Diciamo
che ho sempre avuto
un sesto senso a fiutare i massacri e le morti di massa intorno a me.
Come una
specie di istinto che mi porta sul luogo del misfatto per osservare,
studiare,
valutare il lavoro appena compiuto; anche se va contro la mia
più profonda
natura, raramente mi intrometto nei lavori altrui, raramente uccido le
vittime
lasciate in fin di vita o quelle sfuggite alla mano
dell’omicida. Ovvio che una
persona normale avrebbe i brividi al solo pensiero di uccidere qualcuno
che non
conosce, che vede per la prima volta, che non gli ha mai fatto nulla,
ma che
semplicemente si trova davanti a lui; bè, ad essere sinceri,
una persona
normale non si muove seguendo l’odore del sangue che un
massacro di sconosciuti
genera, non si presenta sulla scena del crimine pensando “ah,
questo assassino
è proprio un fesso! Ha lasciato tutti in fin di
vita”
Quando
entrai in quella
villetta circondata da un, qualcuno lo definirebbe delizioso, giardino
pieno di
fiori, capii immediatamente che quello che avevo davanti era il lavoro
di un
professionista; la porta era stata aperta dall’interno e la
donna, una vecchia
sugli 80 anni, che giaceva sul pavimento non ebbe neppure il tempo di
riconoscere chi aveva suonato il campanello, visto che il visitatore
gli aveva
reciso la gola con un profondo, netto, fatale taglio di coltello.
Bastò
quello a farmi capire
che chiunque avesse fatto quell’azione era un bravo
assassino, insomma, non era
il solito parente schizzato che uccideva per una parte
dell’eredità o perché
semplicemente aveva perso quel tanto di razionalità che gli
permetteva di non
prendere un coltello e cacciarlo in un punto a caso del petto del
malcapitato.
Superai
il cadavere e,
affacciandomi sul soggiorno, vidi la sagoma di un uomo seduto sul
divano,
immobile; non controllai, ma potei giurare che anch’egli
aveva un taglio
identico al collo. Mi guardai intorno; sarebbe stata una casa
accogliente se
non ci fossero stati quei due cadaveri in giro, una normale casa di
quelle che
non vedevo da… anni, diciamo.
Iniziai
a muovermi verso la
cucina quando dei passi che scendevano le scale mi costrinsero a
immobilizzarmi
dov’ero; la cadenza di quei passi e il modo tranquillo in cui
scendevano le
scale mi portarono subito a immaginare che la persona che stava
arrivando era
quella che aveva tagliato le gole ai proprietari della casa. La fuga
era fuori
discussione, un solo lancio con quel coltello e potrei giurare che la
precisione mi avrebbe quanto meno perforato un polmone, se non il
cuore. E poi
mi sarebbe piaciuto proprio vedere in faccia quella persona che avevo
fino a
quel momento stimato per la sua bravura e la sua precisione
nell’uccidere.
Poco
meno di una manciata di
secondi e avevo davanti agli occhi il professionista
dell’omicidio, un uomo
dall’età indecifrabile, piuttosto alto e
muscoloso, con un coltello a
serramanico sanguinante ancora in mano; aveva qualcosa di famigliare,
non
saprei dire cosa, ma appena lo vidi pensai “Io ti
conosco” e potei giurare di
aver visto sul suo volto la stessa espressione stupita, mentre si
fermava e
rinfoderava l’arma in un fodero attaccato alla cintura. Non
so per quanto tempo
ci fissammo, potevano essere dai 5 minuti a qualche secondo scarso, ero
troppo
intento a riportare alla mente il ricordo di dove l’avevo
visto e, pur non
ricordadomene, ero certo di averlo visto più di una
volta…
Maledetta
memoria che mi ha
distratto! Mentre ero perso nei miei pensieri per dargli
un’identità, avanzò
all’improvviso, prendendomi il volto con la mano e
scaraventandomi a terra;
sbattei lo zigomo sul pavimento, non si ruppe per miracolo, e rialzai
lo
sguardo in tempo per vedere il calcio che mi stava per arrivare
all’altezza
delle costole. Gli afferrai la caviglia e gli diedi uno strattone
abbastanza
forte da farlo cadere a terra; cadde di schiena, urlando qualche
parolaccia, ma
il danno era piuttosto ridotto per farlo stare a terra. Ci rialzammo
praticamente insieme; ho sempre odiato fare strategie di battaglia,
preferisco
un’azione rapida e diretta a lunghi rimugina menti
confrontando la mia stazza a
quella dell’avversario, la mia agilità e cazzate
varie. Mi guarda in torno,
alla ricerca di un’arma e la cosa più vicina che
vi trovai fu un grosso libro
con gli angoli della copertina ben fatti; lo afferrai, senza togliere
lo
sguardo di dosso dal mio avversario che, con mia grande sorpresa, non
sfoderò
il coltello.
Ero
abituato a maneggiare
armi pesanti e scomode, quel libro si rivelò quindi una
buona scelta; mi
avvicinai, fingendo di volerlo colpire direttamente sul volto e, quando
si
ritrasse per evitare il colpo, fui abbastanza veloce per sorprenderlo
con tutto
il peso del libro sul lato destro della sua faccia. Si
sbilanciò e gli diedi un
altro colpo nello stesso punto, facendolo sbattere contro il muro, dove
un
sonoro “crack” accompagnò la rottura
dello zigomo. Del suo zigomo.
Era
un professionista,
l’avevo già detto, ma non potevo aspettarmi una
risposta così rapida; abbassai
la guardia quel tanto che bastava per permettergli di afferrarmi la
nuca e
spingere la mia testa contro la superficie di vetro di un acquario.
Sentì i
minuscoli frammenti di vetro entrarmi nella pelle e il mio sangue che
si
mescolava all’acqua che si riversava per terra; presi anche
un pesce in faccia
prima di sentire l’altra mano afferrarmi la spalla e
lanciarmi all’indietro.
Era piuttosto forte e la caduta fu violenta, specialmente
perché la schiena
colpì lo spigolo di un piccolo tavolo d’acciaio e
la testa atterrò con un
tremendo tonfo sul pavimento; la vista si annebbiò per
qualche secondo e,
attraverso la nebbia, ruiscì a intravedere la sagoma
dell’uomo morto sul divano
e il mio aggressore che si avvicinava. Non appena mi fu abbastanza
vicino da
chinarsi su di me alzai le gambe, appoggiate sul tavolo, e gli assestai
un
potente calcio sulle costole; sputò qualche goccia di sangue
e indietreggiò,
dandomi il tempo di alzarmi e di afferrare un orrendo soprammobile di
vetro dal
tavolo e lanciandoglielo addosso, colpendolo in piena faccia e andando
in mille
pezzi. Un’altra parolaccia e si mise le mani sul viso
sanguinante; era il
momento giusto per attaccarlo di nuovo, ma la botta al pavimento di
poco prima
si fece sentire, provocandomi una dolorosa fitta alla testa. Chiusi gli
occhi,
sacramentando tra me e me e quando li riaprii per guardare la
situazione del
mio avversario, lo vidi in piedi a pochi passi, con il palmo della mano
teso
verso di me: “Ora basta” mi disse, tamponandosi le
ferite alla faccia con
l’altra mano: “è abbastanza”
“è abbastanza un cazzo!” gli risposi,
tenendomi la
testa tra le mani a causa di un’altra fitta: “Dopo
avermi fatto un male boia
dovrei abbracciarti e baciarti e amici come prima?” Mi
guardò con
un’espressione tra lo stupito e il perplesso, abbassando la
mano: “Ora finiamo
la faccenda” continuai, ma lui scosse la testa:
“Allora sei scemo” sentenziò,
strappandosi un pezzo di stoffa dalla manica e passandoselo sul viso.
Ovviamente questa frase mi fece arrabbiare ancora di più:
“Ma che cosa vuoi?!”
gridai, avvicinandomi e lui mi guardò ancora: “Non
mi riconosci?” “Sei tu lo
scemo”.
Ma
quando si coprì la bocca
con la stoffa e la mano con la fronte, lasciando scoperti solo gli
occhi mi
ricordai immediatamente dove l’avevo visto e
l’unica cosa che riuscii a dire fu
“Oh cazzo”.