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Autore: batcamem    30/07/2014    1 recensioni
“Camilla consegnati a me e nessuno si farà male!” gridò con la voce roca il mostro.
“Mai!” risposi afferrando un sanpietrino da terra e tirandoglielo contro. La colpii sulla fronte e guadagnai qualche secondo di tempo.
- - -
La guardai e sotto lo sguardo di tutti annunciai: “La ragazza è ancora viva.”
.
Camilla ha 16 anni, vive a Roma con la sua famiglia ed è più che felice. Un giorno, trovandosi in giro con il suo ragazzo Rob, viene inseguita da uno strano mostro: una Furia.
Spaventata scappa e viene salvata da due ragazzi molto speciali...
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Leo Valdez, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'autrice: eccomi di nuovo qui a invadere questa pagina di storie dedicate a Percy e ai suoi amici. So di aver impiegato molto tempo a scrivere, ma ho da studiare molto e cerco di accendere il pc solo la sera.
Comunque spero che vi piaccia questo capitolo e spero anche che lasciate delle recensioni... VI PREGO! Voglio sapere se vi piace o no, tutto qui!
Buona lettura e buonanotte a tutti!

Arrivo al Campo Mezzosangue.
 
Mi sentii sollevare, la sensazione di freddo sulla pelle stava passando, poi mi sentii poggiare su un terreno granuloso. Una forte luce penetrò nei miei occhi facendomi male. Poi qualcuno mi afferrò il polso e disse con la voce tremolante: “La ragazza è ancora viva.”
Iniziai a tossire sputando dell’acqua salmastra che mi era rimasta nei polmoni, una fitta di dolore mi colpì alla schiena, facendomi sussultare e spalancare di colpo gli occhi.
Mi coprii gli occhi con un braccio sentendoli bruciare per causa della luce, li massaggiai con i palmi delle mani e lentamente iniziai a vedere bene intorno a me: tanti ragazzi che andavano dagli otto ai venti, più o meno, mi osservavano con gli occhi spalancati.
“C-cosa mi è successo? Dove sono?” domandai con il tono ingenuo.
“Sei al Campo Mezzosangue” mi disse una voce che conoscevo. Mi girai di scatto e trovai Percy inginocchiato di fianco a me e Annabeth dietro di lui. “Ciò che ti è successo non lo sappiamo neppure noi, credo però che tu debba parlare al più presto con Chirone.”
La testa mi pulsava, mi girava e non mi faceva capire bene quello che stava succedendo. Per un secondo pensai fosse solo tutto un sogno, ma mi diedi un pizzicotto sulla gamba e sentii un leggero fastidio, normale.
Cercai di tirarmi su, ma il dolore che sentivo era troppo forte.
“Aspetta ti aiuto-” il figlio di Poseidone fu subito interrotto dall’arrivo di una figura imponente che si fece largo tra la folla di ragazzi. “Chirone.”
“Sì, Percy. Lascia che l’aiuti io la ragazza” disse l’uomo-cavallo porgendomi una mano. Io accettai e con un po’ di fatica mi tirai su, inciampando quasi sui miei piedi. “Seguimi, Camilla, abbiamo tanto di cui parlare.” Mi fece cenno di seguirlo e io annuii.
Passammo per il varco da cui era passato e scorsi qualche viso qui e lì che mi colpirono. Ragazze troppo belle per sembrare vere, ragazzi sporchi d’olio per motori, bambine con ghirlande di fiori intrecciate tra i capelli dorati.
Tutti erano così diversi l’uno dall’altro che mi meravigliai di vederli in quello stesso campo.
Dopo aver camminato poco mi portò all’interno di una casa di tre piani, soffitta compresa, dipinta all’esterno di azzurro. Il grosso salone era tappezzato di quadri e foto di ragazzi, vasi di terracotta rossa erano poggiati qua e là con al loro interno dei fiori. Mi fece accomodare sul divano e mi porse un bicchiere pieno di un liquido color oro.
“Bevi, è nettare. Vedrai che ti sentirai meglio.” Mi spiegò.
Odorai la bevanda e sentii un profumo inebriante di biscotti al limone e miele di acacia. Chiusi gli occhi e per qualche secondo mi ri-proiettai a casa mia, a Roma, a fare colazione con la mia famiglia o merenda a casa di mia nonna con latte freddo e biscotti al limone.
Bevvi un goccio e mi resi conto di quanto fosse buono. Mi leccai e labbra e sorrisi, sentendomi quasi rinvigorita. Ovviamente i dolori alla schiena li avevo ancora.
“Che buono!” esclamai bevendone un altro po’.
“Ora meglio basta, troppo fa male.” Mi avvertì Chirone e posai il bicchiere di cristallo su un tavolinetto basso. “Dobbiamo parlare Camilla, lo sai questo, vero?” mi domandò e io annuii. Avevo così tante domande da fare... prima fra tutte volevo sapere cosa fosse lui.
“Cosa sei?” domandai di getto guardandolo in faccia con l’aria interrogativa.
Lui scoppiò a ridere facendomi sentire ancora più stupida di quanto non mi sentissi prima di formulare la domanda. “Sono un centauro, mia cara.” Disse infine riprendendo fiato. “Ma ora dimmi cos’è successo dalla tua partenza.”
Iniziai a raccontare al centauro tutto quello che era accaduto, a partire dalla furia, poi gli uccelli di Stinfalo e infine la caduta in mare. Tutto sembrava così surreale che anche io stentai a crederci, se non fosse che tutto quello era accaduto a me.
Chirone rimase ad ascoltarmi attentamente corrucciando ogni tanto la fronte. Per un secondo pensai che lui non credeva a niente di ciò che io dicevo, fino a quando iniziò a parlare.
“Bene, grazie mille. Non preoccuparti, ti credo.” Mi disse come se mi avesse letto nel pensiero. “Cose di questo genere succedono quasi tutti i giorni a noi del Campo, possiamo anche ritenerlo normale, sotto un certo punto di vista.”
Rimasi a bocca aperta. Cosa facevano tutti quei ragazzi considerando che quello che mi era successo loro lo ritenevano normale? Si buttavano da palazzi alti centinaia di metri senza protezioni facendo a gara a chi si sfracella a terra più velocemente? Mi sembrava quasi surreale.
“Non preoccuparti, prima o poi ti ci abituerai anche tu a questa vita movimentata.” Mi sorrise ed uscì lasciandomi da sola in quel salone troppo pieno di oggetti antichi e cianfrusaglie inutili come per farmi abituare a quella situazione.
Così rimasi in silenzio, il viso tra le mani e troppi pensieri affollati nella mia mentre estremamente piccola e ristretta per poterla sforzare troppo. Ero molto limitata, ecco perché a scuola non superavo mai il 6 o, in casi molto rari, il 7.
Mi stavo quasi per alzare quando qualcuno irruppe senza preavviso dentro la casa facendomi sussultare dallo spavento.
“Ecco qui una nuova marmocchia! Tu dovresti essere Caroline, giusto?” mi domandò un ometto con una camicia a maniche corte leopardata ed estremamente stretta sulla pancia gonfia.
Storsi il naso e scossi la testa. Dopo mi accorsi che dietro di lui c’era una bambina che molto probabilmente l’aveva chiamato per avvertirlo del mio arrivo. “No, sono Camilla.”
“È uguale, sempre un’insulsa semidea sei!” mi disse muovendo una mano di fronte a lui e bevendo un bicchiere di coca-cola. “Comunque io sono il signor D. e ti do il benvenuto. Ora puoi andare, addio e buona fortuna per tutto.”
Mi liquidò molto velocemente e mi spinse fuori dalla casa prima di buttarsi stravaccato sul divano dove stavo io poco prima.
“Ti ci abituerai, vedrai, si comporta così con tutti.” Mi disse la bambina chiudendo la porta di legno e scendendo i gradini delle scale. La seguii non sapendo dove andare. “In realtà è Dioniso, il dio del vino. Odia tutti noi semidei perché il padre, Zeus, lo ha spedito qui e gli ha vietato di bere alcolici. Ora si limita ad una Diet Coke ogni poco.” Mi spiegò.
“Wow, grazie per l’informazione. Cercherò di tenerlo a mente, non si sa mai!” le risposi.
“Sai già chi è il tuo genitore divino?” mi chiese fermandosi di punto in bianco di fronte a un campo pieno zeppo di piante di fragole e... uomini-capra? Cosa ci facevano lì degli uomini-capra?
“No, ancora non lo so.” Scrollai le spalle domandandomi chi dei miei genitori non era veramente un mio genitore nonostante mi avesse cresciuta da quando ero appena nata.
“Allora ti toccherà andare nella Casa 10, quella di Ermes! Ci vanno a finire tutti coloro che non sono stati ancora riconosciuti... io, però, sono stata riconosciuta subito da mia madre Atena!” disse allegra. Quindi lei era una sorella di Annabeth? “Ma devi stare attenta ai fratelli Stoll, sono una po’ troppo burloni!”
“Mi potresti accompagnare alla casa per favore?” le chiesi sorridente.
“Certamente! Seguimi.” Mi prese una mano e mi accompagnò in una casa interamente costruita in legno e tappezzata da compensato qua e là. Poteva sembrare una casa abbandonata, se non fosse stato per il caos che proveniva dall’interno. “Eccoci qui. Ora devo scappare, ciao!” mi salutò e iniziò a correre. Forse non le piaceva stare troppo vicino a quel posto, e non la biasimavo.
Mi avvicinai lentamente e spinsi la porta. Quando mi videro entrare tutti i ragazzi e le ragazze al loro interno si azzittirono. La casa non era molto grande, anzi, era troppo piccola! Ma di ragazzi ce ne erano troppi.
“Ciao...” salutai alzando la mano in segno di saluto.
Tutti mi fissavano come se fossi stata un alieno, poi qualcuno si avvicinò a me e mi strinse la mano. “Piacere, io sono Connor Stoll, lui invece è mio fratello Travis!” disse indicando prima lui poi un ragazzo identico.
“Io sono Camilla.” Gli dissi sorridendo.
“Oh, lo sappiamo!” disse un altro ragazzo. “Sei come una celebrità qui al campo, tutti noi ci chiediamo come hai fatto a sopravvivere così a lungo sott’acqua!”
“Se lo chiedono tutti perché si sa che Poseidone ha avuto solo due figli negli ultimi anni, e questi sono Percy e Tyson. È molto improbabile che tu sia sua figlia... ma figo!” parlò questa volta una ragazza dai lineamenti molto marcati.
“Beh, spero di essere riconosciuta al più presto. A quanto pare è una cosa molto importante!” dissi io.
“Ovviamente!” risposero più persone insieme.
“Se rimarrai per sempre indeterminata, dovrai restare qui a vita!” mi spiegò sempre la ragazza accigliandosi. “Spera solo di andare in una casa meno affollata, è meglio!”
“Lo spero anche io...” sussurrai vedendo tutti il caos che regnava. Non che io fossi mai stata ordinata. Anzi, al contrario, ero disordinatissima! Ma vedere il pavimento perennemente impolverato, vestiti sporchi attaccati agli appendiabiti. Era una cosa indecente. Storsi il naso e mi appoggiai a una parete libera.
Mi lasciai scivolare giù e mi sedetti a terra, quando un suono grave non mi fece alzare lo sguardo sui ragazzi che stavano intorno a me.
“Ora di cena, tutti fuori!” gridò qualcuno tra di loro.
Iniziarono ad uscire uno ad uno, correndo come dei bisonti affamati.
“Vieni, ti accompagno.” La ragazza di prima mi porse una mano aiutandomi a mettermi in piedi. Mi girò un po’ la testa, ma passò poco dopo. “Comunque piacere, io sono Sophie.” Mi sorrise.
“Piacere mio!” le risposi.
Uscimmo insieme dalla casa e mi condusse alla Mensa, mi spiegò cosa avrei dovuto fare per l’offerta agli dei e mi mostrò il tavolo dove ci saremmo dovuti sedere durante tutti e tre i pasti. Era tutto molto ben organizzato al campo e questa cosa mi piacque particolarmente.
“Allora, cosa si fa di preciso qui?” le domandai mentre posavo dopo aver mangiato il piatto vuoto su un carrello e ci dirigevamo verso l’arena dove avremmo fatto il famoso falò, cosa che solo loro conoscevano.
“Oh, beh, tante attività diverse. Ci si diverte un mondo!” mi disse sbrigativa andando a prendere dei posti a sedere sulle gradinate in marmo bianco con un leggero strato di muschio su qualche lato. “Si fa lotta corpo a corpo, arrampicata sulla parete di lava, tiro con l’arco e lotta con la spada.”
“Forte!” le dissi pensandolo veramente. “Io ho fatto kung fu per cinque anni, può andar bene come preparazione base?” le domandai.
“Certamente! Anzi, ti devi ritenere molto fortunata, molti di noi sono arrivati qui senza nemmeno sapere cosa fosse una faretra...” mi spiegò e io feci un sospiro di sollievo. Poi mi guardò. “Tu sai cos’è una faretra, vero?”
“Ovvio, ti pare che non lo so?” risi e molti si girarono a guardarmi.
“Vedo che hai fatto amicizia!” sentii dire poco più avanti a me e vidi Annabeth che mi salutava con una mano e mi sorrideva. “Tutto bene?”
Annuii e alzai il pollice destro per farglielo capire meglio.
“Divertiti!” mi gridò dopo.
“Anche tu!” le risposi, tornando dopo a parlare con la ragazza che avevo conosciuto poco prima. Era molto simpatica e scoprii che aveva 15 anni e veniva dall’Ohio. Non aveva fratelli o sorelle, solo un gatto rosso di nome Olaf.
Io le raccontai un po’ della mia vita, in modo superficiale, ovvio. Non era un gran che, tranne ovviamente qualche pazzia commessa durante gli anni. Per esempio le raccontai di quando rimasi un giorno intero chiusa nel bagno della scuola (più precisamente della palestra della scuola) senza essere scoperta da nessuno. Non ci credette affatto, ma era tutto vero! (*)
Alla fine della serata, quando ormai il fuoco andava spegnendosi, Chirone ci salutò dandoci la buonanotte e tutti andammo nelle nostre rispettive case a dormire. Io rimediai un materassino da spiaggia con una federa e una lenzuolo. Chiusi gli occhi e in pochi minuti mi addormentai.
  
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