Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover
Segui la storia  |       
Autore: mairileni    28/07/2014    5 recensioni
Contiamo alla rovescia.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ciao a tutte e bentrovate!


Oggi sono arrabbiata come non mai; ho scoperto che una ragazza ha plagiato la mia ultima OS (non so se qualcuna di voi ha letto “Cose Che So di Te” nella sezione Death Note). Il plagio è evidente — stessa sezione, stessi personaggi, stessa idea di base e alcune frasi proprio identiche. Ho segnalato il fattaccio all'amministrazione, ma non ho ancora avuto risposta. Sono proprio a terra, insomma, quindi non è stata una gran bella giornata. Però ho rigettato tutto il mio malumore su qualcosa di un po' positivo, ovvero il completamento di questo capitolo e di quello di un'altra storia.

Non so perché vi racconto tutte queste cose, ma non so, sono davvero arrabbiata, ecco. Ma spero davvero che questo aggiornamento vi piaccia. 

Ed è con questo spirito che vi presento il terzultimo capitolo di questa storia!

 

Buona lettura!

 

 

pwo_

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

QUARTA PARTE

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

SCOPERTE

 

 

 

«Pronto? Stef? No, non ho ancora pagato, però sono già in coda... cosa? I cereali? Ma ci sono, i cerea... e cosa me ne frega, se non ti piacciono, vorrà dire che domani, a colazione, prenderai solo il latte! Ah, è scaduto? Ma Stef, quante scene, sono sicuro che sarà ancora buonissim... ah. Mh, no, non dovrebbe sembrare formaggio. Sì... sì, buttalo. Oh, e dai, tocca quasi a me! Senti, io... ap... uh... la linea è disturbfzzzz... non ti sent... fzzzz... etchhh...

«E va bene, e va bene, ho capito, faccio una corsa! Ti odio. Sì... sì. Ciao.»

 

 

 

 

 

 

1

 

 

 

«Ti dispiace se cambiamo... postazione?»

Lo studio di Anna cominciava a stargli un po' stretto. Brian vi aveva passato buona parte degli ultimi anni — degli ultimi mesi, in particolare —, ma gli ultimi anni non erano stati troppo piacevoli. La chaise-longue rossa era diventata il cliché che gli si ripresentava per mano ad ogni periodo buio, e tornare a sdraiarsi su di essa significava anche tornare a fissare il soffitto e contare le gocce di vetro — quarantatré — appese al lampadario finto-antico in ottone come unica alternativa al parlare di se stesso. Anna aggrottò le sopracciglia e guardò Brian, Brian sorrise in modo parzialmente genuino e guardò la ricrescita castana separarle il biondo dalla fronte. Ci stiamo lasciando andare un po' troppo, Beckett.

«Perché lo chiedi?»

«Ci sono tre cose che ancora mi tengono legato a Matt», rispose. «Questo studio è il luogo dove ho vissuto... quasi tutta la mia storia con lui, per la seconda volta. Ora che siamo arrivati praticamente alla fine del mio racconto, vorrei iniziare ad abituarmi all'idea di non venire più qui.»

Lei annuì. 

«Pensi di smettere di vederci, ti senti abbastanza pronto?»

«In realtà vorrei che oggi fosse l'ultima volta. In assoluto», si sentì rispondere, una risposta sicura corredata da una scrollatina di spalle.

Le fece piacere, e se quella mattina si era svegliata, come sempre, ultimamente, di pessimo umore, ora si sentì un po' risollevata — stupidamente, infantilmente. Il viso di Brian restava sempre triste, era difficile che cambiasse, però ora sembrava quasi di una tristezza temporanea, risolvibile. La tristezza data da nient'altro che una giornata storta, o una brutta notizia. 

«E poi», continuò Brian, «per tutti questi mesi avevo evitato di ritornare nei posti dove ero stato con lui.» Ridacchiò. «Praticamente non potevo andare da nessuna parte, ma ora ho ripreso a frequentare i posti che mi piacciono. E... e questa è la seconda cosa che temevo mi tenesse ancora legato a lui, ma che sono riuscito a liquidare, e... oh, a proposito, grazie di avermelo consigliato.»

«Te l'avevo consigliato più di due mesi fa, Brian», rise lei. «E la terza cosa?»

«Come?»

«La terza cosa», ripeté l'analista. «Hai detto che tre erano le cose che ancora ti tenevano legato a Matthew. Lo studio, il non andare nei posti dove andavate assieme e... la terza cosa?» 

Brian non smise di sorridere, ma il suo sguardo si fece vacuo.   

«Mi sono sbagliato. Volevo dire due cose, non tre.»

«Brian, se c'è qualcosa che...» 

La liquidò con una scrollata di spalle; voleva soltanto raccontare il resto della sua storia, dirle come era andata a finire per il semplice gusto di completare una cosa iniziata.

«Vorrei solo parlarti dell'ultimo atto di questa tragedia che sembra non avere fine.»

«Siamo arrivati al dunque, allora.»

«Oh, sì, Anna. Proprio sì. Siamo arrivati alla mia fatidica uscita con Michael. Mi aveva portato in uno dei soliti ristoranti d'alta classe — anonimo, noioso —, avevamo pure mangiato abbastanza bene. Non c'era niente che non andasse, in quel Michael, sul serio, nulla fuori posto. Mah. Comunque ero deciso, l'avrei mollato appena usciti da lì. L'avrei mollato e subito dopo avrei chiamato Matt, magari confessandogli tutto, o magari no, ma comunque dicendogli che doveva venire da me subito, all'istante. Alla fine, l'unica cosa che sono stato capace di fare è stato salutare Michael con un bacio asettico. “Ti chiamo io”, gli ho fatto. Chiaramente non l'ho mai più sentito. Ed ecco che esce di scena anche Michael, con i suoi muscoloni e il suo passato variopinto. Quella sera non chiamai Matt. Mi limitai a bermi un bel caffè all'americana davanti a un film; e la cosa divertente, o grottesca che sia, è che ora che mi ero liberato del terzo incomodo mi sentivo bene, tranquillo, libero, pronto a ricominciare. Mi illudevo e basta. Perché il giorno dopo, mentre tornavo da una riunione con la mia manager e la band...

 

 

 

 

 

 

2

 

 

 

... Matt si fece trovare direttamente in casa sua. Sapeva benissimo dove Brian teneva le chiavi, e fu per questo che Brian stesso non si spaventò. Gli fece piacere. Da morire. Matt era seduto sul divano, di spalle, stava immobile davanti alla televisione a cui aveva tolto l'audio. Non si voltò, quando Brian gli rivolse parola.

«Matt, che bella sorpresa!»

«...»

«Matt?»

Gli si avvicinò, stava per toccargli una spalla perché si girasse e lo avvolgesse in uno dei suoi abbracci stritolanti, caldi, dannatamente familiari. Bloccò le dita a mezz'aria, perché Matt finalmente gli stava dicendo qualcosa.

«Ero venuto a prenderti per andare a cena fuori, ieri. Non c'eri. Mi sono presentato alla portinaia come un tuo amico, mi ha detto che eri uscito con il tuo fidanzato.»

... Brian dischiuse le labbra, si rimise dritto. Improvvisamente la giornata si era ribaltata. Un po' tutto si era ribaltato, in realtà. O almeno si stava ribaltando. Inizialmente non rispose, ma Matt non aveva fretta di aggiungere nient'altro, quindi fu costretto a farlo. Gli pesò come mai nulla gli era pesato.

«Com'è, tu puoi e io no?»

In realtà aveva ragione, più o meno. Però si sentì ugualmente il peggiore dei vigliacchi.

Matt ignorò quella risposta. Pensò che forse, in qualche modo, il tutto si poteva ancora recuperare.

«Andiamo a cena fuori, Brian?», gli chiese, irrazionalmente.

Stava sul divano a fissare le immagini che correvano silenziose sullo schermo della tv, Brian se era allontanato, si era appoggiato al ripiano della cucina, un bicchiere dell’acqua che non voleva sospeso a mezz'aria, nella sua mano. Da dov’era poteva vedere Matt di spalle. Si parlavano a quella distanza.

«Non si risolve sempre tutto andando a cena fuori, Matt.»

Un sospiro. «Andiamo a cena fuori, Brian?»

Posò il bicchiere accanto a sé, fissò l'aria. «No, Matt. Non voglio andare a cena fuori.»

«... Sì che lo vuoi.»

«...»

«...»

«È questo che voglio, Matt?»

«... Sì.»

Brian annuì piano, non visto.

«E allora andiamo a cena fuori, Matt.» 

Vide Matt alzarsi dal divano e sparire nell'altra stanza, lo vide ricomparire sulla soglia della cucina due minuti più tardi. O due ore, o due giorni.

«Sei pronto?» Matt era già vestito, le chiavi dell'auto in mano. 

Brian si disse che “vestito” non era il termine adatto — si era solo messo le scarpe, le gambe ancora coperte dalla tuta che usava per stare in casa. Non si sentì in dovere di dire nulla.

«Mh?» concesse, dopo un po’.

«Sei pronto?»

«No.»

«E allora preparati.»

«... ia.»

Matt non aveva sentito: abbassò la testa all'altezza della sua, teneva le mani puntellate sul pianale, ai lati di Brian —era tanto vicino. Da morire.

«Che cosa hai detto?», chiese. 

«...»

«Brian.»

«Ho detto “vattene via”.»

«...»

«...»

«Vuoi che me ne vada.»

No.

«Sì.»

«Sul serio?»

No.

«Sì.»

«... Molto bene.»

Fu l'ultima cosa in assoluto che Matt gli disse: “Molto bene”, una frase che in qualsiasi altro frangente sarebbe stata rincuorante. Non quella volta. A Brian sembrò che le costole avessero preso a stringergli i polmoni come in una morsa, si accorse dopo qualche secondo di essere rimasto in apnea per una quantità di tempo indefinita. Sentì Matt armeggiare nella loro... nella sua stanza, chiudere la cerniera della borsa e imprecare dopo che si fu accorto che aveva lasciato fuori qualcosa. Desiderò corrergli dietro e abbracciarlo per l'ultima volta, o baciarlo, qualcosa, solo per non dover fare i conti con il rimpianto di essersi salutati a quel modo. 

Non fece nulla. Avrebbe sperato che Matt gli dicesse di no, sinceramente. Che gli dicesse di no e che restasse, che si impuntasse come un bambinetto finché Brian non avesse ceduto alle sue estenuanti preghiere, o che sparpagliasse i propri vestiti in giro per la casa e che poi lo guardasse con quell'aria di sfida che stava a dire: “Con questo casino, come potrei mai farla, la valigia?”. Una volta l'aveva fatto. E invece oggi no. Brian aveva detto a Matt di andarsene e Matt se ne andava. Nessuna obiezione. Che ti dicevo? La stavi prendendo troppo sul serio, Matt.

Passò del tempo, forse poco o forse tantissimo. Matt aveva finito di raccattare le proprie cose, stava in piedi sull'ingresso della cucina con il borsone su una spalla. Forse si aspettava che Brian gli dicesse qualcosa. Brian non disse nulla.

Lo sentì uscire da casa sua con quel maledetto borsone sulla spalla, senza nemmeno dire “ciao”, solo il rumore della porta che sbatteva e poi il rumore del silenzio più pesante che ci fosse mai stato. Brian restò lì a braccia incrociate, fissando con insistenza la piastrella su cui, fino a un attimo prima, c'era stato l'amore della sua vita che senza parlare gli chiedeva di ripensarci.

 

 

 

 

 

 

3

 

 

 

Salutò Anna con una stretta di mano. Si sarebbero rivisti, con la speranza che il prossimo incontro accadesse in circostanze migliori. Lei si stava lasciando andare, per qualche motivo che Brian riteneva fosse, in qualche modo, collegato ai fiori che lei aveva lasciato appassire nel suo salotto. Glielo avrebbe chiesto, un giorno o l'altro, magari davanti a una tazza di caffè nero. Ora era da solo, doveva andare avanti con le proprie gambe. 

Ad ogni modo, almeno all'inizio, si sarebbe aiutato con quelle di qualcun altro. Aveva già in mente chi.   

 

 

 

 

 

 

4

 

 

 

Sarebbe stato a casa di Stef per almeno una settimana. Proprio almeno almeno. L'altro paio di gambe che gli sarebbe servito era il suo. L'aveva deciso in due secondi e comunicato a Osdal in due minuti (perché glielo aveva comunicato, non certo chiesto), e appena chiusa la chiamata aveva suonato il suo campanello. Non aveva nessuna intenzione di perdere tempo, aveva preparato una valigia e aveva chiamato Stefan quando era già davanti alla sua porta.

«Non andrò più da Anna. Ho chiuso, con tutta questa storia» fu il saluto di Brian.

L'amico annuì. «E allora cancella anche il numero di Matt.»

«Fammi entrare.»

«Solo se poi cancelli quel numero.»

«... Adesso lo faccio.»  

 

 

 

 

 

5

 

 

 

Dopo qualche mese passato assieme a te mi resi conto del fatto che probabilmente non ero soltanto innamorato di te. Ero perso, del tutto. Mi spaventai. Me lo ricordo bene. Avevamo appena finito di fare l'amore, sul pavimento, vicino alla porta di camera mia — non eravamo riusciti ad arrivare fino al letto, ma ricordo che ci avevamo provato. Ti dissi che avevo freddo, ma te lo dissi così, per dire, non pretendevo nulla. Mi avvolgesti con le braccia, mi cullasti per qualche secondo, mi sfregasti la schiena. Io ti avevo detto che avevo freddo, e ora tu mi scaldavi, come fosse ovvio che lo facessi. 

«Cosa fai?», ti chiesi.

Mi soffiasti un po' d'aria calda sul collo, dietro all'orecchio. Pensai che messi lì, nudi sul pavimento di casa mia, visti dall'alto dovevamo sembrare due vermi.

«Meglio?»

Avevi ignorato la mia domanda, bellamente. Non mi lasciai scoraggiare, ignorare le mie domande era una cosa che facevi spesso, da quando avevi capito che era l'unica via d'uscita per il cinquanta percento delle mie provocazioni. Avevi immediatamente imparato quali tra le mie richieste erano da considerarsi genuine e quali semplici capricci. Sei intelligente, tu, non c'è niente da fare. E così, io ti dissi che avevo freddo e ora tu mi scaldavi, e mi chiedevi se andasse meglio.

«Sì», risposi.

Non mi sarei mosso di lì per tutto l'oro del mondo, te lo giuro. Se mi concentro mi sembra ancora di sentire la schiena scaldarmisi nel punto in cui era a contatto con il tuo petto.

«Matt.»

Mi sentivo in dovere di dirtelo, ma non volevo, non volevo, non volevo affatto.

«Mh?»

Il tuo naso era ancora dietro al mio orecchio, e non sai quanto mi sia costato scostare il tuo viso da lì con una mano.

«No, devi ascoltarmi.»

«Ehi, Brian, che c'è?»

«...»

«... Brian.» 

«La stai prendendo troppo seriamente.»

«Cosa?»

«Questa cosa tra noi.»

Mi fa quasi ridere, pensare di averti detto qualcosa del genere. Ero follemente innamorato, Matt, da morire, non penso che tu possa immaginartelo. Rimanesti in silenzio, mentre io in quella posizione non ti vedevo la faccia, e continuai. 

«Non devi farlo per forza.»

«Che cosa?»

«Scaldarmi.»

«Ti dà fastidio?»

«No, mi piace.»

«E allora che problema c'è?»

«C'è che la stai prendendo troppo sul serio.»

«Brian, perché devono venirti queste fissazioni nei momenti in cui stiamo... bene

Ti ignorai.

«Tu hai una vita, una vita vera. Hai una donna, un figlio, una band, un mondo fatto di televisioni e concerti e musica e...»

«Ce le hai anche tu, tutte queste cose.»

«Ma io non cerco di scapparne. È per scappare da qualcosa, che sei venuto da me.»

«Veramente, tra i due, quello che mi ha sbattuto contro il muro del bagno a quella festa sei stato...»

«Non sono in vena, Matt.»

«...»

«E sei stato tu a tornare. L'hai voluta tu, questa storia.»

«Brian, ma di che cosa stai parlando, certo che l'ho voluta!»

«Sì, ma...»

«...»

«...»

«... “Ma”?»

Non mi uscivano le parole, come a un dodicenne davanti alla cotta estiva. È strano, faccio fatica a descriverlo. Pensavo che la stessi prendendo troppo sul serio, e la cosa in sé non mi spaventava. Mi spaventava il fatto che potessi smettere di prenderla sul serio, ecco la verità. Perché se l'avessi buttata sul ridere fin dall'inizio, probabilmente io dopo non mi sarei nemmeno dovuto chinare per raccogliere i pezzi, come ho fatto negli ultimi sette mesi. Ma tu mi hai dato tutto te stesso, e se avessi smesso da un giorno all'altro, preso dal senso di responsabilità che sarebbe stato giusto avessi, io sapevo che per me sarebbe stata la fine. Avevo provato a trattarti male, avevo provato a tradirti, ma tu con me ti comportavi sempre come fossi stato l'unico al mondo. Allora mi sono chiesto che senso avesse, tutta quella fatica. Se non fosse più giusto, in fin dei conti, godermela finché potevo. Se per assurdo avessi questa possibilità per una seconda volta, adesso, penserei soltanto a godermi tutto il mio tempo con te. Ma sto imparando a gestire quest'idea, e in realtà ora come ora sento la tua mancanza soltanto quando si parla di te. 

Ad ogni modo non riuscii ad andare avanti con il mio dannatissimo discorso. 

«Brian, ci sei? Ti senti bene?»

«Aha.»

«Vuoi che ce ne andiamo sotto alle coperte, che fa più caldo?»

«... Sì, magari.»

Così. Perso.

Sai, Matt, Stef continua ad insistere sul fatto che dovrei decisamente cancellare il tuo numero, visto che tanto non mi servirà ad altro se non ad alimentare la mia tentazione di riprendere i contatti con te — ma dimmi tu come sono messo. Oggi, comunque, me l'ha ribadito per l'ennesima volta. Io gli ho detto: “Adesso lo faccio”. E tu lo sai, no? Quando dico: “Adesso lo faccio” è perché non ho intenzione di fare proprio nulla. E infatti sei ancora nel mio telefono. Sotto la M di “merda”, o di “male”.  

Oggi ho detto alla mia analista che tre sono le cose che ancora mi tengono indissolubilmente legato a te. La prima, lo studio della mia analista stessa. La seconda, i posti dove andavamo assieme — come quel barettino tutto verde a Soho, non so se te lo ricordi. La terza non gliel'ho detta. A te però posso dirlo, che la terza cosa sono queste maledette lettere. Ho iniziato per gioco, come a dire: “Ma sì, facciamo questa prova” e poi non ho più smesso (dissi la stessa cosa anche prima di mettermi in bocca la prima sigaretta, e guarda come sono ridotto ora). Dovrei smettere di scrivertele e basta, riprendere la mia vita in mano.

Andare avanti e lasciarti indietro. 

Adesso lo faccio.


   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover / Vai alla pagina dell'autore: mairileni