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Autore: Ciajka    29/07/2014    2 recensioni
AU dove i personaggi di Sherlock sono uniti alla mitologia nordica.
John è un umano. Sherlock è un Dio.
Sono entrambi uniti da un patto infrangibile. La vita di John ora è completamente nelle mani della spietata divinità.
O, almeno, questo era il piano iniziale di Sherlock.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L'ombra scivolò silenziosamente in una fessura del muro. Sbucò in un luogo oscuro e freddo, a chissà quante miglia dal tranquillo villaggio dove si trovava prima.

Era un interno completamente spoglio, geometrico, privo di fonti di luce e di qualunque arredo, fatta eccezione del trono in ebano posto proprio al centro della stanza ottagonale.

Si trattava di un trono maestoso: lo schienale intarsiato si stagliava verso l'alto, contorcendosi su se stesso fino a dividersi in due corna minacciose.

Quella costruzione in legno sembrava non avere nessuna base d'appoggio. Pareva, infatti, che non ci fosse nessuna discontinuità tra l'oscuro pavimento e il nero trono.

Seduto su di esso c'era una figura.

Allungò una mano.

L'ombra la raggiunse e venne completamente assorbita dalla sua pelle diafana.

Uno spietato sorriso comparve sul volto oscuro del Re.

Il bianco splendente di quei denti appuntiti sembrò illuminare quelle tenebre per qualche istante.

“Perfetto!” sibilò con un ghigno.

 

 

 

John passò a Sherlock un rustico ma pratico pugnale, con il tagliente filo in perfette condizioni.

“Un'arma più minuscola non ce l'avevi, vero?” domandò con sarcasmo il moro.

Si trovavano nuovamente a casa del guaritore con lo scopo di prendere più armi e scorte possibili per affrontare l'imminente viaggio.

“Sinceramente non credo che ti troveresti bene nel portarti appresso una spada. È un oggetto piuttosto pesante e difficile da utilizzare.” rispose John, mentre dava una veloce lucidata alla sua spada con un pezzo di tela abrasiva. Si trattava di un'arma di semplice fattura, con lama a doppio taglio e un'impugnatura lineare.

“Vorresti dire che sono gracile e inesperto?” lo sfidò Sherlock.

Il biondo gli lanciò un'occhiata che confermò le sue parole.

“Senza offesa, ovviamente.” precisò John, con un'alzata di spalle.

L'ex Dio grugnì. Non si era mai sentito più offeso di così.

In quel momento sentirono dei vigorosi colpi percuotere la porta d'entrata. Delle dure voci di uomini maturi gridarono: “John Watson! Apriti questa porta!”

“John Watson! Tu e il tuo complice siete convocati per l'assemblea! Immediatamente!”

Il guaritore divenne immediatamente pallido in volto.

Nel loro villaggio, il termine assemblea, gridato con così tanta enfasi e in modo tutt'altro che amichevole da quegli uomini, significava tribunale. Essere convocati direttamente e con forza ad un assemblea non si trattava mai di un fatto positivo. Di sicuro non li volevano per la loro sola presenza.

Ben presto gli uomini, entrambi con una lancia in mano, sfondarono la porta ed entrarono nella stanza.

“Watson e complice! Siete incolpati di omicidio! Seguiteci senza fare resistenza!”

“Omicidio?!” esclamò in falsetto il biondo.

Sherlock rimase zitto, ma spalancò gli occhi dalla sorpresa.

“Non fate i finti tonti!” disse l'altro uomo “Avete assassinato il nostro druido! Abbiamo una testimone!”

Fu la volta di Sherlock ad esclamare: “Testimone?”

“Sì. Una testimone è entrata nell'abitazione del druido appena dopo di voi e l'ha trovato morto. Non potete negarlo!”

Il secondo uomo allungò la propria lancia verso Sherlock, dicendo: “Ora verrete all'assemblea e il capo villaggio deciderà quale sarà la vostra sorte!”

“Va bene, va bene!” disse pacatamente Sherlock, alzando le braccia e avvicinandosi ai due soldati.

John non credeva ai propri occhi. Non pensava che quel Dio avrebbe accettato così arrendevolmente la propria sorte.

“Watson! Posa quella spada e segui il tuo compl-ugh!” non riuscì a terminare la frase, siccome una lama gli aveva completamente trapassato il collo.

Entrambi i soldati avevano fatto il medesimo sbaglio: concentrarsi unicamente sul padrone di casa e non sull'arrendevole Sherlock, il quale, privo di attenzioni, aveva potuto afferrare senza problemi il suo nuovo pugnale e colpire mortalmente l'uomo più vicino.

Sia John che l'altro uomo erano rimasti a bocca aperta dalla sorpresa.

Il moro sfilò con scioltezza la lama, conficcata nel collo del morto ancora in piedi, e si avventò come una furia verso il suo compare, ancora shockato.

Il soldato armato di lancia si riprese appena in tempo per parare il colpo di Sherlock, bloccandogli il braccio destro con la sua unica mano libera.

L'altra mano, che stringeva ancora la lancia, si era appena alzata, pronta per attaccare.

“John!!” gridò Sherlock.

Il guaritore sembrò svegliarsi da un paralizzante torpore e, senza pensare a nulla, strinse l'impugnatura della spada, la sollevò e colpì in pieno petto l'uomo.

Ancora qualche istante e quell'individuo sarebbe riuscito a trafiggere con la propria lancia il torace di Sherlock.

Cadde a terra boccheggiante, accanto all'altro corpo ormai privo di vita.

Intorno ai due corpi si era formato un lago di sangue scuro e denso.

“Cosa ho fatto... Cosa abbiamo fatto!” mormorò John, senza fiato.

“Dobbiamo andarcene al più presto.” ordinò Sherlock, afferrando una sacca di cuoio e infilando al suo interno una serie di pugnali che si trovavano sopra il tavolo, due borracce vuote, qualche straccio preso a casaccio e le erbe medicinali dagli scaffali.

“Per Odino...” continuò John con lo stesso tono di prima, guardando l'uomo trafitto dalla sua arma in preda agli spasmi.

“John! Sbrigati! Raccogli la tua spada e andiamo, prima che ne arrivino degli altri!”

Ancora con la morte impressa negli occhi, John si ritrovò ad ubbidire alle parole dell'ex Dio.

 

 

 

I loro passi risuonavano concitatamente per il selciato, senza un minimo di tregua. Dovevano scappare, nascondersi, e al più presto possibile!

Entrarono nel bosco appena fuori dal villaggio: continuare per la strada era troppo pericoloso. Quel labirinto di tronchi li avrebbe aiutati a far perdere le loro tracce.

La corsa forsennata non trovò pace finché non furono realmente sicuri di non essere inseguiti da nessuno.

Con il fiato corto, si fermarono presso le tranquille e limpide acque di un fiumiciattolo.

“Cazzo...” mormorò John, per poi ripetere l'imprecazione una seconda volta, in modo decisamente più furioso: “Cazzo!”

Si avventò con il pugno teso contro Sherlock, il quale era appoggiato ad un tronco per prendere fiato.

“Coglione di merda! Hai ucciso quell'uomo!”

“Si trattava solo di un mortale, John. Non era importante.”

Il pugno di John colpì la corteccia dell'albero, sfiorando di proposito l'orecchio e qualche ciuffo di capelli corvini.

Solo un mortale! Solo un mortale! Anche io lo sono! E, se non te ne sei accorto, anche tu lo sei!”

“Veramente io non sarei propr-”

John lo ammutolì con un altro pugno, rivolto sempre al povero albero.

Stai. Zitto! Ora, grazie a te, siamo ricercati per omicidio, genio dei miei calzari!”

“Ti ho solo aiutato a velocizzare la nostra fuga! Dovresti ringraziarmi!” si giustificò Sherlock, incurante della possibilità di ritrovarsi un naso sanguinante.

Ringraziarti?!” esclamò John “Quindi dovrei ringraziarti per avermi costretto ad uccidere un mio compaesano, per avermi reso un traditore e un fuggiasco?! È stato spanto sangue innocente, stupido egoista, loro non avevano nessuna colpa!”

Sherlock era rimasto senza parole, le infiammate parole di quel mortale gli avevano inspiegabilmente stretto lo stomaco e reso la bocca secca.

Vedendolo finalmente muto, John si allontanò da lui, non senza prima sferrare un terzo e ultimo pugno alla dura corteccia dell'albero.

Mise la mano con la nocca insanguinata dentro la fresca acqua del fiumiciattolo, senza però trovare alcun refrigerio.

Senza proferire una singola parola, John aprì la sacca di cuoio, prese le due borracce e le riempì.

Sherlock lo guardava immobile.

Per la prima volta in vita sua, non comprendeva il comportamento di un mortale. Secondo il suo identikit personale, gli umani erano egoisti, affamati di sangue e di potere, senza scrupoli ma, quando si sentivano spacciati, non pensavano due volte prima di prostrarsi al più forte o fare cose umilianti, pur di non perdere la loro insulsa vita.

John non rientrava in questo canone.

Lui era diverso. Si preoccupava della vita degli altri. Perché? Come era possibile?

Accortosi dello sguardo puntato su di lui, John lanciò a quel viso confuso un'occhiata tagliente.

“Vuoi ancora andare ad Uppsala?” chiese con freddezza John, chiudendo la propria borraccia. Con questa domanda sottointendeva anche la seguente: “Vuoi ancora andare ad Uppsala con me?”

A Sherlock non sfuggì quella sfumatura e rispose semplicemente con un: “Certo.”

“Non puoi non pensare che la morte del druido non sia sospetta. È morto immediatamente dopo che ce ne siamo andati.” John lo guardò dritto negli occhi.

“Potrebbe essere una casualità. Era vecchio e non si reggeva in piedi.” disse Sherlock con una scrollata di spalle.

“Raccontala a qualcun altro.”

Sherlock allora rispose: “Potrebbe essere la punizione divina di Forseti per aver consigliato a me di andare al tempio. Di sicuro gli Dei non vogliono che ci vada.”

Il biondo continuava a guardarlo imbufalito.

“Smettila, John. In qualunque caso, io non demorderò.”

Detto questo lo superò, incamminandosi verso il cuore del bosco. Dopo una decina di passi si girò verso il suo compagno, ancora immobile presso il rigoglioso ruscello.

“John.” proferì, con tono roco “Lo sai benissimo che entrambi eravamo assassini ancora prima di togliere la vita a quei due uomini. In questo, Dei e umani non sono così differenti.”

John spostò lo sguardo verso il terreno. Si soffermò un momento ad osservare le sue scarpe di cuoio scuro, impresse ancora dagli schizzi di sangue di quei due innocenti.

Fece un sospiro.

Poi, senza dire nulla, seguì quella figura scura che gli aveva sconvolto l'esistenza in così poco tempo.

 

 

 

Mycroft si mise una mano sugli occhi, disperato.

“Fratello mio, cosa hai fatto...”

Anthea, che non si permetteva di proferire alcun commento, guardava la scena riflessa nell'acqua mistica con espressione indecifrabile.

“Inoltre non posso crederci che sia stato così tanto stupido! Come può pensare che sia un intervento divino quello di uccidere quel vecchio druido?!”

Detto questo, si allontanò dal pozzo con le mani tra i corti capelli scuri, con riflessi tendenti al rossiccio.

Iniziò a girare per la stanza, rimuginando tra sé e sé.

“Da parte mia poi! Se avessi voluto fermarlo, lo avrei ucciso prima che dicesse qualcosa! Non dopo!”

Anthea si decise a esprimere il suo pensiero: “Se posso dire la mia opinione, signore, credo che Sherlock sia perfettamente conscio che non siete stato voi ad assassinare il vecchio.”

“Cosa?” esclamò Mycroft, interdetto.

“Vostro fratello ha capito fin dall'inizio che in quell'essere c'era qualcosa che non andava. Con la sua morte improvvisa, ora ne ha avuto la conferma.”

“E allora, per quale insulso motivo vorrebbe ancora raggiungere il tempio di Uppsala? Se è come hai detto tu, non si fiderebbe mai delle sue parole!” gridò Mycroft.

“È curioso.” fu la semplice risposta della Dea.

Mycroft aprì la bocca per ribattere, ma improvvisamente si rese conto che sì, la cosa era incredibilmente probabile. Il suo dannato fratellino avrebbe sacrificato perfino loro madre pur di soddisfare la più banale delle sue curiosità.

“Quindi si è reso conto che è una trappola, ma ci vuole comunque andare perché è curioso.” rifletté il Dio.

“Esatto. Vuole scoprire chi gli ha teso la trappola.” continuò Anthea.

Il Dio Forseti sospirò, esausto.

“Quale miglior modo per attirare Sherlock nella propria tela se non fargli capire che il ragno gli ha appena teso una trappola?”

  
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