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Autore: BehindInfinity    06/09/2008    4 recensioni
scritto per un piccolo contest inglese, questo mini racconto è la versione italiana di quello che sarà presentato. Il tema è avere come protagonisti Hidan e Kakuzu in una storia non sentimentale.
con accenni (più o meno espliciti) al film Kill Bill e il meno conosciuto John Doe (fumetto tutto italiano U_U), ecco il racconto.
Genere: Generale, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hidan, Kakuzu
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...), Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Diciamo che ho sempre avuto un sesto senso a fiutare i massacri e le morti di massa intorno a me. Come una specie di istinto che mi porta sul luogo del misfatto per osservare, studiare, valutare il lavoro appena compiuto; anche se va contro la mia più profonda natura, raramente mi intrometto nei lavori altrui, raramente uccido le vittime lasciate in fin di vita o quelle sfuggite alla mano dell’omicida. Ovvio che una persona normale avrebbe i brividi al solo pensiero di uccidere qualcuno che non conosce, che vede per la prima volta, che non gli ha mai fatto nulla, ma che semplicemente si trova davanti a lui; bè, ad essere sinceri, una persona normale non si muove seguendo l’odore del sangue che un massacro di sconosciuti genera, non si presenta sulla scena del crimine pensando “ah, questo assassino è proprio un fesso! Ha lasciato tutti in fin di vita”

Quando entrai in quella villetta circondata da un, qualcuno lo definirebbe delizioso, giardino pieno di fiori, capii immediatamente che quello che avevo davanti era il lavoro di un professionista; la porta era stata aperta dall’interno e la donna, una vecchia sugli 80 anni, che giaceva sul pavimento non ebbe neppure il tempo di riconoscere chi aveva suonato il campanello, visto che il visitatore gli aveva reciso la gola con un profondo, netto, fatale taglio di coltello.

Bastò quello a farmi capire che chiunque avesse fatto quell’azione era un bravo assassino, insomma, non era il solito parente schizzato che uccideva per una parte dell’eredità o perché semplicemente aveva perso quel tanto di razionalità che gli permetteva di non prendere un coltello e cacciarlo in un punto a caso del petto del malcapitato.

Superai il cadavere e, affacciandomi sul soggiorno, vidi la sagoma di un uomo seduto sul divano, immobile; non controllai, ma potei giurare che anch’egli aveva un taglio identico al collo. Mi guardai intorno; sarebbe stata una casa accogliente se non ci fossero stati quei due cadaveri in giro, una normale casa di quelle che non vedevo da… anni, diciamo.

Iniziai a muovermi verso la cucina quando dei passi che scendevano le scale mi costrinsero a immobilizzarmi dov’ero; la cadenza di quei passi e il modo tranquillo in cui scendevano le scale mi portarono subito a immaginare che la persona che stava arrivando era quella che aveva tagliato le gole ai proprietari della casa. La fuga era fuori discussione, un solo lancio con quel coltello e potrei giurare che la precisione mi avrebbe quanto meno perforato un polmone, se non il cuore. E poi mi sarebbe piaciuto proprio vedere in faccia quella persona che avevo fino a quel momento stimato per la sua bravura e la sua precisione nell’uccidere.

Poco meno di una manciata di secondi e avevo davanti agli occhi il professionista dell’omicidio, un uomo dall’età indecifrabile, piuttosto alto e muscoloso, con un coltello a serramanico sanguinante ancora in mano; aveva qualcosa di famigliare, non saprei dire cosa, ma appena lo vidi pensai “Io ti conosco” e potei giurare di aver visto sul suo volto la stessa espressione stupita, mentre si fermava e rinfoderava l’arma in un fodero attaccato alla cintura. Non so per quanto tempo ci fissammo, potevano essere dai 5 minuti a qualche secondo scarso, ero troppo intento a riportare alla mente il ricordo di dove l’avevo visto e, pur non ricordadomene, ero certo di averlo visto più di una volta…

Maledetta memoria che mi ha distratto! Mentre ero perso nei miei pensieri per dargli un’identità, avanzò all’improvviso, prendendomi il volto con la mano e scaraventandomi a terra; sbattei lo zigomo sul pavimento, non si ruppe per miracolo, e rialzai lo sguardo in tempo per vedere il calcio che mi stava per arrivare all’altezza delle costole. Gli afferrai la caviglia e gli diedi uno strattone abbastanza forte da farlo cadere a terra; cadde di schiena, urlando qualche parolaccia, ma il danno era piuttosto ridotto per farlo stare a terra. Ci rialzammo praticamente insieme; ho sempre odiato fare strategie di battaglia, preferisco un’azione rapida e diretta a lunghi rimugina menti confrontando la mia stazza a quella dell’avversario, la mia agilità e cazzate varie. Mi guarda in torno, alla ricerca di un’arma e la cosa più vicina che vi trovai fu un grosso libro con gli angoli della copertina ben fatti; lo afferrai, senza togliere lo sguardo di dosso dal mio avversario che, con mia grande sorpresa, non sfoderò il coltello.

Ero abituato a maneggiare armi pesanti e scomode, quel libro si rivelò quindi una buona scelta; mi avvicinai, fingendo di volerlo colpire direttamente sul volto e, quando si ritrasse per evitare il colpo, fui abbastanza veloce per sorprenderlo con tutto il peso del libro sul lato destro della sua faccia. Si sbilanciò e gli diedi un altro colpo nello stesso punto, facendolo sbattere contro il muro, dove un sonoro “crack” accompagnò la rottura dello zigomo. Del suo zigomo.

Era un professionista, l’avevo già detto, ma non potevo aspettarmi una risposta così rapida; abbassai la guardia quel tanto che bastava per permettergli di afferrarmi la nuca e spingere la mia testa contro la superficie di vetro di un acquario. Sentì i minuscoli frammenti di vetro entrarmi nella pelle e il mio sangue che si mescolava all’acqua che si riversava per terra; presi anche un pesce in faccia prima di sentire l’altra mano afferrarmi la spalla e lanciarmi all’indietro. Era piuttosto forte e la caduta fu violenta, specialmente perché la schiena colpì lo spigolo di un piccolo tavolo d’acciaio e la testa atterrò con un tremendo tonfo sul pavimento; la vista si annebbiò per qualche secondo e, attraverso la nebbia, ruiscì a intravedere la sagoma dell’uomo morto sul divano e il mio aggressore che si avvicinava. Non appena mi fu abbastanza vicino da chinarsi su di me alzai le gambe, appoggiate sul tavolo, e gli assestai un potente calcio sulle costole; sputò qualche goccia di sangue e indietreggiò, dandomi il tempo di alzarmi e di afferrare un orrendo soprammobile di vetro dal tavolo e lanciandoglielo addosso, colpendolo in piena faccia e andando in mille pezzi. Un’altra parolaccia e si mise le mani sul viso sanguinante; era il momento giusto per attaccarlo di nuovo, ma la botta al pavimento di poco prima si fece sentire, provocandomi una dolorosa fitta alla testa. Chiusi gli occhi, sacramentando tra me e me e quando li riaprii per guardare la situazione del mio avversario, lo vidi in piedi a pochi passi, con il palmo della mano teso verso di me: “Ora basta” mi disse, tamponandosi le ferite alla faccia con l’altra mano: “è abbastanza” “è abbastanza un cazzo!” gli risposi, tenendomi la testa tra le mani a causa di un’altra fitta: “Dopo avermi fatto un male boia dovrei abbracciarti e baciarti e amici come prima?” Mi guardò con un’espressione tra lo stupito e il perplesso, abbassando la mano: “Ora finiamo la faccenda” continuai, ma lui scosse la testa: “Allora sei scemo” sentenziò, strappandosi un pezzo di stoffa dalla manica e passandoselo sul viso. Ovviamente questa frase mi fece arrabbiare ancora di più: “Ma che cosa vuoi?!” gridai, avvicinandomi e lui mi guardò ancora: “Non mi riconosci?” “Sei tu lo scemo”.

Ma quando si coprì la bocca con la stoffa e la mano con la fronte, lasciando scoperti solo gli occhi mi ricordai immediatamente dove l’avevo visto e l’unica cosa che riuscii a dire fu “Oh cazzo”.

  
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