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Autore: Mortisia_Ailis    29/07/2014    5 recensioni
Olimpia è cresciuta con le storie di guerra di suo nonno, con il naso all’insù guardando le frecce tricolore colorare il cielo di Roma di verde, bianco e rosso nel giorno della Festa della Repubblica sognando un giorno di essere su uno di quegli aerei, di sfilare nella parata insieme ad altri militari per il presidente della Repubblica. Olimpia è cresciuta con il patriottismo dentro, affascinata dalla divisa e dalle forze armate e dell’ordine. Con la voglia di aiutare e di mettersi al servizio della sua patria, proprio come il suo amato nonno. E compiuti 16 anni decise d’iscriversi alla scuola dell’Aeronautica Militare di Firenze, per renderlo orgoglioso. Luca è figlio del Maggiore dell’Aeronautica Militare, cresciuto in una caserma militare e indirizzato fin da piccolo nella carriera militare. Non ha mai mandato giù il fatto che suo padre avesse scelto quella strada della sua vita per lui, che prendesse ogni decisione al suo posto, ma a volte è difficile opporsi ad un militare e Luca non voleva deludere il padre. Solo alla fine del secondo anno nella scuola dell’Aeronautica Militare di Firenze, quando il padre lo nominò Allievo Scelto, iniziò ad apprezzare l’esercito.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Erano passate due settimane da quando Olimpia era in quella scuola. Si alzava il mattino alle 5:30, trenta minuti per preparasi e sistemare la sua parte della stanza, saluto alla bandiera e allenamento all’esterno. Caldo o freddo, pioggia o sole non faceva differenza, si correva all’esterno. Ore 7:00 colazione e poi tutti a lezione fino le ore 14:30. Finite le lezioni Olimpia si rinchiudeva in biblioteca, come quasi la maggior parte degli studenti, a studiare. Si era scelta un posticino solitario alla fine della grande sala, nascosto tra due scaffali dedicati all’anatomia animale. Polveroso, all’ombra e solitario. Nessuno avrebbe mai ficcato il naso in quell’angolo e così Olimpia poteva trascorrere il suo intero pomeriggio nascosta lì tra la polvere a studiare, a leggere, ad immergersi nel suo profondo mondo di pensieri fino all’ora di cena. Si rincontrava con Camilla nella sala da pranzo, al loro solito tavolo, con le altre ragazze della camerata. E al solito tavolo dietro il suo, Luca.
Non si erano più parlati dopo quella volta sulla panchina e al tavolo durante la colazione la settimana prima. S’incontravano per i corridoi della scuola, nel cortile, nella sala da pranzo, ma mai una volta si erano rivolti la parola. Un accenno di capo, qualche sguardo, ma nulla di più.
Luca continuava a non sapere il suo nome e giorno dopo giorno impazziva nel vederla senza neanche pronunciare il suo nome. Olimpia, d’altro canto, conosceva il nome del ragazzo “occhi smeraldo”, come lo avevano soprannominato le altre ragazze della scuola, ma non si era azzardata neanche una volta a chiamarlo. Lo incontrava poco, si vergognava da morire perché in fondo non lo conosceva, lui era sempre accerchiato da altre ragazze ed in più, Olimpia, non usciva mai dalla biblioteca. Chi si sarebbe mai interessato ad un topo da biblioteca come lei? Ma ad Olimpia non le era mai importato se non interessasse ai ragazzi perché le piaceva leggere. Olimpia, nei libri, trovava l’amore che aveva sempre sognato di vivere e le andava più che bene, perché viverlo attraverso le emozioni di un personaggio inventato avrebbe fatto meno male se fosse finito. Ma da quando quegli occhi smeraldo si erano incastrati nei suoi, Olimpia, non faceva altro che preoccuparsi di cosa Luca pensasse di lei.
Passavano i giorni e lui non faceva altro che guardarla da lontano, lui pensava che lei non lo vedesse, e invece lei poteva chiaramente sentire quel fascio verde posarsi su di lei e trafiggerle la pelle e l’anima. Ogni sguardo che Luca regalava ad Olimpia, per lei era un dubbio in più. Una frustrazione continua.
Perché mi guarda? Perché non fa altro che guardarmi? Perché mi guarda soltanto e non fa altro? E’ letteralmente accerchiato da ragazze e guarda me, perché? Forse si è accorto di quanto io sia strana. Chissà cosa starà pensando adesso di me. Chissà cosa pensa di me ogni volta che mi guarda. O forse non pensa niente di me perché non mi guarda affatto, è solo una mia impressione, una mia fantasia. Lui non mi guarda ed io non lo guardo. Lui non pensa a me e io non penso a lui, giusto? E’ così che deve andare, eppure non faccio altro che pensare a lui.
Eh sì, Olimpia pensava a lui. Pensava a lui quando si svegliava sperando di vederlo quel giorno. Pensava a lui mentre entrava nella sala da pranzo ed ispezionava tutti i tavoli chiedendosi se si fosse seduto al suo solito posto, dietro il suo tavolo e se l’avesse vista entrare. Mentre si dirigeva in classe, mentre era in classe, mentre usciva dalla classe, Olimpia, si chiedeva dove lui fosse e cosa stesse facendo: se stava studiando, se stava ascoltando la lezione, quale lezione avesse, se aveva un test o se, come lei, fosse distratto e chissà, magari stesse pensando proprio lei. Olimpia pensava a lui anche quando avrebbe dovuto studiare nel suo angolino isolato in biblioteca e invece si ritrovava con il naso tra le pagine di Orgoglio e Pregiudizio immaginandosi una storia tra lei e Luca come quella di Elizabeth e Darcy.
Più passavano i giorni e più Luca era distratto, isolato nel suo mondo di sogni e pensieri e tutti se ne erano accorti: dal suo migliore amico Andrea al sergente che li controllavano al mattino durante la corsa. Luca che era sempre stato alla testa dei ragazzi in corsa, sempre il primo a rispondere, ad essere attento, adesso era quello più assente di tutti. Sempre con la testa tra le nuvole, o meglio con la testa su Olimpia. In un costante ritardo, passava le notti sveglio a fissare il soffitto buio pensando e pensando.
L’inverno era arrivato molto in anticipo, una mattina di fine Ottobre, con un bel temporale. Il cielo coperto da grandi nuvoloni grigi, tanto da rendere il cielo quasi nero. Il vento soffiava forte costringendo Luca a stringersi ancora di più nella mantella blu scura. Le foglie secche scricchiolavano sotto i suoi passi mentre si dirigeva verso l’entrata della biblioteca. La pioggia scendeva giù con quanta più forza potesse. Proprio un bel acquazzone. La stradina che costeggiava il grande edificio era pieno di pozzanghere e per quanto Luca cercasse di schivarle per non bagnarsi, era impossibile non mettere un piede proprio dentro una di esse bagnando così l’orlo dei pantaloni. Per fortuna non ho accorciato la strada passando per il giardino come al solito pensò tra sé e sé mentre alzava lo sguardo verso le scalette. Proprio in quel momento il grande portone in legno dai battenti oro, si aprì rivelando l’esile figura di Olimpia stretta anche lei nella mantella blu della divisa troppo grande per lei. Stringeva a sé due grandi libri cercando di non farli bagnare. Si diede un’occhiata intorno e poi volse lo sguardo al cielo concentrandosi sul ritmo della pioggia e della forza cercando il momento giusto per uscire da sotto la tettoia per bagnarsi il meno possibile. Luca rimase fermo a guardare ogni suo singolo movimento, ogni sua espressione a pochi passi dalle scale.
Olimpia fece un respiro profondo ed uscì dal suo rifugio scendendo il primo scalino, ma le pozzanghere anche lì erano impossibili da evitare. Olimpia cercò di schivarle il più agilmente possibile, per quanto la sua goffaggine glielo permise, ma proprio all’ultimo grandino appoggiò male il piede scivolando e cadde a terra. I libri volarono in aria atterrando poco più in là in mezzo alla strada sotto la pioggia infradiciandosi tutti. Il cappuccio della mantella era scivolato lasciando i lunghi capelli biondi bagnarsi sotto l’acqua. Luca si affrettò verso di lei per soccorrerla.
Gran bella figura Olimpia si portò una mano sulla fronte cercando di nascondere il rossore sulle sua guancie per la vergogna. “Stai bene? Hai fatto una bella botta!” Luca si era accovacciato accanto a lei. Olimpia alzò lo sguardo verso di lui e notò che anche il cappuccio del ragazzo era sceso lasciando i suoi capelli scuri bagnati alla vista della ragazza. L’acqua che cadeva sulla sua testa per poi scorrere lungo il suo viso costringendolo in una smorfia lo rendeva ancora più sexy, più di quanto già non lo fosse, agli occhi di Olimpia. Luca strinse le sue grandi mani su un avambraccio della ragazza aiutandola a rialzarsi, ma la caviglia di Olimpia non resse il peso e una fitta di dolore la costrinse ad accasciarsi di nuovo su se stessa. Ma Luca velocemente avvolse l’altro braccio libero intorno la vita della ragazza per sorreggerla. Guardarono entrambi in basso verso la caviglia di Olimpia che alzò il pantalone quel tanto cha bastava per dare una veloce occhiata. Il gonfiore della caviglia era evidente anche oltre il calzino nero che indossava.
Luca non ci pensò due volte e, da gentiluomo qual’era, lasciò andare l’avambraccio della ragazza per far passare il braccio sotto entrambi i suoi ginocchi e alzarla prendendola in braccio. Olimpia si dimenò un po’ tra le braccia del ragazzo sentendosi a disagio. Cercava di scendere, quel gesto era alquanto inappropriato per due – quasi – sconosciuti, soprattutto in una scuola militare dove il contatto fisico tra gli allievi che andava ben oltre un semplice gesto di cortesia era vietato.
Luca strinse ancor di più la presa sulle gambe e sulla schiena della ragazza cercando invano di farla smettere di muoversi. Una silenziosa intimidazione di smetterla di muoversi. “Posso camminare” Olimpia cercò di nuovo di scendere dalle sua braccia cercando di riportare un piede a toccare terra, ma Luca fu più veloce di lei e riprese di nuovo la gamba. “No che non puoi. Ti porto io in infermeria.” , “Possiamo chiamare qualcuno.” , “Ho detto che ti porto io!” Luca le lanciò uno sguardo torvo, severo intimandola silenziosamente di smetterla a cui Olimpia obbedì appena vide gli occhi del ragazzo che non erano più di quel verde brillante che vedeva tutti i giorni, ma erano di qualche tonalità più scura.
Olimpia allacciò le braccia dietro il collo di Luca, si strinse di più a lui e appoggiò la testa sulla spalla cercando di proteggersi il più possibile dalla pioggia. Tentativo alquanto inutile visto che era già zuppa.
Olimpia tra le braccia di Luca e stretta sul suo grande petto, sembrava ancor più piccola di quel che era. E Luca, sentendo il calore che quel corpicino emanava nonostante il freddo di quella giornata, sembrò rilassarsi.

Olimpia era distesa sul lettino dell’infermeria e Luca in piede accanto a lei mentre aspettavano il risultato della radiografia alla caviglia. Il tragitto dalla biblioteca, dove era caduta Olimpia, all’infermeria era un tragitto abbastanza lungo. Avevano attraversato l’intero campus sotto la pioggia che sembrava non voler cessare. Superarono l’edificio delle aule e quello degli uffici. La palestra e i due dormitori ed arrivarono all’infermeria fradici. Luca era rimasto solo con la camicia bianca che teneva fuori dai pantaloni e con i primi tre bottoni slacciati. Il maglioncino blu era sul calorifero ad asciugare insieme a quello di Olimpia, ma lei aveva chiesto all’infermiera una coperta per tenersi al caldo ed asciugarsi sperando di non prendere l’influenza.
Luca guardò la ragazza distesa sul lettino mentre giocherellava con il bordo della coperta. I capelli biondi, ora umidi, erano sparsi intorno la sua testa sul cuscino bianco candido. Quel viso bianco, ma non pallido, con le gote leggermente arrossate per il drastico cambiamento di temperatura. Sembrava una di quelle bambole di porcellana. Così belle, piccole e fragili. Le labbra leggermente schiuse di un rosso ciliegia. Le ciglia lunghe a nascondere quel paio d’occhi azzurri.
“Allora me lo dici come ti chiami o devo aspettare la prossima volta che ci scontriamo o che cadi a terra?” Olimpia rise leggermente ripensando alla figura che aveva fatto cadendo a terra come una pera cotta. Alzò lo sguardo verso di lui e quell’azzurro colpì Luca dritto al centro del petto. Aveva il cielo nello sguardo. “Olimpia. Mi chiamo Olimpia.”
Luca si guardò intorno alla ricerca di una sedia per riposarsi qualche minuti mentre aspettavano. Prese una sedia in plastica rigida bianca e si sedette vicino al lettino. Ora gli sguardi erano più o meno alla stessa altezza.
“Senza offesa, ma hai un nome piuttosto strano.” , “Mio padre è un professore di greco e un fissato con i miti sugl’Idei dell’Olimpo. Nessuna offesa!”
Luca si sentì sollevato quando Olimpia, finalmente conosceva il nome della ragazza, lo tranquillizzò. Ma la ragazza disse qualcos’altro che fece stringere lo stomaco a Luca. “E invece tuo padre che lavoro fa?” Luca lasciò in sospeso la domanda pensando se dirglielo o meno, quale professione esercitava il padre. Aprì la bocca per risponderle dopo aver deciso che era giusto che lei sapesse ma l’infermiera irruppe nella stanza stringendo tra le mani le risposte della radiografia. Era stata fortunata, era solo una distorsione: una bella fasciatura stretta alla caviglia, riposo assoluto per almeno due settimane e un paio di stampelle per muoversi solo se era strettamente necessario. Luca aiutò Olimpia ad alzarsi dal lettino e a mettersi in piede, l’aiutò ad allacciarsi la mantella prima di uscire dall’infermeria mentre lei si teneva saldamente alle stampelle che l’infermiera gli aveva dato.
“Ti faccio un permesso per andare nella tua stanza ad asciugarti e cambiarti prima che ti becchi un bel raffreddore. Lo stesso per te Avesani, ma non farci l’abitudine!” L’infermiera scarabocchiò su tre fogli: due erano i permessi per andarsi a cambiare nelle stanze e l’altro era la prescrizione medica di Olimpia per la caviglia. Stavano uscendo dalla stanza quando l’infermiera li richiamò ancora una volta “Vicino la porta d’entrata deve esserci un cestino con degli ombrelli dentro, prendetene uno e copritevi.” Luca annuii con la testa e poi, con una mano appoggiata sulla schiena di Olimpia aiutandola, uscirono dall’infermeria e andarono nei loro dormitori.
Luca non l’abbandonò neanche per un momento, la sua mano sempre appoggiata alla sua schiena a sorreggerla e lo sguardo vigile su di lei. L’accompagnò nella parte del dormitorio femminile, nella sua camera. Aspettò seduto sul suo letto mentre lei si cambiava nel bagno e quando ne riemerse, improvvisamente, la luce saltò lasciando i due completamente al buio. Olimpio iniziò ad agitarsi, il cuore prese a battergli forte e il respiro a farsi più affannoso. Odiava il buio, odiava non riuscire a vedere le cose e adesso che era in una condizione invalida per muoversi, le prese ancora di più il panico. “Luca dove sei?” Luca si alzò di scatto dal letto, come se bruciasse e si diresse a tentoni nel buio verso di lei. Anche nella penombra della stanza gli occhi verdi di Luca e quelli azzurri di Olimpia luccicavano, emanando luce propria. Rimasero in piedi l’uno di fronte all’altra in silenzio a guardarsi. Non c’era nessun’altro e nel buio tutto era lecito, se loro non avrebbero visto chiaramente cosa fosse accaduto – o meglio – quello che Luca aveva in mente di fare da lì a pochi secondi, nessun’altro avrebbe visto.
Circondò il fianco di Olimpia con un braccio e la strattonò contro il suo petto. Le stampelle caddero a terra con un rumore secco metallico per l’improvviso gesto del ragazzo. Olimpia appoggiò le mani sul petto del ragazzo accarezzando i pettorali da sopra il tessuto leggero della camicia. Erano duri sotto il tocco leggero dei polpastrelli della ragazza. “Non riesco a smettere di guardarti.” , “Allora non farlo.” Lo sguardo di Luca scese verso le labbra di Olimpia e la testa iniziò ad avvicinarsi lentamente, ma a pochi centimetri di distanza la luce tornò facendo tornare i due ragazzi nella realtà e nella scuola militare con regole rigide.

 
“Tra gli Allievi è vietata qualsiasi manifestazione o esternazione, anche se gradita o ricambiata,
di affetto o di interesse per la sfera sessuale.”

 
Luca si staccò velocemente da Olimpia lasciandola senza fiato e ansimante per l’improvviso avvicinamento e l’elettricità che in pochi secondi si era creata tra i due. Si abbassò raccogliendo le stampelle e porgendogliele, si girò e prese il suo maglioncino e con una strofinata di mano sui capelli, uno sguardo perso ad Olimpia, Luca lasciò la stanza diretto nel dormitorio maschile.


Angolo autore:

Eccomi di nuovo con il terzo capitolo della storia. Innanzitutto volevo scusarmi per il troppo tempo trascorso prima della pubblicazione, ma non avevo tempo a sufficienza da stare quelle 3 orette al computer e scrivere il capitolo..così l'ho scritto un po' alla volta  (quando avevo tempo e ispirazione haha).
Voglio ringraziare due persone che mi hanno rencesito entrambi i capitoli, quindi grazie Marty Andry e Portgas D Denis x ace 
Vi lascio anche il mio account twitter nel caso volete seguirmi (anche se volete farmi qualche domanda riguardo la storia)
@alisayhello 
  
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