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Autore: SallyLannister    28/07/2014    1 recensioni
Carter era un uomo insensibile e a tratti crudele. Non si curava del prossimo nemmeno per attimo, quando però nella sua vita accadde l'impensabile. Diverse vicende si abbatterono su di lui, rendendo la sua vita diversa da come in realtà il giovane aveva sempre voluto.
Questa è la storia di tradimenti, inganni, menzogne, crimini e sì, anche d'amore.
___ Dal Testo ___
[...] Pianse in singhiozzi mentre il ragazzo la guardava senza la minima espressione sul volto. Aveva visto tante donne piangere, lei era una di loro, non aveva nulla di particolare.
Senza degnarla di uno sguardo la lasciò sul letto a piangere e infilandosi un paio di pantaloncini si diresse verso la finestra, arrampicandosi per ritrovarsi sulle scale antincendio del palazzo.
Dopo vari istanti i singhiozzi cessarono e la porta di casa sbatté.
Carter trasse un lungo e intenso sospiro, finalmente era finito tutto.
Genere: Drammatico, Erotico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 5
 
 
«Insomma sei proprio sicuro che sia incinta? » Domandò Aaron a bassa voce, sporgendosi appena verso il suo migliore amico, per non farsi udire da nessuno.
Carter ogni volta che si apriva quell’argomento così scomodo, cominciava inevitabilmente a sudare. Andava completamente in panico e non poteva farci nulla. Quella scena lo tartassava anche di notte, che perfino si era ridotto a sognarsi padre e intento a cambiare pannolini a destra e a manca, ovviamente tutto quello gli portava frequenti conati di vomito.
«Sì. Ti sembra il luogo per parlarne?» Ringhiò Carter rivolgendosi al ragazzo che poco saggiamente aveva aperto quel discorso in ambito lavorativo. Se solo fosse stato così, Josh l’avrebbe scuoiato vivo, non che gli importasse, ma non voleva accollarsi nessuna scomoda responsabilità.
Aaron si voltò per guardarsi le spalle e notare che il loro capo era intento a leggere un giornale e grattarsi la fronte stempiata.
«Non ci sta badando. Comunque che ne sai, potrebbe aver messo su qualche chilo. » Azzardò come se volesse rincuorarlo.
Carter non sapeva dire precisamente perché ma era fermamente convinto che la ragazza fosse incinta, per giunta di suo figlio. Non poteva esserne certo in nessun modo ovviamente, visto che dopo un’attenta riflessione aveva rammentato che quella che lui aveva enfatizzato come “pancia” era una lieve e appena accennata rotondità nel basso ventre; quindi Aaron poteva aver benissimo ragione, ma il suo sesto senso gli diceva nettamente l’opposto.
«Ne sono sicuro. Merda. Merda. Merda. » Carter si agitò visibilmente, rischiando di procurarsi un ennesimo attacco di conati.
Aaron che ormai si era guadagnato il ruolo di “amico fidato” gli poggiò una mano sulla spalla, poiché il suo amico era in seria difficoltà.
«Carter calmati. Non è incinta. Poi pure se lo fosse, chi dice che è figlio tuo? » Sostenne sottovoce, in seria preoccupazione per la salute mentale di quest’ultimo.
«Penso che io lo sappia, visto che gli sono venuto dentro. » Sibilò a denti stretti, in preda ad un improvviso attacco d’ira. Com’era possibile che fosse stato così stupido e sciocco da fare una mancanza del genere. Non ricordava nemmeno precisamente come aveva fatto, a essere così stupido, eppure era successo, svariate volte. Naturalmente era un ragazzo sveglio, aveva detto alla ragazza che era accaduto quel piccolo disguido e lei lo aveva assicurato dicendogli che aveva rimediato.
Completamente fuori di sé, si passò una mano fra i capelli in preda alla mera disperazione. Aaron non sapeva cosa dirgli, anche perché non era del tutto certo che ciò che Carter si affannava a dichiarare fosse la verità.
«Ascolta, non puoi rammaricarti in questo modo. Se non ti ha ancora detto nulla, ci sono due soluzioni: 1- Non è incinta. 2- Non sei tu il padre.  Adesso smettila di fare il pazzo e calmati. » Finì Aaron con quel finto tono autoritario che non gli calzava per niente bene.
Carter si ricompose, ricordandosi che non era il tipo da farsi suggestionare da simili avvenimenti. Dove era finito Carter il menefreghista? Ecco, in tal caso se ne sarebbe completamente infischiato.
Alzò gli occhi al cielo e si dette una calmata, passando una mano fra i folti capelli marroni per riavviarli, cosa che faceva solitamente quando era nervoso.
«Ah, secondo me dovresti riguardarti dal dirlo a Lexi. Sai, non è un tipo tranquillo e non credo che lei possa prenderla con diplomazia. » Suggerì Aaron prima di inabissarsi sul motore di una vecchia macchina d’epoca.


***
 

«Ti sta bene! » Esclamò Lexi una sera mentre Carter stava abbassando la serranda dell’officina.
Carter non nascose la sua seccatura poiché Aaron in “confidanza” si era fatto scherzare fra una battuta e l’altra che Carter aveva presumibilmente messo incinta la figlia del loro capo.
Lexi era una donna veramente scaltra e sveglia. Il suo metro e cinquantacinque non le impediva di essere una ragazzina terribile, diceva sempre la sua senza preoccuparsi di essere invadente o di risultare scontrosa; per quei motivi lei e Carter si ritrovavano a discutere spesso sotto lo sguardo divertito di Aaron.
«Ne hai ancora per molto ragazzina? » Sbuffò ancora infastidito lui, mentre si rialzò con un gesto sinuoso, una volta assicurato la serranda al suolo con uno spesso catenaccio di ferro.
«Sì! Sei un’irresponsabile. Sei uno stronzo, un arrogante e non capisco cosa ci trovino le ragazze in te. » Continuò lei mentre il suo ragazzo se ne stava in disparte a ridere sotto i baffi.
Carter voleva bene ad Aaron ed era per quei motivi che non si sbilanciava troppo con Lexi, altrimenti l’avrebbe fatta già fuori o addirittura condurla alle lacrime con quei suoi modi poco cortesi e gentili di dire le cose.
Lui amava la propria privacy e gli stava a noia che qualcuno potesse intaccarla anche con un solo gesto. Odiava perfino che intralciassero il suo spazio vitale; specialmente quando tutti e tre erano fuori per mangiare un boccone dopo il lavoro e lei stendeva i piedi fasciati da tacchi alti sotto il tavolo in direzione di Carter. Aaron dal canto suo, era divertito di quella situazione, sapeva che anche se il suo amico fosse burbero ed egocentrico, comportandosi il più delle volte da vero stronzo, intuiva che dentro di lui c’era un disperato bisogno di avere qualcuno accanto.
«Attenzione honey, altrimenti ti butto sotto con l’auto. » La minacciò Carter anche se non l’avrebbe mai fatto, un pensiero lo aveva quasi sfiorato, peccato che non aveva un auto.
Vide con la coda dell’occhio la ragazza mordersi il labbro per non rispondere e Aaron prenderle la mano facendole un gesto di dissenso con la testa, proprio per esortarla a fare silenzio. Carter apprezzò veramente tanto l’intervento del suo amico che, rimase in silenzio ringraziando di quel momento di pace, senza la voce squillante e fastidiosa della bionda.
 
 
L’aria tesa si dissipò con l’arrivo dei due ragazzi alla pizzeria, dove Aaron aveva organizzato una delle sue solite cenette per far legare i due. Carter le odiava, ma non per qualcosa, ma per il semplice fatto che la bionda teneva a puntualizzare ogni cosa e a dire inevitabilmente la sua, su ogni argomento possibile ed immaginabile.
«Avevate delle tacche su un muro? » Chiese con la bocca spalancata Lexi, ma con l’aria divertita. Aaron sembrava sollevato che quest’ultima l’avesse presa ridendo e non gli avesse urlato contro.
Carter si strinse nelle spalle, fingendo un’aria colpevole e trangugiò una fetta di pizza rossa ai peperoni.
«Mi sembra una cosa così povera. » Affermò la ragazza poiché entrambi avevano fatto silenzio.
Carter lanciò un’occhiata arrabbiata ad Aaron che si giustificò guardando la propria donna con un’espressione innamorata che fece quasi passare la voglia a Carter di continuare a consumare il suo pasto.
La pizzeria era abbastanza tranquilla solitamente, ma quella sera era decisamente affollata grazie al brutto tempo che si stava preparando fuori dalle porte del locale. Il cielo era terso e nell’aria si sentiva odore di pioggia, anche se non era ancora precipitata al suolo.
I ragazzi potevano considerare quel luogo il loro rifugio; il posto era piccolo e accogliente. Le linee generali del negozio erano retrò, conferendo al luogo un tipico aspetto di quelle pizzerie anni cinquanta.
«Non è una cosa squallida. Mi piace sottolineare le mie conquiste.  » Profferì l’uomo posando la fetta di pizza, aveva momentaneamente perso l’appetito.
«E’ comunque squallido. » Ribatté prontamente Alexis che non voleva sentire ragioni di alcun tipo.
«Piccola, siamo uomini passiamo così il tempo. » Aaron tentò di giustificarsi per entrambi, ma senza il minimo risultato, anzi la bionda lo guardò di traverso e lui si zittì definitivamente.
«Vuoi dirmi che puoi conquistare chiunque? » Enunciò dopo un po’ la bionda.  Era strano come avesse fatto silenzio per ben cinque minuti filati.
«Sì. » Tagliò corto Carter guardando annoiato fuori dal vetro accanto a dov’erano collocati.
«Anche se ti proponessi una scommessa? »
«Che scommessa? » L’attenzione di Carter fu rapita a quelle parole, facendo assumere al suo viso un’aria di compiacimento. Amava le scommesse, specialmente quando le faceva con il suo amico, cosa che non succedeva ormai da troppo tempo.
La ragazza scoppiò a ridere e si sporse verso di Carter.
«Allora Don Giovanni, ti sfido ad andare verso una delle ragazze qua dentro e portartela a letto entro stasera. Ci stai? » Aggiunse la domanda con un sorrisetto di sfida disegnato su quelle labbra sottili.
Aaron strabuzzò gli occhi e scoppiò a ridere per ciò che la sua ragazza aveva proposto, non era decisamente da lei fare cose del genere.
«Niente di più facile. » Disse lui aggiustandosi sulla sedia, facendo aderire completamente la schiena allo schienale.
«Aspetta, devo indicarti io la ragazza. » Ridacchiò soddisfatta perché pensava che non ci sarebbe mai riuscito. Per quel che ne sapeva, la ragazza poteva essere fidanzata o addirittura sposata.
«Quella lì. » Alzò il braccio e indicò una persona seduta tre tavoli dietro di loro.
Carter si alzò in piedi, per vedere il dito della bionda chi stesse indicando e una volta intravista la sua preda, si sistemò i capelli e avanzò a passo svelto e deciso verso la ragazza.
Lei era posta di spalle, aveva una postura morbida e continuava a toccarsi i capelli marroni, stringendo alcune ciocche fra l’indice e il pollice. Sembrava attenta a guardare attentamente qualcosa sul tavolo che non prestò attenzione alla sedia dinnanzi a lei che prontamente Carter andò a occupare.
Carter sperò che fosse carina, non riusciva a vederla in viso, visto che era piegata sul tavolo a leggere “Orgoglio e pregiudizio” con acanto una fetta di pizza la formaggio abbandonata.
Alzò lo sguardo per vedere Lexi e Aaron che ridevano a crepapelle per ciò che stava facendo il loro amico, che pigramente eseguì una smorfia a entrambi concentrandosi nuovamente sulla ragazza.
Il viso era parzialmente coperto dai capelli che le ricadevano avanti, per via della postura china. Lui ebbe tempo di osservarla per bene, ringraziando che non fosse una di quelle ragazze orribili che Aaron gli passava ogni volta in officina.
Con un colpo di tosse annunciò la sua presenza e la ragazza lentamente alzò il capo dal libro.
E in un attimo la vide: era lei.
Lei era la ragazza che quasi un mese prima aveva visto da Starbucks, quella che gli aveva rubato il tavolo.
Però lei, sembrò non riconoscerlo perché lo guardò con un’aria confusa, forse anche perché Carter si era fermato a guardarla, sembrava quasi incantato.
Cosa diavolo fai?! Quella vocina assalì la sua mente con un urlo, per poi rendersi conto che era fermo e imbambolato davanti alla ragazza da svariati minuti buoni prima di decidersi a parlare.
«Ehm ciao. » Disse lei con la stessa voce soave che lui ricordava ancora.
Rimase un attimo in silenzio per capire come doveva sfoggiare la sua tattica, per non perdere di nuovo l’opportunità con quella ragazza, poiché gli era già andata male una volta.
«Ti stavo guardando da lontano. Sai che sei molto carina? Anzi, oserei dire la ragazza più bella del locale. » Aggiunse in un tono del tutto lusinghiero. Il che non era del tutto falso, la ragazza davvero era bella, anche se non era perfetta e non era bionda come piaceva a lui, era pur sempre una bella ragazza.
Lei a quelle parole arrossì, nemmeno come se avesse avuto quindici anni e abbassò la testa imbarazzata.
«Sei gentile. Non credo che tu mi abbia notata da lontano comunque. Ci sono molte ragazze qui. »
«Invece sì, ti ho vista da lontano. Ho come un radar per le belle ragazze. » Il suo tono era sicuro di sé, certo che quella volta non avrebbe fallito e che sicuramente lei sarebbe cascata nella sua tela facendogli così vincere la scommessa.
Nonostante il suo tono fosse sicuro, la ragazza si sentì quasi turbata, come se avesse compreso le sue silenziose intenzioni che si chiuse a riccio, mettendosi sulla difensiva.
«Sono sicuro che sia una cosa che dici a tutte. »
«Non sei tutte. »
«Per te lo sono. Sei bugiardo, anche se non ti conosco. »
Carter scoppiò a ridere mostrando la dentatura bianca a perfetta. Quando rideva, le fossette sulle guance erano messe in evidenza, donandogli un fascino ancora maggiore, uno charme che per sua sfortuna non colpì nemmeno di striscio la ragazza.
«Come fai a sapere che sono bugiardo? »
«Conosco abbastanza gli uomini da saperlo. » Ribatté con durezza, incrociando entrambe le braccia sul tavolo, all’altezza del proprio petto.
«Sei stata con molti uomini? » Domandò lui, cominciando a essere infastidito dalle troppe domande. Il discorso era già dilungato troppo per i suoi gusti, ma non voleva a tutti i costi perdere la sfida, così continuò.
«No, ma ho conosciuto quelli come te. »
«Come pensi che io sia? Non mi conosci nemmeno! » Asserì lui guardandola quasi di traverso, ma con un ché di divertito nella voce.
«Non lo so, non riesco a inquadrarti. Sei sospetto e non m’ispiri fiducia.» Lei lo guardò attentamente che un brivido percorse la schiena di Carter, sembrasse che lei stesse guardando dentro di lui.
«Nessuno dice che debba fidarti. Ho solo espresso un parere. Volevo sapere semplicemente se ti andava di fare un giro più tardi. » Tagliò corto lui, cercando di stroncare quella conversazione che stava prendendo ormai una piega imprevista e prima che sfociasse nello spiacevole, doveva concludersi.
«Devo tornare a casa. » Ribadì lei prontamente.
«Ti accompagno io. » Cercò di nascondere la sua espressione disgustata, non era il tipo che facesse quelle cose, però era esattamente il tipo che faceva di tutto per una scopata.
«No, grazie. » Si alzò e Carter fece altrettanto, notando in quel momento che Aaron e Lexi erano andavi via, lasciandolo completamente solo. Conoscendo i suoi amici probabilmente erano andati a copulare a casa di Aaron.
«Insisto. »
«Insisti pure, non ne ho bisogno. » La sua espressione da dolce divenne dura, era quasi infastidita dal comportamento del ragazzo che però non volle mollarla nemmeno per un attimo. DOVEVA VINCERE.
 
 
«La smetti di seguirmi? Sei snervante. » Esclamò lei guardando il cielo, mentre camminava spedito alcuni passi di distanza da Carter.
Lui le trotterellava dietro quasi come se fosse un cagnolino, non si dava per vinto, doveva a tutti i costi portarsela a letto entro mattina. Era la sua sfida e lui non perdeva mai le sfide, soprattutto se a lanciarla, era stata Lexi.
Continuò a seguire la ragazza, rischiando anche di essere considerato uno Staller, ma lei aveva l’aria divertita, poteva notarlo da quelle poche volte che si era voltata per vedere se lui la seguisse ancora.
Non aveva mai fatto una cosa del genere, non era proprio il tipo, ma doveva ammettere che si stava divertendo anche lui. Più la seguiva e più aveva voglia di averla, di averla tutta per sé per una notte.
«Ancora non ti sei stancato? » Chiese lei mentre svoltava un angolo.
«Affatto. Ti sto accompagnando, anche se non so il tuo nome. » Disse con tono pacato lui, infilando le mani intasca e stringendosi appena nelle spalle, per via di quel venticello che gli solleticava il viso.
«Non vedo perché dovresti saperlo. »
«Non vedo perché non dovrei. » La rimbeccò lui, sempre più divertito.
«Se ti dico il mio nome mi lasci in pace? » Chiese ormai sul punto dell’esasperazione la ragazza che intanto si era fermata davanti ad un portoncino di ferro, frapposto in una piccola rientranza di un grosso palazzo rosso.
Sicuramente erano arrivati a casa, Carter sperava che lei lo facesse salire, ma dall’andazzo delle cose non ci sperava poi tanto.
«Questa è casa tua? » Domandò osservando il palazzo e poi il portone di ferro dietro di lei.
«Può essere. » Faceva la vaga.
«Posso salire? » Azzardò lui sfoggiando il suo sorriso smagliante e si avvicinò di un passo verso di lei, mentre quest’ultima indietreggiò verso il portone.
«Non credo proprio! » Il suo tono di voce cominciò a essere sbrigativo, temendo che lui potesse farle qualcosa.
«Dimmi il tuo nome allora. » Sussurrò lui, poiché ormai erano a pochi passi di distanza.
La strada era completamente buia, nessuno che passava nemmeno un’auto. Notò che la giugulare della ragazza prese a pulsare, probabilmente dello spavento pensando che lui potesse approfittare di lei in qualche modo, non era mai arrivato a tanto, era una cosa che ripugnava anche un essere spregevole e senza cuore come lui.
«Hai paura di me? » Scoppiò a ridere con quella sua risata roca, facendo trasalire appena la ragazza.
«No. Adesso vado. Ciao. » Lei si voltò velocemente e inserì la chiave nel portone.
Ora o mai più. Carter si precipitò alle spalle della ragazza, che notando ciò che lui aveva intenzione di fare cercò di chiudere il portone alle sue spalle una volta entrata. Carter poggiò la mano possente sulla superficie di ferro per trattenere la porta e la guardò con il suo sguardo penetrante.
«Dimmi il tuo nome. » Insistette, guardando il viso della ragazza nello spiraglio aperto del portoncino di ferro.
«Charlotte Samuel, adesso vattene. »
Soddisfatto, lasciò andare la porta che la ragazza chiuse velocemente, provocando un rumore sordo di metallo, quando il pistone entrò nel proprio spazio.
Un tuono ruppe il silenzio e in un attimo grosse gocce d’acqua caddero al suolo, bagnando velocemente il ragazzo e inzuppando i suoi vestiti.
Un nome: Charlotte, era tutto ciò che accompagnò Carter durante tutto il tragitto verso casa.
   
 
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