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Autore: difficileignorarti    30/07/2014    3 recensioni
Lui non c’era più da quasi un anno; se n’era andato, così, dal nulla.
Questo le aveva lacerato l’anima e distrutto il cuore.
Ma le mancava, da morire; ma aveva comunque paura, perché ora che stava cominciando a vivere di nuovo, cercando, comunque, di lasciarlo da parte, lui sarebbe ricomparso, lei lo sapeva, se lo sentiva.
Quello che lei non sapeva, era che lui era tornato, e che la stava osservando da lontano.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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16.







Stavano ancora aspettando fuori: il medico voleva visitarlo, e non voleva che nessuno gli stesse intorno; Emmeline a forza di camminare avanti e indietro stava scavando una sorta di fossa, come nei cartoni animati.

Voleva entrare, voleva abbracciarlo e invece no, doveva aspettare, aspettare, aspettare; come se non lo avesse già fatto abbastanza.

Avevano contattato tutti e stavano tutti raggiungendo l’ospedale: tutti erano impazienti di rivederlo.

«Non fatelo sforzare troppo» disse immediatamente il medico non appena uscì dalla stanza. «L’intervento è andato bene, ora lo posso confermare» sorrise ed Emmeline si liberò di un peso e di tutta l’ansia che la stava soffocando. «Avrà bisogno di tanto riposo e di un po’ di aiuto» stavolta guardò la ragazza e le sorrise, prima di congedarsi.

Senza dire niente, Simone, con lo sguardo, le disse di entrare: erano due giorni che non lo vedeva e quella visita clandestina non era stata sufficiente, lei lo sapeva.

Emmeline la strinse a se, ringraziandola silenziosamente.

Si voltò tremante verso la porta, ma si avvicinò ed entrò, chiudendosela dietro le spalle.

Non seppe dove trovò il coraggio di guardarlo in faccia: era diverso dal vederlo dormire al vederlo sveglio; e lui era li, e la stava fissando con gli occhi socchiusi.

Si avvicinò al letto, piena di timore e senza sapere come comportarsi: non sapeva nemmeno lei perché si stesse comportando in quella maniera, era come se avesse paura di lui, di una sua reazione.

«Come ti senti?» mormorò, sedendosi sulla sedia accanto al letto; lui la seguì con lo sguardo, non riusciva a toglierle gli occhi di dosso: era così bello vederla.

Tom cercò la mano della ragazza, abbandonata sul letto, e gliela accarezzò piano, toccando di nuovo la sua pelle morbida.

«Ora che sei qui, meglio» parlò lui piano, sorridendo forzatamente, contagiandola.

La ragazza gli strinse la mano, posandogli un bacio sul dorso, e poi ricominciò a piangere silenziosamente, facendo preoccupare il ragazzo, che cercò di muoversi, provocandosi dolore al petto: fece una smorfia e decise di tornare steso, allungando, però, l’altra mano per cancellare quelle lacrime.

«Ehi» mormorò preoccupato. «Che c’è, piccola? Perché piangi?» continuò, mentre la ragazza sorrise tristemente tra le lacrime, asciugandosele subito dopo.

Era stupido piangere perché lui si era risvegliato e si sarebbe ripreso e sarebbero tornati quelli di sempre, ma lei stava piangendo perché si sentiva in colpa.

«Mi sento in colpa, Tom» disse e lui la guardò con sguardo interrogativo. «Tu sei qui e hai rischiato la morte, ed io mi sento così in colpa per questo» aggiunse e Tom la zittì, appoggiando l’indice sulle sue labbra, accarezzandogliele, poi, piano.

«Non è colpa tua, Em, non devi nemmeno pensarlo, okay?» mormorò lui, e lei annuì, ma non era poi così convinta, ma non voleva continuare a preoccuparlo, non se la sentiva. «Sono così contento di vederti, mi sei mancata così tanto» aggiunse quasi piagnucolando, facendo ridacchiare la mora. «Vuoi alleviare un po’ la mia pena?» chiese e lei annuì, curiosa e si mise sull’attenti, aspettando. «Me lo dai un bacio?» chiese, sfoderando il suo sguardo da cucciolo abbandonato.

Emmeline sorrise e poi si allungò su di lui, lasciandogli un morbido bacio sulle labbra, cercando di accontentarlo, senza approfondire; nel momento in cui si staccò da lui, Tom la riprese, avvicinandola di nuovo alle sue labbra, volendo approfondire questa volta.

Le era mancata così tanto, che quel bacio approfondito così tanto agognato era il minimo: voleva di più, molto di più, ma poteva aspettare.

«Uhm, non dovresti sforzarti troppo, tesoro» mormorò lei sulle sue labbra, accarezzandogliele piano, sentendo le mani di Tom tra i suoi capelli lunghi, sorridendole maliziosamente. «Non esagerare» aggiunse, tornando comoda sulla sedia.

«Non esagero piccola, è che avevo voglia di baciarti, non posso?» le chiese ed Em ridacchiò, stringendo la sua mano. «Posso chiederti perché non sei stata con me in questi giorni?» domandò, facendola sospirare.

«Non me l’hanno permesso, poteva entrare solo tua madre» ammise, e lui sospirò, scuotendo la testa contrariato. «Sono entrata clandestinamente questa mattina, però» abbassò la voce, facendogli l’occhiolino.

Tom continuava ad accarezzarle piano la mano: la sentiva comunque agitata e preoccupata, il suo modo di fare, di essere così distante e fredda; continuava a pensare che si sentisse in colpa.

«Piccola» mormorò, accarezzando la fedina che portava al dito e sorrise teneramente. «Perché ti stai comportando così? Non è stata colpa tua, te l’ho detto» le disse nuovamente. «Non sei stata tu a premere il grilletto» continuò, sforzandosi di arrivare ad accarezzare il suo viso stanco e ancora bagnato dalle lacrime.

Emmeline si sforzò di sorridere, ma era stanca di dover sorridere e di sentirsi morire dentro, di nascondere le sue paure, le sue colpe, i suoi sentimenti e tutto quello che la spaventava.

«Tom, Liam ha cercato di ucciderti perché ti odia» mormorò la ragazza: voleva raccontargli tutto. «Anche Ria è stata parte del suo piano e poi l’ha uccisa, perché mi stava raccontando tutto» continuò, abbassando lo sguardo ma senza smettere di accarezzare la mano del ragazzo che ancora la stringeva. «Lei non sopportava più quel peso e me l’ha raccontato, o sperava di farmelo capire» fece una smorfia e Tom ridacchiò, tirandola verso di lui, ma lei rimase al suo posto, provocando una reazione negativa nel ragazzo. «Liam voleva portarmi via da te, e successivamente ha deciso di fare il contrario, voleva portarti via da me» altre lacrime solcarono il suo volto mentre continuava a parlare. «Sai, ho parlato con lui in prigione, e mi ha detto che non è finita qui, Tom, qualcuno potrebbe finire il lavoro che ha cominciato» il ragazzo sospirò, abbandonandosi sul cuscino, gonfiando le guance, proprio come faceva la ragazza.

Quella notizia lo distrusse non poco, perché proprio non se lo aspettava: c’era qualcun altro che avrebbe provato a ucciderlo? Qualcun altro avrebbe provato a togliere loro la felicità? E solo perché Liam lo odiava? Era una situazione da manicomio.

«È un incubo questo, piccola?» mormorò voltando il capo verso di lei. «Senti, ora pensiamo solo a noi, al nostro futuro, alla mia guarigione e basta» le disse, cercando di calmarla, e lei alzò un sopracciglio, per niente convinta. «A Liam e a tutto il resto ci penseremo dopo» concluse.

La ragazza annuì non molto convinta dalle sue parole, mentre la sua testa stava già pensando a qualcosa: doveva parlare con una persona e sicuramente Tom non doveva saperlo.

«Ora me lo dai un altro bacio?» chiese ed Emmeline ridacchiò, accontentandolo.


 
***


Aveva preso l’auto di suo padre e si era messa in viaggio verso Fairfield, a un’ora da San Francisco.

Non conosceva il posto e aveva paura di perdersi, ma sentiva il bisogno, o forse doveva, parlare con una persona in particolare: lui aveva lasciato la città per un problema grosso con un ormai ex amico.

Parcheggiò davanti ad una vecchia casa e lì di fuori lo vide, seduto sugli scalini, con il cappuccio calato in testa sopra a un berretto e la sigaretta che si consumava tra le dita.

Non era cambiato molto, forse era diventato più alto, più muscoloso, più uomo, ed era davvero bello: in quel momento si rese conto che era davvero attratta dai cattivi ragazzi, anche se non lo erano.

«Non posso crederci» mormorò lui non appena la vide, sorrise divertito e si alzò in piedi per raggiungerla: era più alto di Tom e si sentì davvero piccola e indifesa. «Emmeline, cosa ci fai qui?» le chiese e poi divenne sospettoso, divenne serio e cominciò a guardarsi intorno. «Entriamo, per favore, non mi sento tranquillo» mormorò poi, guardandola dritto negli occhi.

Lei lesse tutta la preoccupazione e la paura che quel ragazzo stava sentendo.

In quei giorni non faceva altro che essere preoccupata, ansiosa, e faceva preoccupare anche tutti quelli che le stava intorno: forse avrebbe dovuto calmato e rilassarsi.

Quella piccola e vecchia casa era quasi peggiore del suo vecchio appartamento: c’era una sorta di nebbia leggera, probabilmente era dovuta dalle troppe sigarette fumate; c’era confusione, tante scatole vuote di cibo cinese e pizza, bottiglie vuote di birra e lattine di Coca Cola; era molto buia, le finestre erano quasi tutte chiuse.

«Non hai perso il vizio di fumare come una ciminiera, eh Bill?» ridacchiò la ragazza, sedendosi sul pouf nero che aveva vicino al divano.

Anche il ragazzo ridacchiò e la adocchiò, lanciandole un pacchetto di sigarette che accettò volentieri.

«Vedo che nemmeno tu non hai perso il vizio di fumare» ridacchiò, raggiungendola e sedendosi sul divano.

Emmeline aveva cominciato a fumare per colpa di Bill: il primo tiro l’aveva fatto con lui, e aveva rischiato di soffocare, mentre lui rideva come se non ci fosse stato un domani; se lo ricordava bene.

«Dimmi Em, come mai a Fairfield? E non dirmi che mi sei venuta a trovare, perché non sei la persona che si fa un’ora di macchina a vuoto» le disse sorridendo, e lei abbassò lo sguardo, colpita ed affondata.

Erano anni che non si vedevano e non si sentivano, era vero.

Lui aveva fatto esattamente come Tom: se ne era andato all’improvviso, senza dire niente a nessuno, sparendo nel nulla; era ancora un ragazzino in pratica, non aveva nemmeno finito il liceo.

«Ti prego, non arrabbiarti, ma ho davvero bisogno di te e del tuo aiuto, Bill» mormorò lei, aspirando un po’ di nicotina, prima di guardarlo negli occhi: capì subito che lui aveva inteso di cosa volesse parlargli. «Si tratta di Liam» il ragazzo roteò gli occhi al cielo.

«Emmeline» disse lui con tono da rimprovero.

Liam era un tasto dolente per Bill: era uno degli amici di Liam, ma non aveva mai voluto far parte della sua banda di amici, lui non era come loro, non era stronzo, non voleva spacciare, non voleva andare a puttane, era solo un ragazzino, esattamente come loro, ma già facevano quelle cose.

Avevano fatto un patto col sangue, questo se lo ricordava, ma non voleva fare quel tatuaggio che li identificava, non voleva perché voleva rimanere pulito, non voleva avere niente a che fare con loro e con tutta quelle merda che si portavano dietro.

E Liam la prese male: aveva cercato di ucciderlo, lo aveva minacciato in tutti i modi possibili, gli aveva detto che lo avrebbe cercato in tutto il mondo se lo avesse denunciato; così Bill decise di sparire, voleva cambiare identità, cambiare vita e dimenticare, un po’ quello che voleva e doveva fare lei.

«Lo so, Bill, lo so» disse lei. «Ha cercato di uccidere Tom» mormorò e Bill fece una smorfia, non capendo. «Tom Kaulitz» precisò allora lei.

Bill sorrise, scuotendo la testa divertito.

«Ma dai! Quello dai vestiti extralarge, i dreadlocks e quell’aria da bullo? Quel Tom Kaulitz?» Emmeline ridacchiò, divertita da quella descrizione. «E a te cosa importa, scusa? Liam ha ucciso e ha fatto uccidere un sacco di gente, perché t’importa di lui?» chiese, buttando fuori il fumo, e la mora lo guardò insistentemente, cercando di fargli capire qualcosa. «Non posso crederci, Em, è il tuo ragazzo?» chiese e lei annuì. «Fortuna che lo consideravi sbruffone, spocchioso e irritante, eh?» la ragazza si allungò per lasciargli uno schiaffo sul braccio.

Tom e Bill non potevano sopportarsi, e più di una volta erano arrivati alle mani, ma in realtà s’ignoravano completamente.

«In realtà è molto cambiato ed è il mio compagno da anni, Bill» mormorò felice e s’indicò la fedina al dito e il ragazzo ridacchiò guardandola. «Ne abbiamo passate tante, ma ci amiamo e non sopporterei di perderlo, mi farebbe troppo male la sua lontananza e il non saperlo qui» ammise.

«Okay, ti dirò qualcosa, ma poi devi promettermi che sparirai dalla mia vita, Em, non posso rischiare» disse serio e la ragazza si rattristò: non voleva perderlo, ma si costrinse ad annuire. «Gli uomini di Liam sono ovunque, anche le persone che non t’immagini possono essere dalla sua parte, e possono accoltellarti alle spalle anche se sei loro amico» le disse abbassando il tono della voce. «Il tatuaggio che li simboleggia sono due coltelli incrociati, sul collo o sull’avambraccio sinistro, dipende da persona a persona» continuò e la ragazza si appuntò questo dettaglio nella mente. «Non so quanti uomini abbia, ma non tutti hanno il coraggio di uccidere, sai è diverso dallo spacciare o da scoparsi una puttana» Emmeline fece una smorfia, contrariata da quel linguaggio scurrile. «Ti consiglio di chiedere aiuto a qualcuno, tipo Gustav, un vecchio amico, so che è entrato in polizia, e potrebbe proteggerti, darti una pistola, e poi dovete andarvene, non importa dove, se vicino o lontano, ma dovete sparire da San Francisco» mormorò seriamente e la ragazza annuì.

«Bill, per me è difficile dirti addio, siamo amici da tantissimo tempo, ho sofferto e soffro la tua lontananza, ma capisco la tua posizione, anche perché mi ci ritrovo dentro completamente» disse lei, stringendo la mano tatuata del ragazzo. «Fortuna che odiavi gli aghi e non volevi fare il tatuaggio come Liam» lo prese in giro e il ragazzo rise con lei.

«Si cambia Emmeline, e poi non volevo entrare nella squadra di Liam» mormorò disgustato. «Ho tatuaggi un po’ ovunque, ma non sto a farteli vedere, altrimenti torni a casa l’anno prossimo e il tuo ragazzo si preoccupa» scherzò.

La ragazza si alzò e lo strinse a se, dopo che anche lui si mise in piedi: si lasciò stringere da quelle braccia, si lasciò accarezzare i capelli dal suo amico d’infanzia, quello che sapeva tutto di lei, con cui aveva condiviso tutto; erano cresciuti, erano cambiati, e dovevano separarsi di nuovo.

Definitivamente questa volta.

«Grazie, Bill» mormorò lei, lasciandogli un morbido bacio sulla guancia.


 
***


Bill le aveva lasciato una foto di questo Gustav, e una volta tornata a San Francisco, si mise sulle tracce di quel poliziotto: le avrebbe provate tutte, anche a costo di uccidere lei stessa Liam Spencer.

Sarebbe finita in prigione pur di dare la felicità e la libertà a Tom.

E ora se ne stava li, ad aspettare che arrivasse, seduta su una squallida e scomoda sedia: aveva dovuto cercare in molte delle centrali di polizia della città, ma poi lo aveva trovato.

Ma non sapeva cosa dirgli, non sapeva come comportarsi.

«Mi hanno detto che mi sta cercando» quella voce maschile la spaventò e si alzò in piedi, osservandolo attentamente: erano alti uguali, e lui sembrava un bel tipo, sincero e leale e, soprattutto, sembrava bravo nel suo lavoro. «Come posso aiutarla?» le chiese sorridendo.

«Possiamo parlare in privato, per favore?» chiese lei, guardandosi intorno con fare sospetto, un po’ come aveva fatto Bill in precedenza.

Il ragazzo annuì e la condusse nel suo ufficio, almeno era quello che pensava la ragazza.

«Mi ha mandata Bill» mormorò, e lui annuì capendo e le chiese di andare avanti. «Ho bisogno di aiuto, si tratta di Liam Spencer» disse.

«È per il caso Kaulitz? Lei è la sua ragazza, no?» Emmeline annuì e lui le sorrise di nuovo. «Ha paura che possa succedere qualcosa? Sono qui per proteggere lei e il suo ragazzo da ogni problema» continuò e la ragazza si sentì sollevata, almeno un poco.

«Mi ha detto che qualcuno dei suoi potrebbe ucciderlo, insomma finire il lavoro che non ha concluso lui» aggiunse lei, ma lui la fermò con un gesto della mano.

«Abbiamo arrestato quasi tutti gli uomini che lavoravano per lui, non si preoccupi» mormorò lui. «Capisco la sua preoccupazione, è normalissima, ma non tutti sono in grado di uccidere» le disse e lei pensò che fossero le stesse e identiche parole che le aveva detto Bill. «Io continuo a occuparmi del caso, e a ogni novità le farò sapere, nel frattempo lei tenga gli occhi aperti e se c’è qualcosa che non la convince, me lo dica» le sorrise bonario e Emmeline lo ringraziò.

Avrebbe dovuto stare un po’ più tranquilla?


 
***


Le baciava teneramente la schiena, sentendola rilassarsi sotto di lui.

Avevano appena fatto l’amore, la loro prima volta insieme, e Tom non sapeva cosa pensare: si era preso cura di lei, l’aveva amata teneramente e dolcemente, era stato attento, delicato, premuroso, l’aveva trattata come una principessa, ma aveva comunque paura di averle fatto del male.
Vedeva la pelle d’oca formarsi sulla sua pelle e gli venne da sorridere, tornando a donarle carezze e baci, mentre lei sospirava, in dormiveglia, lasciandosi coccolare.

«Stai bene?» le chiese premurosamente all’orecchio, adagiandosi su di lei, senza pesarle.

«Perché non dovrei?» mormorò lei in risposta, aprendo gli occhi. «Non sono mai stata meglio, Tom» confessò imbarazzata e Tom sorrise, tranquillizzandosi.

Le era sembrata così timida e imbarazzata: le era sembrata una bambina e a lui veniva da ridere; non era mai stato con una così e la considerava una prima volta, ma era stata la più bella.

La ragazza riuscì a girarsi tra le sue braccia, e lui ne approfittò per rubarle un bacio, profondamente ricambiato.

«Voglio dormire con te tutte le notti» mormorò contro le sue labbra. «Voglio poter toccarti, accarezzarti ogni volta che voglio» continuò facendola ridacchiare piano. «Sei importante, piccola mia» le disse dolcemente.

Emmeline lo baciò piano, prima di sorridergli teneramente.

Tom spostò i baci tra le sue scapole, assaggiando nuovamente la sua pelle profumata e morbida, esattamente come aveva fatto in precedenza: aveva esplorato il suo corpo lentamente, dedicandole attenzioni che non aveva mai dato a nessuna; l’aveva sentita sospirare di piacere, stringerlo, tirargli i capelli e graffiargli la pelle.

«Mi fa piacere saperlo, Tom» mormorò lei in risposta, prendendo il suo viso tra le mani per vederlo sorridere come un idiota.

Si stavano cambiando la vita a vicenda e stavano bene insieme e così.


 
***


Gli piaceva ricordare il momento in cui avevano vissuto l’intimità per la prima volta, perché era cambiato anche lui quella notte: aveva amato per la prima volta e aveva capito che lei era la metà che lo completava, era quella giusta.

E tuttora quando facevano l’amore, gli piaceva ricordare tutto, rifare tutto dal punto zero, anche se ogni volta era diverso ed era più bello.

Erano emozioni vive, reali e forti e completamente diverse ogni volta.

Non l’aveva vista per tutto il giorno e le mancava: era stanco di starsene a letto, a girarsi i pollici e a non fare niente.

La sua stanza era stata invasa da fiori, palloncini e cioccolatini: ne era stato contento, ma sembrava diventare la stanza di una paziente.

«Ti ho portato la cena» la voce dolce della sua ragazza attirò la sua attenzione.

Emmeline era sulla porta, con un sacchetto stretto in una mano e un cartone con due bicchieri nell’altra, e gli stava sorridendo nel modo più dolce possibile.

Annuì, finalmente contento di vederla, e la vide chiudere, con difficoltà, la porta.

Si avvicinò a lui, lasciando sul mobiletto la cena e le bibite, prima di allungarsi su di lui, per lasciargli un bacio soffice sulla fronte.

«Ti hanno portato un sacco di fiori» sorrise, guardandosi intorno, mentre lui rimaneva concentrato su di lei: adorava osservarla, adorava osservare ogni sua singola mossa, ogni suo singolo gesto, ogni sua espressione, ogni sua smorfia.

Le sue smorfie sceme lo facevano sorridere.

«Dove sei stata tutto il giorno?» chiese improvvisamente, in modo serio. «Mi hai lasciato da solo tutto il giorno» continuò lamentandosi, facendola ridacchiare e guadagnando un bacio all’angolo sinistro della bocca.

«Avevo delle cose importanti da fare» mormorò vagamente, guardandolo dritto negli occhi. «Rimango con te questa notte, okay?» lui annuì pensieroso.

Cose importanti? Cosa c’era di più importante di lui adesso?

Emmeline aveva svaligiato un fast-food e il suo stomaco cominciò a brontolare rumorosamente ala vista di tutto quel cibo.

«Del tipo?» mormorò dopo il primo boccone; la ragazza sospirò, abbassando lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore. «Piccola, perché ho l’impressione che mi stai nascondendo qualcosa?» chiese, abbandonando subito il panino. «Emmeline» disse con tono severo, riprendendola.

«Ti odio quando sei così insistente» mormorò lei, rifilandogli un’occhiataccia che sorprese il ragazzo. «Sto cercando in tutti i modi di prevenire dei problemi futuri» disse, incrociando le braccia al petto e sedendosi sulla sedia più lontana possibile.

Stava mettendo una distanza tra loro.

«Em, smettila di pensarci e vieni qui» sussurrò lui: la rivoleva li vicino, gli faceva male vederla lontana.

«Non me ne starò con le mani in mano ad aspettare di vederti con una pallottola piantata in testa o nel cuore, non questa volta!» sbottò incazzandosi. «Non ho nessuna intenzione di perderti, quindi lasciami fare» lo mise in guardia, lasciandolo scioccato.

Stava cambiando, stava crescendo e maturando ulteriormente: gli piaceva eccome.

«Vieni qui» mormorò di nuovo lui, battendo la mano sul letto, al suo fianco, lasciando cadere il discorso che stavano facendo.

«No» sbottò lei in risposta, sorseggiando la sua bevanda.

A Tom veniva da ridere: la testardaggine della sua ragazza era esagerata e per lui era più che divertente, anche per quello la amava da impazzire.

«Quando t’incazzi e t’impunti sei ancora più bella, lo sai?» mormorò maliziosamente, sapendo di scaturire una reazione nella ragazza: la conosceva troppo bene.

«Smettila, tanto non attacca» rispose lei, spostando lo sguardo fuori dalla finestra, osservando il cielo scuro e nuvoloso, probabilmente quella notte avrebbe piovuto. «È sempre la stessa e identica storia, Tom» sussurrò, continuando a non guardarlo.

«Continuerò a dirtelo finché staremo insieme, Em» disse lui, ridacchiando subito dopo, facendole riportare l’attenzione su di lui: erano belli i suoi occhi, esattamente come il suo sguardo seducente. «Vieni qui con me, meravigliosa creatura, per favore» miagolò, non sopportando più quella lontananza.

Emmeline sbuffò pesantemente, sbattendo un piede per terra, come una bambina, prima di alzarsi e avvicinarsi a lui: gli ridiede il panino e si accoccolò al suo fianco, posandogli un altro bacio sulla fronte.

A Tom era stato impedito di muoversi, e se doveva farlo, aveva bisogno di qualcuno: per ora era immobilizzato a letto.

«Mi hanno chiamata per quel lavoro a Los Angeles» lo informò, carezzandogli i capelli, mentre lo guardava abbuffarsi. «Verrai con me?» gli chiese subito dopo, come aveva fatto un po’ di tempo prima.

Tom la guardò intensamente, carezzandole una guancia e poi le sorrise in modo dolce.

«Ti seguirei fino in capo al mondo, piccola» mormorò. «Non ti libererai mai di me, Emmeline Evans» le disse prima di baciarla come se non ci fosse un domani.



 
******

 
Scusate il ritardo!
Okay, capitolo postato, ho corretto anche un errore (madornale) in quello precedente e così la mia coscienza è tornata pulita!
Come potete vedere ho inserito altri due personaggi: Bill e Gustav, appunto, anche perchè all'appello mancavano solo loro due; preciso che Gustav lo ritroveremo almeno in un altro capitolo, al contrario di Bill che non andrà oltre.
Questo capitolo mi piace a pezzi, non so perchè, ma spero possa piacere a voi!
Ovviamente le vostre recensioni e opinioni, sono sempre ben accette!

Un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti.


Se volete contattarmi o conoscermi, vi lascio qualche link:

 
   
 
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