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Autore: Silviachan18    28/07/2014    0 recensioni
siamo umani nei nostri limiti e dei mostri nell'inventare un modo per superarli
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non siamo ragazzi di strada, ma ci piacciono le nocche arrossate e gli ematomi che chiazzano la nostra pelle. Quel che ci distingueva dall'essere randagi, erano i cognomi che pesavano sulle nostre spalle. Sospirai al pensiero e una tanfata di fumo mi colpì il volto. Tossii notando quanto fosse rigido il viso di Leon. Le emozioni gli scorrevano addosso come l'acqua all'orlo di un precipizio. Era impassibile. Aveva troppo da pensare e per questo decisi di non fiatare e di evitare per qualsiasi motivo, la parola famiglia. Era rischioso parlare di quel che ne restava del suo nido d'amore. Era ultimo di tre sorelle, aveva una madre e il padre era morto anni addietro, ma era stato facilmente rimpiazzato da un altro uomo. Non un uomo qualsiasi, credetemi. Se vi racconterò questa storia, non mi crederete mai. Quando conobbi il nuovo compagno di sua madre, inizialmente pensai che fosse molto diverso dal suo ideale di uomo, questo lo sapevo perché era ormai di dominio pubblico che nella sua vita coniugale lei avesse provato ad avere molte relazioni piccanti con succosi frutti mediterranei e orientali, e quell'uomo, chi aveva preso il posto del defunto e di ogni altro uomo che aveva giaciuto con lei sotto le lenzuola, era un tronco ritto e rinsecchito entro la sua giacca gessata da lavoro. La prima volta lo vidi di spalle e in attesa di capire chi fosse, Leon mi domandò con irruenza di muovermi, non voleva vederlo. Capii nell'immediato perché quel giorno il mio amico apparve così geloso di una madre che non era la prima volta che portava un uomo diverso a casa. Lo capii non appena quell'ignobile volto mi sorrise e poi rimase impietrito sotto il greve peso della realtà che gli cadde sulle spalle. Quell'uomo era mio padre. Respirai. Respirai ancora chiedendomi perché fosse così stupido. "Jason, andiamocene." Mi consigliò prendendomi per un braccio e cercando di trascinarmi fuori da quella casa, mi divincolai, la sua presa non era così forte, forse anche lui avrebbe desiderato che commettessi l'errore che ogni notte da quel giorno mi rimprovero. Avanzai verso mio padre con passo lesto e quando fui davanti a lui, non fiatai, ma con un rumore sordo lui, come ogni parte salda di me, crollò miseramente. Le urla furono successive e quando la madre di Leon mi aveva avvicinato per mettersi tra il suo uomo e il figlio del suo uomo, la guardai negli occhi e con temerario coraggio offesi quella donna con un appellativo irripetibile, vergognoso. Mi aspettai che l'amico alle mie spalle me le suonasse di santa ragione, avevo offeso sua madre e altro da lui potevo aspettarmi, ma invece, mi accolse in abbraccio, uno di quelli che non dimenticherò mai e che farò bene a non dimenticare perché non ve ne saranno più, almeno non di sua iniziativa. "Jason, ogni volta che cadi nell'oblio dei tuoi pensieri, mi preoccupi." Mi strattonò per un braccio e tornai alla realtà. Portai la mano dietro il capo e grattai, ero di nuovo in imbarazzo. Leon gettò il mozzicone della sigaretta in un tombino, ma non fece centro e rimase sulla grata e a lui non interessò in alcun modo, tirò dritto. "Grazie per la colazione." Accennai un timido sorriso che si spense, nonostante fosse sincero, sapevo che forse lui non avrebbe apprezzato tanta enfasi. "Devi rimetterti in sesto, guarda come sei conciato." Mi ammonì velocemente e calciò una lattina vuota dalla strada che stavamo percorrendo. Il silenzio calò di nuovo tra noi e mentre camminavamo, io con gli occhi che correvano molto più veloci dei piedi e lui con lo sguardo intrappolato nel cemento sotto di noi, notai in lontananza un ragazzo snello avanzare verso di noi e quando riuscii ad intravedere i lineamenti del suo volto, cercai di cambiare direzione della nostra passeggiata, e mi piazzai davanti a Leon e costringendolo alla mia deviazione. Con occhi sgranati e dubbiosi mi domandò che cosa mi stesse prendendo, meglio che sia in collera con me, che sostenere un'altra rissa, riflettei. "Andiamo..."Iniziai cercando di essere veloce nel trovare un luogo per la nostra deviazione e tentai: "Alla biblioteca, devo prendere in prestito un libro!" Sorrisi mostrandomi il più veritiero possibile, ma di certo non ci riuscii e gli occhi di Leon videro l'avvicinarsi del ragazzetto furbo che gli aveva rigato la motocicletta. Pensai al peggio, ma non accadde. Portò il suo braccio attorno al mio collo e deviammo verso la biblioteca. "Dimmi un po'," Cominciò curioso. "Quale libro hai intenzione di sfogliare?" Rise per poi sorprendermi di nuovo. "Sto scherzando, però non ti facevo il tipo che si mette a leggere seriamente." Mi diede un colpetto, poi si allontanò aprendo la porta di vetro, facendomi entrare. L'aria condizionata era opprimente. Stavamo dando un'occhiata agli scaffali colmi di libri, libricini e mattoni. Mi domandai quale voglia avessero tutti di prendere uno di quegli ammassi di carta scritta, sedersi da qualche parte e leggere. La fatica mentale non faceva per me. Avevo capito, nel tempo, che studiare, leggere ed azionare le rotelle nel cervello, non facevano altro che alimentare i miei dubbi e i dubbi sulla mia famiglia, su quello che mi circondava. Troppe domande danno alla testa. Troppe domande mi convincono che quello che provo per Leon è soltanto amicizia. Mento sempre a me stesso per salvarmi dalla pena di dovermi mettere in posizioni imbarazzanti. Non appena alzai lo sguardo dalla giovane che stava leggendo seduta su una poltroncina in pelle blu, lo vidi avvicinarmi. Passo dopo passo. Respiro dopo respiro. Basta pensare, Jason. "Trovato quel che cercavi?" Mi tolse dalla mano il libro che avevo trovato e lesse ad alta voce: "Sai tenere un segreto?" Poi lesse il nome dell'autrice, Sophie Kinsella. Respirai piano. Un morsa mi fece dolere lo stomaco. Poi di nuovo la sua voce. "E tu lo sai tenere un segreto?" Ancora con quel tono beffardo che lasciò esplodere quel semplice quesito dentro il mio petto. Abbassai lo sguardo ed ero certo che lui non avrebbe capito, chi poteva farlo se neanche io l'avevo fatto? No, non so tenerlo un segreto, gli avrei voluto dire, ma per quanto fosse sciocco rispondere così, evitai. "Ti voglio bene." Dalle mia labbra si spezzarono queste poche parole. Leon mosse il capo verso destra, incuriosito e senza dire una parola mi guardò riponendo il libro tra le mie mani. Riposi a mia volta il libro nello scaffale, con un passo lo superai e la mia giornata terminò alle 11:45 di quel giovedì, diciassette giugno.
  
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