento all’altro.
“Ah…” replicò Usami guardandolo fisso e sorridendo affabile mentre sceglieva un altro pezzo di carne con le bacchette “non c’è problema. Quando ero bambino, avevo un cuoco personale che non mi faceva mai mancare nulla e preparava alla perfezione ogni singolo capriccio che mi venisse in mente, per cui…provare la vita di una famiglia normale…gustare un banale piccolo errore nelle dosi del sale…mi mette di buon umore!”.
Misaki per poco non svenne. Un banale piccolo errore…eppure era certo di aver messo doppia dose di sale in ogni singola pietanza. Incredulo, afferrò le bacchette, prese un pezzo di carne come stava facendo il commensale, e se lo ficcò in bocca. Se non lo sputò fu solo perché vide lo sguardo trasognato di Usami che lo guardava. Normale vita famigliare. Gli errori capitavano nelle normali famiglie, quelle che non avevano un cuoco. Mandò giù il boccone amaro in tutti i sensi. Aveva fallito la prima prova.
Terminare il pasto fu per lui un vero incubo. Bevve in continuazione mentre il suo padrone di casa si limitò a qualche bicchiere d’acqua come sempre. Probabilmente si stava divertendo un mondo ad assaporare “gli errori della normale vita famigliare”. Avrebbe dovuto immaginarlo. Finalmente, la cena finì e Misaki posò sulla ciotola del riso le bacchette. Ce l’aveva fatta, aveva finito tutto. Dall’altro lato del tavolo, Usami lo guardava sorridendo pensieroso. Si sentiva la bocca e la gola in fiamme. Accidenti!
Il ragazzo si alzò e raccolse le ciotole da lavare, come faceva sempre dopo i pasti. Era suo compito, i lavori domestici erano l’unico modo che aveva per ripagare l’ospitalità non potendo contribuire all’affitto…non che Usagi glielo permettesse. Che anche gli approcci fisici fossero compresi nel pagamento dell’alloggio? Il suo volto divenne di un rosso acceso mentre l’acqua scorreva sulle stoviglie sporche. Il bersaglio della sua vendetta era tranquillamente andato a cambiarsi. Scattava la seconda parte della sua vendetta. Ora si sarebbe divertito. Ed il sorrisino maligno riaffiorò sul suo viso mentre strofinava con lena, la schiuma che gli ammorbidiva la pelle. Tutto preso dalla pregustazione, non si accorse dei passi che scendevano le scale, né dell’avvicinarsi dell’oggetto dei suoi pensieri.
Usami non poteva resistere ad una tentazione del genere, Misaki stava beatamente lavando le stoviglie, immerso nel suo mondo fantastico, troppo bello, troppo facile. Le sue braccia si allargarono, le dita si fletterono nell’impazienza, e con uno scatto da predatore portò a termine il movimento abbracciando stretto il ragazzo che emise uno squittio di sorpresa e protesta voltando la testa nella sua direzione. Troppo facile. Le labbra si incontrarono, sapore salato e dolce allo stesso tempo, credette di perdersi nelle sensazioni risvegliate dal contatto. Era da tempo che non gli faceva quello scherzo, ma anche se glielo avesse fatto solo cinque minuti prima, non ne era mai sazio. Per gioco, gli forzò le labbra senza insinuare all’interno della cavità orale altrui la lingua che se ne stesse nel suo covo come una serpe pronta a colpire, letale se necessario, una minaccia che aleggiava nell’aria. Misaki se ne accorse e si irrigidì ulteriormente mentre lasciava cadere nel lavello la ciotola che aveva in mano, un 'tunk' secco che segnalò una probabile rottura, magari aveva cozzato contro qualcos’altro. Al momento non aveva importanza mentre il ragazzo cercava finalmente di ribellarsi a quell’abbraccio, a quella bocca che lo stava lentamente e inesorabilmente catturando in una prigione che lui ben conosceva. Riuscì a staccarsi a fatica continuando a far leva con entrambe le mani bagnate contro la camicia pulita dell’uomo.
“Usagi-san! Basta! Fermo!” urlò infuriato, la voce più acuta di un paio di toni per l’irritazione, le mani che slittavano sulla stoffa stirata di fresco senza trovare un appiglio, un modo per spingere via l’invasore.
Le labbra ripresero a lottare, feroci, instancabili, e più Misaki cercava di scappare, più l’altro lo rincorreva nel tentativo di afferrarlo, di coinvolgerlo nel gioco. Ma ecco, le mani disperate trovarono un appiglio nel colletto inamidato, lo tirarono, lo torsero, fino a convincere il padrone della camicia che piuttosto che morire strozzati era preferibile lasciare spazio e aria. Le braccia si aprirono ed il cerchio pericoloso si spezzò, Misaki fu libero di allontanarsi di qualche passo. L’acqua scorreva ancora libera nel lavello, nessuno se ne curava.
“Misaki…” sussurrò Usami con la sua voce bassa, seducente, e Misaki si tappò le orecchie con i palmi delle mani per non sentire. Non doveva sentire. Quando si fu calmato a sufficienza per formulare una frase di senso compiuto, solo allora staccò le mani dal capo ed indicò la camicia pulita che Usami aveva indossato poco prima.
“Usagi-san…ecco…la camicia…” balbettò, più che formulare mentre tornava sicuro al lavello a finire il suo dovere domestico “mentre la stiravo è accaduto che il telefono ha cominciato a suonare, io sono corso a rispondere ed era niichan che mi chiamava per il solito controllo…ma ecco…ha voluto raccontarmi a tutti i costi di una gita fuoriporta che ha fatto con la sua giovane moglie e quindi…ho perso tempo a parlare, il ferro intanto si è scaldato troppo…hanno mangiato bene, avevano preparato una sorta di picnic all’aria aperta, con gli uccelli…gli alberi…le formiche…Usagi, dove stai toccando!?”.
Le mani di Usami si erano spinte a sfiorare la schiena al lavoro del ragazzo che si muoveva di continuo seguendo il ritmo del risciacquo, un’altra tentazione irresistibile. Misaki gli soffiò contro, e lui suo malgrado allontanò le mani vogliose per spendere un po’ di tempo in parole.
“Non importa, non è affatto un problema…anzi!” gli occhi di Usami brillavano di pura estasi mentre si sfiorava, con le stesse mani che poco prima avevano toccato la maglietta di Misaki sperando non ci fosse, l’evidente macchia di bruciato dalla forma inequivocabile che spiccava nitida contro il bianco candido della camicia “fin da bambino ho sempre avuto dei domestici personali che non mi facevano mai mancare vestiti puliti e stirati perfettamente, non mi era mai capitata una cosa simile…è così…normale!”.
La fronte di Misaki sbatté con violenza contro gli sportelli della cucina sovrastanti il lavello. Doveva immaginare anche questo. E dire che lui si era tanto sentito in colpa, che aveva guardato con la morte nel cuore quella camicia rovinarsi, che aveva scelto ad occhio la più economica con l’intenzione di ripagarla una volta ottenuta la sua vendetta. Invece, tutto per niente. Tanta pena per rendere quel maniaco ancora più contento. Sospirò teatralmente asciugandosi le mani sul grembiule. Oramai era fatta. Mancava solo l’ultima, poi sarebbe potuto andare a dormire e dimenticare quella che si prospettava come un’orrenda giornata persa a pianificare una vendetta inesistente.
Quando Misaki voltò il capo, non vide più Usami. Si era di nuovo allontanato in silenzio. Si tolse il grembiule, lo ripiegò ordinatamente e lo ripose al suo posto. Ultimo atto. Non doveva sbagliare ora.
“Usagi-san!” chiamò, la voce incerta “preparo il bagno!”.
Un borbottio dal divano gli fece capire che l’uomo era beatamente sdraiato su Suzuki-san, lo abbracciava teneramente. Magari si era addormentato e pensava che l’orso di pezza fosse lui. Il ragazzo si intenerì e per un istante pensò di cancellare l’ultima terribile vendetta…per un istante. Il tempo necessario ad Usami per aprire un occhio e fissarlo con desiderio. Meno di un secondo. Misaki salì le scale come fosse inseguito da un demonio.
Spalancò la porta del bagno ed entrò. Tutto pronto. Aprì del tutto i rubinetti dell’acqua fredda e attese paziente che scorresse a bagnare la vasca e riempirla della giusta quantità. Non un filo di vapore si levava, era naturale dopotutto, ma allo stesso tempo talmente strano da lasciarlo interdetto. Anche se freddo, poteva considerarsi bagno? In quella varcò la soglia Usami, Suzuki-san sottobraccio. L’enorme peluche venne posato sopra l’armadietto ad attendere mentre il padrone cominciava a spogliarsi. Misaki quando si voltò se lo trovò davanti, a petto nudo, e per poco non urlò di nuovo.
“…ecco…Usagi-san…” mormorò invece guardando ovunque tranne che l’uomo davanti a lui.
“mmm?” rispose l’adulto continuando a levarsi gli indumenti, uno ad uno, la camicia che scivolava dalle spalle con un movimento sensuale apparentemente casuale.
“…ecco…vediamo…mi spiace ma…mi sono dimenticato che…non c’è…l’acqua calda…ecco…gli operai…lavori in corso…le caldaie…quindi…mi spiace ma…”.
Durante tutto il borbottio confuso Misaki non aveva guardato Usami una sola volta, ma lui aveva oramai finito di spogliarsi e si era diretto con tutta tranquillità verso la doccia ai piedi della grande vasca da bagno colma d’acqua fredda. Cosa volesse fare, il ragazzo non ne aveva la minima idea, ma era troppo imbarazzato per guardare o chiedere, mentre pregustava la seccatura che l’assenza d’acqua calda poteva essere per il principe dei pervertiti. Peccato che i suoni che uscirono dalle labbra di Usami quando la pelle entrò in contatto con l’acqua gelida della doccia, non furono esattamente quelli che si aspettava.
“Sai, Misaki…” parlò con quella sua dannata voce “non è affatto un problema l’acqua fredda, anzi! …”.
“…da…da piccolo avevi acqua calda quando volevi…quindi adesso questo inconveniente fa…fa molto famiglia?” finì per lui Misaki serrando gli occhi e coprendoli con le mani per maggior sicurezza nonostante desse la schiena all’uomo nudo che si apprestava ad entrare nella vasca.
“…no.” Replicò tranquillamente Usami mentre si avvicinava all’ignaro ragazzo “Sai Misaki, l’acqua fredda tonifica il corpo, riattiva la circolazione e quindi dà vigore…”.
“Ah…” si limitò a buttare fuori il ragazzo con gli occhi ostinatamente chiusi mentre non poteva vedere le forti braccia che si richiudevano nuovamente su di lui.
“Sai Misaki…” parlò ancora Usami mentre voltava verso di sé il ragazzo, rosso in volto ma con gli occhi aperti e lo sguardo arrendevole “forse non sono poi così stanco…”.
Fu un bene che Suzuki-san fosse al sicuro dagli spruzzi d’acqua.

  
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