Il leggero vento gli carezzava il viso rilassato.
Teneva gli occhi chiusi per via del sole che illuminava la collina dove si era rifugiato, senza però dargli fastidio: niente in quel luogo di pace, che desiderava rimanesse solo suo, poteva infastidirlo.
Inoltre Kiba non aveva alcuna voglia di tornare così presto ad Aquilegia, voleva solo godersi quella quiete che per tanto tempo gli era mancata.
Sperava solo che Neji non avesse voglia di stare con lui in quel momento - anche se era quasi convinto del contrario - non era preparato ad affrontarlo.
Poi, che parolona 'affrontarlo', tra di loro non c'era neanche un minimo scontro o confronto e mai ci sarebbe stato: era impensabile.
O almeno lo era fin quando stavano 'insieme'.
Poco dopo un'ombra oscurò il sole spingendolo, infastidito, a riaprire gli occhi per incontrare l'aggraziata figura di un'aquila che planava verso di lui.
A pochi metri da terra il candido piumaggio iniziò a diventare finissima stoffa di un kimono e il viso assumere fattezze umane, quando atterrò non vi era più un volatile ma un ragazzo dall'espressione ancor più altezzosa dell'animale.
" Inuzuka."
" Hyuuga.", lo salutò controvoglia, mettendosi seduto sull'erba.
Si scrutarono per qualche secondo, un tempo quasi infinito per loro che desideravano soltanto che le loro labbra potessero incontrarsi.
Voraci le loro bocche si divoravano e le loro mani quasi andavano a strappare gli abiti.
Ancora una volta stavano candendo entrambi in quel vortice d'eccitazione.
Ormai Kiba non si ribellava neanche più, anzi: sapeva ciò che voleva Neji e andava di sua spontanea volontà a donarglielo.
Di solito quei violenti amplessi erano dettati dalla voglia e dalla fretta, talvolta però capitava che fossero presi come un malizioso gioco perverso guidato sempre e solo dallo Hyuuga.
Capriccioso, si divertiva nell'umiliare il castano, portandolo al limite della sopportazione del piacere senza mai soddisfarlo.
Gli piacevano quei rochi gemiti.
Gli piaceva il suo nome pronunciato come una nenia da Kiba.
Il suo sapore, le sue lacrime - piacere e frustrazione - e il suo profumo formavano un eccitante quadro che nessun altro avrebbe potuto vedere.
Perché l'Inuzuka era suo, non poteva appartenere a nessun altro.
Era il suo fedele cane e anche quando l'avrebbe lasciato - ipotesi ancora lontana - non avrebbe permesso ad anima viva di toccarlo.
Egoisticamente pretendeva che Kiba continuasse a vivere alle sue dipendenze, non amava dividere le sue cose.
" N-neji...", ascoltò quel gemito sfuggire dalle labbra socchiuse dell'altro.
Il suo viso era arrossato e sudato, teneva gli occhi chiusi: come se non volesse vedere.
Era di una bellezza diversa dalla sua.
Era più selvaggio e gli piaceva quasi da impazzirne.
" Sì?", mormorò, rallentando le carezze della sua mano fino a fermarsi.
" Ne-neji...", lo chiamò di nuovo, con una certa urgenza.
Sapeva che voleva e Kiba sapeva che doveva dire per ottenere quel piacere che gli era negato.
" Pregami. Dimmi a chi appartieni.", riprese a carezzarlo con una lentezza estenuante divertendosi, mentre l'altro si contorceva sotto di lui.
" No..."
" Ma davvero non vuoi?", soffiò sulla pelle turgida e fremente facendogli emettere quasi un grido.
Amava quando metteva da parte il suo smisurato orgoglio per ubbidire ai suoi ordini.
" N-Neji... p-per favore...", lo guardò con gli occhi carichi di lacrime mal trattenute, sembrava quasi un altro quando stavano insieme. " Fallo. P-prendimi... s-sono tuo."
Amava quelle parole, tanto che eseguì subito, facendolo suo.
Per sempre sarebbero stati legati perché Kiba Inuzuka era di sua proprietà.