Il camper sembrava normalissimo da
fuori, al massimo più largo
del normale. Bianco, forma classica, grandi finestrini, e
s’intravedeva un’apertura
sul tetto; era l’interno la vera sorpresa.
Intanto nel piano più basso erano riusciti a ricavare
addirittura due stanzette, una più piccola che serviva da
bagno, con una doccia
minuscola ma comunque funzionale; la più grande ospitava
insieme cucina, un
piccolo tavolo da pranzo appena sufficiente per otto persone, se si
fossero
strette, e una collezione di fumetti della Marvel sopra un comodino.
Salendo pochi gradini, ci si ritrovava in un primo piano
in qualche modo più grosso di quello sottostante, che
riusciva a contenere otto
cuccette, cinque delle quali erano già decorate con qualche
oggetto degli
occupanti: in una si potevano intravedere moltissimi fogli coperti di
scritte
in latino, in un’altra una seria di disegni di armi, e una
fodera dorata per
una spada. Una cuccetta ospitava due letti, probabilmente
perché non c’era
stato abbastanza spazio per una nona, e dovevano aver pensato che,
poiché
secondo la profezia il suo occupante sarebbe arrivato in seguito,
sarebbe stato
meglio non sprecare neanche un centimetro.
Ma la vera sorpresa stava nello scoprire che, nascosto
grazie a un’abile manipolazione della Foschia, esisteva un
terzo piano grande
quanto il primo, ospitante una piccola veranda panoramica con un vaso
di
giacinti la cui presenza era giustificata grazie a una loro
particolarità: erano
stati donati da Apollo a uno dei suoi figli, nonno di Vicky, e sarebbero rimasti
fioriti finché il loro
possessore fosse stato in buona salute. Alla sua morte si sarebbero
spenti
anche loro, mentre quando cominciavano ad appassire era probabile che
il tale
fosse malato o comunque in grave pericolo; la zia della ragazza aveva
scoperto
un tumore in sviluppo, grazie a quei fiori. Ora ospitava anche buona
parte dei
libri di June e Marc, che era corso di sopra appena aveva saputo di un
posto
all’aperto e l’aveva eletta sua stanza; vantaggi
della claustrofobia, potersi
prendere il posto migliore.
Il mezzo era stato costruito anni prima, ma nessuno
l’aveva mai usato per un motivo o per l’altro. Theo
e Vicky l’avevano scoperto
nella periferia di Nuova Roma e se ne erano innamorati:
l’avevano portato agli
ingegneri che l’avevano risistemato, con la collaborazione
del ragazzo, che era
uno di loro, e l’occasionale aiuto di Lily, che aveva qualche
nozione di
meccanica e si divertiva a stare lì.
-
Ci ho
messo un po’ a farmi accettare: di solito
i figli di Venere non si avvicinano mai a loro, ma alla fine li ho
convinti.- stava
dicendo la ragazza in quel momento, giocherellando con una stecca di
liquirizia
trovata nel cruscotto.
-
Sembra
forte.- commentò Dylan. Gli sarebbe
piaciuto vedere tutte quelle cose da solo, ma ancora prima di salire
l’avevano
mandato a guidare, in virtù del fatto che era
l’unico nel gruppo ad avere la
patente tranne James, che però, appena avevano cominciato a
sistemare i bagagli,
si era defilato nella sua cuccetta e lì era rimasto,
lasciando lui in balìa del
volante e di quella ragazza timida e con i sentimenti così
confusi da fargli
venire il mal di testa.
-
Non
lo è, ne sono consapevole.- ammise lei.- Ma
devo tenerti compagnia.-
-
Sei
la mia baby-sitter? Credevo di essere
cresciuto per queste cose.-
-
Sono
più grande di te, posso prendermi questa
responsabilità.- replicò Lily con un sorriso.
-
Sei
nata prima di aprile, quindi?- chiese il
ragazzo.
-
Aprile?-
Dylan le lanciò uno
sguardo, incuriosito: - Be’, io sono
di quel mese. Se sei nata prima di me…-
-
Oh.
Sì.- fece lei annuendo.
-
È
stato James a dirti la data del mio
compleanno?-
-
Come?
No.- replicò lei.
-
E
allora…come sai di essere più grande? La mia
età l’hai sentita prima, e so che siamo coetanei.-
Lily lo fissò sgranando
gli occhioni azzurri e boccheggiò
per qualche secondo prima di rispondere, ansimando: - Era una battuta.
Io
sono…sono nata a inizio febbraio quindi mi sembrava
probabile che…-
-
Okay,
capito, tranquilla.- la interruppe Dylan,
temendo che le venisse un infarto.
L’altra lo
guardò ancora per un momento, confusa, poi
annuì velocemente e tornò a fissare la liquirizia
e a rigirarla tra le dita,
lasciandolo libero di concentrarsi sulla strada e sul forte odore di
ormoni che
aleggiava nell’aria. Essere un figlio di Eros poteva essere
tanto esaltante
quanto frustrante, a seconda del proprio carattere e livello di
pazienza: bisognava
sopportare ondate di sentimenti diversi e contrastanti da ogni persona
nei
paraggi, e si doveva imparare a distinguere i propri da quelli degli
altri,
cosa non molto facile, in particolare per degli adolescenti.
Altra cosa da accettare era l’essere detestati o temuti
dalla maggior parte della gente, specialmente, ma non solo, del sesso
opposto;
in più, in caso si fossero messi con qualcuno, sarebbe stato
difficile capire
se i sentimenti della persona interessata fossero stati reali, o solo
dettati
dai feromoni che potevano emettere volenti o nolenti.
Infine c’era da adattarsi alla solitudine: Dylan aveva solo
tre compagni di casa, due ragazze e un altro ragazzo, e di questi
riusciva a
parlare senza litigare solo con Parker, il più piccolo di
loro, e solo perché
non era ancora abbastanza grande per capire tutti gli intrighi amorosi
del
Campo ed era quindi molto meno stressato di loro. Neanche con i parenti
da
parte di madre era riuscito a stringere un rapporto anche solo
superficiale, erano
spaventati da lui. Alla fine i fratelli se li era scelti da solo, i
suoi
migliori amici, gli unici che lo trovassero simpatico senza
l’aiuto di alcuna
induzione, anche se nessuno dei due viveva più al Campo
ormai.
Guardò ancora Lily: aveva avuto paura che la confusione
della ragazza fosse stata dettata da un ormone che avesse emesso per
sbaglio,
ma il fatto che non gli fosse saltata addosso l’aveva
rassicurato. Non gli
piaceva attrarre le ragazze solo per i suoi poteri, era noioso,
molto meglio sedurle con le sue capacità personali.
Inoltre, lei lo inquietava e in più aveva sentito
chiaramente che piaceva a
James, e non poteva certo rubargli la ragazza.
Vedendola, sorrise di tenerezza: aveva strabuzzato gli
occhi all’apparizione della Statua della Libertà
in lontananza, minuscola ma
ben riconoscibile. Erano due anni che Dylan non andava a New York, da
quando era
andato sull’Olimpo con altri ragazzi, per il solstizio
d’inverno; quel giorno
aveva mangiato il bagel più buono della sua vita; quando
fossero tornati gli
sarebbe piaciuto prenderne un altro. Se fossero
tornati, si ricordò; non sembrava una missione pericolosa,
ma aveva imparato che
anche nelle avventure più noiose potevano nascondersi i
pericoli più mortali.
-
Sei
felice di andare dalla tua famiglia?- chiese
Lily.
-
Non
mi fa né caldo, né freddo. Li ho visti un
mese e mezzo fa, so che stanno bene. Stare o no con loro non
m’interessa, e
l’idea che mia sorella possa essere il nuovo
Oracolo…mi fa venire i brividi.-
confessò l’altro.- Dubito che sia lei ma, se
accadesse…oh, non ci voglio
neanche pensare. Tu hai fratelli? A parte quelli del ramo divino,
certo.-
-
Una
sorella maggiore.-
-
Simpatica?-
-
La
adoravo. Ora è andata via, non so
dov’è.-
-
Mi
dispiace.-
-
Oh,
è felice credo, non c’è problema.-
replicò
lei, sorridendo, e finalmente addentò la liquirizia. Che
però le andò di traverso
quando il camper urtò qualcosa e cominciò a
sbandare a destra e a sinistra. Dylan
tentò disperatamente di riprendere il controllo, mentre Lily
si aggrappava al
sedile e da dietro si sentivano rumori di urli e oggetti che cadevano,
il mondo
fuori dal finestrino che girava e girava, fino a diventare una macchia
indistinta.
I ragazzi sperimentarono la gelida
e paralizzante paura
della morte, il terrore primordiale che nessuno può capire a meno che non
l’abbia sperimentato in
prima persona; finché il ragazzo non riuscì
fortunatamente a
frenare, finendo in mezzo a un prato, a
pochi metri da un cartellone pubblicitario.
Il figlio di Eros non riuscì a staccare le mani dal
volante e osservò le nocche pallide come la neve per cinque
minuti buoni,
mentre al suo fianco Lily respirava pesantemente, piegata in due, le
dita che
stringevano spasmodicamente la cintura di sicurezza che aveva
allacciato in
fretta e furia durante la folle corsa. Dal retro non si sentiva nulla.
Con mani tremanti, Dylan aprì la portiera e scese dal
mezzo, cadendo sull’erba e respirando profondamente per far
calmare il panico,
in attesa che la nausea si placasse e l’ambiente circostante
tornasse a essere
stabile. Nel mentre chiuse gli occhi e si mise ad ascoltare i suoni
intorno a
sé: un’auto in lontananza, qualche uccello
sporadico e un conato di vomito.
Si voltò di scatto verso la fonte del rumore, e
trovò
Hannah accovacciata davanti a un cespuglio lì vicino, i
capelli lunghissimi
raccolti in uno chignon frettoloso, di certo per evitare che si
sporcassero. Ammirato
per la prontezza di spirito dell’altra, si alzò
barcollante e le si avvicinò mentre
terminava la sua attività e si accasciava a terra, pulendosi
velocemente con un
fazzoletto.
-
Mentina?-
propose, prendendo il pacchetto.
-
Grazie.-
fece lei.- Che cosa è successo?-
-
Non
lo so, credo che qualcosa ci abbia colpito.-
-
Qualcosa
ha colpito la ruota.-
replicò Hannah guardando oltre Dylan, che si
voltò a sua
volta e capì in parte che cos’era accaduto: dal
copertone spuntava una freccia,
e lì accanto un pugnale di bronzo celeste con
un’elsa nera. Il ragazzo si
avvicinò e prese entrambe le armi.
-
Non
ho idea di chi sia la freccia, ma questo è
di Marc.- constatò, infilandoselo distrattamente in tasca.-
Oh dei, non è che è
caduto?- aggiunse fissando terrorizzato l’altra.
-
In
effetti ho visto qualcosa che andava verso il
basso.- Hannah sgranò gli occhi e si alzò di
scatto. – Ma è successo un attimo
prima di fermarci, non può essere lontano.-
Dylan annuì: - Dobbiamo
cercarlo.-
La ragazza si slacciò la cintura che, prima che il greco
potesse cominciare a pensare male, si trasformò in una
lucente spada di oro
imperiale che impugnò con aria esperta. Dylan fece segno a
June, che si era
affacciata, di rimanere su e si avviò con l’altra
lungo il prato. Le lanciò
un’occhiata: era bella, certo, specie in quel momento in cui
era disordinata,
con un lungo ricciolo rosso che sfuggiva dall’elastico e le
copriva un occhio,
azzurro come il cielo in tempesta. Ma la sua avvenenza non cancellava
la sua
pericolosità: teneva la spada in un modo che faceva capire
come fosse pronta ad
usarla, ma il ragazzo non sapeva se fra i nemici ci fosse anche lui, e
il suo
arco era rimasto nel camper, quindi non aveva armi a parte se stesso.
Non un
granché, insomma. Vedendo gli sguardi che gli lanciava, poi,
era certo di
essere in procinto di morire.
-
Eccolo!-
esclamò Hannah.- Ma con chi è?-
Dylan guardò a sua
volta. Marc era davvero lì, in piedi e
apparentemente tranquillo, e parlava con due centauri
dall’aspetto curioso:
capelli lunghi l’altro fino alle spalle e ben pettinati, per
uno castani e per
l’altro biondi, toraci muscolosi e occhi chiari e ammiccanti.
Non erano di
certo Party Pony, erano troppo curati, ma avevano qualcosa di diverso
anche da
Chirone. Si avvicinarono ancora di più e allora vide le loro
strane code: quei
due non avevano la parte inferiore di cavallo, erano per
metà asini.
-
Salve.-
esordì, ma Hannah lo interruppe subito.
-
Felici
di avervi conosciuti, ma siamo in
ritardo. Andiamo, Marcus.- afferrò il figlio di Ade per il
braccio, ma lui si
divincolò.
-
Lasciami,
mi piace stare qui.-
-
Il
caro Marc apprezza la nostra compagnia.- s’intromise
l’asino biondo.
-
Bene,
io no.- replicò la ragazza.
Il castano si avvicinò
a Dylan e, con un sorriso
rassicurante, gli poggiò la mano sulla spalla: -
Perché non rimanete anche voi?
Mi spezzerebbe il cuore allontanarmi da due occhi di smeraldo
così belli.-
-
In
realtà sono più color erba.- replicò
lui
facendo un sorriso spudoratamente finto e indietreggiando.
-
Sono
comunque meravigliosi.-
-
Sì.
Lo so, e sono lieto che lo riconosciate, ma
dovremmo proprio andare.-
Il sorriso dell’asino
vacillò per un momento, ma tornò
subito al suo posto: - Non così presto! Deliziami ancora un
po’ con il suono
della tua splendida voce. Scommetto che sai cantare divinamente.-
-
È
verissimo.-
-
Conosco
un posto in cui potresti dimostrarlo a
ogni ora del giorno. Vuoi venirci?-
-
Mi si
seccherebbe la gola. Scusa Ih-Oh, devo
proprio andare.-
-
Almeno
lascia che accarezzi i tuoi setosi
capelli.-
-
Sono
onorato, ma, primo, sono pieni di gel al
momento, e, secondo, non sono gay. Grazie, eh.- concluse il ragazzo,
accostandosi
agli altri due. Hannah stava intrattenendo una conversazione
altrettanto
interessante con il biondo, mentre Marc sembrava stizzito.
-
Sei
davvero la ragazza più bella che abbia mai
visto.- stava dicendo lui.
-
Possiamo
piantarla con le ovvietà?- ribatté la
ragazza, appoggiando la punta della spada contro il suo collo.
Fu in quel momento che Dylan
capì quanto fosse stato
stupido avventurarsi senza armi nella ricerca di un semidio. Ih-Oh fece
comparire dal nulla arco e frecce, e le puntò alla tempia di
Marc, che sgranò
gli occhi, mentre il biondo prese una frusta che a quanto pareva aveva
nascosto
intorno alla coda, e scoccò un colpo contro Hannah, che fece
uno scatto
indietro, venendo così costretta ad allontanare la lama.
Le smorfie arrabbiate devastavano la bellezza dei due.
Quella, e la posa minacciosa che stavano tenendo avvicinandosi. La
punta della
freccia penetrava sempre di più nella pelle di Marc, una
goccia di sangue scese
fino alla sua guancia.
-
Be’,
se non volete seguirci con le buone, direi
che le cattive vanno bene lo stesso.- fece il castano con un ghigno.
-
La
prima battaglia della missione è contro Ih-Oh
e Ciuchino? Sul serio?- sibilò il figlio di Eros. Doveva
essere la frase
sbagliata, perché il biondo lanciò un urlo di
frustrazione.
-
Non siamo
asini! Siamo Onocentauri!-
-
Onoche?-
chiese lui. Hannah fece spallucce, ma
Marc spalancò gli occhi ancora di più e
cominciò a tremare.
-
E tu
ferma la spada, mocciosa. Una sola mossa e
lui muore.-
-
Se
rimettessimo le armi a posto e ce ne
andassimo?- propose Dylan.
-
Spiacente,
siamo qui per cacciare, e non
torneremo a casa senza una preda.-
-
Be’,
avete già lui...non guardatemi così,
scherzo!- Marc gli lanciò un’occhiata sprezzante,
ma abbassando gli occhi notò
qualcosa e mosse freneticamente gli occhi per dirgli qualcosa.
Dylan li abbassò a sua
volta e vide erba, scarpe,
pantaloni e…il pugnale. Guardò il figlio di Ade,
accennando ai due, e l’altro
capì.
-
Quindi
voi adulate le persone per…per?- chiese
Marc tentando di non tremare.
-
Le
attiriamo alla nostra tana e li uccidiamo.-
rispose Ciuchino con orgoglio.
-
Oh,
davvero interessante.-
-
Oh
sì.- asserì Ih-Oh.
-
E ha
sempre funzionato?- s’intromise Hannah, che
doveva aver capito.
-
Sempre.
Anche il ragazzo ci stava cascando, ma
con voi no. Non ha effetto su chi è vanitoso da
sé.-
-
L’auto
adulazione è un mio hobby.- ammise la
ragazza.- Ma nessuno ha mai elogiato voi?-
-
In
effetti no.- ammise Ih-Oh.
-
Non
ci posso credere!- esclamò Marc.- Eppure siete
così in forma!-
-
Facciamo
venti piegamenti ogni mattina, e non è
certo facile con queste zampe.-
Mentre gli altri tre discutevano
sui vantaggi e gli
svantaggi degli zoccoli, Dylan mosse la mano verso la lama il
più lentamente
possibile, ma Ciuchino, lo sguardo attratto da una mosca che gli
volteggiava
attorno alla coda, lo vide e agitò la frusta verso di lui.
Hannah scattò in
avanti e tranciò la freccia, liberando il figlio di Ade, e
diede un calcio al
castano.
Il ragazzo si gettò a terra e riuscì ad essere
solo
colpito di striscio sul fianco. Ignorando il bruciore,
lanciò il coltello a
Marc, che lo prese al volo e lo infilzò nel petto di Ih-Oh.
L’onocentauro si
polverizzò lasciando a terra solo uno zoccolo. Ciuchino
agitò ancora la frusta
contro Hannah, che però la afferrò con la mano e
cominciò a tirare, finché non
riuscì a strappargliela di mano. A quel punto il biondo
arretrò e li fissò con
odio: - Vi siete fatti un nemico, figli degli dei!- e
galoppò via, lasciandoli
soli.
-
Bene,
io prendo questo.- disse Dylan
raccogliendo lo zoccolo.- Marc prende la freccia e Hannah la frusta.
Facile.-
La romana alzò gli
occhi al cielo e lanciò un’occhiata
all’altro greco, che però sorrise lievemente e si
strinse nelle spalle, rimettendo
il pugnale nella fodera. E facendo segno con la testa di andare.
-
Quindi
ora dovremo spiegare tutto agli altri?-
chiese la ragazza.
-
Certo!-
affermò il figlio di Eros.- Vuoi tenere
segreto che Marc si è fatto fregare da un asino?-
-
Oh,
sta’ zitto Dylan.- scattò l’interpellato.
-
L’hai
fatto e lo sai.- replicò Hannah con un
sorrisetto.- Ma dobbiamo riconoscere che erano due
asini. Insieme magari facevano un cervello.- aggiunse
superandoli.
I due maschi si fissarono, scrollarono le spalle e,
infine, la seguirono rassegnati, ammaccati e perplessi, mentre il sole
tramontava alle loro spalle.