“Vuoi
un caffè?” non risposi,
ancora piuttosto scioccato, ma lui si mosse verso la cucina,
continuando a
medicarsi la faccia e sicuro che la mia non-risposta corrispondesse a
un sì,
come era sempre stato. Lo seguii verso la cucina, continuando a
massaggiarmi la
testa, mentre lui scavalcava il cadavere di un altro uomo,
avvicinandosi ad uno
strano apparecchio: “Ti credevo morto” gli dissi:
“Anche io” rispose
infastidito frugando in un armadietto senza voltarsi: “Come
hai fatto a tornare
in vita?” “Lo prendi sempre senza
zucchero?” un’altra cosa che mi aveva sempre
dato sui nervi è quando mi ignorava: “Ti ho
chiesto come cazzo hai fatto a
tornare in vita!” mi lanciò un’occhiata
veloce, per poi tornare a lavorare con
dei pacchetti: “Perché non me lo racconti prima
tu?” “Perché sono stato io a
farti la domanda per primo” “è un
argomento che non mi interessa. Tu l’hai
introdotto, se vuoi una mia risposta, voglio sapere prima la tua.
Altrimenti
non vedo perché io debba essere obbligato a raccontare una
cosa che non mi
interessa mentre tu no”.
Sia
maledetto tu e la tua
dannata logica inversa; neanche un minuto che ti parlo e già
voglio ucciderti,
un nuovo record: “Jashin non lascia morire i suoi figli, mi
ci è voluto un po’ di
tempo prima di ricompormi e uscire da quella dannata buca”
mentre raccontavo,
mi sembrava di sentire ancora il dolore del mio corpo ricomporsi e la
fatica
prima di poter respirare di nuovo. Non che respirare fosse
un’azione
fondamentale per me: “e ora eccomi qui”
“Per quanto sia un padre che vuol bene
ai suoi figli, Jashin ci ha messo 5 anni prima di farti
rivivere” “Sai che non
mi piace questo tipo di sarcasmo” “Sai che non mi
piaci tu” allungò la tazza di
caffè verso di me e l’afferrai: “Mi
hanno distrutto 4 cuori” non potei
trattenere una risata, mentre lui mi lanciò uno sguardo
furioso: “La mia
fortuna è che quell’imbecille di Kakashi non sa
che il cuore si trova a
sinistra e non a destra, così il suo colpo è
andato a vuoto” mentre parlava
faceva dondolare il suo piede vicino al cadavere dell’uomo,
muovendogli la
testa: “Mi fecero l’autopsia e, quei grandi medici
erano troppo impegnati a
controllare l’effetto della mossa del loro bambino prodigio
sulla mia schiena
per accorgersi che c’era ancora un cuore. E che, soprattutto,
batteva, piano,
ma batteva” risi di nuovo, immaginandomi un’equipe
di espertissimi medici
aprirgli la schiena e discutere l’entità della
ferita, mentre lui era ancora
vivo: “Mi volevano lasciare lì per continuare a
studiarmi, ma non gli diedi
quest’opportunità; dopo un paio di giorni, uccisi
uno di quegli stronzi che mi
giravano intorno e me ne sono andato” “E
poi?” “Sono scomparso dalla
circolazione, ho cambiato il mio aspetto, mi sono preso un altro nome e
ora
uccido gente per chiunque mi offra una cifra abbastanza alta da
spingermi a
uccidere” Mentre raccontava, mi immaginavo tutti i passaggi
della sua
esistenza, nella minima precisione; lo conoscevo abbastanza bene da
poter
visualizzare come abbia agito: “Effettivamente, senza quella
specie di turbante
tipo Lawrence d’Arabia non ti avevo riconosciuto”
risi, mentre finivo il mio
caffè. Gli posi la tazza vuota e, appena si
voltò, non potei evitare di
sottolineare il suo cambiamento d’abbigliamento:
“davvero, non ti avrei mai
riconosciuto…non avrei mai immaginato di poterti vedere
senza cappuccio e,
soprattutto, non avrei mai immaginato che tu avessi i
capelli” mentre ridevo
delle mie stesse parole, la mia stessa tazza di caffè mi
volò a pochi
centimetri dal volto, schiantandosi contro il muro alle mie spalle:
“Un’altra
battutaccia del genere e, ti giuro, ti appendo al muro, come un poster.
Sai che
lo faccio” “Certo, certo, questa del poster
l’avrai ripetuta fino allo
sfinimento” indietreggiai, avevo capito di averlo provocato
abbastanza da farlo
arrabbiare quanto bastava per scatenare una rissa. Uno dei miei
passatempi
preferiti, lo ammetto: “Vieni qui, stronzo, vieni!”
lo istigai: “Appendimi al
muro! Forza! Non c’è più nessuno che ti
rimprovera se uccidi un tuo compagno”
afferrò un gruppo di coltelli dal ceppo sul piano cottura e
me li lanciò
addosso. Uno solo mi colpì di striscio alla spalla e mentre
mi voltai, lo vidi
prendere una specie di forchettone, pronto a cacciarmelo negli occhi,
se una
voce proveniente dal piano superiore non l’avesse fermato. Ci
voltammo entrambi
verso il soffitto: “Complimenti” fischiai:
“Bel lavoro. Lasci anche la gente
viva”. Approfittò della mia distrazione per
infilzarmi la spalla col
forchettone; indietreggiai urlando: “Stronzo!”
“Non lascio mai il lavoro
incompleto” sibilò, avanzando verso le scale,
ignorando completamente i miei
sforzi di liberarmi dell’arma.
Non
potei fare altro che
seguirlo al piano di sopra. Con un forchettone nella spalla.
Ecco
alcune risposte alle
domande nelle recensioni (grazie a chiunque abbia letto la prima parte
del
racconto XD)
A
Xellor: sinceramente non
avevo pensato alla falce… purtroppo è rimasta un
particolare rimosso fin dalla
stesura dello scheletro della storia, quindi mi sa che non lo sapremo
A
ElderClaud: grazie per la
segnalazione del rating, penso proprio che la debba cambiare in
giallo^^ per
quanto riguarda l’ambientazione, si svolge in un mondo
più vicino al nostro che
a quello originale di Naruto (ho pensato che avrebbe reso il tutto un
po’ più
veritiero). Grazie
della recensione^^
A
eneaelia: è incredibile
trovare un altro fan sia dei Maiden che di Kill Bill! >.<
e ti assicuro
che appena finita questa storia andrò a leggere anche quella
che mi hai
consigliato XD. Questa parte del racconto è forse quella che
risente di più
delle influenze di Kill Bill (pensa solo al combattimento tra